LUCA DE CAROLIS :: Di Maio è al bivio: decide se lasciare. Guerra interna sul Pd –IL FATTO QUOTIDIANO DEL 21 GENNAIO 2020

 

 

IL FATTO QUOTIDIANO DEL 21 GENNAIO 2020

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Di Maio è al bivio: decide se lasciare. Guerra interna sul Pd

Di Maio è al bivio: decide se lasciare Guerra interna sul Pd

A giorni, se non ore, il capo politico comunicherà la sua scelta di dimettersi o meno. I 5S sono in pieno congresso

 

di Luca De Carolis | 21 GENNAIO 2020

 

Ci siamo quasi: per Luigi Di Maio e per tutto il M5S. Da qui a breve, pochissimi giorni o addirittura poche ore, il capo politico deciderà se lasciare o meno la carica di capo politico dei Cinque Stelle. E fuori dalla sua porta c’è un Movimento che sa e aspetta, sfinito.

E nell’attesa di fatti definitivi già si ragiona sulla fase di transizione, cioè sulla reggenza di Vito Crimi e degli altri due membri del comitato di Garanzia, Roberta Lombardi e Giancarlo Cancelleri.

Soprattutto, il M5S è già in pieno congresso, diviso sul tema che riempirà gli Stati generali di marzo, la rotta e collocazione politica da qui a medio termine.

 

La battaglia sulla rotta

 

Deve scegliere da che parte stare il M5S, se abbracciare definitivamente il Pd (o ciò che ne prenderà il posto) oppure se ripartire dall’autocrazia, o meglio “se tornare al 2013” come scandisce un big che a sinistra proprio non vuole andare.

Quasi bellico: “Dobbiamo tornare al Movimento che stava da solo, recuperare quello spirito”. Molto più simile al M5S “ago della bilancia” di cui ha sempre parlato Di Maio. Ma Beppe Grillo, il Garante, e Giuseppe Conte, il presidente del Consiglio, vogliono altro, stare in un nuovo centrosinistra.

E come loro tanti ministri. Invece diversi esponenti di spicco sui territori remano in direzione opposta. “C’è una contrapposizione tra molti del Movimento di governo e quello a livello locale” sostiene un veterano. Di certo questa è la faglia attorno a cui si stanno organizzando e contando le truppe.

Con alcuni dimaiani di rango che hanno già giurato di volersi sottrarre all’abbraccio sempiterno con i dem, dalla viceministra all’Economia Laura Castelli a Jacopo Berti, capogruppo in Veneto e membro del collegio dei probiviri. Ma da quella parte del fiume stanno anche il viceministro allo Sviluppo economico, il lombardo Stefano Buffagni, e il big che per ora sta a guardare dall’Iran, Alessandro Di Battista.

Dall’altra, il presidente della Camera Roberto Fico, il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà, quello allo Sport Vincenzo Spadafora (dimaiano eterodosso, in questo). Fino al titolare del Mise, Stefano Patuanelli, che ieri ha ribadito qual è il cuore della questione: “Il Movimento deve fare un momento di analisi del perimetro politico in cui agisce, e da questo punto di vista io darò il mio contributo”. Sillabe da mozione, dal 5Stelle più citato come possibile sostituto di Di Maio. E infatti Patuanelli non tira indietro la gamba: “Sta a Luigi fare le scelte che vorrà fare, non è certamente la questione della presenza del capo politico ciò di cui dobbiamo parlare negli Stati Generali che faremo a marzo. Secondo me c’è bisogno di una leadership forse più diffusa”. Quindi basta al capo solitario.

 

Il leader e l’esigenza di una nuova fase

 

Basta alla gestione del Di Maio che deve solo decidere: se e come lasciare, oppure se e come continuare. Perché le modalità, perfino le sfumature conteranno, soprattutto ora che lo stesso leader ammette l’esigenza di cambiare, di una nuova fase.

Ha riconosciuto che “un capo da solo non ce la può più fare” e quindi ragiona di organi collegiali, tanto da aver incontrato la sindaca di Torino Chiara Appendino per includerla nel progetto. Non potranno bastare le decine di facilitatori, i pilastri della nuova struttura voluta dal capo, che ieri si è formalmente completata con la votazione sulla piattaforma web Rousseau dei referenti regionali. I risultati verranno resi noti oggi. E gli ufficiali sui territori dovranno subito sbattere con assemblee regionali dilaniate sempre su quello, su dove e con chi andare.

È successo sabato in Veneto, con D’Incà a chiedere un voto su Rousseau per decidere le alleanze, e i maggiorenti locali compatti contro ogni accordo con i dem.

Ma volano stracci un po’ ovunque, dalla Liguria alla Campania, dove il ministro dell’Ambiente Sergio Costa rimane un’opzione possibile per tenere assieme dem e Movimento. “Certi 5Stelle di governo fanno già accordi sotto banco con il Pd” è l’accusa che rimbalza. E ovviamente la replica dei filo-dem è che “alcuni di noi hanno tanta, troppa nostalgia della Lega”. Tossine da battaglia congressuale, e in fondo è normale, è la politica.

 

Cercansi disperatamente regole per marzo

 

Conta di più l’argomento delle regole, perché gli Stati generali ad oggi non hanno neppure una sede, figurarsi norme definite. “Stanno ancora in alto mare, e mancano meno di due mesi” è la diffusa preoccupazione. Si sta discutendo di costruire un percorso sulla piattaforma Rousseau, con votazioni periodiche sui temi da inserire nell’assemblea. Ma è tutto ancora nebuloso. Danilo Toninelli, il facilitatore a cui Di Maio ha delegato l’organizzazione della tre giorni, è subissato di suggerimenti e pressioni. Mentre sul filo Roma-Milano, quello tra lo staff di Di Maio e l’associazione Rousseau, la creatura di Davide Casaleggio, si lavora a un metodo e a linee guida: condivisi, perché nonostante tutto il ministro e Casaleggio sembrano ancora allineati.

 

Espulsioni, la bomba sul governo

 

Nel frattempo mentre il capo politico si arrovella i probiviri stanno completando le sentenze sui 33 grillini sotto “processo” interno per le mancate restituzioni.

Se tutto va come previsto, i responsi arriveranno domani. Anche se da Roma, dicono, stanno chiedendo di rallentare. La certezza è che c’è un senatore a un passo dall’espulsione, Alfonso Ciampolillo, mentre è in bilico il suo collega Mario Michele Giarrusso. Non a caso Ciampolillo ieri ha provato la mossa, con una lettera ai probiviri in cui sostiene di non aver mai versato nel 2019 “come forma di protesta interna” e di essere “intenzionato a pagare le quote di mia spettanza ma solo dopo aver chiarito preliminarmente” i nodi politici. “Chiedo di essere sentito” conclude l’eletto pugliese.

Ma forse è tardi. Mentre si parla di 15-20 sospensioni in arrivo. E non è affatto un dettaglio, perché i sospesi finiranno tutti nel Gruppo misto. E recuperarli sembra complicato in questo quadro. Un problema, il milionesimo, per il M5S, e chiaramente anche per il governo. In eterna sofferenza, per le eterne spine a 5Stelle.

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