ANSA.IT :: BILANCIO DELLE VITTIME SALE A 359 MORTI;; GIANLUCA DI FEO, Tuniche nere e coltelli il video-rituale sancisce che l’Isis risorge dall’Asia È improbabile che i kamikaze cingalesi abbiano potuto progettare il massacro da soli Il sospetto è che abbiano partecipato veterani delle battaglie di Mosul e Raqqa–REPUBBLICA 24 APRILE 2019, pag. 11

 

ANSA.IT –24 APRILE 2019

http://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2019/04/24/sri-lanka-bilancio-vittime-sale-a-359_bc6b76a6-8e18-4ed0-94d4-8bb8657495de.html

 

 

Sri Lanka: bilancio vittime sale a 359

Annuncio della polizia, arrestati altri 18 sospettati

 

ANSA-AP) – COLOMBO (SRI LANKA), 24 APR – Il bilancio delle vittime degli attacchi di Pasqua in Sri Lanka sale a 359 morti.
A renderlo noto è la polizia, aggiungendo che altri 18 sospetti sono stati arrestati nella notte, facendo salire così a 58 le persone detenute perché collegate con gli attentati.

 

REPUBBLICA DEL 24 APRILE 2019–pag. 11

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Risultati immagini per FOTO DEL VIDEO DELLISIS PER LO SRI LANKA

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Tuniche nere e coltelli il video-rituale sancisce che l’Isis risorge dall’Asia

È improbabile che i kamikaze cingalesi abbiano potuto progettare il massacro da soli Il sospetto è che abbiano partecipato veterani delle battaglie di Mosul e Raqqa

Gianluca Di Feo

L’analisi

Non ha più un territorio, è stato spazzato via dalla Siria e dall’Iraq, lasciando sul campo migliaia di caduti.

Eppure lo Stato Islamico è ancora capace di gestire attacchi devastanti ovunque o, quantomeno, di coordinarsi con i gruppi terroristici in altri continenti. Il video di rivendicazione delle stragi in Sri Lanka è un messaggio terribile, perché dimostra che l’Isis non si è spento nelle macerie dell’ultimo caposaldo siriano. «Lo Stato Islamico è stato sconfitto al 100 per cento», aveva twittato Donald Trump lo scorso 23 marzo. Meno di un mese dopo, la smentita è arrivata con un’ondata simultanea di bombe che hanno ucciso più di trecento persone. E la certezza che i kamikaze cingalesi fossero come minimo in contatto con la rete telematica del Califfato, sopravvissuta ai bombardamenti e alle operazioni di disturbo occidentali.

Il filmato è stato diffuso ieri dai canali di Amaq, una delle sigle usate dalla propaganda jihadista sin dall’agosto 2014. Mostra otto uomini vestiti di tuniche scure e armati di coltelli che mettono in scena il cerimoniale già visto in occasione di decine di attentati.

Annunciano la loro scelta di morire punendo gli infedeli e giurano fedeltà a Al Baghdadi, l’introvabile fondatore dello Stato Islamico. Degli otto, uno solo è a volto scoperto: Zaharan Hashim, il predicatore che secondo le autorità dello Sri Lanka ha organizzato la catena di attacchi provocando la morte di oltre trecento persone. È la sua presenza a provare l’autenticità della rivendicazione. E a indicarci come la minaccia di Daesh resti ancora attiva. Una centrale dell’Isis infatti ha ricevuto il video prima delle stragi. Ha atteso che venissero messe a segno e ieri lo ha diffuso in quattro fasi: una scelta dei registi del terrore mediatico, che ha permesso di raccogliere la massima audience tra i sostenitori del Califfato.

Amaq ha inizialmente lanciato un breve comunicato, poi uno più lungo a cui sono seguite le foto del commando e infine il video.

Un’altra prova di forza: nessun apparato di intelligence è riuscito a ostacolare la diffusione del proclama sul web.

Zaharan Hashim è il leader del Ntj, acronimo per National Thowheeth Jamaath, la formazione islamica cingalese immediatamente indicata come responsabile degli assalti.

Hashim era noto per i suoi sermoni violenti, diffusi su Internet: incitazioni all’odio che si erano intensificate dopo l’eccidio nelle moschee neozelandesi di Christchurch del 15 marzo. Le autorità di Colombo erano state informate del suo piano per colpire le chiese cattoliche, ma l’allarme è stato ignorato. Il Paese, devastato da una lunghissima guerra civile di natura etnica, non aveva mai conosciuto il terrorismo di matrice religiosa. E l’allerta è stata sottovalutata anche perché nessuno riteneva Ntj, un gruppo minuscolo, capace di azioni su larga scala.

Invece il commando di Zaharan Hashim ha condotto un assalto di geometrica ferocia, pianificato meticolosamente e realizzato con precisione unica. Nella mattina di Pasqua una prima ondata di kamikaze ha colpito il Santuario di Sant’Antonio e tre hotel di lusso. Uno dei jihadisti aveva preso una camera la notte prima nel Cinnamon Gran Hotel, un cinque stelle accanto al World Trade Center di Colombo, e si è fatto esplodere domenica mentre era in coda per il buffet della colazione. Poche ore dopo sono stati colpiti i fedeli nella chiesa di San Sebastian e in quella di Zion.

Complessivamente sono stati attaccati nove obiettivi, mentre altri ordigni sono stati disinnescati lunedì e c’è il sospetto che alcune bombe possano non essere state individuate. Un’operazione di risonanza mondiale che ha gettato lo Sri Lanka nel baratro.

Gli uomini di Hashim non possono averla progettata da soli. Ed ecco il sospetto che il legame con l’Isis non sia solo telematico, ma che in Sri Lanka siano intervenuti veterani delle battaglie di Mosul e di Raqqa, decisi a proseguire la lotta senza confini. Tra il 2014 e il 2018 nel Califfato sono arrivate squadre di volontari provenienti da tutta l’Asia, dove vivono 800 milioni di musulmani: alcuni persino dalle Maldive, il paradiso delle vacanze non lontano dallo Sri Lanka. Molti sono morti combattendo. Altri sono stati addestrati e rimandati nei loro Paesi: missionari del terrore, destinati a formare nuove cellule kamikaze e diffondere il credo oltranzista di Al Baghdadi. Quanto siano pericolose le ramificazioni asiatiche dell’Isis lo si è capito nel luglio 2016 con il massacro di Dacca: nella capitale del Bangladesh vennero assassinate 24 persone, tra cui nove italiani.

Esecuzioni trasmesse in diretta, senza che nemmeno allora la rete internet dell’Isis venisse bloccata. Ed è questa resilienza digitale del Califfato oggi a spaventare gli investigatori di tutto il pianeta.

La rivendicazione dell’eccidio di Pasqua è un segnale micidiale: la centrale di Al Baghdadi è ancora in funzione, pronta a coordinare i reduci della Siria e dell’Iraq ovunque si trovino.

Guerrieri che non si sentono sconfitti, anzi: restano convinti che l’esperienza del Califfato abbia testimoniato al mondo la forza della loro idea violenta di Islam. Uno scenario che preoccupa particolarmente l’Italia: in Libia l’offensiva del generale Haftar si sta trasformando in una guerra di tutti contro tutti. Dove cresce il peso delle milizie religiose salafite, attive con entrambi gli schieramenti. E dove anche l’Isis, battuto due anni fa nella battaglia di Sirte, sta velocemente riconquistando spazio.

 

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