repubblica del 23 dicembre 2018 — pag. 16
S T O R I E
Genova
Il cippo dei camalli per non scordare i caduti del porto
MARCO PREVE (qualcosina in fondo),
GENOVA
Dentro il porto di Genova, in un’area di ponte Assereto, dove sostano i mezzi in attesa dei traghetti della Gnv, stretta fra tir incolonnati e navi gigantesche, c’è una piccola aiuola nella quale sopravvive, insieme a due ulivi, la memoria dei caduti in banchina. È qui che da alcuni anni, senza proclami, senza autorità, istituzioni né retorica, un gruppo di camalli della Culmv e dei terminal, celebra il proprio Natale di lotta e di ricordo. Appoggiate a un cippo funebre costruito con gli attrezzi del mestiere — caschi, ganci, gomene, catene di ferro arrugginito — mezza dozzina di lastre di pietra e ardesia riportano i nomi di decine di persone. Sono nomi italiani, asiatici slavi, sudamericani e di altre posti lontani venuti a morire qui nei modi più disparati ma sempre terribili come fossero usciti dalla penna di Maurizio Maggiani.
Schiacciati, lacerati, decapitati, precipitati, imprigionati e annegati come le nove vittime della Torre Piloti del 2013. Li hanno uccisi mezzi, operazioni e strumenti che per la maggior parte delle persone non significano nulla: rizzaggio, ralle, paceco. Ma i mandanti di questi lutti sono i tempi di produzione. Dieci anni fa i portuali genovesi seppero attraverso una dura battaglia sindacale contenere la pressione e lo strapotere dei terminalisti e imporre più controlli e nuovi diritti.
incidente sul lavoro al terminal Spinelli, 21 ottobre 2015
Ma oggi, la difficile battaglia per la sicurezza è ricominciata. È iniziata con uno sciopero improvviso a fine ottobre, al Terminal Spinelli, dove si lavorava nonostante l’allerta rossa, una mareggiata che strappava gli ormeggi e raffiche di vento che spostavano i container. Sui moli si sono riaccese vecchie tensioni e l’Autorità Portuale è finita nel mirino, accusata di non volersi assumere la responsabilità di fermare le operazioni in caso di allerta meteo. In ballo c’è la sopravvivenza dell’ultima frontiera della solidarietà fra lavoratori. Ecco perché ieri, questo gruppo di portuali si è raccolto attorno ai suoi “working class heroes” leggendo una poesia, accendendo i fumogeni di segnalazione, spiegando che anche i 43 morti del Ponte Morandi sono «colpa di un sistema che guarda solo al profitto e non agli esseri umani».
marco preve (torino, 1963)
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