GIULIA MUSCATELLI :: INTERVISTA A IGIABA SCEGO ” SUL RAZZISMO E SUL VALORE DELL’INCERTEZZA POSITIVA ” ( NATA A ROMA, 1974, DA FAMIGLIA SOMALA ), SCRITTRICE E ATTIVISTA POLITICA — HARPERS BAZAAR.COM — 25 GIUGNO 2020

 

 

 

HARPERS BAZAAR.COM — 25 GIUGNO 2020

https://www.harpersbazaar.com/it/cultura/libri/a32932493/igiaba-scego-razzismo/

 

 

 

Igiaba Scego sul razzismo e sul valore dell’incertezza positiva

Farsi delle domande, riflettere sul privilegio bianco e capire le diseguaglianze della nostra società: ecco il punto da cui partire secondo la scrittrice.

DI GIULIA MUSCATELLI

 

 

igiaba scego

FOTO DI SIMONA FILIPPINI

C’è il silenzio di chi ignora e il silenzio di chi ascolta. Il primo è il mutismo di quelli che lasciano il mondo così come è, il secondo è il grido della rivoluzione. Un urlo – pacato in alcune condizioni, impetuoso in altre – che crea spazio, costruisce stanze. Al loro interno le parole si muovono libere, innescano riflessioni, sostengono l’evoluzione. Dobbiamo combattere per quei termini, impegnarci per le persone che li padroneggiano. Ancora una volta, sederci e ascoltare.

Ho intervistato Igiaba Scego; abbiamo parlato di razzismo, femminismo, atteggiamenti errati, problemi ignorati e soluzioni concrete. Con onore e gratitudine, vi dico che oggi questo luogo appartiene a lei.

 

Igiaba Scego è una scrittrice, giornalista, esperta di transculturalità e migrazione. Italiana di origine somala, vive e lavora a Roma. Collabora con Internazionale, il suo ultimo libro è La linea del colore (Bompiani).

 

In alcuni articoli che hai scritto in queste settimane fai un discorso molto interessante riguardo l’abbattimento delle statue che rappresentano personaggi o raccontano periodi storici di imperante razzismo e ingiusta sociale. Parli di comprensione, non di eliminazione totale ma di dialogo. L’aspetto che più di tutto ho trovato stimolante è la mancanza di rabbia nelle tue parole a favore di un’attenta riflessione su ciascun termine sempre indirizzato all’ascolto e all’analisi; un atteggiamento notevole soprattutto se messo poi in contrapposizione con chi invece si esprime con collera, forse giustificata ma sicuramente non troppo produttiva. Ci spieghi meglio il tuo punto di vista?

Non la chiamerei collera, però. Penso che ci sia una sana voglia in giro per il mondo di sanare le nostre città dalla presenza tossica degli oppressori. Negli Stati Uniti per esempio molte statue che omaggiavano schiavisti sono state costruite ad inizio Novecento da chi aveva simpatie suprematiste e avrebbe voluto ridurre i neri in catene. Statue che da una parte omaggiavano il sistema delle piantagioni (fatto di stupri e punizioni corporali) del passato e che nel presente era un modo per dare una giustificazione ai linciaggi, alla segregazione e in seguito alle esecuzioni sommarie. Ho sempre pensato a tutte quelle persone che sono state costrette per anni e decenni a passare davanti a quelle statue e hanno dovuto chinare il capo, umiliati. Ora i giovani vogliono un mondo diverso, non vogliono più essere umiliati e distrutti da queste presenze moleste. In questo la mia posizione è in tutto per tutto uguale a quella degli attivisti di Black Lives Matter, serve lavorare su queste tracce di un passato fatto di discriminazioni. Chiaramente da studiosa (ho scritto un libro sulle tracce coloniali Roma Negata) so che non tutti i monumenti sono uguali. Se alcuni possono essere facilmente rimossi, perché recenti o di pessima fattura, altri invece vanno discussi, decolonizzati, studiati, immessi in un flusso che permetta di lasciare la statua, il palazzo, la traccia lì dov’è. Una traccia che però ha subito un processo, che si colloca diversamente nel panorama urbano. Credo che ogni situazione vada studiata nella sua singolarità. Non è questione di pacatezza, ma di buonsenso. Non tutte le statue sono uguali e ci sono molte possibili azioni da compiere.

igiaba scego
foto di SIMONA FILIPPINI

Non è la prima volta, nel corso della storia, che i collettivi di femministe si organizzano per combattere, oltre alla discriminazione di genere, anche quella della provenienza. A tuo parere, che legame c’è tra queste due battaglie?

 

Essere donna ti mette di fronte, subito, a una diseguaglianza. Noi donne fatichiamo di più in un mondo in cui il nostro corpo viene messo ai margini o peggio abusato. Secondo me una lotta (qualsiasi lotta) è femminista o non è.

 

Marcia Tiburi, Bolsonaro e il «fascismo tropicale» | il manifesto

MARCIA TIBURI

 

Il femminismo, come dice la filosofa brasiliana Marcia Tiburi, è una pratica em comum, in comune, collettiva, per questo è il contrario della solitudine. È la base di tutte le lotte e la lotta che offre gli strumenti a tutte le lotte. Una lotta che ti fa entrare in dialogo con il mondo.

 

Da autrice interessata alle tematiche di inclusione, ogni volta che mi approccio alla discussione sull’antirazzismo ammetto di provare un forte senso di incertezza rispetto alle modalità. Penso sempre “È solo la mia opinione, quella di una donna bianca cresciuta in Italia, ma che ne so io!”. Trovare le parole non è sempre facile ma sono convinta che dobbiamo riuscire a farlo tutte e tutti, al di là della nostra provenienza. Come possiamo, secondo te, lavorare insieme in una sinergia che porti a fatti concreti?

 

L’incertezza è positiva. Porta a ripensarsi, a farsi delle domande, a riflettere sul proprio privilegio bianco e a capire le diseguaglianze che permeano la nostra società. Tu mi chiedevi una cosa concreta, vero? Beh, una cosa concretissima da fare in Italia è stare accanto a noi per la sacrosanta lotta per avere questa benedetta e attesa da troppo tempo legge sulla cittadinanza. Molte persone (non solo nere) figli e figlie delle migrazioni vivono ancora da stranieri nella loro nazione. E questo secondo me è intollerabile. Non è giusto che chi nasce o cresce qui non sia considerato italiano. Ecco un fatto concreto, spendersi per questa lotta qui.

 

 

https://www.instagram.com/p/CBI8Ks9I9T6/?utm_source=ig_embed

 

Tu sei una scrittrice, quindi utilizzi la narrazione anche come mezzo per raccontare le tematiche che ti stanno a cuore. Secondo te come possono le storie, oggi, in Italia, prestare servizio alle questioni antirazziste, e agli argomenti storici di cui il razzismo si alimenta? O anche: qual è in queste tematiche il ruolo della fantasia? (se a tuo parere può avere un ruolo)

 

La letteratura si occupa di vita, fantasia, immaginazione. Io non credo nei libri a tema, scritti apposta per cavalcare un argomento. Quello può esserci, ma non può essere pianificato a tavolino. Io penso che i temi sociali nei miei romanzi sono veicolati dai miei personaggi. Non sono tematiche che si muovono nella pagina, ma persone a tutto tondo. Per essere riconosciuti come scrittori, i neri nelle Americhe ci hanno messo 200 anni, perché per un mondo razzista e bianco un nero non aveva diritto all’immaginazione.

ahinoi anche in Italia da quando molti di noi, che non abbiamo il cosiddetto colore nazionale, abbiamo cominciato a scrivere c’è stato chi ha provato a relegarci ai margini, negandoci l’immaginazione e l’appartenenza alla letteratura. È stata una lunga lotta per essere riconosciuti. Il nostro antirazzismo è anche in questo, non tanto nelle tematiche dei libri, quanto nel riconoscimento del nostro essere artisti. Poi i temi arrivano, ma è un processo naturale, legati alla vita della personaggi o personaggio.

 

Parliamo di corpi. È un argomento che tratti spesso, presente anche nel tuo ultimo libro La linea del colore (Bompiani). Qualche giorno fa mi è capitato di avere un confronto con un’amica nata in Senegal. Lei si lamentava dei suoi polpacci troppo piccoli, sproporzionati rispetto ai fianchi, io dei miei troppo grossi. Subito ho pensato: siamo tutte uguali! Ma poi mi sono chiesta: lo siamo davvero? Certamente è così su un piano umano, ma quali sono – se ci sono – le differenze riguardo alla percezione del proprio corpo e di quella che ne hanno gli altri, tra una ragazza bianca e una nera entrambe residenti in Italia?

 

Bianco e nero sono costruzioni sociali. Categorie costruite nel tempo. La bianchezza soprattutto è stata concepita come l’appartenere a un club esclusivo, essere bianchi dava privilegi, agevolazioni. Ma non tutti i bianchi sono stati sempre bianchi. Per molto tempo gli italiani, per esempio nelle Americhe, non sono stati bianchi, lo sono diventati solo di recente. Quindi dire bianco a volte mi lascia interdetta. Noi siamo tutti diversi e per fortuna tutti uguali. Se io penso agli italiani, ce ne sono di tutti i tipi: ragazzi biondi normanni e ragazze dai colori così scuri da sembrare mediorientali. E idem in Africa, un continente, non un paese, con più di cinquanta nazioni, con tutte le sfumature di colore (bianco, nero, altro) possibile. Quindi è molto chiaro che i nostri corpi sono diversi, la nostra pelle, la nostra bocca, la nostra muscolatura. Però questo non toglie che siamo anche tutti uguali nei diritti, almeno dovrebbe essere così. Purtroppo, ancora molti esseri umani vedono violati (pensiamo in Italia ai figli di migranti privati della cittadinanza) i loro diritti. E questo è triste.

Condividi
Questa voce è stata pubblicata in GENERALE. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *