MICHELE NERI :. RECENSIONE DI VARI LIBRI CON TEMA :: ” TRA PADRI E FIGLI TANTA LETTERATURA “, GUANDA 2019

 

 

REPUBBLICA.IT  — 21 DICEMBRE 2019

https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2019/12/21/news/tra_padri_e_figli_tanta_letteratura-243968330/

 

 

Tra padri e figli tanta letteratura

Dalla paternità secondo Michael Chabon a quella fatta di pesca e silenzi descritta da Patrik Svensson. Il rapporto intergenerazionale è al centro di molti titoli usciti in libreria negli ultimi mesi

 

DI MICHELE NERI

 

Traduttore: Bruno Arpaia
Editore: Guanda
Collana: Narratori della Fenice
Anno edizione: 2019
In commercio dal: 31 gennaio 2019
Pagine: 416 p., Brossura
19 euro, prezzo pieno

“In tutto c’è stata bellezza” è la storia familiare dello scrittore, nella quale la bellezza diventa una delle chiavi per leggere la vita dell’autore (o di ognuno).» – La Lettura. «Un libro magnifico, coraggioso e struggente» – Javier Cercas. «Un narrare che arriva al cuore della verità, e fa della vita di un personaggio un insegnamento universale» – El País. «Un’opera che nasce dalla perdita, e al tempo stesso dalla luminosità dell’amore» – La Vanguardia «Ci farebbe bene scrivere delle nostre famiglie, senza nessuna finzione, senza romanzare. Solo raccontando ciò che è successo, o ciò che crediamo sia successo.» Animato da questa convinzione, Manuel Vilas intreccia con una voce coraggiosa, disincantata, a tratti poetica, il racconto intimo di una vita sullo sfondo degli ultimi decenni di storia spagnola. Allo stesso tempo figlio e padre, Vilas celebra la presenza costante e sotterranea di chi non c’è più, il passato che riemerge a fatica dai ricordi, la lotta per la sopravvivenza che lega indissolubilmente le generazioni. Una narrazione che sottolinea l’umana fragilità, le inevitabili sconfitte, ma anche la nostra forza unica, l’inesauribile capacità di rialzarci e andare avanti, persino quando tutto sembra essere crollato. Perché i legami con la famiglia, con chi ci ha amato, continuano a sostenerci e a definirci, anche quando sono apparentemente allentati o interrotti. E proprio quei legami ci permettono di vedere, a distanza di tempo, che in tutto c’è stata bellezza: in molti gesti quotidiani e anche nelle parole non dette, nell’affetto trattenuto, inconfessato, a cui non possiamo fare a meno di credere e di aggrapparci.

 

 

In una riga del suo coraggioso In tutto c’è stata bellezza, Manuel Vilas riassume la genesi del romanzo: «Non dicendomi chi era, mio padre stava forgiando questo libro». L’autore spagnolo non è il solo ad aver avuto bisogno di sondare con la scrittura il grande enigma che riguarda ogni uomo: silenzi e aspirazioni, identità esibite e nascondimenti dell’uomo che l’ha gettato nel mondo, l’essere più prossimo e il più inspiegabile, il padre. Perfino rivisitare delusioni e disfatte transgenerazionali possono bastare all’accettazione dell’eredità per il figlio e alla motivazione per lo scrittore.

In questi mesi abbiamo letto di figli che accompagnano i padri nel loro declino psicofisico causato da politiche economiche disumane (i francesi E i figli dopo di loro di Nicolas Mathieu e Chi ha ucciso mio padre di Édouard Louis); di padri traditori di sentimenti come nella riedizione dell’ambiguo Acqua di mare di Charles Simmons. Di genitori oggetto d’indagini autodistruttive: in Mio padre, il pornografo Chris Offutt scava nel mistero del proprio padre Andrew, definito «Genio oscuro, egoista, crudele… un anarchico figlio di puttana».

Alla sua morte dovrà farsi largo attraverso i novanta metri lineari per otto quintali di peso di narrativa porno prodotta in segreto dal padre in cinquant’anni – per tutti era un autore di fantascienza – e usando 17 pseudonimi.  Addentrarsi in una mente abitata dalla passione per ogni permutazione sessuale e violenze sulle donne, porta il figlio alla depressione, medicata da una scrittura di una sensibilità estrema che va oltre l’auto-fiction.

Risultato immagini per mare dei sargassi -- carta geo

Mare dei Sargassi

 

Nel segno dell’anguilla

Patrik Svensson

Articolo acquistabile con 18App e Carta del Docente
Traduttore: Monica Corbetta
Editore: Guanda
Collana: Narratori della Fenice
Anno edizione: 2019
In commercio dal: 26 settembre 2019
Pagine: 288 p., Brossura
18 euro, prezzo pieno

Un padre, un figlio, una storia di formazione e di scoperta della natura.

«A libro finito questa anguilla rimane nella mente come qualcosa di molto perturbante» – Robinson

«Quando eravamo giù al torrente, non mi ricordo che parlassimo d’altro se non di anguille e del modo migliore per catturarle. O meglio, non mi ricordo proprio che parlassimo.»

Durante le magiche notti d’estate in cui i pipistrelli sorvolano il torrente al chiaro di luna, un padre e un figlio vanno a pesca di anguille ed escogitano sempre nuovi metodi per mettere le mani su questa creatura degli abissi, del buio e del fango, per catturare il suo corpo viscido e guizzante e guardare nei suoi occhi nerissimi. Dandole la caccia imparano a conoscersi, a cementare un rapporto fatto soprattutto di silenzi, ma anche di rispetto e complicità. La sfida con l’animale più sfuggente di tutti insegna al ragazzo a fare della natura una maestra, una guida. Nel ricordo di suo padre e delle tante cose rimaste fra loro non dette, Patrik Svensson racconta una storia di formazione sullo sfondo di un mistero che per millenni ha affascinato pensatori, scienziati, esploratori: da chi, come Aristotele, dell’anguilla ha studiato l’origine, l’essenza e le sorprendenti metamorfosi – essere anfibio, serpente di mare, pesce d’acqua salata o dolce – a un giovanissimo Freud che si è dedicato con ostinazione allo studio dei suoi meccanismi riproduttivi; fino ai biologi che hanno scandagliato gli oceani per seguire le sue migrazioni dal Mar dei Sargassi ai fiumi d’Europa e d’America, e ritorno. E oggi il rischio dell’estinzione accomuna il destino di questo animale a quello dell’uomo, facendone un simbolo dell’emergenza ambientale.

 

 

I figli sono disposti a tutto, pur di far pace con legami e vincoli nascosti, come si scopre in altre tre novità. Si dice sfuggente come un’anguilla. La scivolosità esteriore e la nebbia che ha avvolto per secoli – frustrando i tentativi, tra altri, di Aristotele e Freud – anatomia, evoluzione e riproduzione di questo pesce, è un’ottima metafora per l’elusività della figura paterna. Su un doppio binario di ricerca – dell’animale più ritroso e del confronto con le proprie origini nel padre, appassionato di questi pesci a rischio d’estinzione – procede un racconto affascinante e delicato: Nel segno dell’anguilla, esordio dello svedese Patrik Svensson (Guanda), presto tradotto in una trentina di Paesi. Da quando è bambino, l’autore condivide con il padre, operaio asfaltatore schiantato dalla fatica, l’unico interesse della pesca all’anguilla nel torrente vicino a casa. Sullo sfondo di serate a bordo acqua sotto il fruscio dei pipistrelli, Svensson descrive la condizione perturbante, il disagio di scienziati che pensavano di aver compreso la natura di quest’animale dotato di proprietà insolite (anche se vive in Europa, si riproduce soltanto nel lontanissimo Mar dei Sargassi, può raggiungere gli ottant’anni, nessuno è riuscito a vedere un’anguilla riprodursi né a farlo succedere in cattività), per poi ammettere l’insensatezza delle ipotesi, e la propria frustrazione a fare i conti con l’intima verità del padre. «“Sono strane, le anguille” ripeteva papà. Sembrava quasi trasognato quando lo diceva. Come se avesse bisogno del mistero. Come se il mistero riempisse un qualche vuoto dentro di lui».

Svensson figlio guarda le anguille negli occhi: nella loro enigmaticità, romanzata da Boris Vian e Günter Grass, legge i propri interrogativi. «Il lato nascosto dell’anguilla è anche il lato nascosto dell’uomo». Pur di trovare la propria casa, l’anguilla si fa trascinare dalle correnti per migliaia di chilometri. Nessuno comprende ancora il perché di tale sforzo, né l’autore riesce a giustificare, prima che il padre si ammali e muoia a causa degli anni passati in mezzo al catrame, i suoi silenzi, la freddezza di una vita. Scrive: «Non potevamo sapere, ma sceglievamo di avere fede, come alle volte si deve fare. Pescare significa proprio questo». Il figlio riceve comunque l’eredità che cercava, l’esortazione paterna mai pronunciata ma presente: «Il mondo è un posto assurdo, pieno di contraddizioni e disordine esistenziale; soltanto colui che persegue uno scopo ha anche la possibilità di trovare un senso alle cose. Bisogna immaginare l’anguilla felice».

Imprevedibili sprazzi di paternità

Michael Chabon

Traduttore: Francesco Graziosi
Editore: Rizzoli
Collana: Scala stranieri
Anno edizione: 2019
In commercio dal: 1 ottobre 2019
Pagine: 128 p., Rilegato
17 euro, prezzo pieno

Una meditazione estrosa ed elegante – niente di meno rispetto a quanto ci ha abituati il suo sguardo obliquo e sempre centratissimo – su cosa significhi essere genitori oggi. C’è, in questa sottile e impagabile collezione di pensieri, che prende spunto da episodi autobiografici, un tentativo sincero e meditato di mettersi in ascolto dei propri figli, di guardarli e capire quale sia il limite dell’intervento, delle parole da usare, della libertà da dare. Che poi, forse, è proprio lo stesso atteggiamento dello scrittore davanti a una nuova storia.

C’è un bel riscatto morale nei racconti su fedeltà e rifiuti che separano generazioni, raccolti da Michael Chabon in Imprevedibili sprazzi di paternità (Rizzoli). Reduce dall’esperienza di figlio trascurato dal padre – un pediatra concentrato sulla professione, e che abbandonò la famiglia quando il futuro premio Pulitzer era piccolo – Chabon descrive equivoci e sacrifici di allevare quattro figli soffermandosi sui vantaggi offerti da una paternità militante rispetto alla difesa delle comodità necessarie alla scrittura. Nell’istante in cui l’autore, a un party letterario e alla vigilia del proprio esordio, si era sentito così interpellare da un romanziere di successo: «Puoi scrivere ottimi libri (…) Oppure puoi fare figli. Sta a te decidere», l’infanzia aveva già scelto per lui. Rinunciare all’incerta gloria letteraria e invece «Esserci per i miei figli ogni volta che avessero avuto bisogno di me, a colazione, per fare i compiti, mentre imparavano a nuotare, a cucinare, ad andare in bicicletta…». Conclusi gli aneddoti ironici e teneri sulla convivenza con i quattro adolescenti avuti con la scrittrice Ayelet Waldman, Chabon può tornare a scrivere del padre: «Il rapporto che concepisco come davvero essenziale, fondante, nel bene e nel male, per la costruzione della mia identità» anche se riassumibile «nell’evitare con metodo qualsiasi interazione che non sia la più accessoria ed evanescente». E far pace con lui, anche se sarà una pace di carta: «Quando lui si sarà inoltrato in quella tenebra fin troppo immaginabile – non manca molto, ormai – avrò trovato un altro scopo per il superpotere che mio padre scoprì in me, una sera di mezzo secolo fa, e percorrerò i binari solitari della mia immaginazione fin nella trama che ci lega, nel futuro che intravedevamo e nella storia che abbiamo effettivamente accumulato; nel mondo svanito che un tempo comprendeva anche lui».

 

Il volontario

Salvatore Scibona

Articolo acquistabile con 18App e Carta del Docente
Traduttore: Michele Martino
Editore: 66th and 2nd
Collana: Bookclub
Anno edizione: 2019
In commercio dal: 29 agosto 2019
Pagine: 439 p., Brossura
20 euro, prezzo pieno

Imperdibile romanzo in cui viene narrato, con maestria, “un mondo che sorgeva dilatandosi dal basso, un mondo con un sole dentro che bruciava salendo dalla terra”» – Il Venerdì

«Con questo nuovo libro l’autore alza lo sguardo confermando il suo interesse per la narrazione su vasta scala temporale» – Robinson

Vollie Frade è un ragazzo dell’Iowa, un reduce del Vietnam. Vollie sta per Volontario, come lo chiamano tutti da quando ha scelto di arruolarsi nel corpo dei marine. Dopo 412 giorni di prigionia, unico sopravvissuto di una missione fantasma in Cambogia, Vollie ha deciso di cancellare il proprio passato, abbandonare i genitori, e diventare «nessuno». Così, quando un civile sibillino che ama citare la Bibbia lo contatta per unirsi a una cellula dei servizi segreti, Vollie assume l’identità di Dwight Elliot Tilly. È con questo nome, dopo l’epilogo scioccante del suo primo incarico, che cercherà di rifarsi una vita con Louisa e con il piccolo Elroy, conosciuti in un ranch abbandonato nel deserto del New Mexico, dove il vecchio compagno d’armi Bobby Heflin, fuggito chissà dove, aveva creato una comune fondata sull’autarchia e sul libero amore. Ma anche l’equilibrio di questa insolita famiglia senza legami di sangue finirà per spezzarsi, generando un rosario inesplicabile di violenze, lasciando i figli di fronte alle colpe mai espiate dei padri. A dieci anni dalla pubblicazione dell’esordio rivelazione «La fine» lo scrittore italoamericano Salvatore Scibona torna con un romanzo vasto per immaginario e ambizione, un’opera che la critica americana non ha tardato a paragonare a «Underworld», di Don De Lillo, per il gioco di corrispondenze che intrecciano, in una trama serrata e imprevedibile luoghi e periodi storici lontani, e per la maestria con cui muove le vicende individuali dei suoi personaggi nei gangli della storia ufficiale e di quella segreta degli Stati Uniti d’America. Un’opera che si inserisce a pieno titolo nella più alta tradizione del romanzo americano.

 

 

 

 

La più comune delle pene, il figlio che si sente indesiderato, si ripete per quattro generazioni maschili nella provincia degli Stati Uniti, dalla guerra in Vietnam a oggi.Il volontario di Salvatore Scibona (66thand2nd) è un’epica esplorazione dell’unaccommodated (disaddattato) man di Shakespeare (Re Lear), di chi è sprovvisto del necessario, un povero animale nudo spinto dalla mancanza d’amore paterno a rendersi invisibile, cancellandosi dalla memoria di chiunque. Dal bambino di cinque anni che piange perché abbandonato dal padre all’aeroporto di Amburgo, agli adulti che l’hanno preceduto e convinti di essere l’unica cosa che non andasse in un mondo perfetto, la condanna comune è il bisogno di scomparire. Un insegnamento, difficile, si trova lo stesso: evitare le sofferenze riconoscendo, come ha dichiarato l’autore in un’intervista, che si possa mettere da parte l’io, rinunciando a essere soggetto per diventare verbo, vivere, immersi senza limiti nell’ambiente circostante.

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1 risposta a MICHELE NERI :. RECENSIONE DI VARI LIBRI CON TEMA :: ” TRA PADRI E FIGLI TANTA LETTERATURA “, GUANDA 2019

  1. Donatella scrive:

    Ho letto un libro notevole, “Cane bianco”, di Romain Gary, pseudonimo di Romain Kacev. La scrittura è brillante, sovente sardonica, ma illuminata da una incrollabile fiducia nella superiorità del bene sul male. Si svolge tra la California e Parigi, negli anni del “Black power” negli USA e della contestazione in Europa. Viene messa a nudo ogni forma di violenza, che sovente può ammantarsi di subdole forme di pietismo. La vittima a volte è anche carnefice e, avendone il potere, eserciterebbe la stessa violenza contro cui combatte. Pur trattando temi così importanti, si legge ” divertendosi”. E’ anche un affresco storico degli anni della rivolta dei neri negli USA. Da leggere.

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