+++ GIUSEPPE CUCCHI, LIMES ONLINE 04 LUGLIO 2019 ::: Lo scontro tra Usa e Iran non è nuovo. Ma stavolta è più pericoloso–

 

 

LIMES ONLINE DEL 04 LUGLIO 2019

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Lo scontro tra Usa e Iran non è nuovo. Ma stavolta è più pericoloso

Carta di Laura Canali, 2018

Carta di Laura Canali – 2018

A differenza del 1987, l’attuale crisi con Teheran vede Washington in prima linea. Oltre al nodo della questione nucleare, un’escalation potrebbe innescarsi per gli interessi di Israele e Arabia Saudita. Urge una missione navale multinazionale con la partecipazione dell’Italia.

di Giuseppe Cucchi

Se ci andrà bene, la crisi in corso nel Golfo Persico costringerà l’Italia a rispondere positivamente all’invito a far parte di una forza multinazionale. Destinata a operare in quelle lontane acque dove in pochi mesi sono state danneggiate sei grandi petroliere senza che sia stato sinora possibile identificarne i responsabili, per garantirvi libertà e sicurezza della navigazione.


In termini di paesi partecipanti e unità navali impegnate, qualcosa di molto simile a quanto realizzato nel 1987, quando la nostra 18esima forza navale – comandata dall’ammiraglio Angelo Mariani e comprendente fregate, cacciamine e navi appoggio – si diresse verso la medesima area per inserirsi in una forza che raggruppava imbarcazioni statunitensi, francesi, inglesi, olandesi e belghe. Allora la navigazione nel Golfo, area di transito vitale per il rifornimento energetico dell’Occidente e non solo, veniva messa a rischio dal conflitto in atto fra Iran e Iraq. L’azione congiunta si inseriva in tale quadro bellico e da esso dipendeva, perdurando fino all’accettazione del cessate-il-fuoco fra i belligeranti nel 1988, sotto l’egida delle Nazioni Unite.


Anche se per alcuni aspetti la situazione attuale ricorda quella di fine anni Ottanta, per molti altri ne differisce sostanzialmente.


In primo luogo, oggi non vi è una guerra dichiarata ma “soltanto” una tensione altissima fra gli Stati Uniti e l’Iran (almeno per ora). Quanto sia preoccupante lo indicano chiaramente le indiscrezioni – lasciate trapelare da Washington, probabilmente ad arte – che raccontano come il presidente americano Donald Trump fosse arrivato a un passo dallo strike. Recedendone poi soltanto all’ultimo minuto, probabilmente per via dell’alto numero di vittime iraniane previste.


Carta di Laura Canali - 2018

Carta di Laura Canali – 2018


Secondo, stavolta gli Stati Uniti non sono un attore esterno, quantomeno ufficialmente. Sono invece direttamente coinvolti contro uno Stato con il quale, dalla crisi degli ostaggi (1979-81) in avanti, ritengono di avere ancora un conto da saldare. E la memoria dei giganti – il caso degli elefanti insegni! – è sempre una memoria molto, molto lunga.


Terzo, complica ulteriormente il quadro la diatriba relativa al trattato sul nucleare, unilateralmente denunciato da Trump malgrado la decisa opposizione degli altri firmatari europei. Malgrado la parte iraniana, per quanto se ne sappia, lo abbia sinora puntualmente rispettato.


Infine, dietro gli Stati Uniti si intravede l’ombra di Israele e Arabia Saudita. Due attori regionali interessati, per motivi diversi, a una debellatio dell’Iran. O perlomeno ad assestare un colpo alle sue capacità militari, che incida tanto su quelle convenzionali quanto su quelle nucleari, per il momento (probabilmente) soltanto potenziali.


Per lo Stato ebraico, che vive da sempre nell’incubo di una possibile distruzione per mano della Repubblica Islamica, questo tipo di ostilità è facilmente comprensibile, anche se non totalmente condivisibile. Il governo israeliano non ha infatti mai fatto mistero della sua crescente preoccupazione per il programma atomico iraniano. Se finora non vi è stato ancora un attacco preventivo, come quelli avvenuti contro l’Iraq e la Siria, è dovuto soltanto all’estensione territoriale dell’Iran e alla dislocazione dei siti nucleari, così distribuiti sul territorio ed efficacemente difesi da rendere molto aleatorio il totale successo di un’eventuale incursione. Occorrerebbero più mezzi di quelli di cui dispone Israele – servirebbe cioè un intervento degli Stati Uniti, i quali sino a questo momento hanno risposto negativamente.


Per Riyad, che si propone come il campione dell’islam sunnita nella plurisecolare lotta contro i cugini eretici sciiti, l’Iran rimane di gran lunga l’obiettivo prioritario. Un ridimensionamento della potenza iraniana consentirebbe infatti al principe Mohammed Bin Salman, giovane erede della corona saudita e attualmente incontrastato arbitro della politica estera del suo paese, di porre fine alla guerra civile in Yemen. Un conflitto che sta dissanguando il regno ma che Riyad non può permettersi di perdere. Atrofizzare la repubblica degli ayatollah riporterebbe inoltre nel campo sunnita due grandi paesi come la Siria e l’Iraq, nei quali attualmente è Teheran a farla da padrone. Atomizzando così l’area di dominio sciita e di prevalente influenza iraniana, che si estende ininterrotta dalla provincia di Herat, in Afghanistan, sino a Beirut.


La presenza di Israele e Arabia Saudita al fianco degli Stati Uniti rende molto pericoloso il confronto che oppone Washington a Teheran. L’esperienza ha dimostrato che gli israeliani sanno perfettamente come sfruttare a proprio vantaggio le debolezze del colosso americano. Anche l’Arabia Saudita pare aver appreso la lezione, applicando la medesima tecnica – potremmo dire “da karatè” – che porta il piccolo a imporre la propria volontà al grande, facendo perno sulla forza di quest’ultimo.


Il futuro, anche molto prossimo, potrebbe quindi riservarci sorprese sgradevoli. In quest’ottica, una forza navale multinazionale che controlli il Golfo Persico sarebbe forse la meno dannosa e la più auspicabile delle soluzioni.


Carta di Laura Canali, 2017

Carta di Laura Canali, 2017

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