+++ Un’inchiesta di primissimo ordine—GIANLUCA DI FEO (COORDINAMENTO E TESTO), GIOVANNI EGIDIO (BOLOGNA), ANAIS GINORI (PARIGI), CONCETTO VECCHIO (ROMA). USTICA, IL LABIRINTO DELLA VERITA’ –REPUBBLICA — SABATO 27 GIUGNO 2020 –pp. 19-20-21 / -.- anche se ci vuole un enorme fiato per arrivare in fondo…ch._

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REPUBBLICA — SABATO 27 GIUGNO 2020 –pp. 19-20-21

https://rep.repubblica.it/pwa/longform/2020/06/25/news/
il_labirinto_della_verita_cosa_sappiamo_a_40_anni_
dalla_strage_di_ustica-260059512/

 

 

 

Longread ( articolo lungo )

Storie Italiane

25 GIUGNO 2020

Sono passati 40 anni esatti dalla strage di Ustica. Ma la morte di 81 persone a bordo del DC-9 Itavia rimane senza responsabili. Oggi nuovi documenti offrono tracce inesplorate per portare avanti le indagini. Dalle rivelazioni sulle missioni segrete di Parigi ai misteri della base di Aviano, dalle testimonianze sui raid di Gheddafi alle manovre dei nostri generali

DI GIANLUCA DI FEO (COORDINAMENTO E TESTO), GIOVANNI EGIDIO (BOLOGNA), ANAIS GINORI (PARIGI), CONCETTO VECCHIO (ROMA). COORDINAMENTO MULTIMEDIALE LAURA PERTICI. GRAFICHE E VIDEO A CURA DI GEDI VISUAL. CON UNA VIDEOINTERVISTA DI VALERIO LO MUZIO E ANTONIO NASSO

“Prima di tornare a casa dimentica tutto quello che hai detto, letto e fatto! La tua famiglia vuole soltanto te”. Il manifesto scolorito è rimasto affisso sulla parete della grande base sotterranea. Un monito ripetuto in italiano e in inglese, con quel riferimento alla famiglia che se pronunciato da un mafioso verrebbe qualificato come una minaccia. Invece si trova all’ingresso di un bunker della Nato, scavato nel ventre del monte Moscal, in Veneto. Il comando è stato smantellato da tempo, ma l’avvertimento rimane: “Dimentica tutto quello che hai detto, letto e fatto!”. Ed è questa la consegna del silenzio che continua a imprigionare la verità su Ustica.

Uno dei manifesti affissi nella base sotterranea West Star per invitare i militari italiani e americani a mantenere sempre il segreto. West Star era il comando della Nato costruito sotto il monte Moscal ad Affi (Verona). Lì nel 1980 si monitoravano H24 tutte le attività aeree nei cieli del nostro Paese. Viene evocato anche nelle telefonate fatte dal controllo aereo al momento della scomparsa del DC-9 Itavia. Ma la magistratura non ha mai indagato su questa struttura. Il richiamo alla riservatezza era ossessivo, scandito da decine di manifesti: i militari di leva non potevano accedere alle sale operative, dove lavoravano solo ufficiali con il nulla osta di segretezza della Nato

Il 27 giugno 1980, mentre il DC-9 Itavia con81 persone a bordo si frantumava nella luce del tramonto, in quella centrale a prova di bomba atomica trecentocinquanta militari italiani e americani tenevano sotto controllo i cieli d’Italia, aggiornando le posizioni su una mappa alta tre metri. Si chiamava West Star, la Stella d’Occidente, e in teoria era una base segreta. Tanti però la conoscevano: era stata evocata subito nelle conversazioni degli uomini radar che cercavano una spiegazione alla scomparsa dell’aereo decollato da Bologna.Ma nessun magistrato è andato lì a chiedere informazioni o documenti. Mai. Adesso quelle gallerie sono un labirinto popolato dai fantasmi della Guerra Fredda: il tempo si è fermato all’era del dottor Stranamore di Stanley Kubrik, scandita dalle cartine dei missili pronti al lancio e dagli elenchi dei caccia intercettori in perenne allerta.

La forza soffocante delle cupole di cemento e acciaio, costruite per sopravvivere all’apocalisse nucleare, aiuta a capire perché non sia stato individuato un responsabile per la morte di quattro membri dell’equipaggio, 64 passeggeri adulti, undici bambini tra dodici e due anni, due neonati. “Dimentica tutto quello che hai detto, letto e fatto!”. Una regola ferrea, condivisa dall’Italia e da tutti i Paesi, amici o nemici, chiamati in causa per la distruzione del volo Bologna-Palermo, che ha resistito alla caduta di qualunque muro.

 

Dopo quarant’anni non sappiamo chi abbia sbriciolato il Dc-9. Quando è precipitato nell’abisso, veniva chiamata “la tragedia di Ustica”. Quando otto anni dopo è riemerso dal mare, un pezzo alla volta, invece era chiaro che si trattasse della “strage di Ustica”. Poi il velivolo ha ripreso forma nel Museo per la Memoria di Bologna, trasformandosi in un colossale atto d’accusa. “Ogni piccolo particolare era una deduzione – ha scritto Daniele Del Giudice in un capitolo di “Staccando l’ombra da terra” -, gli strumenti di bordo come i tappetini e la moquette, tranciata di netto all’altezza della quarta fila di sedili. Che ne sanno gli oggetti delle trame e delle azioni? Che ne sanno dei mandanti e degli esecutori, gli oggetti sono lì. Sarebbe la storia dell’aereo, perché l’aereo conosce la sua storia”.

Quel relitto resta un’invocazione di giustizia, tenuta viva da quelle lampadine sempre accese, una per ogni vittima. Soltanto l’accanimento dei familiari ha impedito che tutto venisse sepolto per sempre in fondo al Tirreno.

Ma le inchieste di magistrati e parlamentari sono partite troppo tardi. Testimoni chiave sono stati ascoltati dopo dieci anni. Carte e nastri sono spariti senza venire sequestrati. Rogatorie all’estero hanno trovato risposta, spesso parziale o reticente, dopo un quarto di secolo. Ogni passo in avanti, ogni reperto, ogni perizia invece di stabilire certezze hanno aumentato i dubbi e diviso le interpretazioni.

 

 

 

DEPISTAGGI E RISARCIMENTI

40 ANNI SENZA COLPEVOLI

 

 

 

 

27 GIUGNO 1980

DECOLLO E SCOMPARSA DAI RADAR

 Il McDonnell DC-9 I-TIGI della compagnia privata Itavia decolla da Bologna per Palermo alle 20.08. E’ in ritardo di 113 minuti. A bordo 81 persone: 4 membri dell’equipaggio, 64 passeggeri adulti, 11 ragazzi tra dodici e due anni, 2 bambini con meno di 24 mesi. Scompare dai radar alle 20.59: è a 7000 metri di altezza, tra Ponza e Ustica

Il McDonnell DC-9 I-TIGI della compagnia privata Itavia decolla da Bologna per Palermo alle 20.08. E’ in ritardo di 113 minuti. A bordo 81 persone: 4 membri dell’equipaggio, 64 passeggeri adulti, 11 ragazzi tra dodici e due anni, 2 bambini con meno di 24 mesi. Scompare dai radar alle 20.59: è a 7000 metri di altezza, tra Ponza e Ustica

 

 

28 GIUGNO 1980

CORPI E ROTTAMI

I soccorritori avvistano chiazze di olio e rottami. Recuperano 42 corpi. Il relitto dell’aereo è a 3700 metri di profondità

I soccorritori avvistano chiazze di olio e rottami. Recuperano 42 corpi. Il relitto dell’aereo è a 3700 metri di profondità

 

 

 

3 LUGLIO 1980

L’INDAGINE

Il pm Giorgio Santacroce della procura di Roma apre un’indagine. E chiede gli atti ai pm di Palermo che avevano compiuto i primi accertamenti

Il pm Giorgio Santacroce della procura di Roma apre un’indagine. E chiede gli atti ai pm di Palermo che avevano compiuto i primi accertamenti

 

 

 

18 LUGLIO 1980

UN MIG 23 LIBICO SULLA SILA

Sui monti della Sila vengono ritrovati i resti di un caccia Mig 23 libico. Viene contestata la data in cui l’aereo si sarebbe schiantato, ipotizzando che sia anteriore. Oggi i magistrati ritengono che sia precipitato proprio quel giorno

Sui monti della Sila vengono ritrovati i resti di un caccia Mig 23 libico. Viene contestata la data in cui l’aereo si sarebbe schiantato, ipotizzando che sia anteriore. Oggi i magistrati ritengono che sia precipitato proprio quel giorno

 

 

25 NOVEMBRE 1980

IPOTESI MISSILE

Un esperto americano del Ntsb, l’ente della sicurezza aerea, John Macidull analizza il tracciato radar di Ciampino e ritiene che il Dc-9 sia stato abbattuto da un missile lanciato da un aereo

Un esperto americano del Ntsb, l’ente della sicurezza aerea, John Macidull analizza il tracciato radar di Ciampino e ritiene che il Dc-9 sia stato abbattuto da un missile lanciato da un aereo

 

 

 

 

10 DICEMBRE 1980

ITAVIA RESTA A TERRA

L’Itavia, unica grande compagnia privata di linea, sospende i voli. Pochi giorni dopo il presidente Aldo Davanzali dice di essere certo che l’abbattimento sia stato causato da un missile. Sette settimane più tardi il ministero dei Trasporti revoca la licenza a Itavia

L’Itavia, unica grande compagnia privata di linea, sospende i voli. Pochi giorni dopo il presidente Aldo Davanzali dice di essere certo che l’abbattimento sia stato causato da un missile. Sette settimane più tardi il ministero dei Trasporti revoca la licenza a Itavia

 

 

 

 

16 MARZO 1982

MISSILE O BOMBA?

La Commissione d’inchiesta ministeriale esclude che il DC-9 abbia subito un cedimento strutturale e una collisione in volo. Restano due ipotesi: il missile o la bomba. Ma senza il relitto dell’aereo non possono venire accertate

La Commissione d’inchiesta ministeriale esclude che il DC-9 abbia subito un cedimento strutturale e una collisione in volo. Restano due ipotesi: il missile o la bomba. Ma senza il relitto dell’aereo non possono venire accertate

 

 

 

9 GENNAIO 1984

SPADOLINI PARLA DI BOMBA

Il ministro della Difesa Giovanni Spadolini sulla base di una perizia dell’Aeronautica parla di un ordigno

Il ministro della Difesa Giovanni Spadolini sulla base di una perizia dell’Aeronautica parla di un ordigno

 

 

 

30 SETTEMBRE 1986

L’ANNUNCIO DI AMATO

Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giuliano Amato annuncia l’intenzione del governo di recuperare il relitto. Tre mesi prima, un gruppo di parlamentari lo aveva chiesto al presidente della Repubblica Francesco Cossiga

Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giuliano Amato annuncia l’intenzione del governo di recuperare il relitto. Tre mesi prima, un gruppo di parlamentari lo aveva chiesto al presidente della Repubblica Francesco Cossiga

 

 

 

 MAGGIO 1987

IL RECUPERO DEL RELITTO

Comincia il recupero del relitto. Viene incaricata la società francese Ifremer, poi accusata di legami con i servizi segreti d’Oltralpe

Comincia il recupero del relitto. Viene incaricata la società francese Ifremer, poi accusata di legami con i servizi segreti d’Oltralpe

 

 

 

 

20 MAGGIO 1988

L’ASSOCIAZIONE FAMILIARI DELLE VITTIME

I familiari delle vittime formano un’associazione. La presidenza è affidata a Daria Bonfietti, sorella del giornalista Alberto morto sull’aereo

I familiari delle vittime formano un’associazione. La presidenza è affidata a Daria Bonfietti, sorella del giornalista Alberto morto sull’aereo

 

 

30 MAGGIO 1988

UN AEREO SEGUIVA IL DC-9?

Il maresciallo Luciano Carico del centro radar di Marsala dichiara ai magistrati di avere visto la scomparsa del DC-9, cosa negata dagli altri militari presenti, e parla di un altro aereo che lo seguiva

Il maresciallo Luciano Carico del centro radar di Marsala dichiara ai magistrati di avere visto la scomparsa del DC-9, cosa negata dagli altri militari presenti, e parla di un altro aereo che lo seguiva

 

 

 

16 MARZO 1989

I PERITI OPTANO PER UN MISSILE

Il collegio dei periti coordinati dall'ingegnere Massimo Blasi consegna al giudice istruttore Bucarelli un documento in cui attribuisce l’abbattimento a un missile lanciato da un aereo ed esploso in prossimità del DC-9. Queste conclusioni vengono contestate due mesi dopo da una relazione dell’Aeronautica

Il collegio dei periti coordinati dall’ingegnere Massimo Blasi consegna al giudice istruttore Bucarelli un documento in cui attribuisce l’abbattimento a un missile lanciato da un aereo ed esploso in prossimità del DC-9. Queste conclusioni vengono contestate due mesi dopo da una relazione dell’Aeronautica

 

 

 

10 MAGGIO 1989

LA COMMISSIONE TRA MISSILE E BOMBA

La commissione governativa nominata dal premier Ciriaco De Mita ritiene che l’ipotesi più probabile sia quella del missile, ma non esclude la bomba

La commissione governativa nominata dal premier Ciriaco De Mita ritiene che l’ipotesi più probabile sia quella del missile, ma non esclude la bomba

 

 

 

 

28 GIUGNO 1989

VENTITRE MILITARI INCRIMINATI

Vengono incriminati per falsa testimonianza dalla magistratura romana 23 militari in servizio nelle basi radar di Licola e Marsala

Vengono incriminati per falsa testimonianza dalla magistratura romana 23 militari in servizio nelle basi radar di Licola e Marsala

 

 

 

 

12 OTTOBRE 1990

GHEDDAFI: “ERO IO IL BERSAGLIO”

Gheddafi scrive al presidente Cossiga: accusa la Nato di avere provocato l’abbattimento del DC-9. A gennaio in una conferenza stampa dichiarerà che quel giorno gli Usa volevano colpire l’aereo su cui avrebbe dovuto volare

Gheddafi scrive al presidente Cossiga: accusa la Nato di avere provocato l’abbattimento del DC-9. A gennaio in una conferenza stampa dichiarerà che quel giorno gli Usa volevano colpire l’aereo su cui avrebbe dovuto volare

 

 

 

26 MAGGIO 1990

I PERITI SI SPACCANO

Due dei cinque periti del collegio Blasi si dissociano e si schierano per la tesi della bomba. Gli altri tre ribadiscono si sia trattato di un missile

Due dei cinque periti del collegio Blasi si dissociano e si schierano per la tesi della bomba. Gli altri tre ribadiscono si sia trattato di un missile

 

 

 

 

13 GIUGNO 1991

LE SCATOLE NERE SENZA INDIZI

La ditta britannica Winpol completa il recupero dei relitti, inclusa la seconda scatola nera, dalla quale però non emergono dati rilevanti

La ditta britannica Winpol completa il recupero dei relitti, inclusa la seconda scatola nera, dalla quale però non emergono dati rilevanti

 

 

 

 

15 GIUGNO 1992

INCRIMINATI 13 UFFICIALI DELL’ AREONAUTICA

ll giudice istruttore Rosario Priore incrimina 13 ufficiali dell’Aeronautica. Tra loro i generali Lamberto Bartolucci, comandante in capo, e il vice Franco Ferri, Zeno Tascio, capo del servizio di intelligence, e Corrado Melillo. Il reato contestato è 'attentato contro l’attività del governo con l’aggravante dell’alto tradimento e della falsa testimonianza"

ll giudice istruttore Rosario Priore incrimina 13 ufficiali dell’Aeronautica. Tra loro i generali Lamberto Bartolucci, comandante in capo, e il vice Franco Ferri, Zeno Tascio, capo del servizio di intelligence, e Corrado Melillo. Il reato contestato è “attentato contro l’attività del governo con l’aggravante dell’alto tradimento e della falsa testimonianza”

 

 

 

 

 

26 MARZO 1996

PRODI E LA NATO

La Nato respinge la richiesta del giudice Priore e nega i codici per decifrare i tracciati radar. A dicembre il premier Romano Prodi convince il segretario generale della Nato Solana a collaborare

La Nato respinge la richiesta del giudice Priore e nega i codici per decifrare i tracciati radar. A dicembre il premier Romano Prodi convince il segretario generale della Nato Solana a collaborare

 

 

 

 

31 AGOSTO 1999

IL GIUDICE: “DEPISTAGGI, NIENTE STRAGE”

Il giudice Priore rinvia a giudizio i 4 generali e altri 5 ufficiali per i depistaggi, mentre non procede per strage. Scrive: “È stata spezzata la vita a 81 cittadini innocenti con un’azione, che è stata propriamente atto di guerra, guerra di fatto e non dichiarata, operazione di polizia internazionale coperta contro il nostro Paese”. Il processo si apre un anno dopo

Il giudice Priore rinvia a giudizio i 4 generali e altri 5 ufficiali per i depistaggi, mentre non procede per strage. Scrive: “È stata spezzata la vita a 81 cittadini innocenti con un’azione, che è stata propriamente atto di guerra, guerra di fatto e non dichiarata, operazione di polizia internazionale coperta contro il nostro Paese”. Il processo si apre un anno dopo

 

26 NOVEMBRE 2003

I MINISTERI CONDANNATI

Il tribunale civile di Roma condanna i ministeri dei Trasporti e della Difesa a risarcire 108 milioni di euro all’Itavia, sostenendo che il DC-9 fu abbattuto da un missile

Il tribunale civile di Roma condanna i ministeri dei Trasporti e della Difesa a risarcire 108 milioni di euro all’Itavia, sostenendo che il DC-9 fu abbattuto da un missile

 

 

 

30 APRILE 2004

GENERALI ASSOLTI DA TUTTE LE ACCUSE

La Corte d’Assise di Roma assolve i quattro generali da tutte le accuse: uno dei reati, la turbativa, viene considerato prescritto. Nelle motivazioni però si riconosce che non riferirono agli organi inquirenti informazioni rilevanti e cercarono anzi di orientare le indagini

La Corte d’Assise di Roma assolve i quattro generali da tutte le accuse: uno dei reati, la turbativa, viene considerato prescritto. Nelle motivazioni però si riconosce che non riferirono agli organi inquirenti informazioni rilevanti e cercarono anzi di orientare le indagini

 

 

 

3 NOVEMBRE 2005

L’APPELLO: IL FATTO NON SUSSISTE

Il processo d’appello ai generali Bartolucci e Ferri si chiude con l’assoluzione perché il fatto non sussiste

Il processo d’appello ai generali Bartolucci e Ferri si chiude con l’assoluzione perché il fatto non sussiste

 

 

 

10 GENNAIO 2007

CASSAZIONE: ASSOLUZIONE DEFINITIVA

La Cassazione assolve definitivamente Bartolucci e Ferri. I giudici scrivono che “l’istruttoria si è limitata ad acquisire un’imponente massa di dati dai quali peraltro non è stato possibile ricavare elementi di prova a conforto della tesi di accusa”

La Cassazione assolve definitivamente Bartolucci e Ferri. I giudici scrivono che “l’istruttoria si è limitata ad acquisire un’imponente massa di dati dai quali peraltro non è stato possibile ricavare elementi di prova a conforto della tesi di accusa”

 

 

 

9 GENNAIO 2008

TRASPORTI E DIFESA A GIUDIZIO

I familiari delle vittime citano in giudizio civile i ministeri dei Trasporti e della Difesa

I familiari delle vittime citano in giudizio civile i ministeri dei Trasporti e della Difesa

 

 

 

 

19 FEBBRAIO 2008

COSSIGA: I FRANCESI CONTRO GHEDDAFI

L’ex presidente Cossiga sostiene che l’aereo è stato abbattuto da un caccia della Marina francese. L’obiettivo doveva essere un jet con a bordo Gheddafi, ma il leader libico fu avvisato dal generale Santovito, capo dei servizi segreti italiani, e tornò indietro

L’ex presidente Cossiga sostiene che l’aereo è stato abbattuto da un caccia della Marina francese. L’obiettivo doveva essere un jet con a bordo Gheddafi, ma il leader libico fu avvisato dal generale Santovito, capo dei servizi segreti italiani, e tornò indietro

 

 

21 GIUGNO 2008

LA PROCURA DI ROMA RIAPRE L’INCHIESTA

La procura di Roma riapre l’inchiesta dopo le dichiarazioni di Cossiga. Il fascicolo viene affidato ai pm Maria Monteleone ed Erminio Amelio, che indagano ancora oggi

La procura di Roma riapre l’inchiesta dopo le dichiarazioni di Cossiga. Il fascicolo viene affidato ai pm Maria Monteleone ed Erminio Amelio, che indagano ancora oggi

 

 

 

 

 

1 LUGLIO 2010

LE ROGATORIE DEL MINISTRO ALFANO

Il ministro della Giustizia Angelino Alfano manda rogatorie a Usa, Francia, Germania e Belgio. Il Belgio, che aveva caccia sulla base francese di Solenzara, in Corsica, risponde che le attività restano segrete

Il ministro della Giustizia Angelino Alfano manda rogatorie a Usa, Francia, Germania e Belgio. Il Belgio, che aveva caccia sulla base francese di Solenzara, in Corsica, risponde che le attività restano segrete

 

 

 

 

10 SETTEMBRE 2011

DIFESA E TRASPORTI: 100MLN DI RISARCIMENTO

Il Tribunale civile di Palermo condanna i ministeri di Difesa e Trasporti a risarcire i familiari con oltre 100 milioni di euro. I giudici scrivono che il DC-9 fu abbattuto da due caccia che volevano intercettare un aereo nascosto sulla scia del volo civile. Ciò avvenne con un missile oppure con una quasi collisione

Il Tribunale civile di Palermo condanna i ministeri di Difesa e Trasporti a risarcire i familiari con oltre 100 milioni di euro. I giudici scrivono che il DC-9 fu abbattuto da due caccia che volevano intercettare un aereo nascosto sulla scia del volo civile. Ciò avvenne con un missile oppure con una quasi collisione

 

 

 

28 GENNAIO 2013

LA CASSAZIONE CONFERMA IL RISARCIMENTO

La Cassazione conferma la condanna civile al risarcimento dei familiari. La sentenza riconosce la tesi dell’abbattimento da parte di aerei da caccia e le omissioni. Bisogna tenere presente che in sede civile vale il principio della “maggiore probabilità”

La Cassazione conferma la condanna civile al risarcimento dei familiari. La sentenza riconosce la tesi dell’abbattimento da parte di aerei da caccia e le omissioni. Bisogna tenere presente che in sede civile vale il principio della “maggiore probabilità”

 

 

 

 

 

6 DICEMBRE 2018

L’OK DELLA CASSAZIONE ALLA CAUSA ITAVIA

La Cassazione respinge tutti i ricorsi e rende definitiva la causa civile intentata dall’Itavia contro i ministeri dei Trasporti e della Difesa: i dicasteri sono responsabili dell’“omessa attività di controllo e sorveglianza della complessa e pericolosa situazione venutasi a creare nei cieli di Ustica”

La Cassazione respinge tutti i ricorsi e rende definitiva la causa civile intentata dall’Itavia contro i ministeri dei Trasporti e della Difesa: i dicasteri sono responsabili dell’“omessa attività di controllo e sorveglianza della complessa e pericolosa situazione venutasi a creare nei cieli di Ustica”

 

 

 

 

22 APRILE 2020

TRECENTOTRENTA MILIONI DI EURO A ITAVIA

Viene quantificato il risarcimento dovuto all’Itavia dai ministeri dei Trasporti e della Difesa: 330 milioni di euro

Viene quantificato il risarcimento dovuto all’Itavia dai ministeri dei Trasporti e della Difesa: 330 milioni di euro

 

 

 

 

Persino il recupero dei 2.500 frammenti che hanno ricomposto il jet. Persino la scatola nera con le voci dei piloti, che si interrompono con un “Qua…” o un “Gua…”, riletto da una recentissima analisi di RaiNews24 come “Guarda…“.

I giudizi dei tribunali hanno dato esiti paradossali.

La grande istruttoria del giudice Rosario Priore, chiusa con un’ordinanza di oltre cinquemila pagine, ha ricostruito una scenario di guerra: il DC-9 si è trovato in mezzo a una battaglia, venendo abbattuto da un missile o dall’onda d’urto di un caccia che lo ha sfiorato a velocità supersonica. Priore ha incriminato una decina di ufficiali dell’Aeronautica per depistaggi e omissioni, senza però individuare i colpevoli della strage.

 

I dibattimenti penali poi hanno gradualmente smontato le prove, assolvendo tutti in maniera definitiva. Opposte le sentenze dei giudici civili, anch’esse definitive e inappellabili, che invece hanno condannato al risarcimento i ministeri della Difesa e dei Trasporti per non avere protetto l’aereo dell’Itavia dai jet di nazionalità ignota che l’hanno abbattuto in una notte di guerra non dichiarata. Neanche il verdetto della Cassazione civile ha sopito le polemiche. Perché queste corti decidono in base al principio della “probabilità più elevata”.

 

Quindi la correttezza giuridica impone di dire che non abbiamo la verità su Ustica, ma c’è “la più elevata probabilità” che quella sera sul Tirreno si sia combattuto uno scontro feroce.

 

Repubblica si occupa di questo dramma dal primo momento. Due generazioni di giornalisti si sono impegnate per trovare un filo nel labirinto di indizi e menzogne. In questa inchiesta abbiamo provato a rileggere le ipotesi che sono state prese in considerazione durante quattro decenni e che trovate sintetizzate in una scheda video.

Abbiamo analizzato documenti internazionali finalmente desecretati e altri che non sono mai arrivati sul tavolo degli inquirenti. Abbiamo ascoltato protagonisti delle vicende politiche, esperti di aviazione e testimoni dei fatti, alcuni dei quali ancora oggi ci hanno opposto il silenzio. Insomma, abbiamo tentato di unire tanti punti di questa trama, nella speranza di ottenere un disegno più definito o quantomeno con minor confusione.

 

 

 

I comandi protetti della Nato – La base sotterranea West Star, costruita sotto il monte Moscal, ad Affi (Verona), fu inaugurata nel 1966. Lo storico Leonardo Malatesta gli ha dedicato quattro volumi da cui provengono queste immagini

 

 

NEL LINK DI REPUBBLICA, DOPO L’IMMAGINE BLU PUBBLICATA SOPRA, CI SONO ALTRE IMMAGINI DELLA BASE SOTTERRANEA WEB STAR

https://rep.repubblica.it/pwa/longform/2020/06/25/news/il_labirinto_della_verita_cosa_sappiamo_a_40_anni_dalla_strage_di_ustica-260059512/

 

 

 

C’è una sola certezza. L’unica strada per capire cosa è accaduto parte dagli elementi raccolti nell’immediatezza della strage: come le registrazioni delle telefonate delle centrali di controllo aereo. Quelle conversazioni incise nei minuti in cui il DC-9 sparisce dagli schermi citano tracce di aerei statunitensi, portano a ipotizzare una collisione in volo, si interrogano sulla presenza di una portaerei. E sulle mappe del radar Marconi di Ciampino, l’unico gestito da civili, si notano le impronte intermittenti di jet mai identificati.

Centinaia di analisi tecniche commissionate negli anni successivi non sono riuscite a dare una spiegazione incontestabile, tanto che la corte penale d’appello ha scritto: “È stato il fallimento della scienza a determinare la sconfitta della conoscenza”.

 

Anche il procuratore aggiunto Maria Monteleone e il sostituto Erminio Amelio, che dal 2008 portano avanti l’ultima indagine, dopo avere interrogato ufficiali di molti Paesi e cercato atti in mezzo mondo, fanno leva su un pugno di testimonianze coincidenti e indiscusse per provare a scardinare i forzieri del segreto. Ogni volta che nel muro sembra aprirsi una crepa, cercano di sfruttarla per fare luce. Sono come archeologi, che scavano negli strati di disinformazione per arrivare a estrarre prove incontaminate. Ma neppure loro finora sono riusciti a trovare un nome e l’inchiesta sembra destinata all’archiviazione.

Che sarà solo formale, perché il reato di strage non si prescrive e il fascicolo potrà essere riaperto davanti a ogni brandello di novità. Si comprende che i due pubblici ministeri però che restano convinti di quanto sostenuto nel primo processo: quelle 81 persone sono state travolte da un’operazione militare che rimane ancora inconfessabile.

 

 

 

Uno dei pezzi del Dc 9 Itavia precipitato in mare recuperato nelle acque del Tirreno

 

 

 

Per rendersi conto della complessità che avvolge l’affaire Ustica bisogna entrare nelle dinamiche geopolitiche dell’estate 1980, quando cambiano i confini della Guerra Fredda.

 

L’Italia oltre a trovarsi sulla trincea orientale del confronto tra Nato e Patto di Varsavia, finisce anche sulla prima linea del fronte Sud che proprio allora si apre nel Mediterraneo. Nello scontro tra i due blocchi si inseriscono le tensioni dei Paesi arabi, a partire dalla Libia: terroristi di ogni fede diventano strumenti di potenze grandi e piccole. Il sospetto regna sovrano, con spie doppiogiochiste in azione ovunque: tutti osteggiano Gheddafi e contemporaneamente tutti lo aiutano di nascosto. I nostri governi e i nostri servizi segreti si muovono in maniera spregiudicata, difendendo ora l’interesse atlantico, ora quello nazionale, ora quello di partito e spesso quello personale e di entità occulte come la loggia P-2, che sarà smascherata un anno dopo.

Come Arlecchino, servono più padroni in una trama ancora più fitta di quella che ha coperto le bombe neofasciste della strategia della tensione: per Ustica, alleati e rivali sono rimasti fratelli nel custodire il mistero con ogni arma. 

 

 

Nessun cedimento

“Ma quale mistero?”. Daria Bonfietti, impegnata da quarant’anni esatti a cercare la verità sulla strage di Ustica, alla parola “mistero” ha un sussulto di indignazione. E scoramento. “E quale sarebbe il mistero? Quella sera del 27 giugno 1980 nei cieli d’Italia andò in scena, in tempo di pace, un episodio di guerra. Punto. Verità accertata dai giudici con sentenza passata in giudicato nel 1999. Più di venti anni fa. E in quell’episodio di guerra fu abbattuto l’aereo DC-9 su cui viaggiavano 81 civili. Uno di loro era mio fratello”.

 

 

TITOLO DEL VIDEO SOTTO:

Ustica, i familiari delle vittime a quarant’anni dalla strage: ”L’aereo è stato abbattuto, adesso diteci chi è stato”–

SERVIZIO DI ANTONIO NASSO E VALERIO LO MUSSO

 

VIDEO : 5.19PARLA DARIA BONFIETTI, PRESIDENTE ASSOC. FAMILIARI DELLE VITTIME

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Alberto Bonfietti aveva 37 anni, era partito in direzione Palermo per raggiungere la moglie e la figlia. Daria ricorda l’ultima telefonata. “Ciao, divertiti, fatti sentire, a presto”. Poi ricorda bene anche un’altra telefonata, verso le 11 di sera, carica di angoscia e grida: “Alberto ha preso proprio quell’aereo???”. Sì, proprio quello. Finito nei fondali di Ustica “per cedimento strutturale”, come fu detto inizialmente allora. E come fu sostenuto a lungo, per anni.

Ora quell’aereo è qui, di fronte a Daria Bonfietti, ricostruito per quel che si è potuto intorno a uno scheletro di ferro in questo museo nella prima periferia di Bologna. La carena, le ali, un po’ di muso. Intorno delle scatole nere. Non quelle contenenti i segreti di quel volo maledetto, ma quelle pensate dalla pietas con cui l’artista Christian Boltansky ha immaginato e realizzato questo museo, infilando nelle scatole nere gli effetti personali delle vittime ripescati in mare.

 

Intorno all’aereo, illuminato dall’alto da 81 lampadine, ci si può girare, ascoltando voci di vite vissute e spezzate. Daria Bonfietti si affaccia alla balaustra, indica un’ala. Se le chiedi di raccontare, per prima cosa ti dice: “Fermami tu”. Poi inizia. “Cedimento strutturale, fu detto. Non da un passante, da fonti ufficiali. L’Italia mentì, alcuni dei suoi alti ufficiali mentirono – e hanno pagato dazio, con condanna per alto tradimento -, altri alti ufficiali probabilmente mentono tutt’ora, se sono ancora vivi. Io questo mi chiedo, possibile che nessuno si indigni del fatto che su questa strage ancora non si sappia la verità?”

“Perché una verità c’è: un missile ha abbattuto un aereo civile italiano. Ma nessuno ha mai avuto il coraggio di raccontarla. Anzi, per anni si è cercato di coprire il tutto con una menzogna di Stato inaccettabile per una democrazia, drammatica per noi che avevamo subito un lutto”.

I parenti delle vittime che ogni 27 giugno si trovano – dal 1988 in poi, cioè dal giorno in cui Daria Bonfietti decise di fondare l’associazione – sono circa una trentina ogni volta, più della metà di loro viene dalla Sicilia. Negli anni si sono anche costituti parte civile. Lei li ha trainati fino a questo quarantesimo anniversario. “Come faccio a fermarmi se manca ancora la verità?”

 

 

VIDEO : 6,10 — LE CAUSE DELLA STRAGE – 6 IPOTESI — VIDEOSCHEDA

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“Io credo vada cercata ad ogni costo. Vada pretesa. E dev’essere il governo a pretenderla. Qualsiasi governo, di qualsiasi colore. Quella notte, sul cielo di Ustica, volavano francesi, americani, belgi, inglesi, libici. Chi ha sparato il missile? Ci sono 81 vittime. E ci sono miriadi di pagine di atti processuali che hanno accertato quell’episodio di guerra. Quarant’anni dopo, una troupe televisiva è perfino riuscita a ripulire un nastro per capire che il pilota diceva all’altro ‘guarda’. Fino a poco tempo fa pensavamo avesse detto ‘qua’. Invece ha detto ‘guarda’. E’ un altro brandello minimo di verità che esce, incredibilmente, dopo tutto questo tempo. Ma che ci incoraggia ad andare avanti, a insistere, a chiedere. E’ un nostro diritto, è un dovere dello Stato“.

 

Un cielo di guerra in una notte d’estate. Questo hanno raccontato gli atti processuali. Aerei di diverse nazionalità. L’ipotesi che l’obbiettivo potesse essere Gheddafi, la cui presenza non fu mai accertata, anche se venne evocato un volo Tripoli-Varsavia in transito sui cieli siciliani. La certezza che tutto quello che stava accadendo, era, alla luce delle indagini, quasi normale per quei tempi.

 

“Il contesto storico in cui accade la strage di Ustica è importantissimo per spiegare e per capire. Le tensioni internazionali, gli accordi coi libici, l’influenza degli Usa. Giudici e storici, entrambi ci hanno aiutato a ricostruire quell’episodio di guerra incredibilmente andato in scena in tempo di pace. Anni in cui, come usava dire Andreotti, il nostro paese aveva la moglie americana e l’amante libica”.

 

Un anno cruciale, il 1980. Il 27 giugno parte da Bologna l’aereo che verrà abbattuto; poco più di un mese dopo sempre a Bologna scoppia la bomba alla stazione, facendo altre 84 vittime. Gli storici, abituati a buttare lo sguardo oltre l’ostacolo, raccontano di scenari che proprio in quel periodo mutavano rapidamente. La guerra fredda che cambia natura, la politica estera americana che entra ancor più in collisione con l’Unione Sovietica in affanno, l’affermarsi del regime di Khomeini in Iran, l’ingombrante influenza di Gheddafi su tutto il Mediterraneo.

 

 

La stazione di Bologna dopo l’attentato del 2 agosto 1980

 

 

 

Un contesto che si può immaginare denso di tensioni latenti e che rende credibile come sui cieli d’Italia fosse stato per nulla straordinario immaginarsi quegli aerei battenti bandiera francese, americana, inglese, libica, belga. 

 

 

Ma chi spara e perché? 

 

La ricostruzione più credibile è che il missile sia partito da un aereo americano (la cui presenza fu accertata) o francese, diretto al velivolo libico, coperto in traiettoria dal Dc-9 Itavia, sotto la cui ala si faceva scudo. Ma è solo una ricostruzione, per quanto credibile.

 

“L’Italia può e deve ancora reclamare con forza che i Paesi a lei alleati, Usa e Francia in primis, ci dicano quello che non ci hanno mai detto. O che tengono in qualche cassetto. Io so che sono in corso rogatorie internazionali che hanno chiesto i giudici Monteleone e Amelio, alla ricerca di testimoni che potrebbero sapere, spiegare, raccontare. Forse in America, o anche in Canada.

Ecco, io credo che se è in corso un’iniziativa così importante della magistratura, la politica, la diplomazia, dovrebbero sforzarsi di spalleggiarla, come minimo. Anche perché l’indagine è aperta, la magistratura sta facendo le sue attività, ma serve l’apporto determinante del nostro Paese per creare pressioni sugli Usa e sulla Francia.

 

“Credo sia legittimo che un governo, il nostro governo chieda cosa ci facevano il 27 giugno del 1980 i loro aerei nei nostri cieli, in tempo di pace. Ma che non sia una mera pressione d’ufficio, e che sia invece reale, motivata.

 

Si devono pretendere le risposte, pena, ipotizzo, una qualche tipo di sanzione o di riprovevole considerazione, come minimo. Anche perché non sempre i governi sono stati tiepidi nell’interessarsi al caso, questo va detto.

Il governo Prodi-Veltroni nel 1996, per esempio, sostenne l’azione del giudice Priore che chiese di andare alla Nato. E grazie all’intervento del nostro esecutivo ottenne il via libera. Fu così possibile decrittare i tabulati Nato di quella notte, e si mise un altro punto fermo di questa storia: cioè si stabilì che quella notte non era in corso alcuna operazione a loro riconducibile. E che quindi bisognava chiedere conto ai singoli Paesi. Questo per dire che se la politica vuole, smuove“.

 

 

 

Un modello tridimensionale del DC-9 Itavia. All’epoca era uno degli aerei passeggeri più diffusi al mondo, prodotto in quasi mille esemplari tra il 1965 e il 1982, da cui poi sono derivati i modelli MD-80 e MD-90. Dal sito 3dwarehouse

 

 

 

“Dovesse dire oggi, 40 anni dopo, a quale documento o testimonianza poter avere finalmente accesso, Daria Bonfietti tornerebbe a quella stessa notte del 27 giugno 1980.

 

“Ci fu una riunione nell’Ambasciata americana a Roma dopo l’abbattimento del DC-9 – e anche questo è un fatto accertato dai giudici – dove è ragionevole pensare che si decise cosa dire. Ma soprattutto cosa non dire. Così come è accertato che a quella riunione parteciparono alti esponenti della nostra aviazione. Lì fu deciso di far calare il silenzio su quello che con ogni probabilità fu un atto terroristico mancato e dal terribile effetto collaterale”.

 

“Un silenzio durato a lungo, ma rotto via via da brandelli di verità. Come potrei dimenticare il giorno in cui, nel 2008, Cossiga – ai tempi presidente della Repubblica – disse: ‘Ricordo che a fine anni 80 l’ammiraglio Martini (il capo del Servizio segreto militare Sismi, ndr) mi disse che a Ustica erano stati i francesi’. Ci mise un po’ ricordare, ad avere un sussulto non so se di memoria o di dignità, ma aprì un’altra pagina di verità. E badate bene che quando Cossiga fece quella dichiarazione, tutti i processi in sede penale erano finiti, si era nelle sabbie mobili”.

“Fu importante, insomma, ridiede slancio a tutta l’indagine. Anche se io non posso non continuare a pensare che se Cossiga avesse fatto quella rivelazione alla fine degli anni Ottanta, cioè quando lui stesso disse di esserne venuto a conoscenza, gli effetti di quella sua dichiarazione sarebbero stati ben altri. E dopo tanti anni mi sembra ancora allucinante che un presidente del Consiglio – perché nel giugno 1980 Cossiga quell’incarico ricopriva – si sia tenuto quel segreto per tutti quegli anni su quella notte”.

Una notte in cui fu “sfiorata la terza guerra mondiale”. Ma questo Cossiga non lo disse mai.  A dirlo fu Alberto Dettori, controllore di volo in servizio il 27 giugno 1980 nella base radar militare di Poggio Ballone, confidandolo alla moglie. Ma a lui non si potrà chiedere più nulla. Si tolse la vita pochi anni dopo. 

 

 

 

I fantasmi del Mediterraneo

 

Quello del maresciallo Dettori è solo uno dei decessi dai contorni oscuri che hanno segnato questi quarant’anni. La lista comprende anche la fine di Mario Naldini e Ivo Nutarelli, che la sera del 27 giugno 1980 erano in volo d’addestramento su un caccia TF-104 Starfighter tra Verona e Grosseto:

la loro rotta sfiora quella del DC-9. Negli atti è rimasto un segnale elettronico d’allerta lanciato ripetutamente dal loro jet, anche quello senza interpretazioni univoche: non si sa cosa li avesse allarmati.

Naldini e Nutarelli sono diventati poi piloti della pattuglia acrobatica: nel 1988 hanno perso la vita nel disastro di Ramstein, una base americana in Germania, quando i loro velivoli si scontrano e precipitano sulla folla che assisteva allo show. Ben 67 le vittime tra gli spettatori.

Fino ad allora, in oltre un quarto di secolo, le Frecce Tricolori non avevano mai commesso un errore. Le ipotesi di un sabotaggio sono state sollevate spesso e non hanno trovato riscontro. D’altronde si sarebbe trattato di una strage di innocenti per coprire un’altra strage di innocenti: una mostruosità difficile da concepire e ancora di più da riconoscere. Resta l’amarezza nello scoprire che per otto anni nessun investigatore sia andato a interrogarli.

 

 

Da sinistra, i piloti Ivo Nutarelli e Mario Naldini

 

 

Se vogliamo entrare nel solco dei sospetti, allora c’è un altro incidente che non è mai stato preso in esame. Perché tutte le prime indagini si sono concentrate sui caccia della Us Navy che avrebbero “razzolato” – termine usato nelle telefonate registrate al momento della scomparsa del DC-9 – sul cielo di Ustica, ma non c’è stata altrettanta attenzione per l’altra forza aerea statunitense: l’Us Air Force.

 

La risposta ufficiale consegnata dalla Nato nel 1997 elenca diversi aerei dell’Air Force in volo quel giorno. Un traffico che faceva riferimento al grande aeroporto friulano di Aviano.

Contrariamente a oggi, non c’era un reparto stanziale ma era una base aperta al rischieramento degli stormi americani, con un viavai frenetico di decolli e atterraggi: bombardieri e intercettori d’ogni genere. A maggio c’era stato uno squadrone di RF-4 Phantom arrivato dal Texas per partecipare all’esercitazione Dawn Patrol, “la pattuglia dell’alba”.

 

L’attività di Aviano era gestita dal 40th Tactical Group, comandato in quei giorni dal colonnello Henry M. Yochum II. I magistrati non l’hanno mai cercato. Avrebbero scoperto che era morto poco dopo. Lui, un veterano dei duelli supersonici contro i Mig in Vietnam, è precipitato sulla pista di Allendale nel New Jersey il 2 novembre 1982: guidava un aeroplanino Cessna Skymaster, considerato robusto e affidabile. Sulla sua tomba nel cimitero degli eroi di Arlington c’è scritto solo “pilota da caccia”.

 

Tra gli enigmi di Ustica c’è sempre stata la presenza di un Awacs dell’Air Force, che avrebbe seguito una traiettoria circolare sull’Appennino. Sarebbe stato incrociato anche da Naldini e Nutarelli. Neppure la risposta della Nato ha permesso di identificarlo: all’epoca esistevano pochissimi di questi Boeing E-3A Sentry, solo americani, e nessuno ufficialmente attivo in Europa.

 

L’Awacs poteva essere il testimone perfetto: un aereo delle meraviglie, modernissimo, con un radar che poteva scrutare tutto nel raggio di 400 chilometri e stanava persino i jet che sfioravano il suolo per sfuggire alla sorveglianza elettronica.

 

 

GIANLUCA DI FEO — INTERVENTO VIDEO – 2.33

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Repubblica si è rivolta all’esperto brasiliano Sergio Ricardo, che sta per pubblicare una monografia dedicata alle missioni di questo velivolo speciale. Ricardo ha trovato nei suoi file che dal dicembre 1979 al maggio 1980 due Sentry erano stati spediti oltre l’Atlantico per “operazioni d’addestramento nell’Europa centrale e nel Mediterraneo in sostegno della VI Flotta di Napoli e delle aviazioni alleate. Aviano era una delle loro basi.

Poi si sono spostati in Egitto, per partecipare all’operazione “Proud Phantom” dai primi di luglio a ottobre 1980″. Ancora una volta non si tratta di una prova, ma “dell’elevata probabilità” quindi che il 27 giugno un Awacs statunitense fosse in azione sull’Italia centrale, con la capacità di seguire qualunque oggetto volante sul Tirreno.

 

“Proud Phantom”, il fantasma orgoglioso, è una questione entrata nel processo di Ustica. Quella sera un cacciabombardiere americano F-111 diretto dall’Inghilterra alla pista campana di Grazzanise viene improvvisamente dirottato su Aviano: un aereo che pare fosse in trasferimento per raggiungere l’Egitto.

Il sito www.stragi80.it – un archivio online ideato da Fabrizio Colareti e Daniele Bianchessi con tutti i documenti originali di questa epopea – è riuscito a far parzialmente togliere il segreto da un rapporto interno del Pentagono che descrive quella missione. Il dossier è ancora pieno di omissis, che coprono un terzo delle pagine.

 

 

 

Il tracciato del DC-9 I-TIGI registrato il 27 giugno 1980 dal radar Marconi di Roma Ciampino dalle ore 20.58.24 alle 21.02.39  Vi si legge però che il personale statunitense raggiunse il Cairo tra il 17 e il 28 giugno 1980 con grandi cargo. I caccia F4-E Phantom, ossia Fantasma, invece decollarono dagli Usa dal 9 luglio: ognuno viaggiava con due missili aria-aria Aim-7E “unarmed”.

Un dettaglio estremamente prezioso: tra le ipotesi sulla fine del Dc-9 è stato considerato proprio l’impatto di un missile “disarmato”, privo cioè di testata esplosiva che scoppiando in prossimità della fusoliera avrebbe disperso numerose schegge. Che invece non compaiono sul relitto recuperato dal mare.

Ufficialmente però quei Fantasmi si sono mossi due settimane più tardi. Ufficialmente non c’è traccia neppure della partecipazione degli F-111 all’esercitazione egiziana. Che ci fossero velivoli statunitensi in giro sulla Penisola però lo ha confermato la Nato. E quando il Dc-9 si dissolve, tutte le centrali radar li cercano. Da Ciampino segnalano “un traffico americano molto intenso”.

 

Il maresciallo Guglielmo Diamanti ne ha parlato ai magistrati nel 1995: nell’attimo in cui l’Itavia era scomparso aveva notato sugli schermi le manovre militari. Lo precisa: “Manovre militari durate fino al momento della scomparsa”. Lo ribadisce nel processo: “Avevo chiesto a un altro controllore perché non si vedesse più niente: “Che fine hanno fatto le manovre?” “E’ stato spento tutto…”. Il DC-9 non c’era più: aveva visto come delle piccole stelline, cioè non una traccia compatta”. Quelle “stelline” erano il frutto dell’esplosione: i pezzi del volo Itavia con i suo carico di esseri umani.

 

La balena bianca

La Saratoga è la balena bianca di Ustica. Una portaerei nucleare lunga 324 metri, con un dislocamento di 82 mila tonnellate: una città navigante con 70 velivoli e oltre cinquemila persone. Come Moby Dick, appare e scompare nel corso dell’inchiesta. E tutti le danno la caccia. Appena il DC-9 svanisce dagli schermi radar, dal controllo del traffico aereo di Ciampino cominciano a cercarla: telefonano all’ambasciata americana, cercando invano l’addetto aeronautico.

 

 

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Hanno visto tanti aerei statunitensi in quella zona. Una voce registrata dichiara: “L’ipotesi più probabile è che si sia scontrato con un loro aereo”. La cercano pure dal centro militare di soccorso di Martinafranca, in Puglia, mobilitato per intervenire con i suoi elicotteri: chiamano lo Stato maggiore dell’Aeronautica, in un dialogo burocraticamente surreale, per sapere se c’era una portaerei. Poi la risposta arriva a mezzanotte dalla grande base di West Star, il bunker segreto che vigila sulle operazioni Nato, ed è negativa.

La versione ufficiale sarà sempre la stessa: quella sera la Saratoga era nel porto di Napoli, senza nessuna capacità operativa. Il comandante James Flatley dichiara che sono rimasti lì dal 23 giugno al 7 luglio, praticamente in vacanza. Pure i potenti radar sono spenti, per non interferire con le trasmissioni televisive cittadine. E i suoi intercettori Phantom? Il giornalista investigativo Claudio Gatti nel suo saggio “Il quinto scenario” lo ha ricostruito: erano da giorni a Sigonella e dopo le 18 sono rimasti negli hangar. Insomma, un’assoluzione piena.

Repubblica ha potuto esaminare un documento molto suggestivo: è il diario informale della Saratoga nel Mediterraneo, una sorta di souvenir fotografico realizzato per l’equipaggio, con i nomi e i volti di tutti gli uomini e delle pochissime donne presenti a bordo. Sfogliandolo, si capisce quanto il clima della portaerei fosse poco marziale: sono ancora le forze armate uscite dalla disfatta vietnamita, con un’atmosfera più simile a “Love boat” che non a “Top Gun”.

La crociera portaerei – La Saratoga è stata al centro dei sospetti per la strage di Ustica. Queste alcune pagine del libro ricordo sulla missione dell’estate 1980 realizzato per l’equipaggio

 

 

Uniformi disordinate, partite a basket tra i bombardieri negli hangar, band rock e ballerine sotto coperta. Ci sono le gite sulla Torre di Pisa, nei vicoli di Firenze, l’incontro con Karol Wojtyla a San Pietro: hanno pregato con il papa proprio nei giorni di Ustica.

Nella settimana chiave Napoli è sulla sfondo, con la cerimonia di un club nautico partenopeo invitato sulla nave e la grande festa del 4 luglio, con tanto di paracadutisti che si lanciano dall’alto del Vesuvio per planare sulla Big Sara. L’attività operativa non manca. In quella crociera i caccia Phantom decollano spesso e il comandante Flatley stabilisce il record di 1500 atterraggi. In cabina con lui c’è il figlio, cadetto ventenne d’accademia e oggi manager di un’azienda che rifornisce il Pentagono: non ha risposto alle mail di Repubblica.

 

Le squadriglie fanno anche esercitazioni a fuoco, sparando raffiche contro bersagli naviganti e tirando missili a largo della Sardegna. Tutto avviene in una comunità di 5000 marinai chiusi in trecento metri. Se la portaerei avesse avuto un ruolo nell’abbattimento del DC-9, così tante persone sarebbero state capaci di tenere il segreto per così tanti anni?

All’improvviso nel 2017 il mistero della Saratoga sembra finalmente sgretolarsi. Brian Sandlin nell’estate 1980 era un giovane marinaio: il librone lo mostra tra il personale che si occupa delle ancore e della manutenzioni dei ponti. Trentasette anni dopo decide di rivelare un ricordo inquietante: due caccia erano rientrati senza i missili. Sostiene che una cosa del genere non poteva passare inosservata. E allora il comandante Flatley si era rivolto all’intero equipaggio: “Attraverso gli altoparlanti, ci informò che durante le nostre operazioni di volo due Mig libici ci erano venuti incontro in assetto aggressivo e avevamo dovuto abbatterli”.

 

 

A QUESTO PUNTO  NEL LINK C’E’ UN AUDIO ABBASTANZA LUNGO:::

https://rep.repubblica.it/pwa/longform/2020/06/25/news/il_labirinto_della_verita_cosa_sappiamo_a_40_anni_dalla_strage_di_ustica-260059512/

 

DOV’E’ LA PORTAEREI

La centrale del soccorso aereo dell’Aeronautica di Martina Franca (Taranto) contatta lo Stato maggiore. Il DC-9 Itavia era da poco scomparso. Vengono chieste invano informazioni sulla presenza di una portaerei americana in zona. Ci sono risposte dal tono assurdamente burocratico: “Chi gliel’ha detto che è caduto? Altrimenti dobbiamo fare un sacco di telefonate”.

 

stragi80.it

(dal sito www.stragi80.it)

 

 

È la testimonianza che tutti avevano cercato, che Sandlin colloca proprio nel giorno di Ustica.

 

Si fa intervistare per il programma tv Atlantide da Andrea Purgatori, l’ex giornalista del Corriere della Sera che con le sue inchieste ha segnato la storia di questa vicenda.

Ripete le sue rivelazioni davanti alle telecamere e mette in contatto Purgatori con un secondo marinaio – il cui nome è stato tenuto riservato – che conferma: i caccia sono decollati con i missili e sono tornati senza.

 

Sembra la svolta, sembra che tutto stia per cambiare e la verità sia a portata di mano. Il procuratore aggiunto Maria Monteleone e il pm Erminio Amelio presentano una rogatoria alle autorità americane per interrogare Sandlin. Quando arriva il permesso, organizzano una teleconferenza per la deposizione. Ma Sandlin nega tutto. Nega le rivelazioni filmate dalle telecamere di Purgatori. Nega in maniera così netta da apparire reticente.

 

Brian Sandlin, il marinaio che si trovava sulla portaerei americana Saratoga nell’estate del 1980

 

 

Impossibile capire cosa lo abbia spinto alla retromarcia. Ha subìto pressioni? Si è reso conto di avere confuso l’episodio con la battaglia del marzo 1986, quando la Saratoga lanciò le sue squadriglie contro i libici, distruggendo motovedette e radar di Gheddafi? Sarebbe un errore troppo grossolano.

 

Ma uno dei dettagli forniti a Purgatori per circostanziare la sua versione – l’inspiegabile assassinio di un sottufficiale americano nei vicoli di Napoli subito dopo Ustica – in realtà sarebbe avvenuto mesi più tardi in Spagna.

Il dilemma della Balena Bianca però non è chiuso. I magistrati romani hanno in mano la testimonianza di un ex pilota Alitalia raccolta nel 2013: “Sorvolai i cieli di Ustica al comando di un velivolo di linea Alitalia, il giorno prima e, ancora, qualche minuto prima che accadesse la tragedia – ha scritto Federica Angeli su Repubblica riferendone il racconto – . Dopo alcuni minuti dal decollo dall’aeroporto di Palermo, sotto di me notai una flottiglia di navi: una che sembrava una portaerei e almeno altre tre-quattro imbarcazioni. Ho commentato con l’altro comandante questa presenza e quando seppi della tragedia pensai subito a quell’addensamento navale”.

Il teste è qualificato: prima di entrare in Alitalia è stato per anni ufficiale dell’Aeronautica, con incarichi di intelligence e analisi militare. Il suo verbale è stato segretato e resta un punto fermo dell’ultima inchiesta. Un rebus difficile da decifrare.

 

Come vedremo, l’ex presidente Cossiga ha attribuito l’abbattimento del DC-9 ai caccia della Marina francese. Parigi aveva due portaerei. La Foch risultava in cantiere per riparazioni. La Clemenceau invece dal 13 maggio al 4 luglio ufficialmente viene posizionata davanti a Tolone per completare i test dei nuovi sistemi radar e dei cacciabombardieri Super Etendard. Dal punto di vista tecnico, però, le unità francesi imbarcavano intercettori vetusti: gli F-8 Crusader di produzione statunitense, che l’Us Navy aveva già mandato in pensione da tempo. Non era certo l’aereo a cui affidare un raid ad alto rischio.

 

 

 

In quel periodo i britannici non avevano portaerei in servizio. Quanto agli americani, talvolta è stata evocata la presenza di un’altra aircraft carrier: la Kennedy. Il giorno di Ustica però era negli States: è salpata per il Mediterraneo il 4 agosto 1980. Si torna al punto di partenza: è possibile escludere che la Saratoga abbia lasciato Napoli?

 

Quando sei anni dopo due portaerei statunitensi presero parte al grande bombardamento della Libia, finsero una crociera di routine nei porti italiani e spagnoli e solo l’ultimo giorno raggiunsero a tutta velocità la zona di azione.Lo fecero in silenzio radio e con le contromisure anti-radar attivate, per nascondere i loro movimenti anche alle autorità del nostro Paese. Furono avvistate soltanto quando attraversano lo Stretto di Messina. Ma i caccia F-104 italiani che si avvicinarono alla flotta, si ritrovarono con gli schermi radar totalmente bianchi, accecati dalle contromisure. Qualcosa che, in linea puramente teorica, sarebbe potuto accadere anche il 27 giugno 1980.

 

 

 

Strage Ustica, sul fondo del mare i resti di un reattore del DC-9 precipitato

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Quella sera diversi apparati della navigazione aerea sono in tilt. Lo aveva segnalato proprio Domenico Gatti, il pilota del DC-9, alla torre di controllo di Ciampino: “Senta, neanche Ponza funziona?”. “Prego?”. “Abbiamo trovato un cimitero stasera. Venendo da Firenze in poi, praticamente, non ne abbiamo trovato uno funzionante”.C’è un altro dettaglio, mai entrato negli atti dell’indagine. Il diario fotografico della Saratoga mostra un unico evento con un’atmosfera rigorosa: la visita a bordo nel Golfo di Napoli di un altissimo ufficiale. L’ammiraglio Thomas B. Hayward era il responsabile delle operazioni di tutta la Us Navy: dopo il recente fallimento del blitz per liberare gli ostaggi americani in Iran, aveva ricevuto l’incarico di riorganizzare le forze speciali. Non sappiamo se sia arrivato sulla portaerei subito prima o subito dopo Ustica. Ma se c’era una missione top secret da compiere, lui era l’uomo giusto per pianificarla.

 

Un segreto sul segreto

“Quella di Ustica è una storia di un segreto sul segreto”, dice Rino Formica. Quando cadde l’aereo aveva 53 anni ed era diventato, da meno di tre mesi, per la prima volta ministro, responsabile dei Trasporti per conto del Partito socialista di Bettino Craxi, nel governo guidato da Francesco Cossiga.”Cosa intende con “un segreto sul segreto?””, gli domandiamo.”Il segreto è cosa accadde esattamente nei cieli di Ustica quella sera, come venne abbattuto l’aereo; il segreto sul segreto è come si è voluta tenere occultata la verità sulle ragioni dell’abbattimento. L’inchiesta del giudice Rosario Priore, l’atto giudiziario più completo e organico che ci sia sulla strage, giunge alla conclusione che vi è stata una battaglia aerea attorno al DC-9. Coinvolse le aeronautiche di almeno tre Paesi: Francia, Libia, Usa. I capi dei governi di quei Paesi erano Jimmy Carter, Valéry Giscard d’Estaing e Gheddafi. Loro sapevano la verità. Ma la si può trovare anche negli archivi di Francia e Stati Uniti. Se non vengono resi accessibili, se nessuno ha mai confutato la tesi della battaglia aerea, ciò significa che si vuole mantenere in vita il segreto”.

 

 

Bettino Craxi e Rino Formica

 

 

 

Inizialmente, ricorda Formica, nel governo e in Parlamento si fece largo l’idea che l’aereo era caduto per un cedimento strutturale. L’Itavia era una compagnia che godeva di cattiva fama e quella tesi sembrava apparentemente la più logica. Formica fu pressoché l’unico che invece la escluse, sin da subito, e si oppose alla presentazione di un ordine del giorno presentato da tutti i gruppi parlamentari, che attribuiva la caduta alla scarsa manutenzione degli aerei Itavia.

 

L’8 luglio 1980 – ovvero undici giorni dopo la tragedia – rispondendo in Senato ad alcune interrogazioni, il ministro riferì che dalla documentazione tecnica sullo stato di navigabilità del DC-9, fornita dal Rai (Registro aeronautico italiano), il DC-9 risultava regolarmente sottoposto al programma di manutenzione e ispezione “sotto la sorveglianza del Rai stesso”, come poi riconobbe nell’aprile 1992 anche la Commissione parlamentare sulle stragi, presieduta dal repubblicano Libero Gualtieri.

 

“Subito dopo la tragedia mandai a chiamare il presidente del Rai, il generale Saverio Rana. Lo conoscevo bene, era un compagno socialista perbene e appartato”. Era stato anche il pilota personale di Pietro Nenni. “Gli chiesi di dirmi tutta la verità, perché l’ipotesi del cedimento avrebbe implicato un problema di controllo del Rai, e quindi in quel caso avrei dovuto rimuoverlo. Lui mi rispose deciso di poter escludere la tesi del cedimento. E, a riprova di quanto sosteneva, mi mostrò un tracciato radar da cui si evincevano dei puntini. “Vedi – mi spiegò – questi puntini ci dicono che c’è stata un’esplosione, o che l’aereo è stato colpito da un oggetto esterno, forse un missile“.

 

Grazie a questa rivelazione Formica in Parlamento escluse pubblicamente l’idea del cedimento strutturale. Con chi ne parlò?, gli chiediamo. “Con il ministro della Difesa, Lelio Lagorio. Era socialista come me”.

Ma Lagorio non la prese sul serio, visto che anni dopo avrebbe definito la sua rivelazione “una di quelle folgorazioni immaginifiche e fantastiche per le quali il ministro Formica era famoso”. “Eh, lo so”, ride amaro, Formica: “Mi diede del fantasioso…”.

 

Nel 1980 il Psi era tornato al governo dopo sei anni. Il 4 aprile era nato il governo Cossiga, che era succeduto a se stesso: una coalizione composta da Dc, Psi, Pri, che seppelliva definitivamente la stagione del compromesso storico. Anche Lagorio era alla prima esperienza al governo. In seguito avrebbe ammesso di conoscere poco il mondo militare. Forse a causa di questa inesperienza, o forse perché ritenne effettivamente poco credibile l’ipotesi formulata da Formica, non vi diede seguito. Eppure sin da subito i giornali parlarono di un’esplosione dalle cause misteriose. 

 

Il 29 giugno Repubblica titolò: “L’aereo Itavia è esploso in aria, mistero sulle cause del disastro”. 

E il Corriere della Sera:Il tragico giallo del DC-9 precipitato: l’unica ipotesi per ora è l’esplosione”. 

 

“Una delle primissime cose che feci – ricorda Formica – fu di nominare, il 28 giugno, una Commissione d’inchiesta tecnica che indagasse sulle cause della caduta dell’aereo. Scelsi come presidente il direttore dell’aeroporto di Alghero, Carlo Luzzatti. Introdussi una novità, d’accordo con Cossiga: la Commissione avrebbe dovuto presentare delle pre-relazioni, aggiornando così in anticipo sulle conclusioni finali l’opinione pubblica sullo stato dei lavori. Questo per evitare che la verità fosse comunicata con anni di ritardo”.

 

 

 

 

 

 

 

 

In una chiacchierata con il giornalista Mario Scialoja, pubblicata dall’Espresso il 1 maggio 1988, Formica rivelò otto anni dopo quale era stata la sua fonte: “Poche ore dopo l’incidente telefonai al generale Saverio Rana, allora presidente del Registro aeronautico italiano e quindi massimo responsabile della sicurezza degli aerei civili; mi diede subito un’informazione precisa: disse che al DC-9 Itavia esploso in volo a 60 miglia a nord di Ustica si era avvicinato un oggetto volante non identificato e che subito dopo l’aereo era stato colpito da un missile“.

 

L’intervista suscitò una grande polemica politica. Nell’edizione del 15 maggio 1988 il settimanale ospitò una lettera di Formica. “Mi dispiace per il giornalista Scialoja: ciò che ha virgolettato è la forzatura del mio pensiero. Esso è stravolto ed è intriso di certezze, mentre avevo espresso opinioni ed intuizioni. (…) Rana mi assicurò che tutti i controlli Rai erano stati positivi e che non poteva invece escludersi l’ipotesi dell’impatto con un missile. (…) Rana non è mai andato oltre la formulazione di ipotesi (…). Alla luce di ciò che sta emergendo dalle recenti indagini potrei vantarmi di essere stato il primo a pronunciare la parola missile. Ma si trattò solo di una deduzione logica che partiva dalle acute riflessioni del generale Rana”.

 

Gli rispose Scialoja: “Durante il nostro colloquio il ministro non attribuì al generale Rana delle ipotesi, bensì l’indicazione dei fatti. “Rana con determinazione mi disse che il DC-9 era caduto per un fatto esterno e che dal tracciato radar e da sue fonti risultava che al momento dell’incidente vicino all’aereo di linea si trovava un oggetto esterno che lo colpiva”: queste le parole di Formica appuntate sul mio bloc-notes durante l’incontro”.

Ma perché Formica non informò la magistratura delle rivelazioni di Rana? Dopo la pubblicazione dell’articolo sull’Espresso sia Libero Gualtieri sia Stefano Rodotà, parlamentare della Sinistra indipendente e membro del Comitato per la verità su Ustica, glielo rinfacceranno.

 

In questo modo venne fatto perdere tempo prezioso agli inquirenti, mantenendo in vita ipotesi del tutto infondate. Disse all’Espresso Rodotà: “Se Formica e Lagorio avessero informato gli inquirenti degli elementi in loro possesso i magistrati avrebbero potuto interrogare il generale Saverio Rana. Oggi Rana non può più parlare perché è morto”.

 

 

 

 

 

Come risponde Formica a queste obiezioni? “Il Rai faceva parte, con un suo esponente, della Commissione Luzzatti, quindi la tesi dell’esplosione venne veicolata lì. La Commissione e la magistratura lavoravano di concerto. Infatti, sin da subito si sgombrò dal tavolo l’ipotesi del cedimento strutturale. Uno dei fautori di questa tesi inizialmente era Libero Gualtieri, che poi cambiò idea. Io quello che avevo da dire lo dissi in Parlamento, se un magistrato voleva sentirmi bastava chiamarmi. Ma nessuno lo fece”.

 

Nel novembre 1980 le relazioni di due esperti americani vennero incamerate dalla Commissione Luzzatti. Fece rumore, in particolar modo, quella dell’ingegner John Macidull, lo specialista del National Transportation Safety Board, l’ente che vigila sulla sicurezza dei voli negli Stati Uniti, che metteva in evidenza la presenza nel tracciato radar di Ciampino di tre echi attribuibili ad un oggetto non identificato che viaggiava prima parallelamente alla rotta dell’aereo e che poi si dirigeva verso il DC-9 nell’ultima eco. La risultanza venne comunicata anche alla magistratura.

 

Scriverà nel 1992 la Commissione Gualtieri: “Il sostituto procuratore Giorgio Santacroce, recatosi nell’ottobre 1980 negli Stai Uniti, presso la Faa (Federal Aviation Administration) e il Ntsb (National Transportation Safety Board), aveva acquisito conferme significative della presenza di un altro aereo in prossimità del DC-9 Itavia.

Dalla relazione del Ntsb era possibile inferire – una volta esclusa l’ipotesi della collisione in volo – che il DC-9 era stato abbattuto da tale aereo che avrebbe lanciato un missile in direzione del velivolo dell’Itavia.

Questa ipotesi veniva corroborata da un’analisi Xeda effettuata nel novembre 1980 presso i laboratori metallurgici del Ntsb su un frammento metallico di forma trapezoidale – rivenuto nel cadavere di una passeggera e proveniente da una struttura situata nel vano carrello – che aveva evidenziato la presenza di fosforo, sostanza riconducibile a cariche di ordigni bellici”.

 

Insomma, già nel tardo autunno del 1980, la pista del missile sembra l’unica possibile.

Il 13 dicembre 1980 la Commissione Luzzatti diffonde infatti una pre-relazione con la quale esclude il cedimento strutturale e la collisione. Il 16 dicembre il presidente di Itavia, Aldo Davanzali, recapita una lettera a Formica, dove sostiene “la certezza della distruzione, ad opera di un missile, del DC-9 Itavia che percorreva, in perfette condizioni meteorologiche e di crociera, una aerovia riservata dallo Stato italiano all’aviazione civile”.

La missiva viene pubblicata con gran clamore dai giornali. Il 17 dicembre Formica, parlando alla Camera, dice di ritenere l’ipotesi del missile “più probabile delle altre”. Il giorno dopo Davanzali viene convocato come testimone dal sostituto procuratore Santacroce e indiziato del reato di diffusione di notizie esagerate e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico.

 

Uno dei pezzi del DC-9 Itavia recuperato nelle acque del Tirreno

 

Davanzali, marchigiano di Sirolo, aveva 57 anni ed era legato alla Dc, specialmente a Forlani, di cui era amico. Proprio Forlani divenne premier nel settembre 1980, quando cadde il governo Cossiga. Quindi il governo avrebbe potuto salvarla dal fallimento se si fosse scartata in via definitiva la tesi del cedimento strutturale. Invece non fece nulla. Davanzali allora scrive a Formica. “Forlani non mi parlò mai di Davanzali. Non mi chiese mai niente, né accennò a lui”, ricorda ora l’ex ministro socialista.

Cosa accadde dopo la sua deposizione in Parlamento?

Francesco Mazzola, sottosegretario dc alla Presidenza del Consiglio – durante il sequestro Moro lo era stato alla Difesa con delega ai Servizi – chiese informazioni al prefetto Walter Pelosi, il segretario generale del Cesis (Comitato esecutivo per i servizi di informazione e sicurezza), l’organo di coordinamento dei servizi segreti italiani. Pelosi bollò la tesi di Formica come “fantasiosa”. E aggiunse: “Non ci sono elementi che comprovino questa versione, è un cedimento strutturale”.

“Ho preso per buono quello che mi hanno detto”, ammise poi Mazzola davanti alla Commissione stragi.”Si seppe l’anno dopo – dice adesso Formica – che Pelosi era iscritto alla P2 e perciò si dovette dimettere dal Cesis.

piduisti sostenevano la tesi dell’atto terroristico. La P2 era del resto uno dei tentacoli della destra Nato. Promuoveva la tesi della bomba in senso depistante. C’era una trasversale posizione, di organi istituzionali, magistratura, Parlamento, forze politiche e informazione, che condivideva coscientemente o inconsapevolmente la linea della P2. Con la classificazione di “atto terroristico” si chiudeva ogni approfondimento sulle responsabilità delle forze armate e di intelligence dei Paesi coinvolti in quella che il giudice Priore definì “la battaglia dei cieli”.

 

 

Un anno terribile

Mazzola, anni dopo, si giustificò ricordando il clima rovente e drammatico di quella stagione. Il 1980 è, se possibile, l’anno peggiore del terrorismo. Delitti, stragi, sequestri, morti eccellenti.

E proprio quando è ormai chiaro che è stato un missile ad abbattere l’aereo gli eventi tragici si affollano: viene sequestrato il giudice Giovanni D’Urso, ostaggio delle Brigate Rosse dal 12 dicembre al 15 gennaio 1981; il 28 dicembre scoppia una rivolta nel carcere di Trani, dove vengono prese in ostaggio 29 persone tra poliziotti e carabinieri; il 31 dicembre viene assassinato a Roma dalle Br il generale dei carabinieri Enrico Riziero Galvaligi.

E il 23 novembre il terremoto aveva devastato l’Irpinia. Il governo fu risucchiato dai tragici fatti di quelle settimane e si dimenticò di Ustica.

Disse Mazzola: “Io credo che chi si è mosso per depistare ha avuto il grande vantaggio di muoversi in una situazione nella quale lui si occupava esclusivamente di questo e i suoi interlocutori avevano mille altri problemi quotidiani giganteschi, terribili, per cui non erano in grado di esercitare quella sorveglianza che in una situazione normale probabilmente ci sarebbe stata. In una situazione normale la questione della discrasia tra le dichiarazioni di Formica e quello che ci veniva detto dai Servizi sarebbe stata più approfondita. All’epoca non facevamo in tempo ad affrontare un problema che ce n’era un altro più grosso. Eravamo travolti dagli avvenimenti“.

 

 

 

MUSEO PER LA MEMORIA DI USTICA

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L’installazione permanente di C. Boltanski al Museo per la Memoria di Ustica di Bologna circonda i resti del DC9 abbattuto il 27 giugno 1980

 

 

 

“Dalla fine del 1980 di Ustica nessuno parla più”, osservò la Commissione Gualtieri.

Rino Formica conferma, a distanza di quarant’anni, quell’osservazione. “Ci fu un affievolimento dell’interesse da parte delle forze politiche. E che non si spiega soltanto col fatto che altre emergenze incalzarono. C’era anche una remora a entrare dentro una questione torbida. Non ci fu alcuna pressione, ad esempio, da parte dei partiti, sia di maggioranza che di opposizione, a ripescare il relitto. Solo nel 1986 l’iniziativa fu assunta dal governo Craxi, dopo le richieste delle associazioni dei familiari. Il ripescaggio iniziò l’anno dopo, ed erano già passati sette anni. Fu una società francese a recuperare l’aereo, e i loro tecnici sicuramente operarono sotto uno sguardo vigile…”, sottolinea con malizia.

“Eppure sin da subito ripescare le scatole nere avrebbe posto fine a una discussione che astrattamente verteva su varie tesi. Il punto è che sia la maggioranza, sia l’opposizione, erano “sotto la tutela della frontiera Est-Ovest”: la Dc guardava all’America, il Pci all’Unione sovietica. Era un mondo diviso tra paesi di fedeltà occidentale, come l’Italia, quelli comunisti e quelli non allineati, tra cui la Jugoslavia di Tito.

La guerra fredda impediva a ciascuno di fare dei passi decisivi, in piena libertà”

 

.”Tutte le forze politiche non vollero approfondire, perché avrebbero rischiato, da quella ricerca di verità, di perdere qualcosa. Anche il Pci. A questo proposito ricordo che comunisti presentarono un disegno di legge per riformare il segreto di Stato, e nel farlo allegarono al testo dei documenti Nato.

Ma Nilde Iotti, che presiedeva la Camera, impose di togliere gli allegati, costringendo così i suoi compagni partito a formulare una seconda versione, che poi non venne firmata, per protesta, dall’onorevole comunista Antonio Bellocchio. Tutti i capi dei servizi segreti di quegli anni, la Dc li concordava con i comunisti, molti dei quali l’anno dopo furono ritrovati nelle liste della P2″.

 

 

Nilde Iotti con Francesco Cossiga

 

Che anno fu il 1980?, chiediamo a Formica. “Terribile.

 

E’ l’anno d’inizio della grande crisi dell’ordine mondiale di Yalta.

 

In Italia comincia con l’uccisione del Presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella, prosegue con l’assassinio del vice del Csm Vittorio Bachelet, poi in primavera avvengono gli omicidi dei magistrati Giacumbi, Minervini, Galli;

 

il 28 maggio viene assassinato il giornalista Walter Tobagi, e il 23 giugno, quattro giorni prima di Ustica, i Nar uccidono il magistrato Mario Amato.

 

Quaranta giorni dopo Ustica ci fu la strage di Bologna, che si può leggere anche come un avvertimento all’Italia. Non vi è nessun nesso diretto con Ustica, ma lo ritengo un messaggio a non approfondire troppo.

Il 1980 è anche l’anno in cui il mondo svolta a destra.

 

A novembre Reagan succederà a Carter. In Inghilterra cresce la Thatcher. In Italia finisce la stagione del compromesso storico, e nasce quella del preambolo in cui la Dc pone fine a un accordo con i comunisti. L’Italia è in recessione, e con un’inflazione record del 21 per cento. La più alta nella storia. Nasce Solidarnosc in Polonia e Papa Wojtyla, tramite il cardinale Marcinkus, finanzia il sindacato di Lech Walesa in funzione anticomunista.

 

A ottobre c’è la marcia dei 40mila colletti bianchi della Fiat, che così mettono fine allo sciopero degli operai a Torino”.In un’altra intervista, rilasciata nel novembre 1988 al settimanale Epoca Rino Formica parlò “di depistaggio scientifico”.

Lo ridirebbe? “Certamente, anche se oggi userei l’aggettivo metodico, non scientifico.

Purtroppo ci sono segreti non svelabili, perché alcuni sistemi di alleanza sono ancora in piedi: la Nato, l’alleanza occidentale, e anche pezzi importanti del mondo che era comunista restano in vita, con le loro relazioni.

Se ci fosse stata allora la tecnologia di cui disponiamo oggi molti di questi misteri sarebbero già caduti. Il giudice Priore ha ammesso di essersi trovato dinanzi a un muro internazionale oltre il quale non si può andare”.

 

 

L’auto di Piersanti Mattarella dopo l’attentato in cui il 6 gennaio 1980 viene assassinato il presidente della Regione Sicilia

 

Dice Formica: “L’abbattimento è l’imprevisto, l’intrigo avviene dopo. Il tracciato radar che mi mostrò quella sera Rana lo aveva avuto dal generale dell’Aeronautica Licio Giorgieri. Lui non me lo disse, si seppe dopo, quando Giorgeri venne assassinato a Roma dall’Unione comunisti combattenti. La rivendicazione fu un falso, come notò subito il ministro della Difesa Spadolini

 

.”Insomma, insiste Formica, “la storia non va vista solo come una somma di episodi, ma studiata dentro un contesto. Craxi, che non mi ha mai ostracizzato, sentiva che quella vicenda era inquadrata dentro un ordine internazionale. Lo aveva imparato da Nenni: non c’è alcun fatto nazionale che non si leghi a quello sovranazionale”.

 

In definitiva, come andarono le cose? “Ustica fu un episodio di guerra. Credo che la tesi di Cossiga sia la più logica. L’ex Presidente afferma di avere saputo che fu un missile francese. L’obiettivo era uccidere Gheddafi. I francesi sapevano che un aereo libico, con a bordo proprio Gheddafi, sarebbe transitato nei cieli italiani. I nostri servizi lo seppero, probabilmente informati dai servizi americani, e avvertirono subito Gheddafi”.

Cossiga disse che fu il generale Santovito del Sismi a informare il leader libico e che questi, che era appena decollato, tornò indietro. “È probabile – dichiara Formica – che Gheddafi abbia mandato comunque un aereo, per vedere se la notizia era fondata”.

 

“Quindi siamo in presenza di un tragico episodio di guerra calda, di una deviazione, all’interno di un sistema dominato dalla guerra fredda. Coloro che sono stati chiamati in causa non hanno mai smentito questa ricostruzione. Nessuno ha detto: “Non è vero”. Gheddafi ha coperto gli informatori, Reagan ha coperto Carter, Mitterrand ha dovuto coprire Giscard d’Estaing per l’onore della Francia”.

 

 

 

Eliminate Gheddafi

 

All’inizio del 1980 le relazioni tra Francia e Libia sono ai minimi. Gheddafi allunga le sue mire sul Ciad, organizza azioni ostili contro la Tunisia. Nel febbraio 1980 manifestanti appiccano il fuoco all’ambasciata francese di Tripoli e il centro culturale di Bengasi è attaccato. All’Eliseo Valery Giscard d’Estaing si rafforza nella convinzione che il raìs di Tripoli è un nemico da eliminare. Nel suo libro “Le Pouvoir et la Vie”, l’ex presidente racconta che già nel marzo 1977 aveva cominciato a dialogare con Anwar el-Sadat, capo di Stato egiziano, per sbarazzarsi del colonnello libico, che oltre a sostenere vari gruppi terroristi, è diventato il principale regista di molte trame antifrancesi in Africa.

 

 

Valéry Giscard d’Estaing, Mu’ammar Gheddafi e Jimmy Carter

 

 

L’ossessione di Giscard contro Gheddafi diventa quella dello Sdec (Service de Documentation et de Contre-Espionnage) guidata dal potente Alexandre de Marenches. L’aristocratico di origini piemontesi, che ha regnato sui servizi francesi tra il 1970 e il 1981 conducendo varie operazioni clandestine con il Service Action, non ha mai voluto riconoscere la volontà della Francia di eliminare il raìs libico preferendo ricordare la “domanda un po’ inverosimile” posta da Sadat nel marzo 1978, che avrebbe messo da parte rispondendo che non era “a capo di una squadra di sicari a pagamento”. Questa è la versione ufficiale. In privato, invece, Marenches si vanta di aver voluto eliminare Gheddafi, e lo fa anche parlando con il Sismi. E’ un fatto che conferma Jean-Christophe Notin, autore di una biografia dell’ex capo dello Sdec uscita due anni fa, “Le Maître du Secret“.

 

Già alla fine degli anni Settanta Marenches aveva organizzato e finanziato un vasto programma per colpire l’intera galassia libica. “Non solo operazioni mirate per eliminare il raìs – spiega Notin – ma anche la distruzione dei suoi vari interessi, se possibile nei paesi accusati di aiutarlo”. Il riferimento è anche all’Italia.

 

Nel programma, battezzato “Piovra”, c’è l’invio nell’ottobre 1980 di due nuotatori da combattimento per mandare a fondo l’ammiraglia della marina libica nel Mediterraneo. Ci sono anche misteriosi incendi, uno contro la residenza di ambasciatore di Tripoli in Europa. E c’è un ordigno nascosto in un container nel porto di Napoli che finisce inesploso per causa di forza maggiore: un blackout che paralizza la città per qualche ora.  “In almeno due occasioni – prosegue Notin – i servizi francesi sono arrivati molto vicini al loro obiettivo”. Il Service Action, le squadre speciali dell’allora Sdec (oggi Dgse), avevano pianificato di fare scoppiare una bomba al passaggio di un corteo nel quale viaggiava Gheddafi. Un’altra volta doveva essere colpito durante una conferenza stampa. In entrambi i casi, grazie al suo intuito o a buone informazioni, il raìs non era presente.

Il giudice Rosario Priore sopra la nave Valiant in missione nel Tirreno, per recuperare i resti del DC-9 Itavia precipitato in mare

 

 

 

Il piano più spettacolare, documentato ormai in varie ricostruzioni, doveva scattare il 5 agosto 1980, qualche settimana dopo la strage di Ustica. Deluso dai continui fallimenti di Marenches, Giscard decide di scavalcarlo e affidare al numero due dei servizi, Alain de Marolles, la missione speciale: “Vi chiedo di rovesciare Gheddafi”. E’ quello che Marolles, morto nel 2000, aveva confidato anni dopo ai giornalisti Roger Faligot, Jean Guisnel e Rémi Kauffer in “Histoire politique des services secrets français”.

 

Ma anche l’operazione, guidata dal cosiddetto “Safari Club”, coordinamento tra i servizi francesi, egiziani, marocchini e sauditi, si conclude in un clamoroso fiasco. Marolles viene cacciato a settembre. Marenches se ne va un anno dopo, scaricato da François Mitterrand eletto nel maggio 1981. Fino agli ultimi giorni del suo mandato all’Eliseo, Giscard non ha abbandonato l’idea di liberarsi della “Piovra”. E’ lui stesso a raccontarlo nelle sue memorie. L’allora leader francese manda Marenches alla Casa Bianca nel gennaio 1981 per l’insediamento di Ronald Reagan. Il nuovo presidente degli Stati Uniti, secondo quanto riferito da Giscard, chiede alla Francia di immaginare un’operazione che possa cancellare l’umiliazione della presa di ostaggi a Teheran.”I need a victory” dice Reagan. “Mi chiedo dove possa avvenire questa vittoria”, ricorda Giscard: “Vedo una sola possibilità”. La Libia. Qualche mese dopo, nel passaggio di consegne a Mitterrand, Giscard gli ribadisce la necessità per la Francia di insistere con gli Usa per un cambio di regime in Libia. Mitterrand prende nota. Anni dopo, Giscard scrive: “Rimpiango che non se ne sia fatto nulla. Sarebbe stato vantaggioso per l’Egitto e l’Africa. Avrebbe salvato il Ciad dalla crisi sanguinosa che ha poi attraversato”.

L’inseguimento della Francia contro Gheddafi si conclude qualche decennio dopo. Il 20 ottobre 2011 il raìs libico viene ucciso durante i bombardamenti in Libia guidati da Parigi e Londra.

 

A domanda di Repubblica su un eventuale coinvolgimento della Francia nella strage di Ustica, il novantaquattrenne Giscard spiega oggi di “non ricordare” la vicenda. La sua assistente aggiunge che il Presidente non ha intenzione di parlarne. Marenches e Marolles sono morti, con i loro segreti. Pochi personaggi dell’epoca sono ancora vivi. Uno di loro è Michel Roussin, capo di gabinetto di Marenches tra il 1977 e il 1981, oggi consulente in Africa per il gruppo Bolloré.

 

“È una vicenda lontanissima, storia di altri tempi” ha detto Roussin a Emmanuel Ostian, autore di “Crash de Ustica, une bavure française“. Il documentario trasmesso sul Canal Plus nel 2016 è una della poche inchieste diffuse Oltralpe sulla vicenda.

Ostian ha smontato molte verità ufficiali, a cominciare dalla tesi per cui l’attività nella base di Solenzara era stata sospesa dopo le ore 17. E’ quello che hanno riferito gli ex militari francesi interrogati dal magistrati italiani dopo il 2014 quando la Francia ha finalmente dato il via libera alle rogatorie.

La svolta è arrivata dal presidente socialista François Hollande convinto all’epoca dalle nuove sollecitazioni del premier Matteo Renzi.

 

Emmanuel Macron con Franocois Hollande

 

Il gesto di Hollande è stato il primo spiraglio aperto dopo decenni di silenzi.

 

Emmanuel Macron ha continuato sulla stessa linea, mandando avanti altre rogatorie sull’inchiesta di Ustica, come Repubblica è in grado di rivelare.

 

“Nell’estate del 2018, su richiesta delle autorità italiane, il vertice delle Forze Armate ha declassificato cinque documenti” spiega un portavoce della Difesa. Cosa c’è dentro quei cinque documenti francesi? Riguardano la porta-aerei Clémenceau, la base di Solenzara? Il portavoce del ministero della Difesa rinvia ai magistrati italiani per ottenere maggiori dettagli.

“I documenti – conclude – sono stati consegnati alle autorità italiane tramite l’ambasciata di Francia a Roma e devono contribuire all’opera di memoria avviata nel 2014 dal presidente del Consiglio italiano”.

I giornalisti esperti di intelligence continuano a non credere a un coinvolgimento francese nella tragedia.

Jean-Dominique Merchet, autore del blog Secret Défense, dice: “Grazie al rifornimento in volo, l’area di Ustica non era fuori dalla portata di un caccia francese. Ma un’intercettazione richiedeva un controllo aereo che poteva essere solo italiano o americano, in quanto la Francia non aveva i radar volanti Awacs necessari per guidare i piloti”. Jean Guisnel, uno degli autori di “Histoire secréte des services secrets”, racconta di aver consultato fonti della Dgse che hanno definito le accuse a Parigi come “farina del Sismi”, mettendole sullo stesso piano delle insinuazioni avvenute tempo dopo nel Nigergate, le false prove sulle forniture di uranio usate come pretesto per l’invasione americana dell’Iraq nel 2003.

 

Il ricercatore Guillaume Origoni, che ha lavorato a una tesi sulle influenze internazionali sul terrorismo deglAnni di Piombo, è convinto che la pista francese non sia solida. “La Francia ha fatto cose terribili come molti altri Stati ma in questo caso da un punto di vista metodologico l’accusa si basa solo su Cossiga, le presunte confidenze di Marenches, e sulla presenza di aerei francesi nei cieli al momento della strage. Troppo poco”.

Origoni ha fatto uno studio sulla scuola francese Hyperion al centro delle trame sui rapporti occulti del terrorismo rosso, ed è convinto che sia uno dei tanti esempi di come la relazione tra i servizi francesi e italiani in quello scorcio di fine anni Settanta e inizio anni Ottanta sia stata avvelenata da una “cultura dei sospetti”, alimentando una reciproca diffidenza.

Uno dei pezzi del DC-9 Itavia recuperato in mare

 

Oltralpe resta un muro di gomma che non aiuta a spazzare via ogni dubbio. Gli archivi militari saranno desegretati tra vent’anni. E anche la Francia ha la sua Ustica.

Ancora oggi le famiglie delle 95 vittime morte nel volo Ajaccio-Nizza precipitato l’11 settembre 1968 al largo di Antibes chiedono di far luce sull’ipotesi di uno schianto dovuto a un missile durante esercitazioni militari nelle basi di Tolone. L’inchiesta è ancora in corso. E solo qualche mese fa Macron ha promesso alle famiglie la collaborazione dello Stato per far emergere la verità. Una verità sempre troppo lenta. Solo dopo 34 anni gli ufficiali francesi hanno ammesso che dalla base corsa di Solenzara il giorno di Ustica c’erano stati decolli anche dopo le 17. Lo avevano sempre negato, nonostante la testimonianza di Nicolò Bozzo, generale dei carabinieri e braccio destro di Carlo Alberto Dalla Chiesa, che si trovava lì in vacanza e aveva sentito i jet sfrecciare fino a notte tarda.

 

Sappiamo che c’erano pure stormi belgi, impegnati a simulare battaglie con i nuovissimi F-16 appena ricevuti dagli Stati Uniti. Le riviste di settore riportano i nomi di due ufficiali impegnati nelle sfide corse a fine maggio 1980: Claude “Shake” Scheecqmans e il capitano Baudot. Bruxelles però ha opposto il segreto alle rogatorie della procura, ripetendolo pure tre anni fa: l’unico Paese a difendere il silenzio totale. Perché?

Solenzara era ed è la vera portaerei francese sul Mediterraneo centrale, da cui lanciare le missioni più delicate verso la Libia, il Ciad e il resto dell’Africa. Lo dimostra un video ufficiale messo in rete dall’aviazione francese nel 2014: celebra la trasferta senza sosta di quattro caccia Mirage F-1 dalla Corsica a Gibuti, nel Mar Rosso. Questa trasvolata record fu realizzata il 28 gennaio 1980, cinque mesi prima della strage: nel filmato originale si mostra il briefing ai piloti per illustrare il percorso sulle cartina. E’ chiarissimo: la squadriglia vola esattamente sopra Ustica, il passaggio abituale per attraversare il Tirreno. La telecamera si sofferma due volte sulla mano del comandante che indica la rotta sulla mappa. Pensando a cosa poco dopo è accaduto proprio lì, l’immagine fa venire i brividi.

 

 

Le spie volanti in abiti civili

 

Gheddafi non era solo un problema francese. Tanti in Occidente avevano motivi di attrito con lui. L’America di Jimmy Carter che aveva espulso i diplomatici libici accusati di organizzare l’omicidio dei dissidenti in esilio: nel dicembre 1979 la folla aveva assaltato l’ambasciata a Tripoli. E per gli stessi motivi Margaret Thatcher era ai ferri corti con il Colonnello. La “Lady di ferro” ne discute col suo gabinetto il 19 giugno 1980, otto giorni prima di Ustica.

 

Ecco il rapporto del summit desecretato dai National Archives: “Il capo della missione diplomatica a Londra è stato espulso per le sue minacce pubbliche contro la vita di due esiliati libici. È possibile però che sia andato oltre le istruzioni, poiché il governo libico non ha condotto ritorsioni ufficiali. La nostra ambasciata a Tripoli ha subìto danni minori per un tentativo di incendio, ma le autorità hanno collaborato per spegnerlo”.

Proprio a causa di un patto tra Malta e Libia, i britannici l’anno prima avevano dovuto lasciare la base maltese di Luqa. Senza rinunciare però alla presenza nel Mediterraneo: intercettori Phantom raggiungevano la Sicilia e la Sardegna, accompagnati da cisterne volanti Victor, per pattugliare il Tirreno. Quelle missioni venivano chiamate “Phantom Trail”: la Pista Fantasma.

 

E nell’analisi realizzata dalla Nato dei tracciati radar registrati il 27 giugno 1980 compaiono diversi velivoli inglesi, con indicazioni generiche che non ne hanno mai permesso l’identificazione. Agli atti risulta che il pomeriggio del 27 giugno fosse in corso un’esercitazione britannica, chiamata “Patricia”: gli esperti di storia della Royal Air Force non hanno mai sentito parlarne e non ricordano manovre con nomi femminili. All’epoca infatti si preferivano titoli aggressivi, tipo Strikeback, Counter Pounch, Dragon Hammer, Demon Jam.

Londra comunque non considerava Gheddafi una vera minaccia: i file delle riunioni della Thatcher rivelano come si continuasse a intrecciare affari col dittatore, cercando di contenere le sue sfuriate. Una linea comune con Roma, Parigi e persino Washington: il petrolio e i finanziamenti del Colonnello facevano gola a tutti.

Solo l’arrivo di Ronald Reagan alla Casa Bianca cambierà lo scenario: l’ostilità diventerà aperta, fino alla battaglia aerea sul Golfo della Sirte nel settembre 1981.

 

 

 

ITAVIA, UN AFFARE DI STATO

L’Itavia, la compagnia del DC-9 di Ustica, era una società privata con un “forte sostegno politico di Arnaldo Forlani”. Un elemento noto persino nelle cancellerie internazionali. Il 15 giugno 1979, un anno prima della strage, Margaret Thatcher riceve a Londra il premier Giulio Andreotti e il ministro degli Esteri Forlani. Nel 2010 i National Archives britannici hanno reso accessibile il dossier sulla visita. Nel preparare l’incontro, al punto 13, viene segnalato che “gli italiani potrebbero fare riferimento alle difficoltà incontrate dalla compagnia di voli charter Itavia nell’ottenere sufficienti quantità di carburante dalla Mobil all’aeroporto di Gatwick. Questo non è un argomento che riguarda il governo di Sua Maestà. Una spiegazione difensiva è allegata”. La questione viene presentata nei dettagli alla Thatcher. Si tratta del razionamento di combustibile legato alla crisi petrolifera, con rappresaglie tra i due Paesi. “Le autorità dell’aviazione civile italiana hanno minacciato di tagliare i rifornimenti ai charter britannici se l’Itavia resterà a secco quest’estate. Dopo le prime difficoltà a maggio (quando la Mobil è stata persuasa a aumentare le forniture all’Itavia) questo mese la Mobil le ha tagliate a Itavia (così come a compagnie di altri Paesi) del 90 percento rispetto al giugno 1978. All’Itavia ne serve il doppio per sostenere il programma intensificato di voli. In seguito a una richiesta dell’ambasciata italiana i nostri funzionari hanno fatto domande informali alle compagnie petrolifere: la Bp ha offerto all’Itavia di fornire quantità sufficienti per arrivare a fine giugno, ma al prezzo di un1,30 dollari per gallone, mentre la tariffa del contratto era di 65 centesimi al gallone. Itavia è insoddisfatta. Da Mobil ha ottenuto carburante sufficiente per arrivare alla prossima settimana”. E il rapporto prosegue: “Non possiamo escludere che l’Italia adotti ritorsioni verso i charter inglesi che fanno scalo lì. E c’è il rischio che le ritorsioni vadano oltre e trasmettano un atteggiamento negativo in altri settori. Ciò sarebbe un problema alla luce dei vantaggi derivanti dalla comune posizione con l’Italia nelle questioni della Comunità europea”. La spiegazione di tanto accanimento sul caso Itavia arriva con una nota, che specificano “Non va usata con Andreotti”. E scrivono alla Thatcher: “L’Italia ha un forte sostegno politico da Forlani, il ministro degli Esteri, che è una figura potente nel Partito democratico cristiano”

 

 

 

 

 

Già prima si era sfiorata la guerra nei cieli. Dal 1978 Parigi aveva cominciato a sorvegliare i radar libici con un quadrireattore civile Douglas DC-8 modificato per lo spionaggio elettronico: i colori erano simili a quelli di un velivolo di linea, anche se sfoggiava una piccola coccarda tricolore dell’aviazione militare sulla fiancata. In un giorno indefinito di quell’anno, due caccia Mig 25 libici lo sorprendono “sul Mediterraneo centrale”. Il pilota francese, il colonnello Michel Gambs, fa dietrofront e il comando di Tripoli ordina agli intercettori di invertire la rotta. Ma uno dei piloti disobbedisce: prima sfreccia sotto il DC-8 e poi di fronte. Mentre lo fa, accelera e accende i post-combustori dei motori, provocando una micidiale onda d’urto.

Ha scritto il colonnello Gambs: “Ricordo ancora, vividamente, il terrificante crescendo causato dai post-combustori e dalle onde d’urto che ci hanno quasi fatto perdere il controllo dell’aereo”. Ai tempi dell’inchiesta del giudice Priore su Ustica, questo episodio era ancora segreto. Ma la dinamica coincide con una di quelle ipotizzate dai periti per la fine del più piccolo DC-9 Itavia: la “quasi collisione” con un caccia che avrebbe generato un’onda d’urto tale da schiantare la struttura dell’aviogetto Itavia.

I duelli sono proseguiti anche nel 1980. Il 23 marzo, tre mesi prima di Ustica, un biturbina francese Atlantic da ricognizione marittima viene affrontato da due Mirage libici, che aprono il fuoco con il cannone senza colpirlo. Il 16 settembre è la volta di un aereo spia statunitense: un Boeing RC-135, esteriormente identico al Boeing 707 commerciale anche se con vistose scritte “Us Air Force”. Due Mig-25 lo raggiungono e gli intimano di andare via. Ma il jet americano li ignora. Un caccia libico gli tira contro un missile, che manca il bersaglio: probabilmente perché il sistema di guida viene accecato dagli apparati di disturbo del Boeing.

Il relitto del DC-9 Itavia

Non è finita. Cinque giorni dopo, il 21 settembre 1980, un altro Boeing RC-135 viene intercettato da cinque Mirage di Gheddafi. Questa volta però lo spione non è solo. Lo scortano tre F-14 Tomcat, i caccia del film “Top Gun”, decollati dalla portaerei Kennedy, che fanno capire ai libici chi è il più forte e li convincono ad allontanarsi.

Questi incontri ravvicinati sono stati rivelati solo da pochi anni e vengono descritti in “Libyan Air Wars”, tre volumi frutto delle ricerche di un pool di giornalisti specializzati – Tom Cooper, Albert Grandolini e Arnaud Delalandre – che hanno analizzato montagne di documenti e testimonianze sugli stormi del Rais.

Materiali che non sono mai stati considerati dalle indagini giudiziarie. Bisogna però tenere a mente un elemento fondamentale: tutte queste scaramucce ad alta quota sono avvenute a Sud della Sicilia. Ustica è molto più lontana dalle coste africane: 650 chilometri da Tripoli, 960 da Bengasi. Le tattiche delle squadriglie di Gheddafi non prevedevano missioni solitarie, ma solo azioni sotto la guida dei radar basati a terra che non potevano assisterli sul Tirreno. Inoltre a quella distanza avrebbero potuto condurre un combattimento solo per una decina di minuti, altrimenti si sarebbero ritrovati senza carburante.  Quello che è successo al Mig-23 ritrovato sui monti della Sila.

 

 

Il Mig ubiquo

 

E’ uno dei pilastri dei misteri di Ustica. I resti del caccia libico ufficialmente vengono scoperti il 18 luglio 1980: il corpo del pilota è ancora nella cabina. Testimoni sostengono invece che sia caduto giorni prima e questo lo ha spesso collegato al volo del DC-9, anche se alcuni hanno poi ritrattato mentre i referti sulla decomposizione del cadavere sono stati smentiti dai processi. Di sicuro, il recupero dell’aereo è stato segnato dallo stesso conflitto di interessi che ha dominato tutta questa saga. C’erano ufficiali dell’Aeronautica e dell’intelligence che volevano studiare l’apparecchio, perché quel velivolo sovietico era quasi sconosciuto in Occidente, e trafugare alcuni degli strumenti.

Alcuni pezzi del relitto del MiG-23, incluso il cofano della cabina di pilotaggio, sono stati conservati nello stesso hangar del relitto del DC-9 di Itavia

C’erano le pressioni di Tripoli per ottenere la restituzione dei rottami, facendo intervenire i suoi referenti nei servizi segreti italiani e nella Fiat, il cui capitale all’epoca era anche libico: persino Cesare Romiti è stato sentito dai magistrati. E c’è stata la solita superficialità nel gestire “la scena del crimine”, con l’impossibilità di preservare eventuali prove. Fu creata una commissione d’inchiesta italo-libica, che concluse sposando la tesi dell’incidente: il pilota in missione d’addestramento aveva avuto un malore. Si chiamava Ezzedin Koal ed era un giovane sottotenente. Gli autori di “Libyan air wars” hanno intervistato uno dei suoi compagni di allora, l’ufficiale libico Hazem al-Bajigni. “Koal era un pilota dell’aviazione siriana, assegnato a uno dei due squadroni di Mig-23 sulla base di Benina: un reparto composto solo di siriani. Non volavamo insieme, perché loro usavano gli ordini in arabo, mentre noi avevamo un addestramento diverso e usavamo l’inglese. Per questo noi andavano in missione di giorno e loro di notte. Quel giorno Koal stava conducendo un normale volo di addestramento: il suo aereo non era armato e non aveva serbatoi supplementari di carburante. Aveva una nuova maschera d’ossigeno. La nostra inchiesta successiva ha mostrato che quella maschera era troppo grande. Quando ha raggiunto una quota sopra i 5000 mila metri, non ha attivato il massimo dell’ossigeno ed è andato in ipossia. Il pilota dell’altro aereo che lo accompagnava lo ha chiamato ripetutamente, senza risposta: quando lo ha visto per l’ultima volta, Koal mostrava la testa chinata in basso. Il suo Mig aveva il pilota semiautomatico attivato in modo da mantenere la stessa rotta e quota. E una volta finito il carburante è precipitato. Il rapporto che abbiamo avuto dalle autorità italiane escludeva ogni genere di collisione o danni da combattimento”. Hazem al-Bajigni è un testimone unico. Ha descritto nel dettaglio i problemi che avevano i libici nel gestire i Mig-23 d’ultima generazione acquistati in massa da Gheddafi, soprattutto con i missili forniti dai russi che erano di un modello vecchio e scarsamente efficace. Ha assistito ai tentativi di rendere i jet sovietici più efficienti, con l’intervento di tecnici reclutati in Francia, Svizzera e Gran Bretagna: ricorda anche due piloti americani, che volavano sui Mig-23 per redigere un manuale operativo che migliorasse le prestazioni.

Sila, ritrovamento del Mig libico, 18 luglio 1980

E ha raccontato il clima di sospetto che dominava tutto. Pochi mesi dopo, al-Bajigni viene preso di mira dal regime: pensano che abbia partecipato a un complotto contro il Rais. E decide di disertare: l’11 febbraio 1981 spinge il suo Mig-23 alla massima velocità e atterra nel nord di Creta, senza venire notato dai radar della Nato. I greci restituiscono l’aereo a Gheddafi e lui ottiene asilo in Occidente. La sua ricostruzione dello schianto sulla Sila non differisce dalla versione ufficiale: ma è quella che circolava tra gli ufficiali dell’aeroporto di Benina. Spiega però che i piloti siriani in Libia facevano una vita a parte “e non si mischiavano con noi. Io però per curiosità ho socializzato con il loro comandante”.

L’aviazione siriana era un corpo d’élite, quello da cui proveniva il presidente Hafiz al-Assad e che forniva i quadri del regime di Damasco: personale addestrato con cura per fronteggiare gli stormi israeliani. Nei duelli degli anni seguenti sul Golfo della Sirte contro la Us Navy, i piloti siriani sono gli unici a tenere testa agli americani. Ed è importante un elemento del racconto del disertore: la sera erano solo i Mig-23 guidati dai siriani a decollare dall’aeroporto di Benina. Già, ma secondo la Commissione italo-libica – che non qualifica il pilota come siriano – il viaggio senza ritorno sulla Sila è avvenuto di mattina. E Koal era un ufficiale esperto, qualificato come capo-formazione e con diverse trasferte notturne condotte nei mesi precedenti. Dettagli che hanno un peso.

Perché i pm di Roma sono ancora convinti che l’aereo caduto sulla Sila sia legato a Ustica. Nonostante sia precipitato tre settimane dopo, credono che quel pilota abbia avuto un ruolo nella distruzione del DC-9.

Lo fanno sulla base di due testimonianze, rimaste solide a distanza di decenni: nella tasca della tuta di Koal c’era un biglietto in arabo. L’interprete dell’intelligence che lo ha letto ricorda parole di rimorso per avere causato “la morte di ottanta innocenti” e la volontà di espiare. Anche un ufficiale degli 007 ha visto quel foglio. Il biglietto sarebbe stato consegnato a un generale del Servizio ed è scomparso: ma un riferimento preciso è rimasto nell’agenda del capo di gabinetto del ministro della Difesa. In che modo il sottotenente siriano voleva espiare la sua responsabilità?Fuggire in Italia e rivelare quello che era accaduto? Negli atti del processo ci sono indizi su un disertore atteso a Malta in quei giorni: era pronto un bimotore per trasferirlo a Roma ma la missione è stata poi annullata. E, soprattutto, cosa c’entrava con la morte di ottanta innocenti? Con i serbatoi supplementari, il Mig-23 aveva un’autonomia operativa sufficiente per raggiungere il Tirreno e tornare a casa, mantenendo la possibilità di ingaggiare un breve scontro. Di sicuro però Tripoli aveva aerei migliori a cui affidare missioni speciali: i Mig-25, velocissimi e con missili moderni, che dalla base della capitale erano anche più vicini all’Italia. E poteva far decollare i Mirage F-1 consegnati dalla Francia, considerati i gioielli dell’aviazione.

Ma Gheddafi aveva più fiducia nella legione straniera venuta da Damasco, abituata alla segretezza totale. E di sicuro in quegli anni c’erano dei jet libici che attraversavano la Penisola, su e giù verso la Jugoslavia per i lavori di riparazione periodica. Tra loro, proprio i Mig-25 che la Nato chiamava in codice Foxbat, come una specie di pipistrello detto “Volpe volante”. All’epoca erano gli intercettori più veloci del mondo, capaci di toccare i tremila chilometri all’ora: una velocità superiore a qualunque concorrente occidentale. Nelle nostre basi si narra che diverse volte gli F-104 Starfighter dell’Aeronautica italiana e gli F-4 Phantom dell’Us Navy siano decollati per sorprendere i Mig-25 Foxbat in trasferimento sull’Adriatico: una “caccia alla volpe”, cercando di studiare le traiettorie per compensare la differenza di velocità. Inseguimenti ad alta quota, due volte oltre il muro del suono, mai degenerati in scontri.

I magistrati che conducono l’ultima indagine su Ustica ritengono che esistesse un accordo tacito tra Roma e Tripoli per garantire un’autostrada nel cielo italiano ai velivoli libici: un corridoio dove nel 1980 potevano volare indisturbati verso la Jugoslavia e anche verso la Francia. Se però fossero usciti da quella zona franca, l’immunità sarebbe caduta. E la rotta del Dc-9 non era una di quelle “neutrali”: se avessero avvistato un Mig nascosto sotto il DC-9 diretto a Palermo, sarebbe stato trattato come un nemico. Ma nemico di chi? E’ indubbio che quella notte non ci fossero jet italiani in azione. Ma per i magistrati è anche indubbio che i nostri militari non abbiano contribuito a decifrare cosa sia accaduto nel tramonto di Ustica.

 

 

La sfida del comandante

 

Nell’aprile 1992 la Commissione parlamentare Stragi presieduta da Libero Gualtieri, senatore del Partito repubblicano ed ex partigiano azionista, ha chiuso la sua istruttoria con un duro atto di accusa contro l’Aeronautica militare. “Come i magistrati hanno potuto accusare, ancor prima di attendere l’accertamento definitivo sulla meccanica dell’incidente, numerosi alti ufficiali dell’Aeronautica e dei Servizi di aver depistato le indagini e ostacolato l’attività dei vari organi inquirenti, così per la Commissione è possibile indicare al Parlamento le responsabilità dei poteri pubblici e delle istituzioni militari per avere trasformato una “normale” inchiesta sulla perdita di un aereo civile, con tutti i suoi 81 passeggeri, in un insieme di menzogne, di reticenze, di deviazioni, al termine del quale, alle 81vittime, se ne è aggiunta un’altra: quell’Aeronautica militare che, per quello che ha rappresentato e rappresenta, non meritava certo di essere trascinata nella sua interezza in questa avventura”.

La Commissione parlamentare sostiene che è stata la relazione dell’Arma azzurra, fatta propria dall’allora ministro della Difesa Lagorio, a infliggere già nel luglio 1980 sul Dc-9 il marchio d’infamia del cedimento strutturale. Scrive che dal dicembre di quell’anno, quando Formica rilancia la tesi del missile, l’Aeronautica rompe la consegna del silenzio e diventa parte attiva nel nascondere la verità. Per otto anni le indagini della magistratura languono e nel frattempo la documentazione si dissolve.

La carlinga del DC-9 Itavia ricostruita nel Museo per la Memoria di Ustica a Bologna

 “Certe cose non andavano fatte – prosegue la relazione Gualtieri -. I vertici dell’Aeronautica hanno sempre saputo che l’inchiesta giudiziaria su Ustica è rimasta aperta dal giorno della sciagura ad oggi, e che pertanto permaneva il dovere di preservare tutti gli elementi di prova e di documentazione, dovunque essi fossero depositati, a disposizione di tutte le eventuali esigenze del magistrato.

La massiccia distruzione di prove di ogni tipo, giustificata con il fatto che regolamenti interni, passato un certo lasso di tempo, la prevedevano come normale consuetudine burocratica, ha costituito da parte dell’Aeronautica un comportamento inammissibile, al limite della censura penale”.

“Già, tutti citano questa relazione e l’ordinanza con cui il giudice Rosario Priore ha chiuso la sua istruttoria, incriminando per depistaggio quattro ufficiali. Ma nessuno ricorda come è finito il processo…”.

Per Leonardo Tricarico l’Aeronautica è tutto. Ne è stato comandante in capo e prima ha avuto l’incarico di consigliere militare di tre premier: Massimo D’Alema, Giuliano Amato e Silvio Berlusconi. Nell’estate 1980 aveva lasciato la cloche dei caccia per una scrivania dello Stato Maggiore. “Per quelli della mia generazione Ustica è stata una croce, che non ci siamo meritati”.

Il generale Leonardo Tricarico

La sua è un’altra storia, che nega omissioni e deviazioni. “Cosa dice la sentenza penale di Cassazione? Assoluzione con formula piena per i depistaggi. E la battaglia aerea nei cieli di Ustica? Secondo i giudici penali è letteralmente fantapolitica. Posso citare le motivazioni a memoria: “L’accusa non è altrimenti dimostrabile se non affermando come certo quanto sopra ipotizzato ma non è chi non veda in esso la trama di un libro di spionaggio ma non un argomento degno di una pronuncia giudiziale”.  Ad ogni anniversario però si continua a chiamarci in causa, ignorando quel verdetto”.

Un’altra sentenza, quella della Cassazione civile, invece ha accolto la tesi del missile e ha condannato anche il ministero della Difesa a risarcire le vittime e l’Itavia.

“Lo ha fatto sulla base del principio di maggiore probabilità, senza prove. Mentre i periti più esperti coinvolti nel processo penale hanno sostenuto che il Dc-9 sia stato distrutto da una bomba. Questa sentenza civile fa il paio con la condanna civile al risarcimento per il comandante della base di Nassiriya, ritenuto colpevole per non averla protetta adeguatamente dagli attentatori.

Così si introduce un principio devastante per la gerarchia militare: nessun ufficiale può assumere una responsabilità o dare un ordine correndo il rischio di pagare somme enormi di tasca sua. E’ inconcepibile!”.

A 78 anni Tricarico ha mantenuto il fisico da top gun e la passione per le sfide. Presiede la Fondazione Icsa, un think tank strategico creato da Cossiga, ma non rinuncia a manifestare le sue idee con irruenza: nel 2011 ha restituito la legion d’onore al governo francese per protesta contro l’atteggiamento del presidente Sarkozy verso gli italiani.

Il generale sta per pubblicare con Rubettino un libro, scritto assieme al giornalista e docente di storia Gregory Alegi, forse l’unico reporter ad avere seguito tutte le udienze dei vari processi su Ustica.”Quando ero colonnello e ci fu l’incriminazione dei nostri generali, volevo andare in televisione per ribattere alle accuse. Dissi ai miei superiori: se poi va male potete scaricarmi, mi assumo io la responsabilità. Ma il capo di Stato maggiore me lo vietò: il generale Pisano non riteneva dovessimo scendere nell’arena. Varò quella linea che chiamava di “silenzio responsabile”. Io penso sia stato un grande errore, che ha costretto ufficiali onesti al calvario e lasciato sulla graticola un’intera istituzione”.

I giudici vecchi e nuovi sono uniti nel dire che potevate e dovevate fare di più.

“Per sei anni, fino al 1986, tutti si sono disinteressati di Ustica. Abbiamo sempre messo a disposizione le nostre competenze e conoscenze. Proprio il generale Pisano creò poi un “ufficio Ustica” nello Stato maggiore con il compito di raccogliere informazioni e collaborare: è rimasto attivo per anni”.Tricarico cita un ricordo: la visita a Parigi con il premier Amato, per preparare il G-7 a guida italiana. “Eravamo a pranzo con il presidente Chirac.

Dopo avere affrontato i punti all’ordine del giorno, Amato si rivolse a Chirac: “Ti devo chiedere di intervenire sulla questione di Ustica: la Francia non ha risposto alle nostre rogatorie. Il parlamento e l’opinione pubblica vogliono la verità. Vedi, è una storia maledettamente complicata con poche certezze ma sappiamo che ufficiali della nostra Aeronautica hanno mentito”. Io ero accanto a lui, in divisa, e sono trasecolato. Quando siamo tornati nell’ambasciata non mi sono trattenuto e ho detto al premier quello che pensavo, in modo franco e sincero. Ho alzato la voce e a un certo punto qualcuno mi ha preso il braccio per fermarmi”.

I militari, e soprattutto gli ufficiali, vivono valori che la società civile fatica a comprendere. Sin dall’accademia vengono educati alla disciplina ed entrano in una comunità dove si condivide tutto: la lealtà ai commilitoni e al corpo è suprema. Ci si prepara alla guerra: sai che la sopravvivenza dipende da chi ti copre le spalle e la vittoria nasce dalla squadra. Se non si entra in questa mentalità, è difficile inquadrare le azioni di ufficiali come Tricarico, pronti a giocarsi la carriera per difendere la loro istituzione.

“Nel 2004 quando sono diventato comandante in capo dell’Aeronautica mi sono posto degli obiettivi. Uno di questi era ottenere giustizia per i generali incriminati e assolti in primo grado: erano vecchi, rischiavano di morire con quella macchia addosso. Ho cercato un incontro con i magistrati che li dovevano giudicare, conscio della delicatezza di quell’iniziativa, e ho ottenuto un colloquio. Nel rispetto della loro indipendenza, li ho pregati di una sola cosa: fate in fretta”.

Il giudizio di appello è durato solo un mese e mezzo, un record per la corti italiane, e ha confermato l’assoluzione con formula ancora più ampia. I familiari delle vittime si sono infuriati e hanno parlato di “una sentenza frettolosa”.

Contro la quale nel giugno 2006 il neopremier Romano Prodi ha annunciato il ricorso a nome del governo. E allora Tricarico ha presentato le dimissioni dal vertice dell’Aeronautica.Romano Prodi, il giudice Rosario Priore e Walter Veltroni  

Un’altra circostanza mai trapelata. “Il capo delle forze armate, l’ammiraglio Di Paola, ne discusse con il ministro della Difesa Arturo Parisi, che organizzò un colloquio con Prodi. C’era anche Enrico Letta. Ho fatto presente a Prodi come quell’iniziativa fosse assurda: un ricorso del governo per fare condannare i militari. E offensiva verso l’Aeronautica. Il premier disse che non aveva valutato questo aspetto. Discutemmo di come presentare in maniera visibile il rispetto verso l’istituzione, anche nel nascente Museo della memoria. Per questo Prodi mi fece incontrare il sindaco di Bologna Sergio Cofferati. Ritirai le dimissioni, ma in realtà cambiò poco o nulla”. Tricarico è andato in pensione tre mesi dopo. E’ convinto che le nuove generazioni di ufficiali abbiano messo alle spalle “il trauma di Ustica”. Ma per i veterani come lui la questione non è chiusa: anche gli ultimi inquirenti pensano che l’Aeronautica non abbia contribuito alla giustizia. Ormai i pm non sperano più di trovare documenti incontaminati, ma confidano che proprio qualcuno dei protagonisti di quella stagione prima di chiudere la vita senta il bisogno di dire quello che sa.

Più volte si sono presentati ad ascoltare per l’ennesima volta testimoni novantenni. Il generale invece si mostra sicuro: “Non esistono segreti. Le tracce di aerei militari evocate tante volte sono state chiarite da decine di perizie e dozzine di rogatorie. I presidenti di Stati Uniti e Francia hanno scritto personalmente per escludere il coinvolgimento delle loro forze armate. Perché non dobbiamo credergli?”.

Le carte bomba

 

Un altro segreto però resiste, anche se lo conoscono più persone. Ed è l’ossessione di Carlo Giovanardi, ex senatore della destra cattolica: un’altra figura dirompente nelle liturgie di Ustica, perché accanito contestatore della tesi del missile. Nell’estate 1980 era un giovane consigliere regionale della Dc, proprio in Emilia Romagna, in prima fila nel funerale per la strage di Bologna. Da anni è uno degli animatori dell’associazione “Per la verità su Ustica”, presieduta da Giuliana Cavazza, che ha perso la madre sul DC-9: tra loro e l’associazione dei familiari presieduta da Daria Bonfietti è una lite continua.

Il motivo? Sono ostinati nel credere che la strage sia stata provocata da un ordigno a bordo.Per Bonfietti bomba è sinonimo di depistaggio. Poche ore dopo lo schianto, una telefonata anonima segnalò che sull’aereo Itavia c’era Marco Affaticato, un militante di estrema destra tutt’ora vivo e vegeto. Le indagini bolognesi hanno poi accusato 007 vicini alla P-2 di Licio Gelli come autori della chiamata.

Anni più tardi, nel 1990, il “supercollegio Blasi” di periti si è spaccato su questo fronte: prima compatti nell’indicare la battaglia aerea, poi due su cinque ci hanno ripensato e si sono pronunciati per l’attentato esplosivo. Anche nel processo se n’è discusso a lungo, con la posizione dello scoppio interno che si spostava a seconda delle interpretazioni, dalla toilette in fondo fino alla prima fila, tanto che il pm alla fine parlò di “bomba ballerina”.

 

Domenico Gatti, comandante del DC-9, ed Enzo Fontana, primo pilota

 

Giovanardi invece non accetta dubbi: “Quello che ha sostenuto Priore è stato cassato dalle corti penali, ma è comunque diventato la base della sentenza civile. E’ incredibile. Le perizie hanno dato un risultato incontrovertibile: il DC-9 è stato distrutto da una bomba. Leggete l’analisi di Frank Taylor e capirete: lui è uno dei massimi esperti in materia. Il 90 per cento dell’aereo è stato recuperato e si vede con chiarezza cosa è successo”.   Oltre a impugnare le perizie però l’ex senatore indica un movente. Di cui non può parlare perché obbligato alla riservatezza. L’ennesimo gioco di specchi di questa vicenda, dove ogni tassello si incastra in un puzzle surreale e ogni spiraglio che potrebbe dare luce diventa opaco e divisivo. Le polemiche chiassose sembrano sempre prendere il sopravvento sui fatti.

Nella lettura sostenuta da Giovanardi, ma non esplicitata, il movente è la vendetta palestinese. Che potrebbe intrecciarsi con la pista libica. Ma sempre storia di ordigno è, tale quindi da escludere missili, battaglie nel cielo e quindi omissioni delle nostre forze armate o colpe americane. Il politico se n’è convinto quando assieme ad altri parlamentari dell’ultima Commissione sul caso Moro ha potuto visionare il carteggio del colonnello Stefano Giovannone, dal 1974 al 1981 capo degli 007 a Beirut: con il nome in codice “Maestro” ha gestito le relazioni inconfessabili tra il nostro governo e le organizzazioni palestinesi. Il segreto di Stato su quei faldoni è caduto nel 2015, ma sono stati poi sottoposti a un’altra classificazione di riservatezza: descriverne il contenuto significa commettere un reato. Quindi Giovanardi sa, ma non può dire.

Quello che ha letto però lo spinge ancora di più a credere nella bomba.

In realtà tutti sanno quale era la missione di Giovannone. Era il custode operativo del cosiddetto “Lodo Moro”: il patto siglato nel 1974 tra l’allora presidente del consiglio e i palestinesi, che gli garantiva libertà di movimento in Italia in cambio dell’impegno a non compiere attentati nel nostro Paese. Se i militanti venivano arrestati, poi in silenzio si trovava il modo di riportarli a casa. Ne ha parlato lo statista dc in due delle lettere scritte nella prigione brigatista, sostenendo la possibilità di una trattativa per la sua liberazione:

 

“Poi c’è Miceli e il colonnello Giovannone che Cossiga stima… Dunque, non una ma più volte furono liberati con meccanismi vari palestinesi detenuti ed anche condannati allo scopo di stornare gravi rappresaglie…”.Nel novembre 1979 il patto viene infranto. I carabinieri fermano nel porto di Ortona alcuni uomini di Prima Linea che avevano appena ricevuto due missili terra-aria Strela arrivati dal Libano. Le armi non erano per loro, ma per il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina capeggiato da George Habbash: un esponente giordano del Fronte che viveva a Bologna finisce in cella. Da Beirut ne chiedono subito il rilascio. Scrivono persino ai giudici invocando il rispetto dell’accordo con il governo di Roma, che ovviamente nega il patto segreto. L’uomo del Fplp resta in carcere. E dalle proteste si passa alle minacce. Ed è al colonnello Giovannone che si rivolgono.

 

 

Un DC-9 Itavia in uso nel 1980

 

Il dirigente dei Servizi avvisa Roma. Segnala che la situazione sta diventando insostenibile. Informa sulle dinamiche interne alla diaspora palestinese, con Arafat su posizioni moderate e Habbash che insiste per punire l’Italia: uno scenario in cui si inseriscono anche le pressioni di Gheddafi, sponsor dei duri. I falchi vogliono un attentato clamoroso; studiano dirottamente aerei; ipotizzano di armare Carlos e la sua rete di terroristi europei. E spingono per agire in fretta. Avvertimenti trasmessi dall’ufficiale del Sismi pure nella settimana di Ustica, forse lo stesso 27 giugno 1980.

Giovanardi ripete la sua domanda: “Tutti i governi hanno promesso la verità su Ustica, allora perché non pubblicano quegli atti? Io se ne rivelo il contenuto rischio tre anni di carcere…”.

 

Già, resta da capire perché nonostante le promesse di ogni premier sia rimasto il segreto su quelle carte.

L’ultimo vincolo di riservatezza è stato deciso quando a Palazzo Chigi c’era Matteo Renzi, che si è attivato per le rogatorie sul DC-9 Itavia e ha varato una legge per la desecretazione integrale degli archivi.

Ma non i faldoni di Giovannone.

La stagione della guerriglia palestinese appartiene alla Storia e non si comprende perché quelle lettere facciano ancora paura. Certo, lì forse si mette nero su bianco quello che nascondeva il “Lodo Moro”: in cambio della nostra immunità dagli attacchi, garantivamo ai terroristi la possibilità di muoversi per colpire obiettivi israeliani in Europa.Questo però Israele lo ha sempre saputo.

Lo hanno dimostrato le inchieste della magistratura sulla distruzione di Argo 16, l’aereo con cui i Servizi riportavano indietro i palestinesi rilasciati, fatto esplodere nel 1973 dal Mossad sopra Marghera. E nell’estate del 1980 gli israeliani avevano altri motivi di rancore verso l’Italia: stavamo fornendo tecnologia e impianti per costruire la prima centrale nucleare di Saddam Hussein, la premessa per una bomba atomica araba.

Nelle notti di inizio agosto gli uffici romani delle aziende coinvolte nel programma iracheno vengono fatti saltare in aria.

Claudio Gatti, uno dei giornalisti d’inchiesta più capaci e rigorosi, ha scritto assieme a Gail Hammer un libro in cui ipotizza che l’abbattimento del DC-9 sia opera di caccia israeliani:

il volo dell’Itavia si sarebbe trovato sulla rotta del cargo che doveva trasportare l’uranio per la centrale dalla Francia all’Iraq. Certamente gli stormi di Israele avevano la capacità di attraversare il Mediterraneo e realizzare un’operazione del genere, confondendo i loro jet dietro codici della Nato e accecando i radar. La ricostruzione di Claudio Gatti è stata respinta da Israele e non ha mai trovato riscontri giudiziari. E’ un altro tassello però nell’intreccio di interessi e rivalità, tutti segretissimi, che si sono accavallati in quella terribile estate del 1980: una rete così fitta e con talmente tanti protagonisti in armi da avere intrappolato finora ogni speranza di verità.

 

 

Affari di partito

 

L’ipotesi della bomba cozza contro altri dati oggettivi. Anzitutto il ritardo del Bologna-Palermo, decollato 113 minuti dopo l’orario previsto. Gli attentatori suicidi all’epoca non c’erano e se l’ordigno fosse stato attivato da un timer, allora sarebbe dovuto esplodere molto dopo l’atterraggio, mentre il Dc-9 si trovava fermo e vuoto in Sicilia. L’altra domanda è: perché colpire l’Itavia e non la compagnia di bandiera Alitalia?

L’Itavia era l’unico vettore privato, che negli anni precedenti aveva lanciato un piano ambizioso di collegamenti per portare in Italia i turisti del Nord Europa. Poi la crisi petrolifera e l’aumento del prezzo del carburante avevano trasformato l’espansione in un pessimo affare. Ma la compagnia era molto protetta in ambito governativo.

Lo dimostra a sorpresa un documento britannico rimasto riservato per oltre tre decenni.

Il 15 giugno 1979, un anno prima della strage, Margaret Thatcher riceve il premier Giulio Andreotti e il ministro degli Esteri Arnaldo Forlani. Nel preparare l’incontro, al punto 13, viene segnalato che “gli italiani potrebbero fare riferimento alle difficoltà incontrate dalla compagnia charter Itavia nell’ottenere sufficienti quantità di carburante dalla Mobil all’aeroporto londinese di Gatwick. Questo non è un argomento che riguarda il governo di Sua Maestà. Una spiegazione difensiva è allegata”.

Margaret Thatcher con Giulio Andreotti

 

Il problema viene presentato nei dettagli alla Thatcher. Si tratta del razionamento di combustibile legato alla crisi petrolifera, con rappresaglie tra i due Paesi. “Le autorità dell’aviazione civile italiana hanno minacciato di tagliare i rifornimenti ai charter britannici se l’Itavia resterà a secco quest’estate. Dopo le prime difficoltà a maggio (quando la Mobil è stata persuasa a aumentare le forniture all’Itavia) questo mese la Mobil le ha tagliate all’Itavia (così come a compagnie di altri Paesi) del 90 percento rispetto al giugno 1978. All’Itavia ne serve il doppio per sostenere il programma intensificato di voli. In seguito a una richiesta dell’ambasciata italiana, i nostri funzionari hanno fatto domande informali alle compagnie petrolifere: la Bp ha offerto all’Itavia di fornire quantità sufficienti per arrivare a fine giugno, ma al prezzo di 1,30 dollari per gallone, mentre la tariffa del contratto precedente era di 65 centesimi. Itavia è insoddisfatta. Da Mobil ha ottenuto carburante sufficiente per arrivare alla prossima settimana”.

E il rapporto prosegue: “Non possiamo escludere che l’Italia adotti ritorsioni verso i charter inglesi che fanno scalo lì. E c’è il rischio che le ritorsioni vadano oltre e trasmettano un atteggiamento negativo in altri settori. Ciò sarebbe un problema alla luce dei vantaggi derivanti dalla comune posizione con l’Italia nelle questioni della Comunità europea”.

Insomma, l’Itavia era così importante da spingere il governo di Roma a mettere a repentaglio le relazioni con Londra.

Perché? La spiegazione è in una nota riservata, con un avvertimento per la Thatcher: “Non va usata con Andreotti”. C’è scritto: “L’Itavia ha un forte sostegno politico da Forlani, il ministro degli Esteri, che è una figura potente nel Partito democratico cristiano”.

 

Quel documento dimostra come nelle cancellerie internazionali la compagnia di Ustica venisse direttamente legata all’uomo forte del partito di maggioranza: colpirla avrebbe significato mirare al cuore del potere. Eppure Forlani non muove un dito per salvare l’Itavia: è presidente del Consiglio quando il ministro Formica revoca la licenza e la spinge al fallimento. Ma non interviene. La lascia affondare nei debiti e nulla fa per portare a galla la verità sul DC-9.

 

Dagli intrighi internazionali si passa alle trame di Palazzo. Nel corso della prima Repubblica, Ustica apre una faglia trasversale tra i partiti. La descrive Cora Ranci, una giovane ricercatrice che ha appena pubblicato per Laterza il saggio “Ustica, una ricostruzione storica”:

 

“È evidente che, su Ustica, il Psi tentava di accreditarsi di fronte all’opinione pubblica come un partito diverso – se non nei fatti, almeno nelle parole – dalla Dc, il partito-Stato che i socialisti andavano sfidando. Posta al centro delle critiche, dal canto suo la Dc si mantiene su posizioni garantiste nei confronti dei militari sostenendo la necessità di attendere gli esiti delle indagini giudiziarie”.

È il socialista Formica che per primo ipotizza il missile.

E’ il premier socialista Bettino Craxi che ordina il recupero del relitto, assieme al suo sottosegretario Giuliano Amato. Poi Amato nel 1989 in un’intervista a l’Avanti, il quotidiano del partito, risponde alla domanda: si possono escludere responsabilità politiche? “È possibile che ci siano responsabilità politiche. Ma bisogna accertarle, documentarle, provarle. La mia opinione è questa: non mi sentirei di escludere che chi ha deciso di coprire la tragedia di Ustica abbia anche deciso di tenere all’oscuro l’autorità politica, ritenendola un custode non affidabile per un segreto così tremendo”. Di fatto, un piccolo golpe. “Non dico che sia accaduto. Però mi pare un’ipotesi molto credibile”.

 

 

Uscire dal labirinto

Proprio il libro di Cora Ranci apre un fronte nuovo del dibattito, con la rinuncia alla verità giudiziaria. “Ipotizzare se vi sia stato un complotto di varie autorità militari al fine di coprire un incidente internazionale in cui potevano essere coinvolti Stati amici o alleati o nemici non è un compito della Giustizia, che si fonda solo su prove certe e inconfutabili, ma degli storici se mai ne avranno la possibilità, in quanto è del tutto inesatto ritenere che con le sentenze si fa la Storia dati i limiti che la procedura penale impone ai giudici”.

 

Sarebbe condivisibile, se il nostro fosse un Paese capace di chiudere i conti con la Storia. Non ci siamo mai riusciti. Dall’unità d’Italia in poi, ogni capitolo resta sempre avvolto dalle controversie polemiche senza una verità condivisa. E’ sempre stato così e su Ustica le divisioni sono diventate ancora più profonde. A tutti i livelli. Illuminanti le conclusioni della prima inchiesta realizzata dalla Commissione Stragi, firmate dal presidente Libero Gualtieri nel 1992:

“Questo porta al problema dei poteri di vigilanza e di controllo del Parlamento e delle responsabilità del governo. “

Museo per la Memoria di Ustica a Bologna

 

Sulla tragedia di Ustica e sulla vicenda del Mig-23 vi sono state, nel corso dei dodici anni trascorsi, decine e decine di interrogazioni parlamentari. Le risposte che ad esse ha dato il Governo (quando sono state date), non forniscono la più piccola chiave di lettura degli avvenimenti e non soddisfano in alcun modo i quesiti e i dubbi prospettati da numerosi parlamentari. Lette nel loro insieme, le risposte del Governo sono un documento impressionante. È triste che il Parlamento le abbia accettate e non si sia valso dei suoi poteri di controllo per ottenere qualcosa di più soddisfacente e di più serio. Gli stessi elementi forniti sin dal 1980 dal ministro Formica sono andati dispersi nelle nebbie calate sulla vicenda.

Quando il Parlamento, con la nomina di questa Commissione, ha preteso le risposte dovute, ecco che la magistratura si è riattivata, le inchieste sono ripartite, gli approfondimenti tecnici sono stati fatti e sono venute meno le protezioni e le impunità fino ad allora garantite. Nel corso dell’inchiesta condotta dalla Commissione molte sono state le amarezze e le incomprensioni. Quando si sollevano certi sassi non si sa mai cosa si trova sotto. Si è cercato persino di far credere che fosse in corso una sistematica opera di denigrazione delle nostre istituzioni militari e dell’Aeronautica in particolare. Del patriottismo, a questi fini, è stato fatto un uso scorretto”.

 

Come abbiamo visto in questa inchiesta, esistono lati oscuri su cui può ancora scavare. Nonostante dozzine di volumi, di processi, di relazioni tecniche e inchieste parlamentari, restano capitoli e testimonianze inesplorate che possono venire riletti alla luce dei nuovi documenti. Dalle attività dell’Us Air Force alle missioni francesi, dai superstiti del regime di Gheddafi ai piloti dell’Us Navy, dai reduci del terrorismo palestinese agli 007 di ogni nazione, senza escludere altre e più moderne analisi sugli archivi delle nostre forze armate.

 

Si può e si deve cercare di unire quanti più punti possibili per ricostruire l’identikit dei responsabili.E di fronte a un muro di segretezza così robusto da avere resistito quarant’anni, è la magistratura a disporre degli strumenti più idonei per scardinarlo. Non può farlo da sola. Serve il sostegno energico delle istituzioni e la collaborazione leale di ogni contributo qualificato, soprattutto degli storici.

Soltanto una mobilitazione che vada oltre i confini può avere la speranza di liberare la verità dalla ragnatela che l’imprigiona, una tela velenosa tessuta da talmente tanti soggetti da non riuscire a tenerne conto. Le responsabilità sulla distruzione del DC-9 restano in fondo a un labirinto, che può essere vinto soltanto ricominciando da zero.

 

Rosa De Dominici, hostess a bordo del DC-9, e Paolo Morici, assistente di volo

 

Perché – come ha scritto la Commissione Gualtieri – “la tragedia delle 81 vittime e dei loro familiari si è trasformata in una tragedia della coscienza collettiva della nazione. La vicenda di Ustica e quella del Mig 23 libico non potevano essere affrontate in modo peggiore. Alcuni comportamenti assunti a vari livelli di responsabilità, che abbiamo descritto e denunciato, si sono rivoltati contro i loro autori con forza dirompente e con effetti devastanti; ma ancora più devastante è stato il loro impatto sulla possibilità di chiarire le cose. Anche l’innocenza avrebbe avuto difficoltà ad emergere dal groviglio di menzogne, leggerezze, arroganza e disprezzo che ha avviluppato sin dall’inizio l’accertamento dei fatti. Ma innocenza non c’è stata”.

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