DONATELLA D’IMPORZANO E LA SUA RUBRICA… CI PRESENTA UN GRANDE URBANISTA, VEZIO DE LUCIA E IL SUO ” NELLA CITTA’ DOLENTE ” +++ ALTRO

 

DONATELLA D’IMPORZANO  e la sua rubrica…

 

 

Metto qui sotto,  il risvolto di copertina del libro ” Nella città dolente” di Vezio De Lucia, urbanista e saggista, già direttore generale dell’Urbanistica presso il ministero dei lavori pubblici, poi assessore, sempre all’urbanistica, del Comune di Napoli nel primo mandato di Bassolino. E’ stato segretario generale dell’Istituto nazionale di urbanistica, fondatore del Comitato per la bellezza, consigliere nazionale di Italia Nostra… Ha collaborato con “Il Messaggero”, “l’Unità” e ” il Manifesto”.

 

Nella città dolente. Mezzo secolo di scempi, condoni e signori del cemento. Dalla sconfitta di Fiorentino Sullo a Silvio Berlusconi

Vezio De Lucia

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Editore:Castelvecchi
Collana:RX
Anno edizione: 2013
In commercio dal: 10 aprile 2013
Pagine: 230 p., Brossura
19 euro, prezzo intero

Da ” La città dolente”, Vezio De Lucia,2013, Lit Edizioni Castelvecchi RX:

” Il 13 aprile del 1963 segna il punto di non ritorno nella svendita dell’Italia a costruttori e palazzinari: quel giorno “Il Popolo”, quotidiano ufficiale della DC, scrive che nello schema della nuova legge urbanistica presentato dal ministro dei lavori pubblici Fiorentino Sullo
( basato sull’esproprio delle aree edificabili ) non era “in alcun modo impegnata la responsabilità della Democrazia Cristiana”: Svanì così- con la netta stroncatura da parte dello stesso partito di Sullo- la possibilità di sottrarre le nostre città alla violenza della speculazione fondiaria che aveva avuto il via libera alla fine della Seconda Guerra Mondiale. A dare carattere definitivo alla sconfitta contribuì il tentativo di colpo di stato dell’estate del 1964 ( il cosiddetto Piano Solo) ordito dalla Presidenza della Repubblica e da ambienti politici e padronali atterriti dalla proposta di riforma urbanistica.
Decenni di storia e cronache di “signori” del cemento armato, di paesaggi devastati, alluvioni, terremoti e tanta incompetenza. Da Milano ad Agrigento, da Napoli a Roma, da Venezia all’Aquila, da Taranto a Sesto San Giovanni. Anche se non sono mancati politici, amministratori e tecnici che hanno dato luce a speranze di cambiamento ma il declino inesorabile, secondo De Lucia, è cominciato dopo gli anni Ottanta con l’affermazione del pensiero unico neoliberista che ha quasi del tutto azzerato l’urbanistica. E poi il berlusconismo, quello delle grandi opere inutili e dannose e dei ” padroni in casa propria”: la proprietà avanti a tutto, la proprietà purchessia, quella delle grandi immobiliari e quella miserabile degli abusivi. Un libro duro, una nitida fotografia di un’Italia svenduta al partito del cemento ma che consegna anche una proposta politica per arrestare il degrado”.

 

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Vezio De Lucia (Napoli27 luglio 1938) è un urbanista italiano.

Laureato in architettura a Napoli nel 1963. Funzionario del ministero dei Lavori pubblici, dal 1986 direttore generale del Coordinamento territoriale e membro del Consiglio superiore dei Lavori pubblici. Rimosso dall’incarico nel 1990, insieme al presidente Giuseppe D’amore, con provvedimento del ministro Giovanni Prandini, di cui fa un’accesa critica nell’Epilogo dell’edizione del 1992 della sua opera principale Se questa è una città.

Dal 1990 al 1995 consigliere regionale PCI del Lazio, dal 1993 al 1997 assessore all’Urbanistica del comune di Napoli (prima amministrazione Bassolino).

È stato: presidente dell’Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli, istituto di studi e ricerche fondato da Giulio Carlo Argan; membro della Giunta della Rete dei comitati per la difesa del territorio presieduta da Alberto Asor Rosa; fondatore del Comitato per la bellezza presieduto da Vittorio Emiliani; segretario generale dell’Istituto nazionale di urbanistica e consigliere nazionale di Italia Nostra. È stato professore a contratto nelle Università di Roma “La Sapienza” e di Palermo. Premio Antonio Cederna per l’urbanistica della provincia di Roma (2006). Premio internazionale di ecologia VAS – Verde Ambiente Società (2014). Premio Franco D’Onofrio (2016).

Ha coordinato il piano comprensoriale di Venezia e della Laguna previsto dalla legge speciale del 1974 per la salvaguardia di Venezia. Ha coordinato la ricostruzione di Napoli dopo il terremoto del 23 novembre 1980. Progettista dei piani provinciali di Pisa, Lucca, Caserta e dei piani regolatori di Lastra a Signa, Eboli, Pisa, Positano, Meta di Sorrento, Pontassieve e altri comuni.

Ha collaborato con il Messaggerol’Unità e il manifesto. È stato vicedirettore di Eddyburg.

 

ULTIMI LIBRI DOPO AVER MESSO IL SUO LIBRO PIU’ NOTO ::

  • Se questa è una città, Editori Riuniti, Roma, 1989 e 1992, Donzelli, 2006;

ULTIMI::

 

  • Il bello non abita più qui, in La vista offesa, a cura di Paolo Rognini, Franco Angeli, Milano, 2008;
  • Le mie città, Diabasis, Reggio Emilia, 2010;
  • La Roma di Petroselli, con Ella Baffoni, Castelvecchi, Roma, 2011;
  • Nella città dolente, Castelvecchi, Roma, 2013;
  • Roma disfatta, con Francesco Erbani, Castelvecchi, Roma, 2016;
  • Napoli, promemoria, Donzelli, Roma, 2018.

 

Pubblico anche questa intervista perché mi sembra interessante del suo modo di pensare…insomma per conoscerlo un pochino di più…

 

 

REPUBBLICA, IL VENERDI’ 20 OTTOBRE 2016 –INTERVISTA DI FRANCESCO ERBANI

https://www.repubblica.it/venerdi/interviste/2016/10/20/news/ma_a_cancellare_i_ghetti_non_puo_essere_il_tritolo-150175175/

 

Vezio De Lucia: a cancellare i ghetti non può essere il tritolo

Vezio De Lucia: a cancellare i ghetti non può essere il tritolo
L’androne di una Vela, perennemente allagato (Riccardo Siano) –penso sia Scampia

Intervista all’urbanista napoletano: «La demolizione è una sconfitta dello Stato che non è stato capace di governare strutture tanto impegnative»

di Francesco Erbani

«La demolizione delle Vele a Scampia è una scorciatoia, anzi una sconfitta» dice Vezio De Lucia scuotendo il capo. Urbanista, ex assessore della prima giunta napoletana di Antonio Bassolino, De Lucia era contrario anche quando si decise per la prima volta di abbattere quegli edifici con la dinamite. «Vollero organizzare una festa per santificare il tritolo. Io, che non ero più assessore, scrissi un articolo intitolato: Questa festa non è la mia festa. Avevamo perso tutti, che cosa c’era da festeggiare?».

Avevate perso anche voi? Intendo gli architetti, gli urbanisti.

«Per quanto sia criticabile il progetto di Franz Di Salvo, ma io non lo critico affatto, non è nell’architettura che vanno cercati i responsabili del degrado. Come per lo Zen a Palermo, o il Laurentino 38 e Corviale a Roma e per tanti altri quartieri di edilizia pubblica realizzati dagli anni Settanta in poi, con la legge 167».

E allora di chi è la sconfitta?

«Delle amministrazioni pubbliche che hanno avuto in carico la gestione di quegli insediamenti. Anzi, il progetto di Di Salvo è stato stravolto già in fase di costruzione. Si usarono materiali scadenti. Pareti dove, per evitare la condensa, si aprirono dei buchi e così lì dentro d’inverno si gela. Ma la tragedia comune a molti di questi quartieri – non in tutti, al Centro-Nord è diverso – è stata l’incapacità di governare strutture così impegnative. Che in altri Paesi europei hanno conosciuto tutt’altro destino e sono diventate persino edifici di lusso».

Che cosa intende per incapacità di governare?

«Penso a come furono assegnati gli appartamenti, o alle occupazioni abusive e assolutamente tollerate. Si è scaricata in questi quartieri la disperazione sociale di Napoli, e poi di Palermo, di Roma, di Bari. Inoltre è mancata la manutenzione. Questi edifici per la loro complessità necessitavano di cura. Ma nelle Vele, per esempio, gli ascensori non hanno mai funzionato. E ancora: tanti di questi quartieri non sono quartieri, i servizi sono insufficienti, i collegamenti con il centro città scarsissimi».

Un fallimento, insomma.

«Ci siamo dimenticati l’Italia degli anni Sessanta? L’inurbamento, un fabbisogno di case imponente, le baracche. Dietro la legge 167 agivano matrici culturali e politiche nobili: la casa come servizio sociale, come un diritto, l’edilizia pubblica come fulcro della città moderna che bandiva la speculazione sulle aree. Purtroppo è sfiorito un grande sogno autenticamente riformista. Gli esiti, in particolare al Centro-Sud, hanno dato benzina all’abusivismo. E ormai di edilizia pubblica non si parla più da decenni, nonostante un’emergenza abitativa drammatica».

Insisto: nessuna colpa hanno avuto gli architetti? Sono fioccate accuse di monumentalismo…

«Si è sottovalutato che questi quartieri sarebbero stati affidati a una gestione incapace. I migliori progettisti lo hanno riconosciuto».

Oltre che di sconfitta, lei parlava di scorciatoia. In che senso?

«Buttar giù le Vele era ed è frutto di un pensiero sbrigativo. Così come al Laurentino 38, dove sciaguratamente anni fa vennero abbattuti alcuni ponti».

Gli abbattimenti sono spesso invocati dagli stessi abitanti.

«Li capisco. Ma sia l’urbanistica sia la politica devono offrire soluzioni pensate. Oltre che intervenire sugli edifici, c’è da considerare che nei quartieri pubblici abbondano gli spazi inutilizzati, che generano ulteriore degrado e sui quali, però, possono sorgere le attrezzature che mancano e anche altri complessi residenziali. Nei palazzi e nelle periferie di speculazione si può lavorare molto meno. Già a metà degli anni Novanta realizzammo un progetto per Scampia, di cui poco è rimasto».

Che cosa prevedeva?

«Volevamo destinare due Vele all’università, un’altra alla Protezione civile, trasferendo gli abitanti in palazzi di struttura tradizionale. Altre due Vele si pensava di metterle sul mercato perché fossero ristrutturate. Si impegnò Vittorio Gregotti. Occorreva iniettare nel quartiere funzioni pregiate diverse dalla sola residenza, attraendo altri ceti sociali e giovani coppie. S’impiegavano due ore per arrivare a Scampia dal centro di Napoli. Adesso la metropolitana ferma a pochissima distanza».

Quindi è una sconfitta alla quale si può rimediare?

«A Scampia è stato realizzato un parco meraviglioso, che è gestito benissimo. Le periferie e in particolare le periferie pubbliche non sono l’inferno».

(21 ottobre 2016)

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