GIULIANO ALUFFI, INTERVISTA ALLO PSICHIATRA NEUROLOGO ERIC KANDEL ( VIENNA, 1929 ) :: Robinson :: La vita d’artista val bene un neurone — REPUBBLICA DEL 23 NOVEMBRE 2018

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REPUBBLICA DEL 23 NOVEMBRE 2018

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Robinson :: La vita d’artista val bene un neurone

 

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Eric Richard Kandel (Vienna, 7 novembre 1929) è un neurologo, psichiatra e neuroscienziato statunitense.

Professore di biofisica e biochimica presso la Columbia University dal 1974, è uno dei maggiori neuroscienziati del XX secolo. È il primo psichiatra statunitense ad aver vinto il premio Nobel per la medicina, conseguito nel 2000 per gli studi effettuati sulle basi fisiologiche della conservazione della memoria nei neuroni, premio che condivide con i colleghi Arvid Carlsson e Paul Greengard.

 

 

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Eric Richard Kandel nasce a Vienna il 7 novembre 1929 da Charlotte Zimels, nata nella regione della Kolomyya (Ucraina) in una famiglia di media borghesia, e Hermann Kandel, nato invece in una famiglia povera a Olesko, una piccola città ora parte dell’Ucraina. Entrambi i genitori si trasferiscono a Vienna all’inizio della prima Guerra Mondiale e si sposano nel 1923 poco dopo aver aperto un negozio di giocattoli. Nel 1924 nasce suo fratello Lewis e tutti insieme vanno a vivere in un piccolo appartamento della capitale austriaca, non lontano dall’abitazione di Freud, fino al 1939 quando sono costretti ad emigrare negli Stati Uniti a causa delle leggi razziali istituite dal Terzo Reich. I primi ad espatriare sono i nonni materni, successivamente nell’aprile del 1939 Eric e Lewis ed infine i genitori pochi giorni prima che scoppiasse la seconda Guerra Mondiale. Si trasferiscono inizialmente a Brooklyn dallo zio che li aiuta molto fino a quando il padre riesce a guadagnare abbastanza soldi per comprare un appartamento, affittare ed aprire un negozio di vestiti che gestirà con la moglie fino alla sua morte nel 1976.

Kandel ricorda perfettamente l’anno passato a Vienna sotto il regime nazista, ed è consapevole che le esperienze di quel periodo l’abbiano spinto ad interessarsi agli studi della mente, del comportamento e dell’imprevedibilità delle persone, delle contraddizioni e complessità delle azioni umane.

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Eric_Kandel

 

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Sì, ora è provato: la creatività si nutre di disturbi. Occhio a non generalizzare, avverte però Eric Kandel in questa intervista: il genio può nascondersi anche nella normalità. E se lo dice lui che è un Nobel

 

DI GIULIANO ALUFFI

Per capire l’arte, oltre a coglierne le emozionanti manifestazioni attraverso i nostri sensi, dobbiamo osservare cosa succede ai neuroni. Perché l’arte, anche quella più astratta, ha bisogno della biologia del cervello per trasformarsi in realtà. Lo spiega Eric Kandel, Nobel per la medicina nel 2000 per la scoperta della base molecolare e genetica dei ricordi, nel suo nuovo libro La mente alterata.

La mente alterata. Cosa dicono di noi le anomalie del cervello

Eric R. Kandel

Traduttore: Gianbruno Guerrerio
Editore: Cortina Raffaello
Collana: Scienza e idee
Anno edizione: 2018
In commercio dal: 22 novembre 2018
Pagine: 338 p., ill. , Brossura
EURO 27, PREZZO PIENO

 

Gli 86 miliardi di neuroni del cervello comunicano tra loro attraverso connessioni molto precise. Se queste connessioni sono interrotte o alterate, i processi cerebrali che danno origine alla nostra mente possono venirne disturbati, portando a malattie come la depressione, la schizofrenia, il morbo di Parkinson e l’autismo.

 

 

 

 

 

Lei scrive che i progressi nello studio della mente possono condurci verso un nuovo umanesimo. Che intende?

“Capire la mente umana ci aiuta ad apprezzare il modo in cui rispondiamo alla poesia, alla musica, il modo in cui siamo creativi, e così via.  È comprendendo certi aspetti del funzionamento del cervello che possiamo imparare di più sulla natura biologica delle arti umane. Il modo in cui reagiamo a un’opera d’arte ha un sostrato biologico, e anche la creatività ce l’ha: capirlo facilita la creazione di un ponte tra arte e scienza, che è ogni giorno più necessario”.

La creatività ha una base biologica?

“Oggi sappiamo che un precursore della creatività è il liberarsi dalle inibizioni, cosa che ci permette di trovare nuove e più libere connessioni tra le idee. I neuroscienziati Charles Limb e Allen Braun, in un affascinante esperimento che ha coinvolto alcuni pianisti jazz, hanno scoperto che subito prima che iniziassero a improvvisare, nel loro cervello si disattivava la regione responsabile delle inibizioni: la corteccia prefrontale dorsolaterale.

Questa stessa regione, invece, tornava attiva quando i musicisti eseguivano – senza improvvisare – un brano memorizzato”

.Quindi la disinibizione come motore per produrre arte…

“C’è anche una questione di misura. Se lasci scorrere i pensieri troppo fluidamente potresti diventare del tutto “selvaggio” e incontrollabile. E in quel caso non sarebbe una creatività produttiva. Per produrre arte, la disinibizione deve esserci ma deve anche essere, in qualche modo, circoscritta”.

Quanto è importante, per la creatività e quindi per l’arte, la differenza tra i due emisferi del cervello?

“L’emisfero destro sembra avere un ruolo decisivo nell’essere creativi, per quanto ragionare in termini di emisferi destro e sinistro sia troppo semplificatorio per una realtà complessa come la creatività. Uno studio ha mostrato che quando abbiamo uno dei classici momenti “Ah-ha!”, i colpi di genio che ci permettono di risolvere un problema, si illumina una regione dell’emisfero destro.

E si è visto che danni all’emisfero sinistro liberano le capacità creative dell’emisfero destro. Per esempio, il neurologo Bruce Miller ha scoperto che chi soffre di demenza frontotemporale nell’emisfero sinistro può mostrare vere e proprie esplosioni di creatività. Così chi dipinge può decidere di usare colori e forme mai usati prima e chi non ha mai dipinto può da un giorno all’altro mettersi a dipingere”.

A cosa si deve?

“Al fatto che i due emisferi del cervello si controllano – e nel farlo, si limitano – a vicenda, e disturbi all’emisfero sinistro rimuovono i vincoli inibitori che imbrigliano quello destro. Inoltre l’emisfero destro tende a rispondere in maniera più blanda a uno stimolo ripetuto, come se si annoiasse: è quindi molto più sensibile dell’altro agli stimoli nuovi. E questo ha senz’altro a che vedere con la creatività”.

Cosa ci può dire sulla creatività lo studio dei disturbi cerebrali?

“Si è visto che chi soffre di disturbo bipolare dell’umore e psicosi maniaco-depressive può diventare molto creativo. Questo perché uscire dalla fase depressiva, dove si è poco o nulla produttivi, ed entrare in quella maniacale è così esaltante che le persone avvertono un’ispirazione fenomenale, si sentono piene di energia creativa e sessualmente euforiche. E ciò li stimola a fare, in certi casi, lavori artistici straordinari.

Virginia Woolf, Vincent van Gogh e Edvard Munch, per esempio, soffrirono di disturbo maniaco-depressivo.

E tra gli scrittori – lo dice uno studio della neuropsichiatra Nancy Andreasaen – la probabilità di avere un disturbo bipolare è quattro volte maggiore rispetto alla media”.

C’è altro che può aiutarci a fare luce sui misteri del genio?

“Premesso che la creatività è una parte importante di tutti noi – non dobbiamo pensare che il genio artistico sia per forza correlato con disturbi del comportamento – esistono risultati interessanti sulle persone con alto numero di tratti autistici: sembra che abbiano un accesso più diretto a idee originali e poco comuni perché si affidano meno alle associazioni mentali e alla memoria. È vero che in genere le associazioni mentali aiutano a sfornare più idee, ma è anche vero che, insieme ai ricordi, possono ancorare il pensiero a qualcosa di già esistente. E quindi potrebbero limitare la creatività più spinta, quella che porta a concepire idee radicalmente nuove”.

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