LIMES ONLINE, 3 AGOSTO 2018
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I libanesi ci dicono: ‘Non ve ne andate’
Appendice
Conversazione con il generale Enrico Paolo Fabbri, comandante della brigata alpina Julia in Libano.
a cura di Roberto Roggero
Il 2018 vede l’Italia impegnata in diverse missioni internazionali. In Niger il paese schiera fino a 500 uomini, impegnati nel contrastare il traffico di esseri umani e la presenza di jihadisti. Il contingente opera anche in Mauritania, Nigeria e Benin. In Libia, i militari italiani svolgono compiti umanitari e di addestramento della Guardia costiera libica per controllare i flussi migratori. In Tunisia, i 60 soldati italiani schierati in ambito Nato addestrano i militari tunisini alla conduzione di operazioni interforze per il controllo delle frontiere e il contrasto al terrorismo. Prosegue l’impegno in Iraq e in Afghanistan (sebbene in misura ridotta dopo la sconfitta dello Stato Islamico), come pure la presenza navale umanitaria nel Mediterraneo (operazioni Mare Sicuro e Sophia). Intensificata la partecipazione al pattugliamento aereo del Baltico in ambito Nato, con quattro caccia in Estonia e quattro in Islanda. Missioni ridotte si svolgono poi in Repubblica Centrafricana e Sahara Occidentale, mentre sono ribaditi gli impegni in Egitto, Somalia e Gibuti.
Nell’ambito della missione Onu in Libano (Unifil, 15 mila militari di 27 nazioni) e di quella Nato in Kosovo, l’Italia impiega circa 500 soldati. L’impegno di peacekeeping italiano nel Paese dei Cedri data al 1982 e, attraverso varie fasi, è giunto fino a oggi. L’attuale Operazione Leonte (dal nome del principale fiume del Libano che delimita il settore italiano) è iniziata nel 2006; oggi sotto comando italiano operano unità di Armenia, Brunei, Estonia, Finlandia, Ghana, Georgia, Irlanda, Malaysia, Corea del Sud, Serbia, Slovenia e Tanzania. Oltre a fungere da forze d’interposizione, i militari italiani addestrano le Forze armate libanesi.
LIMES Come valuta la presenza militare italiana nell’attuale, difficile contesto regionale?
FABBRI La presenza italiana è considerata fondamentale da ambo le parti, ma sono soprattutto le istituzioni libanesi a invocarla. Quest’anno l’area di Tiro batterà ogni record in termini di affluenza turistica e National Geographic ha indicato il Libano come una delle mete preferite dal turismo europeo. Difficile pensare uno scenario analogo in assenza di Unifil e dell’impegno italiano.
LIMES In che condizioni operano i militari italiani?
FABBRI Il Sud del Libano, in cui dal 2006 si estende l’area di competenza italiana, è stato quasi totalmente ricostruito. Tuttavia, nell’area a sud del fiume Litani (al-Līṭānī) esistono zone, soprattutto interne, ancora in fase di sviluppo. Comunque, nel complesso le condizioni possono essere definite buone. Nelle basi italiane si alloggia e si lavora bene.
LIMES Quali sono i principali compiti dei nostri militari?
FABBRI Quelli stabiliti dalla risoluzione Onu 1701: il monitoraggio del cessate-il-fuoco, il supporto alle Forze armate libanesi nelle attività di controllo nel Sud del paese, l’assistenza alla popolazione locale con i progetti di cooperazione civile e militare. Nel settembre 2017 si è aggiunta la risoluzione 2373, che prevede una maggior presenza sulla Blue Line, una più intensa attività operativa e un miglioramento della funzione di reporting ( raccolta e coordinamento delle informazione , nota del blog), indispensabile perché consente al Consiglio di Sicurezza di monitorare l’eventuale violazione degli accordi presi in sede di discussione delle risoluzioni.
LIMES Come si compone il contingente italiano?
FABBRI La brigata Julia, schierata in Libano per la prima volta, ha una composizione ormai consolidata: quella della ventennale Multinational Land Force (Mlf) composta da Italia, Slovenia e Ungheria, cui si sono aggiunte unità di Austria e Croazia sulla base della Defence Cooperation Initiative (Deci). Questo dispositivo schierato oggi in territorio libanese può essere definito come il primo embrione di un possibile, futuro esercito europeo.
LIMES Qual è la punta di diamante del contingente Unifil?
FABBRI Italbatt rappresenta l’espressione più operativa, numerosa e conosciuta dalla popolazione locale. Attualmente è composta dal 7° reggimento alpini di Belluno, che esprime il comandante di reggimento colonnello Antonio Arrivella, con il battaglione operativo Feltre. Il 2° battaglione è formato invece dallo squadrone blindati pesanti del 2° reggimento Piemonte Cavalleria di stanza a Villa Opicina (Trieste), sempre appartenente alla Julia e di recente acquisizione (2014), che rappresenta la componente esplorante della brigata. Massima espressione della Deci è il Combat Support Battalion (Csbn) al comando del tenente colonnello Marco Arculeo, marcatamente multinazionale: è infatti formato da una compagnia di trasmettitori italiani, una di genieri croati – che partecipano per la prima volta a Unifil – e da un assetto di bonifica formato da italiani e austriaci, mentre nella componente Genio è schierato l’assetto K9 ungherese (bonifica di ordigni esplosivi) e un’unità armena con compiti di vigilanza. C’è poi il reggimento logistico Julia di Merano, comandato dal colonnello Michele Lo Savio, colonna portante dei supporti logistici della Joint Task Force Lebanon (Jtfl).
LIMES Come sono i rapporti con la popolazione locale?
FABBRI Rispondo con le parole di un sindaco locale, che alla domanda su cosa farebbe se Unifil terminasse, ha risposto: «Tratterremo gli italiani qui con noi». Come giustamente sottolineato dal generale Massimiliano Del Casale, presidente del Casd (Centro alti studi della difesa), lo stereotipo «italiani brava gente» qui non c’entra nulla, perché non stiamo parlando di improvvisazioni ma di operazioni pianificate e scrupolosamente studiate.
LIMES Come vivono i nostri militari le ripercussioni sul Libano dello scontro israelo-palestinese e della situazione in Siria?
FABBRI Siamo consapevoli di prestare servizio in una zona al centro di delicate dinamiche internazionali, ma ciò rende ancor più ricca di tensione emotiva la nostra permanenza in questa terra.