RI-PROPONIAMO GLI ULTIMI VERSI DEL PARADISO–GLI ULTIMI DELLA DIVINA COMMEDIA –CON ACCANTO LA PARAFRASI PER RENDERE PIU’ AGEVOLE LA LETTURA… + FOTO DELLA TOMBA DI DANTE A RAVENNA DA PARTE DI ..LORENZO MARIO A..

 

 

 

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UN’IMMAGINE DELLA LUCE FINALE DEL PARADISO DI GUSTAVE DORE’ DEL 1867 MODIFICATO CON I COLORI: SI VEDONO DANTE E BEATRICE INNANZI A QUESTA GRANDE LUCE

Color modifications of an 1867 Public Domain image by Gustave Doré, of Dante Alighieri and Beatrice Portinari gazing into the Empyrean Light.
Data

AUTORE :: Gustave Doré & Kalki

 

ULTIMI VERSI DEL CANTO XXIII  /E ULTIMO / DELLA CANTICA “IL PARADISO” DI DANTE

con la quale si conclude il suo Poema, dopo aver “descritto- e fisicamente passato” nell’Inferno e nel Purgatorio, fino ad arrivare al Paradiso dove lo aspetta l’amata “Beatrice”.

 

In questi versi, il poeta racconta il suo avvicinarsi a Dio fino ad essergli di fronte:  è una grande luce che gli dà ardire, forza e desìo o desiderio, di vederla, che va oltre il tuo timore; Dante si accorge che lui stesso, in sua presenza, si trasforma, e quanto piu’ “rifatto”, più forte e’ la voglia divederlo  // ad occhi aperti, lucidissimo, si immerge in quella luce grande e forte in cui tutto e’ raccolto dell’Universo e in modo perfetto;  adesso, immergendosi sempre più “di”   luce,  vede una forma umana   “per che ‘l mio viso in lei tutto era messo”.

Sente che la sua “alta fantasia” sta perdendo potere e forza, ma il soggetto messo alla fine  e ben isolato con molta poesia, che è “l’amore che muove il sole e le altre stelle”, gli sta “cambiando  verso” o “volgeva” il suo desiderio e la sua voglia o volontà (“il mio disio e ‘l velle” ) così che questo si è mosso come una ruota (cui sia stato dato un colpo).

 

 

 

 

 

E io ch’al fine di tutt’i disii
appropinquava, sì com’io dovea,
l’ardor del desiderio in me finii.                                                          48Bernardo m’accennava, e sorridea,
perch’io guardassi suso; ma io era
già per me stesso tal qual ei volea:ché la mia vista, venendo sincera,
e più e più intrava per lo raggio
de l’alta luce che da sé è vera.                                                         54Da quinci innanzi il mio veder fu maggio
che ‘l parlar mostra, ch’a tal vista cede,
e cede la memoria a tanto oltraggio.                                                 57Qual è colui che sognando vede,
che dopo ‘l sogno la passione impressa
rimane, e l’altro a la mente non riede,                                                      60cotal son io, ché quasi tutta cessa
mia visione, e ancor mi distilla
nel core il dolce che nacque da essa.                                                        63

 

Così la neve al sol si disigilla;
così al vento ne le foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla.                                                     66

 

 

O somma luce che tanto ti levi
da’ concetti mortali, a la mia mente
ripresta un poco di quel che parevi,                                                     69

 

e fa la lingua mia tanto possente,
ch’una favilla sol de la tua gloria
possa lasciare a la futura gente;                                                      72

ché, per tornare alquanto a mia memoria
e per sonare un poco in questi versi,
più si conceperà di tua vittoria.                                                     75

 

Io credo, per l’acume ch’io soffersi
del vivo raggio, ch’i’ sarei smarrito,
se li occhi miei da lui fossero aversi.                                                       78

 

E’ mi ricorda ch’io fui più ardito
per questo a sostener, tanto ch’i’ giunsi
l’aspetto mio col valore infinito.                                                      81

 

 

 

Oh abbondante grazia ond’io presunsi
ficcar lo viso per la luce etterna,
tanto che la veduta vi consunsi!                                                   84

 

Nel suo profondo vidi che s’interna

legato con amore in un volume,
ciò che per l’universo si squaderna:                                                 87

sustanze e accidenti e lor costume,
quasi conflati insieme, per tal modo
che ciò ch’i’ dico è un semplice lume.                                                            90

 

La forma universal di questo nodo
credo ch’i’ vidi, perché più di largo,
dicendo questo, mi sento ch’i’ godo.                                                             93

Un punto solo m’è maggior letargo
che venticinque secoli a la ‘mpresa,
che fé Nettuno ammirar l’ombra d’Argo.                                                           96

 

 

 

 

Così la mente mia, tutta sospesa,
mirava fissa, immobile e attenta,
e sempre di mirar faceasi accesa.                                                           99

A quella luce cotal si diventa,
che volgersi da lei per altro aspetto
è impossibil che mai si consenta;                                                     102

però che ‘l ben, ch’è del volere obietto,
tutto s’accoglie in lei, e fuor di quella
è defettivo ciò ch’è lì perfetto.                                                       105

Omai sarà più corta mia favella,
pur a quel ch’io ricordo, che d’un fante
che bagni ancor la lingua a la mammella.                                                    108

Non perché più ch’un semplice sembiante
fosse nel vivo lume ch’io mirava,
che tal è sempre qual s’era davante;                                                        111

ma per la vista che s’avvalorava
in me guardando, una sola parvenza,
mutandom’io, a me si travagliava.                                                   114

Ne la profonda e chiara sussistenza
de l’alto lume parvermi tre giri
di tre colori e d’una contenenza;                                                 117

e l’un da l’altro come iri da iri
parea reflesso, e ‘l terzo parea foco
che quinci e quindi igualmente si spiri.                                                               120

 

 

Oh quanto è corto il dire e come fioco
al mio concetto! e questo, a quel ch’i’ vidi,
è tanto, che non basta a dicer ‘poco’.                                                           123

 

O luce etterna che sola in te sidi,

sola t’intendi, e da te intelletta
e intendente te ami e arridi!                                                           126

 

Quella circulazion che sì concetta

pareva in te come lume reflesso,
da li occhi miei alquanto circunspetta,                                             129

dentro da sé, del suo colore stesso,
mi parve pinta de la nostra effige:
per che ‘l mio viso in lei tutto era messo.                                                         132

 

Qual è ‘l geomètra che tutto s’affige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’elli indige,                                                          135

tal era io a quella vista nova:
veder voleva come si convenne
l’imago al cerchio e come vi s’indova;                                                       138

 

 

ma non eran da ciò le proprie penne:
se non che la mia mente fu percossa
da un fulgore in che sua voglia venne.                                                            141

 

 

 

A l’alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e ‘l velle,
sì come rota ch’igualmente è mossa,

l’amor che move il sole e l’altre stelle.                                                             145

E io, che mi avvicinavo alla conclusione di tutti i desideri, così come dovevo fare, esaurii in me stesso l’ardore del mio desiderio.Bernardo mi faceva cenni e mi sorrideva, affinché io guardassi in alto; ma io ero già disposto a farlo da me stesso, come lui voleva:

infatti la mia vista, diventando più limpida, penetrava sempre di più nel raggio dell’alta luce che è vera di per se stessa.

Da quel momento in poi la mia visione fu superiore a quanto possa esprimere il mio linguaggio, che è inferiore a quel che vidi, così come la memoria è insufficiente a ricordare un tale eccesso.

Come quello che vede qualcosa in sogno, e quando si sveglia gli resta l’impressione nell’animo e non riesce a ricordare nulla,

così sono io, dal momento che quasi tutta la mia visione è svanita dalla mia memoria, ma nel cuore è ancora presente la dolcezza che nacque da essa.

Così le impronte sulla neve si sciolgono al sole; così il responso della Sibilla si disperdeva al vento, scritto sulle foglie leggere.


O luce suprema, che ti sollevi così tanto rispetto all’intelletto umano, riporta alla mia mente un poco di quello che apparivi allora,

e rendi il mio linguaggio tanto efficace che io possa lasciare ai posteri una sola scintilla della tua gloria;

infatti, se potrò ricordare qualcosa e rappresentarlo un poco in questi versi, si potrà comprendere meglio la tua vittoria.

Io credo che mi sarei smarrito se i miei occhi si fossero distolti dal vivo raggio della mente divina, a causa del fulgore che mi colpì.

Mi ricordo che per questo io fui più coraggioso a sostenerne la vista, a tal punto che spinsi a fondo il mio sguardo nel valore infinito.


Oh, grazia abbondante per la quale ebbi l’ardire di fissare lo sguardo nella luce eterna, al punto che portai la mia vista al limite estremo delle sue capacità!


Nella sua profondità vidi che è contenuto tutto ciò che è disperso nell’Universo, rilegato in un volume:

sostanze, accidenti e il loro legame, quasi unificati insieme, in modo tale che ciò che io ne dico è un barlume di verità.

Credo di aver visto la forma universale di questo nodo, perché mentre ne parlo sento accrescere in me la gioia.

Un attimo solo (quello della visione) è per me oblio maggiore dei venticinque secoli che ci separano dall’impresa degli Argonauti, per cui Nettuno si stupì vedendo l’ombra della nave Argo.


Così la mia mente, tutta sospesa, ammirava con lo sguardo fisso, immobile e attento, aumentando via via il desiderio di osservare.

Di fronte a quella luce si diventa tali che è impossibile voler distogliere il proprio sguardo da essa per guardare qualcos’altro;

infatti il bene, che è oggetto della volontà, si raccoglie tutto in essa, e al di fuori di essa ciò che lì è perfetto diventa difettoso.

Ormai le mie parole saranno insufficienti a esprimere i miei ricordi, più di quelle di un bambino che sia ancora allattatto dalla madre.

Non perché nella viva luce che io guardavo ci fosse più di un unico aspetto, che è sempre identico a ciò che era prima,

ma per la mia vista che si accresceva man mano che guardavo, al mio mutare interiore quell’unico aspetto si trasformava ai miei occhi.

Nella profonda e luminosa essenza della luce di Dio mi apparvero tre cerchi, di tre colori diversi e uguali dimensioni;

e il secondo (il Figlio) sembrava un riflesso del primo (il Padre), come un arcobaleno riflesso da un altro, e il terzo (lo Spirito Santo) sembrava una fiamma che spira egualmente dagli altri due.

Oh, quanto è insufficiente il mio linguaggio a esprimere ciò che ricordo! E anche questo, rispetto a quel che vidi, è così esiguo che non basta dire ‘poco’.


O luce eterna, che hai luogo solo in te stessa, che sola ti comprendi e, compresa da te stessa e nell’atto di comprenderti, ami e ardi di carità!


Quel cerchio (il secondo, il Figlio) che sembrava nascere come da un riflesso, dopo essere stato a lungo osservato dai miei occhi,

mi sembrò che avesse dipinta in esso, dello stesso colore, l’immagine umana: per questo avevo penetrato all’interno tutto il mio sguardo.

Come lo studioso di geometria, che si ingegna con tutte le sue forze per misurare la circonferenza e non trova, pensando, quell’elemento di cui manca, così ero io davanti a quella visione straordinaria:volevo capire come l’immagine umana si inscrivesse nel cerchio e in che modo si collocasse al suo interno;

ma le mie ali non erano adatte a un volo simile (non ne avevo le capacità): senonché la mia mente fu colpita da una folgorazione, grazie alla quale poté soddisfare il suo desiderio.

Alla mia alta immaginazione qui mancarono le forze; ma ormai l’amore divino, che muove il Sole e le altre stelle, volgeva il mio desiderio e la mia volontà, come una ruota che è mossa in modo uniforme e regolare (Dio aveva appagato ogni mio intimo desiderio).

 

 

FOTO DELLA TOMBA DI DANTE A RAVENNA

da LORENZO MARIO A.

 

Oggi ho visitato a Ravenna la tua tomba. Che posto incredibile. Allegherei una foto.

 

LA TOMBA DI DANTE A RAVENNA

 

Dantes tomb ravenna.jpg

 

User:Husky – Own work

 

Gianni Careddu – Opera propria

 

Giuseppe argento – Opera propria

 

FOTO : Gianni Careddu – Opera propria
https://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Dante%27s_tomb_(Ravenna)?uselang=it#/media/File:Ravenna,_(15).jpg

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8 risposte a RI-PROPONIAMO GLI ULTIMI VERSI DEL PARADISO–GLI ULTIMI DELLA DIVINA COMMEDIA –CON ACCANTO LA PARAFRASI PER RENDERE PIU’ AGEVOLE LA LETTURA… + FOTO DELLA TOMBA DI DANTE A RAVENNA DA PARTE DI ..LORENZO MARIO A..

  1. Donatella scrive:

    E’ incredibile come Dante riesca a rendere concreti con le sue parole concetti del tutto spirituali.

  2. Domenico Mattia Testa scrive:

    Il canto 33° del Paradiso rappresenta la sintesi felice di un itinerario artistico,teologico-filosofico,umano irripetibile.Terreno e divino si distinguono e si fondono perfettamente dall’inizio alla fine del canto:il viaggiatore,ormai al traguardo, denuncia più volte la sua inadeguatezza a descrivere l’ultima visione per cui DIO,”l’amor che move il sole e le altre stelle”,per sola sua grazia concede la momentanea visione dei misteri dell’Incarnazione,Unità e Trinità.Benchè la postmodernità,troppo laicizzata e mondanizzata,sia lontana dall’immedesimarsi nella situazione del Poeta,dobbiamo riconoscere,anche da non credenti,l’eccezionale bravura di Dante a farci partecipi da un lato della sua fragilità e finitezza di uomo e dall’altro della tensione a cogliere il metafisico,il divino,l’infinito.Che certamente non è l’infinito della scienza di oggi,tuttavia l’Alighieri riesce con il magistero insuperato della parola a darci ugualmente il senso della piccolezza umana e della vastità dell’universo in senso spaziale e temporale.Viene la conferma che “al poema sacro ha posto mano e cielo e terra”Nella prima parte del canto viene invocata l’intercessione della Vergine affinchè il pellegrino d’eccezione possa meglio vedere “verso l’ultima salute”.Insiste poi per tutto il canto sulla costitutiva incapacità a tradurre in versi la percezione-intuizione dei dogmi,essenza,fondamento del fede cristiana.Teologia e poesia convivono in modo originale e persuasivo.Il centesimo canto è la conferma della straordinaria capacità creativa,immaginativa,già illustrata in forme nuove ed originali nei precedenti novantanove…..
    Opportunamente per il settimo centenario della morte è stata presa l’iniziativa del Dantedì con cui si vuole rinverdire annualmente in una giornata,ancora da stabilire,la memoria dell’autore della Commedia,ancora tra i più studiati al mondo.L’iniziativa,per essere efficace,meriterebbe l’attenzione di tutti:Le celebrazioni hanno una grande valenza simbolico-educativa,tuttavia diventano rito fine a se stesso,pura retorica,se manca una vera e diffusa coscienza dell’evento e del personaggio che viene ricordato.

  3. Domenico Mattia Testa scrive:

    Il viaggio in verticale di Dante finisce felicemente,perchè l’autore,come già evidenziato,non poteva umanamente realizzarlo,se non sorretto dalla Grazia divina.Non basta la sua.,pur fervida ed inesauribile immaginazione per dare risposta agli interrogativi che l’uomo si pone da sempre:il significato della vita e della morte,dell’universo,del tempo e dell’eternità Così,allegoricamente, il suo è il viaggio di tutta l’umanità che attraverso la pratica del messaggio cristiano può costruire una società giusta e di pace.Non a caso quello di Ulisse,benchè in orizzontale,finisce tragicamente,in quanto non guidato,illuminato dalla Grazia divina.Dante,pur ammirandolo da un lato,come eroe della conoscenza,dall’altro ne prende le distanze,consapevole dei limiti costitutivi dell’uomo,mentre il personaggio omerico pecca di superbia,di eccesso di orgoglio umano e va perciò verso “il folle volo”.Anche l’uomo di oggi,di fronte agli sviluppi della scienza e della tecnica,se non si lascia guidare dal principio di precauzione e/o da forti principi etici,rischia grosso.Il viaggio del pellegrino Dante è diverso anche da quello di Enea,esule da Troia per approdare ai lidi del Tevere e dare origine alla civiltà romana.Un fine ancora pratico-storico.Quello di Dante ha finalità eminentemente didattiche, spirituali e morali: nessun risarcimento privato,economico,di gloria terrena,solo la gratificazione di aver scritto un capolavoro su cui c’è da meditare molto ancora oggi.

  4. Domenico Mattia Testa scrive:

    Nel canto 33° il Poeta,abbagliato dalla luce celeste,insistendo con ripetute terzine sulla sua umana incapacità ad esprimere la totalità della sua visione,dà a noi una lezione di modestia.Ha dalla sua sì una certezza: comunicare la grande Verità cristiana,ma ci tiene a sottolineare che gli uomini da soli non possono cogliere l’essenza delle cose,che la realtà ultima ci sfugge.Ciò vale per noi postmoderni.Anche con gli straordinari progressi della scienza e della tecnica,sull’essenza del mondo,non possiamo che dare una risposta probabilistica,relativistica.Voglio dire si può essere atei,agnostici,credenti,ma nessuno può presumere di conoscere l’essenza della realtà. Nell’ultimo canto,Dante,a suo modo,conferma di essere intellettuale del Medioevo che sa parlare all’uomo contemporaneo quando ci invita ad essere umili,a riconoscere la nostra strutturale impotenza a cogliere per chi è credente il Mistero della Fede,per chi non lo è a cogliere i misteri della Natura.

  5. Domenico Mattia Testa scrive:

    Per apprezzare il canto 33°,come del resto tutta la Commedia,non basta la sensibilità,occorre tanta cultura.Solo con essa possiamo arrivare a a fruire a pieno e con piacere il testo.Senza le conoscenze anche linguistico – retoriche sfugge l’armonia,la musicalità dei versi e la diversità dei piani stilistici di cui il canto è costellato.Con quanta densità di cultura e con quanta delicatezza il Poeta riesce a descrivere la facilità con cui si dimenticano le cose:Così la neve al sol si disigilla;
    così al vento nelle foglie levi
    si perdeva la sentenza di Sibilla.
    Doppia similitudine della neve che si scioglie al sole ( il termine disigilla è creazione della fervida fantasia dantesca e della sibilla cumana-( qui ricorda Virgilio)- che scriveva i responsi sulle foglie che si perdevano al soffio del vento.Abbiamo in questa famosa terzina l’anafora di così,il dominio delle liquide-ripetizione della L,l’enjambement levi… si perdeva, il vocalismo insistito della A,l’iterazione delle labio -velari V:B.Il testo poetico è sempre connotato ed all’interno del canto potrebbero essere riportate tante altre terzine dove è facile cogliere la consumata perizia tecnica dell’autore,oltre che la profondità del contenuto.Le osservazioni ed i rilievi sul canto possono continuare all’infinito….

  6. Lorenzo Mario Amorosa scrive:

    Grazie Dante. Dal medioevo al 2100 grazie. Rimarrai perpetuo in noi.
    Oggi ho visitato a Ravenna la tua tomba. Che posto incredibile. Allegherei una foto.

    Bel blog! Miglior analisi letta in internet!
    Lorenzo

    • Chiara Salvini scrive:

      GRAZIE CARO LORENZO.. GUARDA SE LA FOTO DELLA TOMBA DI DANTE TI VA BENE, SE NO AVVISAMI E SUGGERISCIMI, NON L’HO MAI VISTA, NON CONOSCO RAVENNA, SEI STATO MOLTO GENTILE CON NOI, CHIARA PER IL BLOG

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