MGP — :: ” LE OMBRE “, racconto – aprile 2020

 

 

LE OMBRE

 

 

Kathe Kollwitz The Widow I, 1821-22

 

 

 

 

 

Niente di più bello! Il mare, l’aria frizzante della vacanza, il sole del sud e una barca che solca una lunga striscia bianca. Gita alle foci dell’Acheronte.

Sì, perché esiste davvero l’Acheronte. Il fiume dell’Inferno, il fiume che portava agli Inferi. A tratti scorre sotterraneo, per questo gli antichi Greci pensavano che portasse nell’altro mondo. E ci credevano a tal punto da eleggere la zona a luogo del Culto dei Morti. L’estremità del mondo conosciuto cioè la costa più occidentale del loro orizzonte geografico, la provincia di Tesprozia, in Epiro. Il regno dei morti era immaginato sotto la terra e il suo ingresso era proprio lì alle foci del fiume del dolore, così chiamavano l’Acheronte. Per entrare bisognava superare delle prove per poi introdursi nel labirinto sotterraneo e uscirne sani e salvi, come un eroe. Un rituale complesso di lavaggi, diete purificatrici e sostanze speziate fino ad intontire le coscienze.

Il rumore sordo e ritmato del motore accompagna i pensieri vaghi dei gitanti, persi come i miei, nei fondali trasparenti dello Ionio. I colori rubano e trattengono ogni volontà di fare il più piccolo movimento. Qui e così potrei stare per un tempo infinito.

 

  • Acqua – mare – eco – ritorno – origine – Mi suggerisce John all’orecchio e io di risposta – Profondità – silenzio – morte.

Sono le dieci e siamo partiti da mezz’ora dal porto. Una ventina di gitanti e il marinaio, a poppa, vicino a noi. Appena ci siamo seduti ci ha parlato in tedesco, ma subito ci siamo fatti riconoscere.

 

  • Oh!! Italia!! – Ha esclamato, come dire “tutto più semplice” e ha continuato – Napoli. Io Napoli. Avvocato Niccoli. Rotary club. Lui chiama me. Barca qui in due giorni. Avvocato Niccoli. Rotary club. – Ripeteva soddisfatto.

Sembra un tipo calmo, ma deciso, un bell’uomo, con tanti capelli neri e le sopracciglia folte. Ha la faccia schietta di un giovane e la pancia di un vecchio bevitore di birra. Prima di prendere il largo ci siamo accostati alla banchina per la seconda volta e con fare sicuro egli ha preteso che le persone dirette alla baia Lichson scendessero dalla sua barca per andare su un’altra. Poi ha fatto salire una donna vestita di nero e ha caricato il suo cesto, con molta cura e facendosi aiutare da un altro marinaio per non rovesciare quello che era all’interno. La donna si è sistemata nell’angolo, come protetta dalla barra e di fianco allo spazio chiuso del motore, dove è stato posto il cesto.

Ora è seduta dalla parte opposta alla nostra, ha una bella figura magra e alta. Il velo nero le copre la testa, ma non nasconde i lineamenti del viso simili al profilo di una statua greca. Le ciglia nere e dritte contornano gli occhi tenuti bassi come a trattenere un sentire interiore.

Il capitano si avvicina a me per dirmi sottovoce un segreto, così sembra. Sulle prime non capisco, poi ripete.

– Va dai suoi morti.

 

Davanti a noi la costa. Passiamo vicino alle alture e agli scogli affioranti che sembrano caduti dalle rocce durante la notte. Un incavo oscuro borda la terra che si allunga sott’acqua. Le baie di sabbia bianca si alternano al profilo roccioso e si succedono raccolte e inaccessibili. Qualche canoa, qualche pallone da sub.

Cerco di familiarizzare con il nostro capitano per strappargli qualche storia popolare sui misteri delle profezie dei morti. – Nekio Manteion – gli dico cercando di catturare la sua simpatia. Mi dice che mi racconterà dopo, ora preferisce la compagnia di un altro greco. Non mi resta che leggere la guida che è in Inglese. Costringo John a leggere con me e a tradurre le parole che non capisco.

 

Già duemila anni prima di Cristo esisteva in quel luogo l’oracolo della Morte. E’ lo stesso approdo dove giunse Ulisse per sapere dall’indovino Tiresia come trovare la strada del ritorno. La descrizione di Omero si riferisce alla confluenza dei due fiumi nell’Acheronte, prima che questo sfoci in mare. Il vento spinse la nave nei sacri boschi di Persefone fino all’entrata nell’Ade. Quando giunsero alla grotta, Ulisse scavò un buco nella terra, vi versò latte e miele, vino dolce e acqua e tutto intorno grano. Poi pregò e sacrificò gli animali migliori. Allora comparvero le ombre. Gli spirito dei morti si affollarono intorno alla fossa, erano deboli, aspettavano di nutrirsi. Ulisse offrì loro il sangue caldo degli animali e conobbe il suo destino.

 

Il canneto alto si allunga sul mare. Entriamo nel fiume. Barche vecchie, pescherecci e piccoli motoscafi ai lati. Sulla sponda sinistra un bar con tavolini e le solite sedie di plastica di tanti colori. L’acqua è diventata verde. Le canne hanno lasciato il posto agli alberi che si spingono obliquamente sul fiume. Un tronco in mezzo all’acqua ci costringe a una deviazione. La donna in nero si sistema il velo sulla testa e continua a guardare in basso, forse sta pregando. Il traghettatore le dice qualcosa. Lei gli mostra una fotografia che teneva sul petto. Le loro mani si stringono. Intravedo il suo viso, non è vecchia, ma pare molto sofferente. Vorrei fotografarla, ma non oso. Alghe verdi e marrone ondeggiano sotto la barca. Al bivio continuiamo sulla sinistra aprendoci un varco nel letto di foglie sulla superficie dell’acqua. Gli alberi si chiudono a cupola sopra di noi e nascondono il sole. E’ quasi buio. Ci sono molte tartarughe sulla riva e radici rosse che sembrano serpenti. Potrei essere in perlustrazione in un fiume africano. Il nostro capitano, molto seriamente, ci invita a stare seduti, a non sporgere i gomiti o la testa fuori dalla barca: navigazione pericolosa. Di tanto in tanto la radio emette dei suoni acuti e una voce urla qualcosa di incomprensibile che fa ricordare un messaggio di guerra. Riprendiamo un po’ la velocità e subito dopo la curva rallentiamo per agganciarci a un pontile di legno. La barca sputa un potente sbuffo di fumo dentro l’acqua. Sembra proprio un fiume dell’aldilà. Scendiamo dalla Grigorachis (così si chiama la barca) per l’escursione alla Necropoli. Tre chilometri andata e ritorno.

  • No problem! No problem! – Ci rassicura il marinaio, tutto può rimanere in barca. Prendiamo solo la macchina fotografica e la borraccia. La donna vestita di nero scende per ultima. Finalmente la vedo per intero: ha anche le calze nere e un vestito grigio sotto quello nero. Immagino il suo corpo esile e bianco. Il capitano le passa il cesto che è coperto da un telo e ben chiuso. La donna arrotola un fazzoletto, se lo mette sulla testa, mentre l’uomo gli sistema il paniere al centro. Per tutta la strada i due camminano affiancati, mentre il gruppo si srotola dietro in una lunga fila scomposta.

La Necropoli si affaccia sulla collina. Meta di pellegrinaggi per viandanti ansiosi, alla ricerca di un contatto con i morti per conoscere, tramite loro, il proprio destino. I pellegrini si sottoponevano a riti di purificazione prima di entrare nel Regno di Ade: erano cibi speciali, pozioni di vino e acqua santa, racconti miracolosi e abluzioni. I resti rivelano i passaggi da una stanza all’altra, attraverso le successive purificazioni del corpo e dello spirito. Rimangono intatte le giare.

Acqua, silenzio, buio. Dovevano stare in silenzio e al buio per giorni e giorni. – – Vino e sangue di animali sgozzati. Dovevano risvegliare i morti con il sangue e dovevano cadere in trance, ubriachi persi. – Aggiunge John.

L’ultima prova era il labirinto dove sperimentavano la paura e la sensazione di perdersi. Ci sediamo per terra e ci rinfreschiamo con un po’ d’acqua della borraccia. – Non vorrei trovarmi in questo posto da sola di notte. – Commento – Vedrei ombre dappertutto. Paura, paura, paura, non c’è che da aver paura della paura. Chi lo diceva? –

 

  • Dopo la discesa nell’Ade – riprende a leggere John. – dovevano purificarsi ancora per via dei miasmi mortali che emanano i morti. Sai cosa significa Ade? “invisibile”, tutti i defunti diventavano ombre inconsistenti e rimanevano per sempre in un luogo buio e nebbioso. Non c’erano né premi né castighi, né Inferno, né Paradiso
  • Ma dove sono gli altri? Non vedo nessuno. Non è che ci lasciano qui? –
  • Sono andati sotto. –
  • Cosa c’è sotto? –

Ci avviciniamo all’apertura nella roccia. Guardo e non vedo niente. La scala sembra entrare nel terreno, come se scendesse nel buio senza fermarsi. John è già entrato e io lo seguo. Un buio totale e devo aspettare che le pupille si dilatino per vedere. Una serie di archi sostiene il soffitto di una grandissima stanza. In fondo e lateralmente la roccia emerge dalla galleria e per terra scava buche e rientranze di sasso. Eccolo il buio Palazzo di Ade e della bella Persefone rapita e portata agli Inferi. Mi sposto negli angoli, mi siedo, mi sento chiusa dentro una bara di roccia, dentro la terra.

Il buio è un baratro senza fondo. La mia grande paura, quando ero bambina. Il buio poteva possedermi e portarmi nell’abisso della morte. Era vivo, popolato da ombre che volevano strapparmi via. Non potevo salvarmi. Ombre che mi tiravano dentro per inghiottirmi. Ero paralizzata, non avevo scampo, non c’era possibilità di fuga dietro di me e se avessi fatto un passo là, dentro il buio, sarei precipitata nel burrone dell’Inferno. Era fitto, pieno di spiriti e tutti insieme volevano usare i loro poteri soprannaturali su di me. Anche ora non so se potrei salvarmi.

E’ questa la prova: il salto dentro il buio. E solo se superi la paura, se entri nello spazio nero, potrai sapere la verità sulla tua vita. Chi sei e chi sarai e qual è la tua misura. Se perdi i contatti con il fuori, con la luce, con la vita. Forse se muori o se dici sì, ora posso morire e senti il sangue che si gela nelle vene e il cuore che si ferma, allora sai. . . John mi prende la mano – Cosa hai detto? – – . . . Morte e resurrezione . . . –

 

Una voce dall’alto ci risveglia. – C’è ancora qualcuno? Stiamo andando. – Ci precipitiamo fuori. Di corsa giù per la collina per raggiungere gli altri. – Ha detto che è in ritardo. – – Chi? – – Il nostro capitano, per questo ci fa correre. – – Già il capitano, fa quello che vuole! – Cerco di raggiungerlo per parlargli, per sapere le leggende che mi ha promesso. Lo interrompo mentre parla con lo stesso greco. – Allora? – Gli chiedo – mi doveva raccontare . . . – – Ah! Sì. Vanno a parlare con i morti. Bevono, bevono e poi parlano con i morti. – Mi risponde molto seriamente. In quel momento mi accorgo che la donna in nero non è più vicino a lui. – E la donna con il cesto? – Gli chiedo – Ah lei, sì è rimasta là dentro. Lei vuole parlare con i suoi morti. Lei vuole sapere. – – E quanto tempo starà là da sola? – – Tornerò a prenderla tra due giorni. Ma non sarà sola, le ombre saranno con lei.

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9 risposte a MGP — :: ” LE OMBRE “, racconto – aprile 2020

  1. Maria scrive:

    Bellissimo! Avvincente ed intenso… sento il vissuto e la familiarità: sicuramente il viaggio ed il mito sono i temi che preferisco nei racconti.

    Per non avere troppa paura del buio, da bambina mi dicevo che finché contavo le ombre non mi avrebbero preso: contavo nervosamente ma avevo sempre un numero limite troppo alto, che mi permetteva di raggiungere la luce prima della fine 🙂

    • Chiara Salvini scrive:

      E’ bella la tua storia…perché non ne fai un raccontino…l’accoglieremmo a braccia aperte, chiara per il blog

  2. MGP scrive:

    Grazie Maria,
    sì, concordo con te sui temi del viaggio e del mito.
    E poi la paura del buio, mi pare che in quella paura cerchiamo noi stessi, chi siamo, come ci comportiamo, dove andiamo, cosa succederà domani e ancora dopo. In quel buoi cerchiamo le risposte a tutti gli interrogativi che ci accompagnano per tutta la vita, cerchiamo un senso.

    Forse solo agli eroi è concesso di scoprire il mistero, dopo il viaggio agli inferi e con l’aiuto delle ombre. Un abbraccio MGP

  3. Ivana scrive:

    Seduta davanti al mare, in un tempo senza spazio e in uno spazio senza tempo, scorro le pagine del tuo racconto. La gita in barca è un pretesto per scendere nel regno dei morti, solcando il fiume, per entrare nel buio silenzioso di noi stessi. E ne siamo spaventati. Non serve vedere, solo sentire per avvicinarci alla ” verità della tua vita”. Stare con le ombre, con le nostre ombre, forse ci permette di ” fare il salto nel buio”.
    Forse anche noi dobbiamo recarci dall’oracolo della Morte per trovare la strada del ritorno.
    Forse la strada del ritorno sarà più libera, sgombra dalle tante illusioni che costellano la nostra vita. Forse anche questo coronavirus ha la funzione dell” oracolo: ci aiuterà a smascherarne qualcuna per vivere valori e decidere priorità meno superficiali.

  4. MGP scrive:

    Che bello Ivana quello che scrivi.
    Sì, una ricerca del senso del vivere e una sofferenza nel cercare una risposta.
    La gita in barca, come la vita che ci accompagna nel suo procedere leggero sull’acqua, con un segreto che si porta dentro. Il buio, il silenzio, il perdersi, la paura e l’illusione di trovare una risposta. Una questione in qualche modo tragica con la quale è inevitabile convivere. Lo facevano gli antichi e noi allo stesso modo. Ci arrovelliamo per capire senza mai arrenderci.
    Grazie Ivana, mi fa molto piacere condividere con te la mia scrittura.

  5. lisetta scrive:

    Le ombre
    Una bellissima allegoria della vita e della morte nel viaggio sul fiume, la barca, la visione della costa che scorre davanti agli occhi come su un grande schermo. Nei guizzi dei dettagli delle alghe che ondeggiano sotto la barca, le chiazze chiare e chiuse delle insenature sabbiose, le radici come serpenti vedo richiami ai segnali che riceviamo durante la vita.
    Leggerli e seguirli sono già delle prove.
    Siamo già in viaggio verso l’Ade e il fiume e il buio cominciano al bivio; come l’Acheronte nella vita, a tratti, si entra e si esce dalla luce al buio,.
    I riti e le prove sono già di per sé ricerca, chi vi si sottopone è già sulla strada verso la conoscenza o, meglio, la comprensione. La comprensione della vita, della propria ragione e modo di essere, del proprio stare. La paura riguarda le prove, superate queste, le ombre ci parlano e ci rivelano.
    Solo la donna ha il coraggio e il bisogno di rimanere, perché il suo è un dolore così grande da essere ragione sufficiente ad entrare nel mondo delle ombre, che non le fa neanche paura.
    Questa figura, paludata di nero, col suo silenzioso riserbo e il suo cesto è già a metà strada fra la luce e il buio.
    L’esperienza del dolore si avvicina a quella della morte, così come giorni e giorni con acqua, silenzio e buio, avvicinano alla condizione dei defunti, che stanno in un luogo buio e nebbioso.
    Manca solo liberarsi, come loro, dalla ragione per poter ricevere il sapere.

  6. MGP scrive:

    Grazie Lisetta, un commento completo con analisi dei particolare. In effetti il racconto propone il viaggio della vita, la sofferenza, la ricerca, la paura, il coraggio ecc. Sono lusingata della tua lettura così attenta.
    Non ti conosco, ma spero che ci sarà occasione di incontrarci a Milano, mi farebbe molto piacere.
    Se vorrai su questo blog ho pubblicato altro e mi piacerebbe conoscere un tuo parere in proposito.
    Un caro saluto MGP

  7. Rosemary Collini Bosso scrive:

    Un viaggio che parte nell’allegria della vacanza per poi trasformarsi in una paura enorme. Dal sole al buio avvolgente, l’emozione di non sapere cosa aspettare, un orrore cosi terribile da essere inimaginabile. Cosa può essere di così brutto? Dolori, torture, anime in decomposizione? Perchè abbiamo così tanto paura del buio? Siamo venuti da lì, protetti e coccolati e stavamo così bene da gridare a squarciagola il nostro spavento alla luce della nascita!
    Non siamo mai contenti.

  8. MGP scrive:

    La luce e il buio, la gioia e il dolore, la vita serena e gioiosa e insieme le domande inquietanti che ci portiamo dentro. Le grandi questioni alle quali non sappiamo rispondere. Questo ci tormenta da quando siamo bambini e non sappiamo come proteggerci dalla paura del buoi. Là dentro c’è il mistero del prima e dopo. Come possiamo non aver paura? Ci accontentiamo del giorno, del sole, della vacanza . . . ma dentro di noi rimane la consapevolezza della nostra precarietà.
    Grazie Rosemary del tuo commento.

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