+++ IL FATTO QUOTIDIANO DEL 10 NOVEMBRE 2019 :: UN BILANCIO A PIU’ VOCI DEI PRIMI DUE MESI DEL GOVERNO …FATTO DAI ” MINISTRI OMBRA ” DEL QUOTIDIANO…

 

IL FATTO QUOTIDIANO DEL 10 NOVEMBRE 2019

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IN EDICOLA/POLITICA

Governo Conte 2 Il premier è vivo, ma i giallo-rosa no

Governo Conte 2 Il premier è vivo, ma i giallo-rosa no

I primi 2 mesi. I “ministri ombra” del Fatto Quotidiano giudicano, dicastero per dicastero, gli errori, le scelte fatte e quelle da fare dell’esecutivo 5S-Pd-Leu-Iv

 

Un governo si giudica da quello che fa e non fa, in base a quello che può fare nelle condizioni date e in rapporto a quello che faceva chi c’era prima e da quello che potrebbe fare chi verrà dopo. Il Conte 2 – che in questo inserto i nostri “ministri ombra” giudicano dicastero per dicastero – è nato due mesi fa in 10 giorni fra tre forze politiche (poi diventate quattro) che si erano combattute e insultate fino al giorno prima. Ma collegate da alcuni esili fili comuni: la necessità di formare l’unica maggioranza parlamentare possibile per non darla vinta alla pretesa di Salvini di votare subito per prendere il potere, anzi i “pieni poteri”; l’esigenza di dare all’Italia una manovra di Bilancio per evitare l’esercizio provvisorio, neutralizzare l’aumento dell’Iva, placare gli speculatori e dunque lo spread; l’opportunità di sedere al tavolo della nuova Commissione Ue; la volontà di governare sino a fine legislatura, di rispondere all’ansia di novità più volte espressa dagli italiani con un cambiamento diverso da quello di una “destra” troglodita e sfasciatutto e, nel frattempo, di preservare il Quirinale da un B. o da una Casellati.

Viste le premesse, un livello minimo di litigiosità e renitenza fra i giallorosa era fisiologico. Ma, dopo l’arrivo del partitucolo renziano, le conseguenti convulsioni nel Pd e l’aggravarsi post-Umbria del marasma nei 5Stelle, quel livello è diventato patologico e cacofonico. Una rissa quotidiana che si manifesta più sui giornali e in tv che nei Consigli dei ministri, ma che sta oscurando le cose buone fatte o almeno impostate nei primi 60 giorni. Tant’è che è bastata la crisi dell’Ilva, chiaramente estranea a responsabilità del Conte 2, e anche del Conte 1 (nato quando il contratto con Arcelor Mittal era purtroppo irreversibile), per metterlo in pericolo. Ora i giallorosa sono a un bivio: o staccano la spina e vanno volontariamente al macello delle urne, consegnando i pieni poteri a Salvini; o la piantano di segare l’albero su cui sono (e siamo) seduti. Approvando senza stravolgerla la legge di Bilancio, la migliore con le poche risorse disponibili. E subito dopo riunendosi in conclave per mettere a punto un programma più dettagliato: un vero contratto come quello che tiene in piedi le Grosse Koalition tedesche, che vincoli i quattro partiti ad approvarlo nei termini e nei tempi previsti, senza consumarsi a ogni provvedimento in eterne discussioni a Palazzo Chigi e poi di nuovo sui media. Conte ha già dimostrato di essere non solo l’unico, ma anche il migliore premier possibile di questa maggioranza (chi si era scordato la sua lezione a Salvini del 20 agosto in Senato se l’è ricordata l’altroieri vedendolo a Taranto fra gli operai dell’ex Ilva). E Mattarella ha già fatto sapere che questo sarà l’ultimo governo della legislatura. Dopo ci sono soltanto le urne, cioè Salvini.

I giallorosa se ne facciano una ragione e comincino a comportarsi come i conducenti di un treno che deve viaggiare per tre anni e mezzo, accantonando i social e i sondaggi e ponendo le basi per quei risultati che, per essere veri, necessitano di una prospettiva di anni, non di giorni o settimane. Altrimenti, se hanno in mente altri mesi di lenta agonia, dicano subito chiaro e tondo che preferiscono finirla qui. Se il futuro che hanno in mente per l’Italia è un governo Salvini con pieni poteri, è inutile rimandarlo: prima arriva, prima ce ne liberiamo.

Economia
Torna la lotta all’evasione, anche se in deficit: Gualtieri deve fare il politico

Il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, sta facendo ciò che i partiti gli hanno chiesto: più deficit col consenso di Bruxelles. La legge di Bilancio 2020 prevede infatti deficit di 0.9 punti di Pil per compensare le clausole di salvaguardia (l’aumento automatico dell’Iva doveva scattare proprio per evitare nuovo deficit). Non solo in questo Gualtieri è in continuità col passato. La legge di Bilancio non tocca le misure contestate (Quota 100, 80 euro renziani, Reddito di cittadinanza che a oggi è solo un sussidio e non una politica attiva) e ne introduce di nuove (il taglio al cuneo fiscale, riedizione mignon degli 80 euro). Le tasse green, come quelle sulla plastica, servono a fare gettito e non a compensare esternalità negative (pagare i danni causati dalla plastica, per esempio).
Unica nota positiva: la lotta all’evasione ora è una priorità, anche se per ragioni di cassa e non di equità. Il Pil resta a zero.
Gualtieri dovrebbe fare più il ministro e meno l’amministratore di condominio. Dopo anni al Tesoro c’è un politico e non un tecnico: è un’opportunità da non sprecare.

Stefano Feltri

Infrastrutture
Puntiamo a una rivoluzione mondiale: mezzi non inquinanti a guida autonoma

La ministra dei Trasporti, Paola De Micheli, forse agirà in continuità con i suoi due predecessori dichiarando: “Ogni progetto sarà rigorosamente valutato”. Poi però ha detto che tutte le ferrovie saranno elettrificate e rese a doppio binario: una nuova versione della “cura del ferro” whatever it takes. Delrio e Toninelli, quando han compreso che le valutazioni potevano contraddire la cura del ferro, le hanno precipitosamente messe da parte. Vedremo se la storia si ripeterà.
Ma ha scelto come collaboratore un tecnico di valore, il professor Catalano, che potrebbe essere il primo a convincere un ministro dei Trasporti a dire un No a progetti che risultano uno spreco, ponendo fine allo scambio tra soldi pubblici e voti.
Una parte significativa dei soldi pubblici oggi destinati alle ferrovie per perseguire l’illusorio obiettivo del cambio modale dovrebbe utilmente essere dirottata per seguire la rivoluzione mondiale in corso nei trasporti: veicoli non inquinanti e guida autonoma, da cui l’Italia è assente. Poi sarebbe urgente ridare centralità alla parola “concorrenza”, che oggi sembra bandita dal settore.

Marco Ponti

Esteri
Ottimo guizzo sulla Turchia, il rischio è una politica estera nel cortile di casa

Luigi Di Maio ha preso ad attaccare i “sovranisti di casa nostra” come Matteo Salvini. In un mondo in cui è difficile fare la politica estera da un piccolo Stato nazionale, la svolta europeista che sta alla base del Conte 2, segna il perimetro dell’attività della Farnesina. Tra l’altro in un contesto in cui la politica estera la fa il premier e la stessa Unione europea.
Di Maio si muove con cautela, attento alle polemiche sulla propria inesperienza e alla battute sulle sue gaffe (ma i vari Frattini, Fini, Alfano Terzi di Sant’Agata erano meglio?). Il capo politico dei 5 Stelle non si può sottrarre alla liturgia della fedeltà atlantica e purtroppo gestisce la strada della “internazionalizzazione delle nostre imprese” con un approccio da agente di commercio. Però la mossa sulla Turchia, con la denuncia della guerra ai curdi, è stata tempestiva e si è visto un guizzo politico che andrebbe proseguito sul tema del commercio di armi. Giusto ribadire la centralità del Mediterraneo, ma non se diventa un pretesto per correre dietro a Salvini sui migranti. Quel mare ha bisogno di un disegno di pace e il dialogo con la società civile in subbuglio sull’altra sponda sarebbe importante. Il rischio è che l’azione del ministro guardi sempre e solo alla politica nazionale. Intanto una cosa si potrebbe fare con forza: esigere dall’Egitto giustizia per Regeni.

Salvatore Cannavò

Interno
Senza twittare, Lamorgese ha aumentato i rimpatri. Ma l’immigrazione è affare Ue

Non twitta e parla solo nelle occasioni istituzionali. Ma la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, è riuscita a far inserire in manovra 48 milioni di euro in più per gli straordinari delle forze di polizia, cosa che Salvini non aveva fatto. Sul fronte immigrazione ha chiesto alle Ong il rispetto del Codice di comportamento ideato da Minniti, senza però dichiarare loro guerra. Ed è rimasta ferma sulla Libia, confermando il ruolo della loro Guardia Costiera, ma lavorando perché il nuovo accordo “migliori i centri di detenzione in attesa che vengano completamente gestiti dall’Onu”.
Gli sbarchi in settembre sono però triplicati, principalmente a causa delle cosiddette navi fantasma in partenza dalla Tunisia. Un fenomeno che non era all’ordine del giorno nell’agenda di Salvini, forse perché difficilmente governabile. Lamorgese si è così concentrata sui rimpatri, aumentandoli del 60 per cento, anche se si parla di piccoli numeri: a ottobre, su 379 tunisini sbarcati, ne sono stati mandati indietro 273. Sul fronte redistribuzioni bisognerà vedere se diventerà qualcosa di più concreto il cosiddetto “pre-accordo di Malta”. La questione migratoria è a Bruxelles che si risolve, non a Roma o su twitter. Sia con Salvini sia con Lamorgese. Voto 6 e mezzo.

Peter Gomez

Sviluppo economico
Forse hanno sottovalutato Ilva e Alitalia: aprano un tavolo per far lavorare il Mise

Nei suoi due mesi al ministero dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli ha fatto un grave errore sottovalutando il problema Ilva. Il vero segnale di disimpegno di Arcelor Mittal è stata la nomina di Lucia Morselli come Ad, il 15 ottobre, ma il ministro non ha voluto capire che lo scudo penale sarebbe stato il pretesto per la fuga. Forse sta sottovalutando anche il problema Alitalia: la paragona alla Ferrari come bandiera dell’orgoglio nazionale, mentre è il simbolo dei vizi romani. Con impotente buona volontà ha annunciato l’apertura di tavoli su tutto, dall’edilizia all’industria dell’auto, dopo aver peraltro scansato la fusione Fca-Peugeot classificandola come “operazione di mercato”.
A sua discolpa va notato che il predecessore, Luigi Di Maio, al Mise gli ha lasciato il deserto. Appena insediato, Patuanelli ha rilevato che le centinaia di crisi aziendali “erano seguite da una struttura fatta da una persona” e ha messo in campo “una struttura di 12 unità”. Non ci si crede. Ecco, tra tanti tavoli Patuanelli potrebbe aprirne uno sul suo ministero, per indagare su come passano le giornate i 3 mila dipendenti del Mise.

Giorgio Meletti

Riforme istituzionali
Cambiamenti mirati e circoscritti: ora si punti a tutelare la rappresentatività

Dopo alcuni sfortunatissimi tentativi di riforme monstre della Costituzione (Berlusconi e Renzi), questa legislatura ha scelto la strada meno accidentata di modifiche mirate: l’8 ottobre il Parlamento ha approvato la diminuzione del numero dei parlamentari che riduce a 400 gli attuali 630 deputati e a 200 gli attuali 315 senatori. Il taglio, fortemente voluto dai 5Stelle, sarà operativo dalla prossima legislatura. Ma prima il Parlamento deve adeguare – sono in arrivo i ddl di maggioranza – la Costituzione al nuovo assetto: c’è, ad esempio, il tema della platea per l’elezione del capo dello Stato. Intanto si procederà anche all’equiparazione, assolutamente condivisibile, dell’elettorato attivo a 18 anni per entrambe le Camere e al superamento della base regionale per l’elezione del Senato in favore di una base circoscrizionale in modo da avere un sistema analogo a quello della Camera. Ma la questione fondamentale sarà la legge elettorale (a cui si spera che il legislatore lavori quanto prima per mettere il Paese in condizione di votare): con un Parlamento così magro è essenziale che il sistema elettorale garantisca il più possibile la rappresentatività, i principi di uguaglianza e libertà del voto. Per noi può essere un proporzionale con uno sbarramento al 5 per cento (massimo).

Silvia Truzzi

Lavoro e politiche sociali
Reddito di cittadinanza: è un successo, bisognerebbe comunicarlo meglio

In queste prime settimane in carica, la ministra Nunzia Catalfo ha dedicato la sua attenzione soprattutto al caporalato, ai rider, agli strumenti previdenziali, ai decreti attuativi del Reddito di cittadinanza e agli incontri con i sindacati per mettere a punto gli strumenti previdenziali. L’attività ministeriale va equamente ripartita tra le attività in agenda e la comunicazione pubblica dei risultati. La comunicazione del ministero del Lavoro è decisamente carente. Basterebbe constatare che nei media e nell’opinione pubblica prevale l’idea che il Reddito di cittadinanza sia un fallimento, laddove potrebbe essere comunicato, senza nulla esagerare, come uno dei pochi successi governativi dell’ultimo decennio: ogni giorno, 2.334.000 poveri hanno la certezza di sopravvivere; di essi, 597.000 sono minori e 199.000 disabili. Dalle città stanno scomparendo i barboni non perché deportati, ma perché assistiti. Tre cose vanno portate a termine prioritariamente: completare i decreti attuativi della legge 28 marzo 2019, n. 26 (Reddito di cittadinanza); accelerare l’iter del progetto di legge sul salario minimo; accelerare l’iter del progetto di legge sulla riduzione dell’orario di lavoro.

Domenico De Masi

Beni culturali e turismo
Siamo fuori dalla devolution leghista, ora attenti alle promesse da marinaio

Dario Franceschini si attribuisce la battuta: quando da un governo non ci si aspetta nulla, basta poco per aver successo. Poco, ma cosa? È presto per giudicare, ma almeno il ministro ha tolto paesaggio e Beni culturali dall’efferata devoluzione leghista alle Regioni, e ha fatto sparire dal “decreto sisma” il maxi-condono esteso a tutto il Lazio (Roma inclusa) inguattato nell’art. 4.
Che cosa partorirà il testo finale della legge di Bilancio? Vedremo se manterrà la promessa di massicce nuove assunzioni, assolutamente indispensabili perché il ministero non chiuda bottega. Ma Franceschini dovrebbe trovare il coraggio di smentire se stesso (virtù per solito ignota ai nostri politici) ristabilendo la piena comunione musei/territorio in funzione della tutela e di una valorizzazione non solo monetaria. Di tal resipiscenza, ahimé, nessun indizio. E la (ri)conquista del Turismo fra i compiti del ministero? Sarebbe l’ora giusta per allontanare le Grandi Navi dalla Laguna di Venezia, e Franceschini lo ha promesso “entro la fine del suo mandato”. In un governo a durata e geometria variabile, resterà una promessa di marinaio?

Salvatore Settis

Ambiente
Costa è competente e allora coraggio, faccia la legge sul consumo di suolo

La parte positiva è che Costa è un ministro competente che cerca di introdurre il tema ambientale tra i suoi colleghi pur non avendo vita facile. Lo esorterei a combattere molto di più affinché i temi ambientali non siano succubi dell’economia o del lavoro, vedi Ilva. Se non funziona l’ambiente non funziona la società o l’economia, non funziona nulla. Tra le cose da fare: puntare sulla consapevolezza. Investire anche sui media, con l’autorevolezza di un ministero, perché si parli di più dei temi ambientali che vanno spiegati. Gli italiani non li capiscono, non li conoscono.
Poi, bisogna cercare di far approvare la legge sul consumo di suolo. Giace dal 2012 nei meandri parlamentari e sarebbe un bel lascito. Terzo, avere il coraggio sulla questione Tav in Val di Susa di fare il bilancio delle emissioni per sfatare il mito che sia un’opera verde. Se si contano le emissioni del cantiere si vedrà che queste si “mangiano” tutto quello che di buono il treno potrebbe fare. Non si è mai avuto un numero certificato, lo deve fare il ministero e lo deve fare l’Ispra. Sarà quello che ci dirà se l’opera è verde oppure no. Sui sussidi occorre coraggio: la sostenibilità si fa anche con i sacrifici, magari vanno negoziati, ma qualcuno deve pagare per l’inquinamento e qualcun altro deve essere premiato per le azioni virtuose.

Luca Mercalli

Diritti Civili
Manca il ministro ad hoc, c’è un valore comune: tutti uguali davanti alla legge

Per Andy Warhol, “ciascuno dovrebbe essere come chiunque altro”. Un ministero dei diritti civili, se ci fosse, dovrebbe occuparsi di questo: assicurare a tutti “pari dignità sociale” e “eguaglianza davanti alla legge”. Il terreno comune, per le due forze di governo, c’è, o ci sarebbe. Anche se nel programma giallorosa si parla di diritti civili in un solo punto. Fidiamoci della dichiarazione di intenti, che prevede la promozione di “una più efficace protezione dei diritti della persona, anche di nuova generazione”. E, non avendo un ministro ad hoc, confidiamo in Bonetti e Lamorgese. Fare la differenza qui è semplice, vista la pagina bianca su cui scrivere. Alcuni disegni di legge sono già depositati in Parlamento, come l’introduzione del reato di omotransfobia e il matrimonio egualitario (“Non bastano le unioni civili?” No, non bastano). Va affrontata anche una riforma delle adozioni, per tutti. Soprattutto, il riconoscimento della cittadinanza per gli 800 mila bambini nati in Italia da stranieri: ius soli. E poi una nuova legge sulla fine vita. E, visto che dovrebbe esserci anche attenzione alle fragilità sociali, un piano nazionale di prevenzione al suicidio. Come avviso ai naviganti, per non perdere tutti i voti delle cosiddette “minoranze”, consigliamo al Pd di uscire dal consueto torpore e prendere coraggio; al M5S di guardare meno ai sondaggi.

Maddalena Oliva

Istruzione
Fioramonti è il più grillino di tutti: proprio per questo il migliore di tutti

Lorenzo Fioramonti è rimasto grillino. È uno dei pochi che incarni ancora le idee e lo stile che hanno portato all’ormai remoto trionfo del 4 marzo. Lo si è capito bene quando ha scoperto che una “manina” aveva infilato, a sua insaputa, nella legge di Stabilità, una sconcertante Agenzia della Ricerca controllata dal potere esecutivo e dunque di stampo totalitario-renziano. Fioramonti sembra un tremendo rompiscatole. Ma il Movimento sarebbe lì per romperle, le scatole. Per questo, anche se nessuno sembra prendere sul serio la minaccia, a gennaio potrebbe davvero dimettersi. La scuola e l’università, dice a ragione Fioramonti, hanno bisogno di aumentare il finanziamento ordinario, e di assumere a tempo indeterminato insegnanti e giovani ricercatori. E hanno bisogno di destinare i nuovi fondi ai più deboli, agli ultimi della catena. L’impegno del ministro (che ha ricostituito l’Osservatorio per l’inclusione scolastica) per l’assunzione e per la formazione di 40.000 insegnanti di sostegno entro l’anno scolastico 2021-22 è forse quello più chiaro: un’idea di scuola, e di società, che metta al centro i più fragili. Insomma, se Fioramonti riuscirà a fare anche solo una parte di quello che pensa e dice potrebbe essere il miglior titolare del Miur degli ultimi decenni. Se.

Tomaso Montanari

Editoria e informazione
Una nuova Rai è possibile, però finora non si è visto nessun rinnovamento

Niente. Finora la nuova maggioranza, M5S-Pd-Leu e Italia Viva, non ha fatto alcunché per riequilibrare il pluralismo dell’informazione nel nostro Paese e in particolare nel servizio pubblico radiotelevisivo. Tanto più dopo l’occupazione del fronte sovranista.
La nuova maggioranza non ha ancora rinnovato il consiglio dell’Autorità sulle Comunicazioni, scaduto in giugno, prorogandolo una prima volta per due mesi e rinviando poi la nomina del presidente (che spetta al “governo di svolta”) e quella dei quattro commissari (di competenza parlamentare) “entro e non oltre” il 31 dicembre prossimo.
Né i componenti giallo-rossi (o rosa) della Commissione parlamentare di Vigilanza sono riusciti a ottenere la verifica delle schede che, al secondo turno, hanno portato alla controversa elezione di Marcello Foa alla presidenza di Viale Mazzini. Eppure, come promette il titolo del convegno indetto l’8 novembre a palazzo Giustiniani su iniziativa del senatore Primo Di Nicola (M5S), “una nuova Rai è possibile”. Quello che occorre, innanzitutto, è una riforma della governance per rendere l’azienda indipendente dalla politica e in particolare dal governo.

Giovanni Valentini

Salute
Va bene l’abolizione del superticket, però la Sanità pubblica sta sparendo

Le prime due misure introdotte nella legge di Bilancio per volontà del ministro della Sanità, Roberto Speranza, sono positive: l’abolizione del superticket dal settembre 2020 e lo stanziamento di 2 miliardi per l’edilizia sanitaria, con dentro 235 milioni per dotare gli studi dei medici di base di strumentazione diagnostica di primo livello.
Finora si è finto di non vedere che la Sanità pubblica sta scomparendo a favore delle strutture private. Il superticket di 10 euro su visite e esami fu ideato nel 2007 dal governo Prodi e applicato da Berlusconi con la manovra del 2011 per supplire al taglio alle Regioni; a obiettivo raggiunto è rimasto lì. È il motivo per cui a Roma un emocromo nel pubblico costa 20,33 euro e nel privato, senza ricetta, 11 euro. Questo, unito a liste d’attesa indecenti, fa parte di un progetto preciso: costringere i cittadini a rivolgersi al privato, oppure a non curarsi, come già sono costretti a fare in 6 milioni.
Renzi e Lorenzin hanno tagliato 208 esami prima gratuiti ritenendoli “non necessari”. Se un paziente vuole fare una risonanza magnetica col Sistema Sanitario Nazionale deve essere già malato, oppure se la paga da solo; il medico che la prescrive può incorrere in sanzioni amministrative davanti alla Corte dei Conti. Che aspetta Speranza a reintrodurli?
Altri suggerimenti: ambulatori di cure primarie in ogni città per decongestionare i pronto soccorso. Uguaglianza tra Regioni. Aumento dei posti letto. Assunzioni di medici e personale (e loro formazione perché non scarichino sui pazienti la frustrazione di lavorare in condizioni da Paese non progredito).

Daniela Ranieri

Giustizia
È giusto resistere sulla prescrizione, adesso occhio alle falle nell’antimafia

L’inedito governo giallo-rosa, con screziature color “bottegaleopolda”, è ancora un calderone nel quale ribollono e mal si combinano ingredienti di “cucine” diverse, tuttora inclini ad accordi “salvo intese” (un tributo al bipensiero di Orwell). Un cantiere, dove i proclami prevalgono spesso sui calcoli razionali, da valutare perciò con prudenza. Specie in tema di Giustizia, terreno dove consumare vendette e scontri politici. Limitiamoci dunque alle principali prospettive.
Positivo è che il governo voglia tenere ferma la riforma della prescrizione e l’opposizione alla separazione delle carriere (interfaccia di una magistratura zerbino della politica). Benemerito, ma scontato, il disegno di riforma di un processo con costi e tempi che generano sfiducia e insicurezza; meglio ancora se si riuscirà, invece di accontentarsi di qualche palliativo, a operare una autentica rivoluzione, come sarebbe l’abolizione dell’attuale pletora di gradi di giudizio, così da impedire che la certezza della pena sia una pia illusione.
Bene il progetto di riformare il Csm, ma non con l’incostituzionale sorteggio, che per assurda coerenza si dovrebbe estendere a tutte le categorie professionali che esprimono i membri laici. Le “manette agli evasori” sarebbero un recupero di legalità e una distribuzione di risorse che non ci farebbero più vergognare parlando di giustizia sociale. Infine, sarebbe doveroso tamponare la falla che nell’antimafia ha aperto di fatto la Consulta, recuperando – contro le astrattezze – più sensibilità per un fenomeno criminale che controlla larga parte del territorio italiano e dell’economia nazionale.

Gian Carlo Caselli

Famiglia e pari opportunità
Dopo i leghisti sarà una passeggiata Meno “candore” non guasterebbe

Siamo onesti. Diventare ministro delle Pari opportunità e della Famiglia dopo Lorenzo Fontana e Alessandra Locatelli è un po’ come diventare ministro della Salute dopo Morgan e Paul Gascoigne. Diciamo che fare peggio di chi ti ha preceduto è difficile, a meno che non ti svegli una mattina e decidi che le donne incinte, sull’autobus, devono cedere il posto agli ultras dell’Hellas Verona, per legge.
Il ministro Elena Bonetti, dunque, si è trovata davanti una strada in discesa, così tanto in discesa da essersi fratturata un piede ad appena un mese dalla sua nomina. Va però detto che al momento sembra un’entusiasta, con idee progressiste nonostante il suo passato di capo dell’Agesci (gli scout cattolici), una in trincea nelle battaglie su famiglie arcobaleno e adozioni gay. Se Fontana sosteneva il Family Day, lei appoggia il Coming Out Day. Se Fontana flirtava con l’amico Pillon, lei ha archiviato il ddl Pillon definito “una risposta dannosa e inadeguata” e ammosciando definitivamente il papillon del neocatecumeno spelacchiato. Se Fontana era ossessionato dal problema delle culle vuote, lei è ossessionata da quello dei seggiolini pieni. Non solo ha chiesto (e ottenuto) i seggiolini col dispositivo anti-abbandono, ma vuole anche “un sistema di allerta in tutti gli asili nido per evitare episodi di dimenticanza dei bambini”. Insomma, la Bonetti sogna un mondo di donne affermate nel lavoro e pure pieno di bambini, ma poi teme – saggiamente – che tra una riunione e una pentola sul fuoco, i bambini ce li dimentichiamo. Certo, forse pecca di eccesso di candore (“Io sogno un mondo in cui se una dipendente va dal datore di lavoro a dirgli che è incinta, lui stappa lo champagne per festeggiare con lei!”), ma c’è da capirla: ha fatto parte della segreteria nazionale del Pd. Tra faide interne e coltellate alle spalle, ne ha viste talmente tante che, come John Lennon, sogna di trasformare il suo ministero in una sorta di Nutopia di pace e amore universale. Promossa.

Selvaggia Lucarelli

Difesa
Guerini obbedisce alle lobby e agli Usa, Almeno non ci fa vedere quelle felpe

Il ministro Guerini, impegnato nelle beghe di partito, non deve aver avuto tempo per i compiti di casa e prendere conoscenza delle molte peculiarità del suo ministero. L’unica uscita ufficiale è stata l’illustrazione delle “nuove” linee programmatiche” alle Commissioni Difesa di Camera e Senato da lui presentate come “proprie”. In realtà, tali linee non sono né nuove e nemmeno sue. Guerini, come le altre dei governi precedenti, ripete pari pari le affermazioni e le imposizioni statunitensi di Trump, Pompeo e il giubilato Bolton. Imposizioni supinamente recepite dal Segretario generale della Nato, Stoltenberg, riguardo la minaccia russa e cinese e l’aut aut sull’aumento delle spese militari. Poco importa se la posizione Nato-Usa porta di nuovo l’Europa a essere il prossimo campo di battaglia globale. La stessa sinergia Nato-Unione europea auspicata, come sempre, è in realtà un’allergia visto l’impegno profuso dalla Nato-Usa nel destabilizzare l’Ue per favorire un’Europa orientale fatta di razzisti e nazisti. Vi sono poi i soliti impegni nei confronti dell’apparato industriale militare, un “volano” per l’economia per la sua capacità di mantenere posti di lavoro, quasi fosse un’altra cassa integrazione. Perseguire la formazione di uno strumento efficiente ed “equilibrato” stride e appare rivolta ad acquietare le varie lobby che ormai abitano in via XX Settembre. I programmi di ammodernamento sono squilibrati e per giustificarli si reinventano minacce e incertezze sulla base di discutibili voli “geostrategici” come il “Mediterraneo allargato”. L’ovvia intenzione del ministro e del governo è di non scontentare nessuno in questo periodo di transizione. È comprensibile. Perciò, per avere linee veramente “nuove” e prodotto di un autentico pensiero politico nazionale ed europeo occorrerà aspettare molto. Nel frattempo, Guerini almeno ci risparmia le fanfaronate, le “felpate” e le comparsate televisive. L’augurio è che non siano i capi militari, i piazzisti industriali e gli ideologi a provocare pericolose fughe in avanti.

Fabio Mini

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