SELVAGGIA LUCARELLI, IL FATTO QUOTIDIANO DEL 14 OTTOBRE 2018 ::: LODI, QUELLA MENSA NEGATA AI BAMBINI CHE CI FA VERGOGNARE…+ VIDEO DI MICAELA FARLOCCO DA PIAZZA PULITA, 11-10-2018

 

 

 

VIDEO DI MICAELA FARLOCCO, DA PIAZZA PULITA DI CORRADO FORMIGLI,

11-10-2018

https://t.co/JDVJFF2Xnb

 

 

IL FATTO QUOTIDIANO DEL 14 OTTOBRE 2018

https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/lodi-quella-mensa-negata-ai-bimbi-che-ci-fa-vergognare/

 

» CRONACA

domenica 14/10/2018

Lodi, quella mensa negata ai bimbi che ci fa vergognare

Immagini e razzismo – Viene naturale schierarsi con le lacrime delle mamme e i sorrisi dei bambini della “stanza del panino”

Lodi, quella mensa negata ai bimbi che ci fa vergognare

Alle volte succede di pensare che in fondo siamo migliori di quello che sembra. Che forse il clima politico, l’odio social, le tifoserie volgari, siano la fotografia peggiore del Paese, ma che tutto sommato, quando si lascia spazio alle storie anziché agli slogan, gli italiani siano migliori di quello che sembrano. In questi giorni, per esempio, c’è un servizio di Micaela Farrocco andato in onda a Piazza Pulita, che appare sulle homepage dei siti di informazione e le bacheche fb di politici, giornalisti, attori, cantanti e normali cittadini, in cui si racconta una storia di cui in realtà si era già scritto (il primo quotidiano nazionale fu il Fatto), ma che “non si era vista”. La sindaca leghista di Lodi, Sara Casanova, un anno fa ha emesso una delibera che ha modificato le norme di accesso per beneficiare delle tariffe agevolate per l’autobus (210 euro a trimestre) e la mensa scolastica (5 euro al giorno).

Prima, per tutti i genitori, bastava presentare l’Isee. Dal 2018, solo per i cittadini nati fuori dall’Unione europea, l’Isee non basta più. Devono presentare anche dei certificati rilasciati dal paese d’origine che attestino la loro nullatenenza. La sindaca, si spera e presume in buona fede, ha però sottovalutato un particolare: spesso, in quei paesi, un catasto informatizzato non esiste. Spesso rientrare in un paese da cui si è scappati non è una buona idea. Spesso, andarci è molto costoso. A volte impossibile.

Questo cambiamento ha di fatto impedito a più di duecento famiglie di ottenere le tariffe agevolate, con una conseguenza che, raccontata freddamente, tra le righe di un giornale, suona come un banale effetto della burocrazia. Raccontata dalle telecamere, attraverso le voci dei bambini esclusi dalla mensa scolastica e dalle loro mamme, è altro. È il bambino con la sua magliettina arancione e gli occhi neri che dice: “Io quest’anno mangiò giù, dove si mangiano i panini, volevo mangiare con i miei amici, è un po’ triste e mi sembra strano perché ci dividono dai bambini italiani…”. È la bimba timida, con la coda di cavallo, che non guarda mai l’intervistatrice e racconta: “La maestra ci ha detto che alcuni genitori pagano una cifra più alta e mangiano in mensa, gli altri no… mi sono vergognata”. È il bimbo di colore che con un candore disarmante, alla domanda dell’inviata “tu lo sai perché torni a casa per mangiare?” risponde: “Certo, per l’esonero”. E quel termine freddo e burocratico, pronunciato da un bambino che non dovrebbe neppure sapere cosa significhi “esonero”, è qualcosa che fa sentire a disagio, che ti fa domandare se la sindaca sia lì davanti alla tv e nel vedere l’effetto della delibera sulla pelle di quei bambini, un po’ di disagio lo provi anche lei. È anche incinta, di sicuro ha la lacrima facile, l’emotività amplificata, ti convinci. Ma con i bambini si sa, si gioca facile. Come si fa a non empatizzare con loro. Poi è il turno delle mamme, quelle col velo, quelle che un po’ di diffidenza la provocano sempre. C’è quella tunisina che racconta di essere andata per ben due volte nel suo paese e di aver speso tantissimi soldi, ma quei documenti non li ha avuti. Quella marocchina che è andata in Marocco, ha comprato quattro marche da bollo da 16 euro, ha avuto i documenti, li ha consegnati in Comune e non andavano bene. C’è quella che tutte le mattine fa sei km per accompagnare i figli a scuola perché 210 euro a trimestre di autobus non li ha. Una di queste mamme piange, si aggrappa all’inviata, e da casa si piange con lei. Un’altra invece sorride, ha cinque figli, dice che gli italiani le chiedono “ma come fai a sorridere con cinque figli?” e lei risponde che i figli sono belli, non sono una maledizione. E sei tu che vorresti abbracciarla e aggrapparti a lei, perché desidererebbe che i suoi figli mangiassero con gli italiani, ma non possono. E allora lei gli cucina i piatti italiani, per farli sentire come gli altri. Per farli sentire bambini. La sua bimba dice: “Mangio la pastasciutta col pomodoro!” e che non possa mangiarsela in mensa con i suoi amichetti suona come una meschinità. L’inviata va in città per raccontare gli umori dei cittadini, qualcuno dice che la sindaca ha ragione, un signore anziano spiega che le leggi devono valere per tutti, un altro che “sono come le zecche di cani”, una signora borbotta che se non hanno i soldi dovrebbero fare come gli italiani, che di figli ne fanno uno. La signora ignora che andando avanti così un giorno gli italiani non esisteranno più, e che a sollevare il tasso di natalità nel nostro paese forse ci penseranno proprio quei bambini che mangiano il panino, lontani dagli “altri”. E infine vanno in onda le immagini della “stanza dei panini”. Pochi bambini intorno a un tavolo, in un’ala separata, che sembrano lì in castigo. Che sembrano avere colpa di qualcosa. Il giorno dopo la messa in onda del servizio è successo che in poche ore sono arrivate le donazioni necessarie per pagare la mensa alle duecento famiglie. Il video è stato condiviso da migliaia di persone, commentato da tutti. La storia delle mense di Lodi ha smesso di essere una faccenda burocratica. È diventata la storia di genitori e bimbi, di una sindaca con l’aria dura e infastidita che non risponde a chi le chiede “perché?”. E alla fine, più di tutto, una piccola storia che suggerisce una cosa più grande: è un paese, il nostro, che ha bisogno di vedere i volti e le lacrime di quelli di cui ha paura. Solo così, forse, smetterà di temerli.

 

 

 

SELVAGGIA LUCARELLI — Niccolò CarantiOpera propria

Nasce a Civitavecchia nel 1974.

è scrittrice, editorialista per “il Fatto Quotidiano” e protagonista di numerosi programmi tv, tra cui Ballando con le stelle. È senza dubbio la donna più influente del web italiano, e forse anche la più temuta. Dai suoi profili social e sulla prima pagina del “Fatto” scrive con tagliente ironia di politica, media, costume e società. Con Rizzoli ha pubblicato il romanzo Che ci importa del mondo (2014) e Dieci piccoli infami (2017).–(RIZZOLI)

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Uomini che servivano a dimenticare ma che hanno peggiorato le cose

“L’inizio di tutto è il disgraziato giorno in cui il mio fidanzato dell’epoca mi lasciò. Non ero preparata, non ritenevo contemplabile il fatto di poter essere mollata, l’ipotesi non mi era stata annunciata in alcun modo e, soprattutto, era profondamente ingiusto. Non si lascia una donna perché è gelosa anche della tua segretaria lesbica sessantaduenne, o perché ogni volta che devi partire per lavoro ti mette su il muso come se avesse scoperto un tuo passato di militanza in Casa Pound.”Cosa succede quando finisce un amore? La delusione, la tristezza, il dolore, certo. Ma poi, dopo i primi giorni, anche l’inesorabile scivolare verso una serie di incontri surreali e di relazioni-lampo con personaggi a cui, a distanza di anni, non si concederebbe neppure il tempo di un caffè ma che, per irripetibili congiunzioni astrali, si sono trovati a rivestire il ruolo di traghettatori. Con effetti tragicomici. Personaggi che “potrebbero sembrare frutto di fantasia, di un mojito di troppo o di una sfiga siderale e che invece, ahimè, sono comuni e realmente esistiti”. Da Mister Foglio Excel, di una taccagneria mitologica, a Mister Ho una cosa per te, cleptomane compulsivo, fino al vincitore assoluto, Mister Il piacere è soggettivo, voyeurista seriale. Una galleria di uomini che, prima ancora di poter essere definiti ex, sono evidenti, cristallini Casi Umani. E che Selvaggia Lucarelli racconta con maestria unica, con spietata (auto)ironia, con il sollievo e la benevolenza della sopravvissuta.

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