ALESSANDRO BARBERO, I PRIGIONIERI DEI SAVOIA, LATERZA 2012 + UN ARTICOLO DI ALESSANDRO BARBERO SU ” LA STAMPA ” ++ CORRADO STAJANO SU IL CORRIERE–link sotto +++ UN VIDEO, PER CHI VUOLE RENDERSI CONTO, LA PRIMA PARTE INTITOLATA : ” FENESTELLE, IL LAGER DEI SAVOIA “… al fondo

 

 

 

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Il forte di Fenestelle, foto Claudio Allais

 

 

 

I prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle

Alessandro Barbero

Articolo acquistabile con 18App Carta del Docente
Editore:Laterza
Edizione: 3
Anno edizione: 2012
In commercio dal: 11 ottobre 2012
Pagine: IX-369 p., Brossura
18 EURO, PREZZO PIENO

“La sera del 9 novembre 1860 una colonna di soldati in lacere uniformi turchine, disarmati e sotto scorta, marciava lungo la tortuosa strada alpina che risale la Val Chisone, nelle montagne piemontesi, verso la fortezza di Fenestrelle…”. Chi erano quegli uomini? Cosa accadde davvero ai prigionieri napoletani trasportati al Nord nel 1860, e in genere agli ex-soldati borbonici caduti nelle mani delle autorità vittoriose negli anni che portarono all’unità d’Italia? Erano migliaia? Quanti sopravvissero e quanti morirono di stenti, di fame e di freddo? Chi navighi nella rete alla ricerca di informazioni o di opinioni su Fenestrelle e sulla deportazione dei prigionieri di guerra meridionali al Nord è subito colpito dall’estrema violenza del linguaggio e dal ricorrere di termini di confronto novecenteschi impiegati senza alcuna prudenza: campi di concentramento, lager, Auschwitz, sterminio. Intorno al destino di quei soldati è stata sollevata negli ultimi anni una cortina di interrogativi fumosi e di sospetti gratuiti, che può essere smantellata solo attraverso un’aderenza scrupolosa ai fatti dimostrati. Alessandro Barbero racconta la vera storia di Fenestrelle ma anche la storia di come quegli avvenimenti, già di per sé abbastanza drammatici, siano diventati nell’Italia del Duemila materia di un’invenzione storiografica e mediatica.

LA STAMPA DEL 22 OTTOBRE 2019

https://www.lastampa.it/cultura/2012/10/22/news/ma-fenestrelle-non-fu-come-auschwitz-1.36371150

 

 

Ma Fenestrelle non fu come Auschwitz

Con un libro sui soldati borbonici prigionieri nel forte dei Savoia, Alessandro Barbero ha scatenato

Nell’estate 2011 mi è successa una cosa che non avrei mai creduto potesse capitarmi nel mio mestiere di storico. In una mostra documentaria dedicata ai 150 anni dell’Unità mi ero imbattuto in un documento che nella mia ignoranza mi era parso curiosissimo: un processo celebrato nel 1862 dal Tribunale militare di Torino contro alcuni soldati, di origine meridionale, che si trovavano in punizione al forte di Fenestrelle.

Lì avevano estorto il pizzo ai loro commilitoni che giocavano d’azzardo, esigendolo «per diritto di camorra». In una brevissima chiacchierata televisiva sulla storia della camorra, dopo aver accennato a Masaniello – descritto nei documenti dell’epoca in termini che fanno irresistibilmente pensare a un camorrista – avevo raccontato la vicenda dei soldati di Fenestrelle.

La trasmissione andò in onda l’11 agosto; nel giro di pochi giorni ricevetti una valanga di e-mail di protesta, o meglio di insulti: ero «l’ennesimo falso profeta della storia», un «giovane erede di Lombroso», un «professore improvvisato», «prezzolato» e al servizio dei potenti; esprimevo «volgari tesi» e «teorie razziste», avevo detto «inaccettabili bugie», facevo «propaganda» e «grossa disinformazione», non ero serio e non mi ero documentato, citavo semmai «documenti fittizi»; il mio intervento aveva provocato «disgusto» e «delusione»; probabilmente ero massone, e la trasmissione in cui avevo parlato non bisognava più guardarla, anzi bisognava restituire l’abbonamento Rai.

Qualcuno mi segnalò un sito Internet dove erano usciti attacchi analoghi; del resto, parecchie e-mail si limitavano a riciclare, tramite copia e incolla, dichiarazioni apparse in rete. Scoprii così che il forte di Fenestrelle – che la Provincia di Torino, con beata incoscienza, ha proclamato nel 1999 suo monumento-simbolo – è considerato da molti, nel Sud, un antesignano di Auschwitz, dove migliaia, o fors’anche decine di migliaia, di reduci meridionali dell’esercito borbonico sarebbero stati fatti morire di fame e freddo e gettati nella calce viva, all’indomani dell’Unità.

Questa storia è riportata, con particolari spaventosi, in innumerevoli siti; esistono comitati «Pro vittime di Fenestrelle» e celebrazioni annuali in loro memoria; e al forte è esposta una lapide incredibile, in cui si afferma testualmente: «Tra il 1860 e il 1861 vennero segregati nella fortezza di Fenestrelle migliaia di soldati dell’esercito delle Due Sicilie che si erano rifiutati di rinnegare il re e l’antica patria. Pochi tornarono a casa, i più morirono di stenti. I pochi che sanno s’inchinano».

Superato lo shock pensai che l’unica cosa da fare era rispondere individualmente a tutti, ma proprio a tutti, e vedere che cosa ne sarebbe venuto fuori. Molti, com’era da aspettarsi, non si sono più fatti vivi; ma qualcuno ha risposto, magari anche scusandosi per i toni iniziali, e tuttavia insistendo nella certezza che quello sterminio fosse davvero accaduto, e costituisse una macchia incancellabile sul Risorgimento e sull’Unità d’Italia. Del resto, i corrispondenti erano convinti, e me lo dicevano in tono sincero e accorato, che il Sud fino all’Unità d’Italia fosse stato un paese felice, molto più progredito del Nord, addirittura in pieno sviluppo industriale, e che l’unificazione – ma per loro la conquista piemontese – fosse stata una violenza senza nome, imposta dall’esterno a un paese ignaro e ostile. È un fatto che mistificazioni di questo genere hanno presa su moltissime persone in buona fede, esasperate dalle denigrazioni sprezzanti di cui il Sud è stato oggetto; e che la leggenda di una Borbonia felix, ricca, prospera e industrializzata, messa a sacco dalla conquista piemontese, serve anche a ridare orgoglio e identità a tanta gente del Sud. Peccato che attraverso queste leggende consolatorie passi un messaggio di odio e di razzismo, come ho toccato con mano sulla mia pelle quando i messaggi che ricevevo mi davano del piemontese come se fosse un insulto.

Ma quella corrispondenza prolungata mi ha anche fatto venire dei dubbi. Che il governo e l’esercito italiano, fra 1860 e 1861, avessero deliberatamente sterminato migliaia di italiani in Lager allestiti in Piemonte, nel totale silenzio dell’opinione pubblica, della stampa di opposizione e della Chiesa, mi pareva inconcepibile. Ma come facevo a esserne sicuro fino in fondo? Avevo davvero la certezza che Fenestrelle non fosse stato un campo di sterminio, e Cavour un precursore di Himmler e Pol Pot? Ero in grado di dimostrarlo, quando mi fossi trovato a discutere con quegli interlocutori in buona fede? Perché proprio con loro è indispensabile confrontarsi: con chi crede ai Lager dei Savoia e allo sterminio dei soldati borbonici perché è giustamente orgoglioso d’essere del Sud, e non si è reso conto che chi gli racconta queste favole sinistre lo sta prendendo in giro.

L’unica cosa era andare a vedere i documenti, vagliare le pezze d’appoggio citate nei libri e nei siti che parlano dei morti di Fenestrelle, e una volta constatato che di pezze d’appoggio non ce n’è nemmeno una, cercare di capire cosa fosse davvero accaduto ai soldati delle Due Sicilie fatti prigionieri fra la battaglia del Volturno e la resa di Messina. È nato così, grazie alla ricchissima documentazione conservata nell’Archivio di Stato di Torino e in quello dello Stato Maggiore dell’Esercito a Roma, il libro uscito in questi giorni col titolo I prigionieri dei Savoia: che contiene più nomi e racconta più storie individuali e collettive di soldati napoletani, di quante siano mai state portate alla luce fino ad ora. Come previsto, si è subito scatenata sul sito dell’editore Laterza una valanga di violentissime proteste, per lo più postate da persone che non hanno letto il libro e invitano a non comprarlo; proteste in cui, in aggiunta ai soliti insulti razzisti contro i piemontesi, vengo graziosamente paragonato al dottor Goebbels.

Però stavolta c’è anche qualcos’altro: sul sito compaiono, e sono sempre di più, interventi di persone che esprimono sgomento davanti all’intolleranza di certe reazioni, che sollecitano un confronto sui fatti, che vogliono capire. Col mestiere che faccio, dovrei aver imparato a non farmi illusioni; e invece finisco sempre per farmene. Forse, dopo tutto, sta tramontando la stagione in cui in Italia si poteva impunemente stravolgere il passato, reinventarlo a proprio piacimento per seminare odio e sfasciare il Paese, senza che questo provocasse reazioni pubbliche e senza doverne pagare le conseguenze in termini di credibilità e di onore.

 

 

CORRIERE.IT / CULTURA / 11 OTTOBRE 2012

https://www.corriere.it/cultura/12_ottobre_11/stajano-mito-lager-savoia_734bb576-1382-11e2-ad6a-6254024087b3.shtml

 

 

CORRADO STAJANO

 

 

RISORGIMENTO

Il mito del «lager dei Savoia»

Lo sterminio dei militari napoletani è un’invenzione dei neoborbonici

Pochi o forse nessuno, in occasione delle celebrazioni per i centocinquant’anni dell’Unità d’Italia, ha scritto o parlato di quel che fu l’esercito borbonico: centomila uomini bene organizzati, con corpi famosi, la guardia reale, i dragoni, i lancieri, le batterie a cavallo, i reggimenti di granatieri, quelli degli ussari.

Si ironizzò molto, dopo l’Unità, sull’«esercito di Franceschiello», dileggiato, oggetto di sarcasmi, ma la verità è differente, l’esercito borbonico disponeva di un’ottima organizzazione logistica, possedeva tra l’altro un’artiglieria e un’arma del genio di buon livello. Si battè con coraggio sui campi di battaglia d’Europa, con le armate napoleoniche, a Curtatone e Montanara nel 1848, nell’assedio di Venezia l’anno dopo.

Scrisse cavallerescamente dei soldati borbonici un ufficiale di Stato maggiore dell’esercito italiano, di famiglia sardo-piemontese, Tommaso Argiolas, in un vecchio libro (1970) assai documentato, Storia dell’esercito borbonico (Edizioni Scientifiche italiane): «Era nei disegni del destino, nel processo ineluttabile della unificazione nazionale, che esso scomparisse. La sua agonia fu breve ma convulsa. (…) La ragione di ogni successo o di ogni sua disfatta è da ricercarsi unicamente nei capi che lo guidavano». Generali inetti. Un re, Francesco II, inadeguato e senza carattere.

Alessandro Barbero «I prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle» (Laterza, pp.369 € 18)Alessandro Barbero «I prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle» (Laterza, pp.369 € 18)

Questo nuovo libro che esce da LaterzaI prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle di Alessandro Barbero, professore di Storia medievale all’Università del Piemonte Orientale, romanziere (ha vinto nel 1996 il premio Strega con Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, Mondadori) non si propone di analizzare la struttura dell’esercito borbonico e i suoi caratteri ma di raccontarne la disfatta dopo il 1860. Lo sfacelo dell’esercito borbonico fu un 8 settembre 1943 ante litteram. Il libro non offre un’analisi storica complessiva, indulge soprattutto alla statistica e all’archivistica. Ricco di notizie, è spesso interessante, più che per le vicende personali dei soldati borbonici, seguite con una minuzia eccessiva, perché riesce a far capire come furono gravi i problemi che si presentarono al governo di Cavour.

La confusione fu grande. I soldati e gli ufficiali borbonici avevano diritto alle garanzie dovute ai prigionieri di guerra. Ma la decisione del governo di Torino era di arruolarli subito nell’esercito italiano. Non tutti furono d’accordo e si appellarono al giuramento prestato al loro re. I conflitti furono aspri, indicatori dell’alterigia dei vincitori, espressione spesso di culture allora assai lontane tra loro e di un’idea soltanto formale dell’unità tra italiani del Nord e del Sud.

La lettera del generale Alfonso La Marmora a Cavour, il 18 novembre 1860, può fare da cruda testimonianza: «Non ti devo lasciare ignorare che i prigionieri napoletani dimostrano un pessimo spirito. Su 1.600 che si trovano a Milano, non arriveranno a 100 quelli che acconsentiranno a prender servizio. Sono tutti coperti di rogne e di vermina, moltissimi affetti da mal d’occhi o da mal venereo, e quel che è più, dimostrano avversione a prendere da noi servizio. (…) Non so per verità che cosa si potrà fare di questa canaglia»

.I reazionari di ogni specie, in particolare gli ambienti clericali, fomentavano lo scontro contro il Regno d’Italia. «La Civiltà Cattolica», la rivista dei gesuiti, come sottolinea l’autore, era in prima fila nello scrivere menzogne: «Per vincere la resistenza dei prigionieri di guerra, già trasportati in Piemonte e in Lombardia, si ebbe ricorso a uno spediente crudele e disumano, che fa fremere. Quei meschinelli appena coperti da cenci di tela e rifiniti di fame furono fatti scortare nelle gelide casematte di Fenestrelle e d’altri luoghi posti nei più aspri luoghi delle Alpi. Uomini nati e cresciuti in clima caldo e dolce come quello delle Due Sicilie, eccoli gittati, peggio che non si fa coi negri schiavi, a spasimar di fame e di stento fra le ghiacciaie! E ciò perché fedeli al loro giuramento militare ed al legittimo Re».Un'immagine del fornte di Finestrelle, in Val Chisone (provincia di Torino), dove furono rinchiusi per poco tempo 1.200 prigionieri di guerra e in seguito centinaia di disertori e insubordinati (www.fortedifinestrelle.com)Un’immagine del fornte di Finestrelle, in Val Chisone (provincia di Torino), dove furono rinchiusi per poco tempo 1.200 prigionieri di guerra e in seguito centinaia di disertori e insubordinati (www.fortedifinestrelle.com)

Di continuo, poi, affioravano problemi umani e politici. I siciliani detestavano i soldati borbonici per l’attività repressiva usata in passato; i siciliani e i calabresi erano caratterialmente come i cani e i gatti; i siciliani non avevano mai perdonato ai napoletani la loro caduta di prestigio quando il re si trasferì con la corte a Napoli. E non erano per nulla graditi gli ufficiali garibaldini, dal generale Bixio in giù, entrati nel regio esercito.

Quasi sessantamila soldati furono in ogni modo arruolati; non pochi finirono nelle 400 bande del brigantaggio; gli sbandati a San Maurizio Canavese; i ribelli – 260 – nella fortezza di Fenestrelle, in val Chisone, nel corpo dei Cacciatori Franchi, quelli che probabilmente diventeranno i battaglioni di disciplina. Qui scoppiò un caso di cui ancora oggi si parla: la fortezza qualche anno fa è stata paragonata dai dissennati nostalgici neoborbonici persino al lager di Auschwitz.

Il famoso complotto di Fenestrelle: si disse di dieci soldati di origine meridionale che si erano ammutinati, decisi a impadronirsi della fortezza, con il proposito di occupare, chissà come, il Piemonte e di marciare poi sulla capitale. I giornali clericali soffiarono sul fuoco, «La civiltà Cattolica» scrisse del pericolo «di vedere la bandiera di Francesco II sventolare sulla torre del Palazzo Madama».

Finì tutto in una bolla di sapone. Barbero documenta le diverse fasi dell’inchiesta della magistratura militare e civile. Non ci furono morti e feriti e neppure saccheggi. Il 7 gennaio 1862 il Tribunale di Pinerolo assolse tutti gli imputati e li rinviò ai loro corpi militari.

Una congiura inesistente, forse appena pensata. E questo rende ancora più gravi le strumentalizzazioni e le falsificazioni degli assatanati neoborbonici di oggi. E non soltanto le loro.

Corrado Stajano

11 ottobre 2012 | 16:08

 

LA PRIMA PARTE, PER CHI VUOLE RENDERSI CONTO, DI UN VIDEO PUBBLICATO DA ANGELO FORGIONE, CHE HA UN BLOG E HA SCRITTO VARI LIBRI…INTITOLATO:: FENESTELLE, I LAGER DEI SAVOIA–

LA SECONDA PARTE, PER CHI VOLESSE, E’ SU YOUTUBE, SI CAPISCE

 

 

 

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  1. Donatella scrive:

    Interessantissimo questo argomento, completamento ignorato dalla storia ufficiale. Io credevo che la possente struttura militare di Fenestrelle non fosse mai stata usata, nemmeno come carcere. Benedetta la storia e benedetti gli storici che ricostruiscono la verità.

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