HERIBERT DIETER, HONG KONG :: POVERI E SENZA CASA: LE RADICI SOCIALI DELLE PROTESTE, LIMES ONLINE — 8 OTTOBRE 2019–HONG KONG, UNA CINA IN BILICO – n°9 – 2019

 

 

LIMES ONLINE — 8 OTTOBRE 2019

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POVERI E SENZA CASA: LE RADICI SOCIALI DELLE PROTESTE

Pubblicato in: HONG KONG, UNA CINA IN BILICO – n°9 – 2019

Modern apartments rise behind older buildings in the Sheung Wan district of Hong Kong on August 3, 2010. In February 2010, the government said prices of some luxury flats had returned to the peak levels of the 1997 property boom, partly thanks to deep-pocketed mainland Chinese buyers looking for safe investments. The wealthy financial hub is one of the world's most space-constricted cities, with even relatively well-off families often living in cramped quarters. AFP PHOTO / ED JONES (Photo credit should read Ed Jones/AFP/Getty Images)

Case popolari nel distretto di Sheung Wan a Hong Kong. (Foto da: Ed Jones/AFP/Getty Images).

 

Gli indicatori economici e la patina di hub finanziario nascondono una realtà più fosca. La gente di Hong Kong non può permettersi un appartamento e la disuguaglianza dei redditi è alle stelle. Intanto governo locale e oligarchi lucrano sul mercato immobiliare.

 

 

di Heribert Dieter

Per molti osservatori europei le proteste in corso a Hong Kong non sono solo una lotta fra Davide e Golia, ma anche una battaglia per la libertà politica. La percezione prevalente è che molti giovani della Regione ad amministrazione speciale, sostenuti da un gran numero di cittadini, stiano combattendo contro il governo per preservare la propria relativa autonomia da Pechino. Queste spiegazioni sono in un certo senso corrette, ma non rispondono interamente a una domanda: perché la gente a Hong Kong è così riottosa, mentre altri popoli asiatici a essa comparabili non lo sono? In altre parole: perché i cittadini del Porto Profumato continuano a battersi contro il regime anche dopo l’inattesa vittoria sulla legge sull’estradizione? Le radici dell’asprezza dei manifestanti risiedono nella loro difficile situazione socio-economica. Nonostante Hong Kong vanti un’economia estremamente ricca, milioni di persone vivono in condizioni piuttosto dure. Il governo regionale, al pari del Partito comunista cinese, ha ignorato troppo a lungo questi problemi. E ora si trova di fronte una popolazione furibonda e ostile a qualunque tipo di riconciliazione.

Senza casa

A prima vista, Hong Kong è una città di straordinario benessere. I negozi di Prada, le Tesla e le McLaren abbondano. Il reddito nazionale lordo nel 2018 era di 50.310 dollari, nettamente cresciuto rispetto ai 33.620 dollari del 2010 1. La speranza di vita nel 2017 era di 84,7 anni, significativamente più alta di quella degli Stati Uniti (78,5 anni). Il governo fornisce sistemi di trasporto pubblico di prima classe e sovvenziona copiosamente il settore sanitario – la maggior parte dei servizi medici sono gratuiti per la popolazione. Eppure gli abitanti di Hong Kong sono notoriamente scontenti della propria condizione. Il World Happiness Report delle Nazioni Unite del 2019 colloca Hong Kong in 76aposizione, molto più in basso rispetto a economie a essa paragonabili, come Taiwan (posizione 25) o Singapore (35) 2. Inspiegabile: perché i cittadini di un territorio dotato di eccellenti indicatori socio-economici sono relativamente infelici?

La casa è un primo fattore da considerare. Per più di un decennio, Hong Kong è stata uno dei mercati immobiliari più costosi del pianeta. La gente paga somme esorbitanti per piccoli appartamenti. Lo spazio abitativo medio pro capite è di soli 15 metri quadrati, più o meno la superficie di un normale container. Gli abitanti di Singapore, anch’essa caratterizzata dalla scarsezza di suolo edificabile e da una popolazione numericamente simile, godono esattamente del doppio dello spazio. Inoltre, comprare un appartamento è una bella sfida: mediamente, costa l’equivalente di quasi 21 redditi annuali. E nel calcolo non entrano ovviamente i costi della vita quotidiana. La realtà è che la maggior parte degli hongkonghesi non può permettersi una casa.

L’alto tasso di disuguaglianza

Anche qui siamo di fronte a qualcosa di apparentemente inspiegabile. Come può la gente non permettersi di comprare nemmeno un modesto appartamento se il reddito nazionale lordo è così alto? Una delle ragioni sta nella diseguale distribuzione del reddito stesso. Nel 2016, il coefficiente di Gini del reddito familiare era 0,539, superiore a qualunque paese dell’Ocse. Anche per quanto riguarda le tasse, l’indice di Gini era 0,473, dunque molto più alto di quello di Singapore (0,356), degli Stati Uniti (0,391) o dell’Australia (0,337). Il reddito del primo decile a Hong Kong è 44 volte quello del decile più povero, un netto aumento rispetto al 2006, quando era 34 volte maggiore 3.

A oggi, il governo di Hong Kong non tassa il reddito derivante dai dividendi. L’idea dietro tale approccio è chiara: non intaccare lo status di principale centro finanziario asiatico. Il suo contraltare è però la diseguaglianza. I primi cinque magnati di Hong Kong hanno ricevuto nel 2016-17 dividendi da 23,6 miliardi di dollari locali, ossia 2,8 miliardi di euro al tasso di cambio attuale 4. Non sorprende che la popolazione si chieda perché sia costretta a pagare imposte sul reddito e ad abitare nei ripostigli mentre gli ultraricchi possono condurre una vita da favola detassata.

La disuguaglianza è un’eredità residua del periodo coloniale. Il governo britannico non enfatizzava l’armonia e la giustizia sociale, ma applicava un sistema capitalista senza investire granché nel welfare. Tuttavia, nei due decenni trascorsi dalla restituzione la situazione sorprendentemente non è migliorata, anzi: è peggiorata. E stavolta non c’è santo che tenga: non si possono più incolpare gli stranieri. La stretta relazione tra la crème della società hongkonghese e il Partito comunista evidenzia la debolezza della posizione di Pechino. Il presidente Xi Jinping non se la può prendere con nessun altro al di fuori di sé stesso e dei propri predecessori per gli attuali disordini. Le risposte del governo centrale sono arrivate troppo tardi e troppo a lungo le rimostranze della maggioranza dei cittadini sono rimaste inascoltate. Tali responsabilità possono spiegare parte della riluttanza dimostrata da Pechino in questi mesi nell’agire con più forza contro i manifestanti.

Un regime fiscale insostenibile

L’alto costo degli immobili a Hong Kong è il risultato di politiche specifiche; non può essere imputato ad altri fattori. Certo, la popolazione è cresciuta da 600 mila persone nel 1945 agli odierni 7,4 milioni. La domanda abitativa è sempre stata alta. Nondimeno, comprare casa costa tanto perché i prezzi dei terreni sono allucinanti. A Hong Kong gli spazi non sfruttati non abbondano, però il nocciolo della questione sta nel regime fiscale, introdotto dal governo coloniale e inalterato da quando la regione è stata restituita alla Cina nel 1997. I britannici volevano che il loro avamposto in Estremo Oriente fosse un paradiso fiscale per facilitare i commerci. Sia le tasse sui profitti aziendali sia le imposte sul reddito erano e continuano a essere basse – l’aliquota massima cui arrivano le seconde è del 15%. Tasse sul valore aggiunto? Nemmeno l’ombra. Il governo ha fatto finora affidamento su una risorsa limitata: dipende dai proventi delle vendite di terreni demaniali. Nell’ultimo anno fiscale, tale rendita generava il 42% delle entrate governative. In quello in corso, il valore è sceso al 33%: sempre alto, ma in netto calo 5.

Questa politica fiscale è chiaramente insostenibile e ha già avuto effetti negativi. A cominciare dai terreni che costano tantissimo, dal momento che il governo consente la vendita di una quantità limitata di spazi per ogni anno fiscale. Non sorprende che questo approccio abbia fatto schizzare i prezzi delle abitazioni. Il costo della terra costituisce tra il 60 e il 70% del totale di una proprietà immobiliare, molto più che in altre città asiatiche di grandezze simili, dove la media è del 20-30%. In secondo luogo, i prezzi dei terreni sono relativamente fissi, raramente calano. In terzo luogo, il governo ha perso la capacità di salvaguardare gli interessi dei propri cittadini, diventando invece l’attore con più interessi nel mercato immobiliare. Qualora i prezzi crollassero, la rendita pubblica farebbe altrettanto, costringendo l’amministrazione a trovare nuove fonti per alimentare le casse. Il governo è perfettamente consapevole delle precarie e insostenibili basi su cui poggia la propria disponibilità finanziaria, ma non è riuscito a far nulla a riguardo. Nel 2000, fu creata una task force per esplorare metodi per ampliare la base fiscale – per esempio introdurre imposte sui dividendi o sul valore aggiunto – ma non c’è stato alcun cambiamento. Il governo ha largamente ignorato le raccomandazioni che gli erano state fornite 6.

Ovviamente, c’è chi trae enormi benefici dall’attuale situazione. Gli oligarchi immobiliari di Hong Kong godono di straordinari profitti, a fronte di rischi limitati. Il 45% delle unità abitative è costruito da sole cinque compagnie, che sfruttano il collo di bottiglia per il proprio profitto. A causa della cronica scarsità di terreni, i costruttori privati non mettono sul mercato discrete quantità di spazi non utilizzati. Secondo alcune stime, si tratta di circa 9,3 milioni di metri quadrati 7. In seguito alle proteste, alcuni commentatori nella Repubblica Popolare hanno suggerito al governo di Hong Kong di confiscare questi terreni per costruire alloggi pubblici.

Le manifestazioni vanno avanti da mesi e non sembrano accennare a interrompersi. Anche perché le cause sono più complesse dell’aspirazione a preservare le libertà politiche. Gli abitanti di Hong Kong vivono in una società profondamente diseguale. Le vite delle persone comuni sono dure e cupe le prospettive. Il governo locale sta cercando di mettere una pezza qua e là, ma la fiducia nelle istituzioni è crollata e non può essere ricostruita in poco tempo. In breve, l’amministrazione di Hong Kong è riuscita a rendere la regione attraente per la finanza internazionale. Ma non è riuscita a fare altrettanto per la propria gente.

(traduzione di Federico Petroni)


Note:

1. Dati della Banca mondiale, disponibili al sito bit.ly/2n10aw7

2. Il rapporto è disponibile al sito bit.ly/2mSzWMy

3. «Thematic Report: Household Income Distribution in Hong Kong», Census and Statistics Department, Hong Kong Special Administrative Region, giugno 2017.

4. «Hong Kong Inequality Report», Oxfam, 8/5/2018.

5. «A high price for low taxes», South China Morning Post, 23/9/2019.

6. Il rapporto della task force è disponibile al sito bit.ly/2n18jAH

7. «A high price for low taxes», cit.

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