STEFANO FELTRI:: Più mercato contro corruzione e sprechi: il pensiero di Draghi — IL FATTO QUOTIDIANO DEL 22 GENNAIO 2020 –pag. 18

 

 

IL FATTO QUOTIDIANO DEL 22 GENNAIO 2020  –pag. 18

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Più mercato contro corruzione e sprechi: il pensiero di DraghiPiù mercato contro corruzione e sprechi: il pensiero di Draghi

Dietro il discorso c’era l’idea che le privatizzazioni non servissero solo a ridurre il debito, ma “a scuotere l’ordine socio economico” di una Italia avviata verso la bancarotta e il declino

 

di Stefano Feltri | 22 GENNAIO 2020

Meglio il capitalismo con la proprietà pubblica delle aziende o quello con lo Stato arbitro tra privati? Ora che il pendolo della storia oscilla di nuovo verso lo Stato azionista – Alitalia, Ilva, Montepaschi, Telecom – bisogna tornare al 1992 per capire se la scelta di smantellare il sistema di banche, finanziarie e imprese pubbliche è stato un errore, una necessità o una opportunità in gran parte sprecata.

“Si fa un’opera convincente di privatizzazione, improntata alla massima trasparenza (ribadisco che il concetto di trasparenza è estremamente importante) ed essa trasmette ai mercati finanziari un segnale di credibilità per l’Italia, che si traduce in tassi di interesse più bassi”, così l’allora direttore generale del Tesoro Mario Draghi spiegava nel 1993 il senso di quella stagione che si apriva all’insegna delle polemiche per la sua partecipazione a una riunione di banchieri inglesi e finanzieri italiani sullo yacht Britannia, il 2 giugno del 1992, a Civitavecchia.

Una delle infinite teorie del complotto straniero ai danni dell’Italia ha oscurato l’analisi di una scelta non soltanto finanziaria. Il discorso di Draghi sul Britannia, che il Fatto ha recuperato e pubblica per la prima volta, è uno spunto di riflessione di grande attualità.

Una associazione di banchieri inglesi, interessata alle privatizzazioni annunciate dal governo Andreotti, organizza una crociera di un giorno sul Britannia, rilevato dalla regina Elisabetta: Draghi definisce l’invito “esotico”, ma sia il ministro del Tesoro Guido Carli sia il governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi pensano che partecipare sia utile: la reputazione dell’Italia sui mercati è disastrosa, il governo Andreotti firma il 7 febbraio il trattato di Maastricht, ma nessuno crede che l’Italia possa rispettare gli impegni sui conti pubblici. Dieci giorni dopo, la Procura di Milano arresta un manager socialista, Mario Chiesa: l’inchiesta di Mani Pulite scoperchia la Tangentopoli dei partiti corrotti. Alla fine del 1992 il deficit supera l’11 per cento del Pil, il debito pubblico  si assesta sopra il 100 per cento del Pil. La lira barcolla, sotto attacco sui mercati, il tasso di interesse sui titoli di Stato supera il 12 per cento (oggi è all’1,36).

 

“Pensando che la nave si sarebbe staccata dal molo e che per una intera giornata di navigazione mi sarei trovato in contatto con quelli che potenzialmente sarebbero stati i miei clienti per i mandati da dare per le privatizzazioni (…) dopo aver svolto l’introduzione me ne andai e la nave partì senza di me”, racconta Draghi in Parlamento. Sul Britannia restano gli inglesi con politici, banchieri e avvocati italiani, da Giovanni Bazoli a Beniamino Andreatta a Giulio Tremonti.

Il governo Andreotti aveva avviato il processo di privatizzazioni con il più cinico degli obiettivi: fare cassa, per preservare un potere alimentato da mazzette, clientele e alti tassi di interesse pagati ai risparmiatori italiani che, grazie agli investimenti in titoli di Stato, si illudevano di arricchirsi a spese del Paese prossimo alla bancarotta. La visione di Carli, Ciampi e Draghi è diversa: le privatizzazioni sono una scelta capace di “scuotere l’ordine socio economico” dell’Italia, dice Draghi sul Britannia, purché vengano rispettate alcune condizioni, tipo vincolare i proventi alla riduzione del debito invece che usarli per spesa corrente (nasce un apposito fondo nel 1993).

La lettura del declino italiano che Draghi condensa nella sua relazione non è frutto di un pregiudizio ideologico sul ruolo dello Stato: fino agli anni Sessanta il capitalismo di Stato imperniato sull’Iri funziona, le barriere di cui il suo creatore Alberto Beneduce aveva dotato l’istituto che controllava pezzi cruciali dell’industria italiana reggono. E l’Iri è una specie di Banca d’Italia, dove tecnocrati con una visione di lungo periodo progettano la politica industriale. Poi le barriere cedono, i partiti prendono il controllo, le partecipate di Stato diventano – nella sintesi di Carli – una fonte di corruzione in senso giuridico ma anche morale, oltre che di perdite miliardarie. Le imprese pubbliche non hanno capitale, ma possono indebitarsi, con una garanzia implicita dello Stato. Poi nel luglio 1992, meno di un mese dopo il discorso del Britannia, il governo Amato mette in liquidazione l’Efim, finanziaria pubblica con oltre 10 mila miliardi di lire di debiti, e i creditori capiscono che i loro soldi sono a rischio, che l’Italia non può più pagare le perdite di carrozzoni pubblici che stanno trascinando a fondo lo Stato stesso.

Privatizzare serve dunque a fermare l’emorragia di denaro pubblico e a mettere ordine in un sistema di potere che risponde solo ai partiti. Ma l’obiettivo, spiega Draghi sul Britannia, è anche far sviluppare un mercato azionario che è sempre rimasto piccolo “perché gli investitori italiani lo hanno voluto piccolo”.

 

La legge bancaria del 1936, infatti, ha impedito alle banche di detenere quote azionarie nelle imprese. Ma ha anche creato un sistema in cui l’unica fonte di finanziamento per le aziende è il credito bancario: non c’è un vero mercato dei capitali, neppure un mercato obbligazionario in cui emettere bond, il trattamento fiscale dirotta il risparmio degli italiani verso i titoli dello Stato che controlla le banche. Il risultato è un intreccio perverso che soffoca Piazza Affari, ma offre opportunità a speculatori e criminali che prosperano in mercati poco liquidi e poco trasparenti, impedisce alle aziende di crescere e spinge i risparmiatori a inseguire i rendimenti illusori di Bot e Btp, erosi dall’inflazione e minacciati dal conto che, prima o poi, il debito pubblico presenta sempre.

Draghi spiega ai banchieri del Britannia che l’Italia non è l’Inghilterra, un processo così complesso sarà graduale, “non c’è alcuna Thatcher in Italia”, qualunque governo valuterà le conseguenze occupazionali. Draghi avverte anche che le privatizzazioni possono funzionare solo se accompagnate da riforme che garantiscano la concorrenza tra i nuovi protagonisti privati ed evitino “discriminazione dei prezzi” (spremere clienti senza alternative), servono anche misure che proteggano gli azionisti di minoranza e separino controllo e gestione nelle società quotate.

La lista di quello che bisognava fare e non è stato fatto è lunga. Draghi probabilmente riscriverebbe oggi quel discorso, parola per parola. Inclusa la parte che analizza perché gestire le aziende con logiche politiche e di consenso a breve termine è la premessa di disastri scaricati presto o tardi sui conti pubblici.

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1 risposta a STEFANO FELTRI:: Più mercato contro corruzione e sprechi: il pensiero di Draghi — IL FATTO QUOTIDIANO DEL 22 GENNAIO 2020 –pag. 18

  1. Donatella scrive:

    Le scienze economiche sembrano cose misteriose. Tutto sommato però rispondono a leggi semplici: se hai un debito, prima o poi lo devi pagare. Bisognerebbe analizzare ( sicuramente è stato fatto) dove sono andate a finire le somme per cui lo Stato italiano si è così fortemente indebitato.

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