GIULIA VILLORESI, Unschooling, bambini che imparano da soli- repubblica.it / il venerdi’/ 30 ottobre 2019

 

Io imparo da solo

pagine 192

pubblicazione 07/2019

13 euro, prezzo pieno

 

Quarta di copertina

«Come sarebbe a dire, che non mandate i vostri figli a scuola? Ma non è obbligatorio? E allora come fanno a imparare a leggere, a scrivere e a far di conto? E in che senso, imparano da soli? E la socializzazione?».Queste domande nascono spontanee quando si affronta il tema dell’unschooling, e il libro che avete tra le mani cerca di fornire le risposte a partire dall’esperienza di chi ha fatto questa scelta per i propri figli.L’apprendimento spontaneo in un ambiente familiare e sociale incoraggiante e ricco di stimoli, costituisce un valido percorso di istruzione, anzi di autoistruzione, in grado di sostituire quello scolastico. I bambini semplicemente continuano, come hanno fatto in millenni di evoluzione, a imparare da soli: sono biologicamente programmati per farlo e non ne possono fare a meno.Le numerose esperienze di unschooling sparse per il mondo ci dimostrano che i bambini, anche senza un programma didattico prestabilito e imposto dall’esterno, sviluppano con successo le loro capacità in autonomia, seguendo i propri ritmi.Rifacendosi a un nutrito corpus di studi sull’apprendimento, le neuroscienze e la psicologia dell’età evolutiva, questo libro racconta come e perché adottare l’unschooling, riportando con decisione al centro del dibattito sull’educazione i legittimi protagonisti: i bambini.

Biografia dell’autore

Elena Piffero

Elena Piffero ha conseguito un dottorato in Cooperazione internazionale e politiche per lo sviluppo sostenibile all’Università di Bologna e ha lavorato come ricercatrice in Egitto, Israele e Inghilterra. Vive in un casolare nella campagna modenese con il marito e i tre figli, e si occupa di sostenibilità nella vita quotidiana.È un’attivista sociale e ambientale con una forte convinzione: imparare vivendo e vivere per imparare costituisce un’avventura affascinante che arricchisce l’esistenza.

 

qui trovate dei link per visionare il libro:

https://www.terranuovalibri.it/libro/dettaglio/elena-piffero/io-imparo-da-solo-9788866814955-236434.html

 

repubblica.it /  il venerdi’/ 30 ottobre 2019

https://rep.repubblica.it/pwa/venerdi/2019/10/30/news/unschooling_bambini_che_imparano_da_soli-239897502/

 

Studenti che partecipano a un corso basato sul metodo dell’unschooling a Somerville, Massachusetts (Melanie Stetson Freeman/ The Christian Science Monitor via Getty Images)

 

 

il venerdì Scienza

Unschooling, bambini che imparano da soli

30 OTTOBRE 2019

Non è l’homeschooling, dove si studia a casa con i genitori, ma una scelta ancora più estrema. Prevede che i piccoli apprendano a leggere, scrivere e a fare i conti senza alcuna guida

DI GIULIA VILLORESI

 

Ecco una notizia abbastanza sorprendente: i bambini che non vanno a scuola imparano lo stesso a leggere, scrivere e far di conto, senza bisogno di alcun tipo di lezione. Semplicemente, imparano da soli,  a patto che l’ambiente sia abbastanza ricco di stimoli. Ma procediamo con ordine: esistono davvero bambini che non vanno a scuola? Sì, sono previsti dalla maggior parte dei sistemi educativi occidentali e nei Paesi anglofoni sono in costante aumento. Negli Stati Uniti, per esempio, in dieci anni il loro numero è cresciuto di oltre il 60 per cento e oggi si attesta intorno ai due milioni.La maggior parte di loro fa il cosiddetto homeschooling, cioè un percorso di istruzione interamente gestito dalla famiglia, spesso con obiettivi ispirati ai curriculum scolastici. Poi però c’è anche la scelta più radicale: l’unschooling. Qui la definizione di cosa, come e quando imparare è totalmente lasciata ai bambini. Con quali risultati? Secondo un recente studio del National Home Education Research Institute (l’Istituto di ricerca americano sull’educazione parentale), i punteggi raggiunti dagli unschooler nei test standardizzati sono in media più alti di quelli dei loro compagni scolarizzati.In Italia esce il primo libro che spiega come funziona questo metodo e quali sono le sue basi scientifiche: Io imparo da solo. L’apprendimento spontaneo e la filosofia dell’unschooling (Terra Nuova) di Elena Piffero, mediorientalista esperta in politiche dello sviluppo sostenibile e madre di tre unschooler. “Visto che la maggior parte dei testi su questo approccio è in lingua inglese” spiega “ho deciso di scrivere il libro che avrei voluto leggere. Oggi sappiamo che l’unschooling offre infinite possibilità per lo sviluppo cognitivo e relazionale. Per cui, se si vuole avviare un dialogo serio sull’educazione dei bambini, argomento urgente e cruciale, non si può escludere questa prospettiva”.In effetti, la psicologia dello sviluppo e la pedagogia hanno da tempo evidenziato i limiti dell’attuale modello educativo. Il sistema scolastico, sostengono, sopprime la cosiddetta neurodiversità, ovvero premia il pensiero analitico e la memoria a breve termine penalizzando il pensiero intuitivo e la creatività; le lezioni formali non stimolano l’attenzione, anzi la inibiscono, compromettendo il processo d’apprendimento; i voti antepongono il rendimento alla conoscenza. A questo si aggiungono i danni emotivi e relazionali prodotti da un sistema fortemente competitivo, che vieta ai bambini l’attività che più di ogni altra contribuirebbe al loro sviluppo psicocognitivo: il gioco. Nulla che non avesse già detto Maria Montessori agli inizi del Novecento. Solo che oggi sappiamo qualcosa di più: ovvero che in virtù di quello che è stato chiamato autoapprendimento, o apprendimento spontaneo, i bambini possono istruirsi da sé, perché sono biologicamente predisposti a inserirsi nella vita culturale e sociale che li circonda.

Lasciateli giocare

Peter Gray

Articolo acquistabile con 18App e Carta del Docente
Traduttore: A. Montrucchio
Editore: Einaudi
Collana: Einaudi. Stile libero extra
Anno edizione: 2015
In commercio dal: 31 marzo 2015
Pagine: 287 p., Brossura

 18 euro, prezzo pieno

Descrizione

Tanto nel tempo libero – in cui ogni forma di scoperta e avventura è proibita fuori dal controllo dei genitori – quanto a scuola – dove vigono la competizione, la disciplina e la tortura dello studio al banco – per i bambini non esistono più spazi di autonomia. Qual è il risultato? Una gioventù ansiosa e disinteressata, che percepisce la vita come una corsa a ostacoli. Ma un modello alternativo esiste. Un modello che sostiene la curiosità, la gioiosità e la capacità di socializzare, e che dà ai ragazzi l’opportunità di crescere liberamente. Mettendo in discussione molto di ciò che diamo per scontato in tema di formazione, “Lasciateli giocare” ci ricorda che i bambini sono esseri pensanti e pieni di risorse, non dei prigionieri. E che l’educazione non deve essere una punizione, ma un’aspirazione naturale, una gioia.

 

Peter Gray, psicologo evolutivo del Boston College e autore del celebre Lasciateli giocare (Einaudi), ha studiato il fenomeno e ritiene che la sua efficacia sia iscritta nel nostro Dna: siamo ancora dei cacciatori-raccoglitori (lo siamo stati per il 99 per cento della nostra storia evolutiva), dunque biologicamente programmati per imparare attraverso l’osservazione, l’imitazione e il gioco, piuttosto che all’interno un sistema coercitivo fondato su lezioni formali. In sostanza,  c’è una “discrepanza evolutiva” tra il metodo scolastico e le basi innate dell’apprendimento.”A questo proposito” racconta Elena Piffero “ricordo i tentativi di avvicinare la mia prima figlia all’alfabeto. Avevo fabbricato delle lettere di cartoncino: lei era palesemente disinteressata e preferiva usarle per costruire delle strade per i suoi pupazzi. Così ho lasciato perdere. Qualche settimana dopo, mi ha portato un disegno su cui aveva scritto correttamente il suo nome e quello della sorellina. Stava imparando a riconoscere le lettere e a scrivere da sola. E io non avevo idea di come stesse facendo”.L’apprendimento infantile ha leggi caotiche e avviene perlopiù a livello subconscio: ecco perché i genitori degli unschooler non sanno dire precisamente quando, e come, il figlio abbia imparato a leggere o a padroneggiare il calcolo. Tuttavia, grazie a ricerche come quelle di Alan Thomas e Harriet Pattison, dell’Università di Londra, sappiamo che ci riescono senza difficoltà. Tutti gli unschooler, per esempio, raggiungono buoni livelli di matematica funzionale, cioè quella che permette a un adulto di funzionare nella vita di tutti i giorni; i bambini particolarmente interessati alla materia, in un centinaio di ore di studio riescono poi a coprire l’intero programma di matematica delle scuole dell’obbligo. L’apprendimento spontaneo della lettura avviene tra i cinque e i nove anni mentre le abilità di scrittura,  specialmente in corsivo, in genere si sviluppano più tardi.Gli unschooler, quindi, sono tendenzialmente più lenti dei coetanei nel raggiungere gli obiettivi dell’istruzione tradizionale. Tuttavia, osserva Piffero, “non esiste nessuna prova a sostegno dell’alfabetizzazione precoce; ne esistono molte, invece, che dimostrano che ogni bambino ha i suoi tempi, e che forzarli può avere ripercussioni sulle capacità di apprendimento“. E materie come storia, scienze, geografia? “L’unschooler avrà sicuramente delle lacune sui programmi ministeriali, così come i suoi compagni scolarizzati avranno delle lacune rispetto al suo bagaglio di conoscenze”. Il fatto che fuori dalla scuola le informazioni siano per così dire allo stato grezzo costringe i bambini a lavorarci su, a metabolizzarle, ad affrontare le contraddizioni in modo molto più intenso che nello studio formalizzato. Ecco perché gli unschooler di solito leggono molto, sono creativi, empatici e hanno grandi capacità di concentrazione e nel problem solving. Prova ne sia che università come Harvard, Stanford, Yale, Princeton, il Massachusetts Institute of Technology riservano una quota di iscrizioni a ragazzi che non sono entrati nel sistema d’istruzione. Ci si potrebbe chiedere se l’essere dispensati dalla maggior parte nelle attività quotidiane dei coetanei non comporti un certo grado di solitudine. “No, se ci sono opportunità sociali frequenti” dice Piffero. Uno studio uscito nel 2017 sul Journal of Educational Research, per esempio, mostra che i bambini unschooler e homeschooler hanno un tasso di depressione più basso rispetto ai coetanei che vanno a scuola; e anche l’unica indagine sugli adulti non scolarizzati ha fornito risultati incoraggianti (ma non è stata condotta su un campione statisticamente significativo). L’unschooling resta dunque un’opzione audace, specie in Italia, dove è ancora difficile trovare informazioni in materia (è legale, ma prevede che i genitori presentino ogni anno il figlio a un esame che verifichi il raggiungimento degli obiettivi didattici minimi). “Assumersi la piena responsabilità in aree in cui le persone di solito delegano la responsabilità ad altri, come l’istruzione, comporta indubbiamente una scelta di vita” conclude Piffero. “E, per questo, l’unschooling non è per tutti”.

Sul Venerdì del 31 ottobre 2019

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