GIULIANO ALUFFI, Ascolta che buon sapore– repubblica./ venerdi’ /SCIENZE / 1° ottobre 2018 — INTERVISTA A RACHELE HERZ, NEUROGASTRONOMA

 

 

repubblica./ venerdi’ / 1° ottobre 2018

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(Getty Images)

 

 

Ascolta che buon sapore

 

 

 

Il rumore fa percepire di più l’amaro. Se un cibo è bello sembra anche più buono. Al buio si mangia meno. Una neurogastronoma svela lo strano rapporto tra il gusto e gli altri sensi

DI GIULIANO ALUFFI

 

Quando, nel 2013, la Kraft smussò gli angoli della barretta di cioccolato Dairy Milk, l’Inghilterrra si ribellò: i giornali vennero tempestati da mail che definivano la barretta «troppo zuccherosa», «stucchevole», «tutta sbagliata». Eppure la ricetta era rimasta identica. «Fu un’eclatante dimostrazione del potere dei meccanismi di cui si occupa la neurogastronomia, la scienza che studia le interazioni tra il gusto e tutti gli altri sensi». A dirlo è Rachel Herz, docente di neuroscienze alla Brown University di Providence e autrice del saggio Why You Eat What You Eat: The Science Behind Our Relationship With Food (Perché mangi quello che mangi. La scienza della nostra relazione con il cibo, pubblicato da W.W. Norton). Facendo luce su tutto ciò che ha il potere di farci sembrare delizioso un cibo scialbo o stomachevole un manicaretto, la neurogastronomia è una miniera di trucchi in grado di trasformare chi la studia in un vero  “hacker del gusto”. Oltre a dargli la capacità di risolvere misteri bizzarri, come è capitato a Robin Dando, neuroscienziato della Cornell University.«Qualche anno fa la Lufthansa si domandò come mai i passeggeri a bordo dei suoi aerei consumassero tanto succo di pomodoro e tanta birra» dice Herz. «Dando trovò la risposta: era tutta una questione di rumore. Quello tipico delle cabine d’aereo attenua la sensazione del dolce, del salato e dell’aspro, non intacca il sapore amaro e aumenta l’intensità dell’umami, il “quinto gusto”, tipico di cibi ricchi dell’amminoacido glutammato, come il pomodoro e i funghi». Ciò spiega perché il sapore del cibo sugli aerei sia tutt’altro che eccellente: se i toni dolci, aspri e salati si attutiscono e l’amaro resta intatto, ogni alimento sembrerà, appunto, spiacevolmente amaro. «L’avversione che abbiamo verso l’amaro ha un senso evoluzionistico preciso: in natura l’amaro è un prezioso indicatore della presenza di tossine, come quelle in certe bacche o nella carne marcescente» spiega Herz. «L’espressione facciale che ci viene istintiva quando assaggiamo qualcosa di molto amaro è la stessa del disgusto, a labbra serrate, e ha proprio la funzione meccanica di ostacolare l’ingresso di sostanze nocive attraverso la bocca».La ragione per cui questi sapori cambiano con il rumore va cercata nei nostri nervi. «Quelli che convogliano verso il cervello gli stimoli rilevanti per il gusto  sono tre nervi craniali: la corda del timpano, che è un ramo del nervo facciale, il nervo glossofaringeo e il nervo vago. In particolare, la corda del timpano attraversa una membrana dell’orecchio medio e, in quel punto, i rumori forti disturbano la trasmissione del segnale: attenuano la sensazione del salato e del dolce e invece amplificano la sensazione dell’umami. Così l’umile pomodoro diventa una prelibatezza d’alta quota».Ancora più capace di sviarci è però il senso dell’olfatto: «Gli odori danno un grande contributo alla sazietà: per questo chi perde l’olfatto, come può capitare in seguito a un trauma cranico, tende a diventare obeso» spiega Herz. «Inoltre il profumo del cibo può influire sul gusto: per esempio, come mostra uno studio del 2013 dell’Università di Dresda, basta sentire l’odore del bacon per avere la sensazione che quello che mangiamo sia più salato di quello che è in realtà. E questo vale anche per l’aroma del prosciutto, che può far sembrare il formaggio fino al 40 per cento più salato. Senza un solo granello di sale in più». Buono a sapersi per gli ipertesi. Sull’olfatto può puntare, per distrarsi dal cibo, anche chi voglia smaltire qualche chilo. Anche se stiamo fantasticando su una deliziosa torta al cioccolato, la percezione di un odore non alimentare, come il profumo di gelsomino, fa diminuire la voglia di dolce. Lo ha mostrato Eva Kemps, psicologa della Flinders University australiana. Il senso che si presta di più a manipolazioni utili a conciliare gusto e salute è però la vista. «Anzitutto possiamo sfruttare il suo enorme potere di distrazione» spiega Herz. «Studi recenti della stessa Eva Kemps mostrano che, se ogni volta che si è assaliti dalla voglia di cibo, si guarda per una decina di secondi sullo schermo dello smartphone il “rumore visivo dinamico” dei televisori senza segnale – magari impostato come salvaschermo – si riducono la fame e, di conseguenza, le calorie ingerite. Uno studio sulla rivista Addictive Behaviors mostra poi che anche giochi come il Tetris possono farci sentire meno affamati». Detto questo, l’effetto generale della vista è piuttosto semplice: più cibo vediamo, più vogliamo mangiare. Così Rachel Herz suggerisce a chi vuole dimagrire di avvolgere i propri panini in carta stagnola invece che con involucri trasparenti – mentre è del tutto comprensibile che i baristi facciano l’opposto – e magari di imparare a cenare all’oscuro. «Il buio ha un forte effetto deterrente sul gusto» spiega la neuroscienziata. «Studi mostrano che se si mangia bendati, o comunque con gli occhi chiusi, ci si sazia con il 25 per cento di calorie in meno. Questo avviene anzitutto per l’assenza di seduzioni visive: ci basta vedere un alimento perché l’organismo si prepari chimicamente ad accoglierlo, per esempio aumentando la produzione di insulina: la prima digestione non avviene in bocca, come si dice, ma nell’occhio. E a farci passare l’appetito è anche un retaggio evolutivo: se non vediamo ciò che ci mettiamo in bocca, il cacciatore-raccoglitore del Pleistocene che è ancora in noi – e che ogni volta che provava una bacca sconosciuta rischiava la vita – teme di ingerire qualcosa di pericoloso. Così mangiamo più lentamente e senza eccessi. Invece tendiamo ad eccedere nel cibo quando siamo in compagnia: secondo lo psicologo John de Castro mangiare con un’altra persona ci fa consumare il 33 per cento di cibo in più rispetto a quello che mangeremmo da soli. Con tre commensali la percentuale sale al 58 per cento e con cinque al 70. Ma questo forse dipende soltanto dal tempo in più che passiamo a tavola».Il piacere visivo del cibo si può sfruttare però anche per nutrirsi in modo più salutare. «In un esperimento ideato dallo psicologo Charles Spence, dell’Università di Oxford, è emerso che un’insalata disposta in modo da ricordare il Dipinto n. 201 di Kandinsky è stata giudicata molto più gustosa rispetto a insalate composte dagli stessi ingredienti ma mischiate a caso» osserva Herz. «Se si vuole poi sfruttare l’autosuggestione per salvare la silhouette, teniamo presente che davanti a uno stesso cibo il nostro metabolismo si comporta in due modi diversi a seconda che questo ci venga presentato come ipercalorico o come dietetico. Nel primo caso la grelina, l’ormone dell’appetito, dopo trenta minuti crolla decisamente, dando al metabolismo il segnale che siamo sazi. Quando mangiamo qualcosa che è etichettato come “dietetico”  invece il livello di grelina rimane più costante». E questo indipendentemente dal fatto che il piatto sia davvero dietetico o no.

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1 risposta a GIULIANO ALUFFI, Ascolta che buon sapore– repubblica./ venerdi’ /SCIENZE / 1° ottobre 2018 — INTERVISTA A RACHELE HERZ, NEUROGASTRONOMA

  1. Donatella scrive:

    Penso che sarebbe orribile mangiare al buio e senza odori.

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