TOMASO MONTANARI :: TIEPOLO, IL PITTORE FELICE CHE INSEGUIVA LE NUVOLE- IL FATTO QUOTIDIANO DEL 27 MARZO 2020 ++ LINK AL FONDO CON IMMAGINI DEL TIEPOLO

 

IL FATTO QUOTIDIANO DEL 27 MARZO 2020

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/03/27/tiepolo-il-pittore-felice-che-inseguiva-le-nuvole/5750717/

 

Tiepolo, il pittore felice che inseguiva le nuvole

Tiepolo, il pittore felice che inseguiva le nuvole

Moriva 250 anni fa il maestro veneziano: non artista da museo, ma sublime “frescante” nei palazzi di tutta Europa

 

di Tomaso Montanari | 27 MARZO 2020

 

 

 

Esattamente duecentocinquant’anni fa, il 27 marzo 1770, a Madrid moriva l’ultimo gigante della nostra storia pittorica: il veneziano Giovan Battista Tiepolo.

Per sua e nostra fortuna, i cinquecentenari della morte di Leonardo (1519) e Raffaello (1520) gli hanno rubato la scena, risparmiandogli feroci strumentalizzazioni e infine evitandogli pure la tragicomica farsa toccata a Raffaello, quella di una mostra indecentemente inaugurata a pandemia iniziata (il 3 marzo…) e poi subito forzosamente chiusa per sempre.

Tiepolo, dunque: uno dei pittori più felici per questi giorni di clausura coatta tra quattro mura. Formatosi nella pittura ancora tenebrosa della Venezia settecentesca, infatti, Giovan Battista inseguì per tutta la vita la luce, l’aria, la leggerezza delle nuvole, la libertà di spazi infiniti. Una delle conseguenze di questa vocazione, è che Tiepolo non è un artista da museo.

Nonostante che abbia dipinto bellissimi quadri da cavalletto, egli raggiunge l’apice negli sterminati soffitti (da quello di Palazzo Clerici a Milano a quello della reggia del principe vescovo di Würzburg in Germania, da quello di Villa Pisani a Stra a quello della Sala del trono del Palazzo Reale di Madrid…), nelle grandi decorazioni monumentali.

Tiepolo è un grande frescante e dunque i suoi massimi capolavori sono cuciti alle pareti, inamovibili: in un’epoca in cui il rapporto con l’arte del passato si consuma sostanzialmente nelle mostre, Tiepolo ci obbliga invece a uscire di casa, seguendolo nei mille luoghi in Italia e in Europa dove i muri grondano della sua pittura di luce.

Prendiamone uno: Palazzo Labia, a Venezia.

Nel 1746 la famiglia che lo possedeva celebrò il primo secolo di nobiltà: comprata grazie agli sterminati proventi della sua attività mercantile. I Labia erano così ricchi che si raccontava di un antenato che, alla fine dei sontuosissimi banchetti che offriva, faceva gettare in canale le stoviglie d’oro su cui si era mangiato, scherzando così, in veneziano: “Che l’abia o non l’abia, sarò sempre Labia”.

Per celebrare quei cento anni di aristocrazia, i Labia chiesero a Tiepolo (e al suo fidato collega Girolamo Mengozzi Colonna, specialista di illusionistiche architetture dipinte) di trasformare il salone centrale del palazzo nella sala dei banchetti di Cleopatra.

La figura della celeberrima regina d’Egitto esercitava un gran fascino sull’élite veneziana del Settecento, che era ben conscia della decadenza economica e militare della Repubblica Serenissima, ma era anche snobisticamente convinta di superare le più giovani e muscolari potenze europee (come la Francia, che nel 1797 mise fine alla libertà veneziana) attraverso il gusto, il lusso, l’arte: proprio come Cleopatra aveva surclassato la Roma che pure ne conquistò il regno.

È proprio questo che Tiepolo celebrò, in affreschi che nonostante le traversie (una barca carica di munizioni scoppiata sul Canal Grande nel 1945, un restauro per lo meno discutibile…) conservano ancora tutto il fascino che fece innamorare Joshua Reynolds e Degas, Maupassant e Proust.

 

Siamo ad Alessandria, nel palazzo di Cleopatra aperto sul porto dove hanno appena attraccato le navi di Marc’Antonio: le grandi vele bianche, le bandiere che garriscono al vento, e la incredibile corte di orientali che circondano la sovrana fanno da cornice ad una straordinaria scena di seduzione. Il condottiero romano è vinto dal primo sguardo della “regina meretrice”: “Forse non esiste nella storia dell’arte un’opera che come questa rappresenti il turbamento all’apparire della bellezza” (Adriano Mariuz).

Nell’altra grande scena, i due sono a banchetto: Cleopatra ha scommesso che consumerà milioni di sesterzi in una sola portata. E mentre l’incredulo Antonio la guarda, ella scioglie nell’aceto una delle sue perle di leggendario valore: la sfida è vinta. Per secoli quelle sale hanno ospitato feste che si ispiravano al lusso sfrenato di Cleopatra: fino al 1951 quando vi danzarono, immortalati dal grande fotografo Cecil Beaton, invitati come Orson Welles, Salvador Dalì, l’ex re di Inghilterra Edoardo VIII, l’Aga Khan e il re d’Egitto, tutti rigorosamente in costume.

Bello il tempo in cui la Rai aveva la volontà e il denaro per rendere bene comune un palazzo nato per la ricchezza privata come questo: accadde nel 1964, ed era la stessa Italia che costruiva un grande servizio sanitario pubblico. Poi abbiamo cambiato idea: nel 2008 e ancora nel 2010 la Rai ha provato ad alienare Palazzo Labia, per fortuna senza riuscirci. Erano gli stessi anni in cui i posti letto in rianimazione venivano allegramente falciati.

Oggi abbiamo l’occasione di progettare un futuro diverso, di tornare al progetto della Costituzione: quello in cui perfino le perle di Cleopatra, trasformate da Tiepolo in purissima luce, dovevano appartenere al popolo.

 

 

 

MOLTE IMMAGINI DEL TIEPOLO E DI PALAZZO LABIA CON GLI AFFRESCHI

 

DONATELLA, grazie a ! STASERA, ALLE 21.5 SU RAI 5 — ART NIGHT, come ogni venerdi’ — stasera :: UNA CONFERENZA DI TOMASO MONTANARI, STORICO DELL’ARTE, SU GIAN BATTISTA TIEPOLO DAL TITOLO :. ” GLI ABISSI DI TIEPOLO “, con particolare riguardo agli affreschi di Palazzo Labia a Venezia, sede della RAI

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