DONATELLA D’IMPORZANO :: DUE RACCONTINI DEL TEMPO D’ANTAN… ++ foto abbastanza recente fatte da ch.

 

 

 

 

 

 

L’ESPLORATORE

 

Aveva attraversato deserti e foreste pluviali. Aveva dovuto scalare monti altissimi, lui che era nato in pianura e adorava il mare. Su zattere improvvisate, fatte di tronchi e di liane, aveva sfidato la corrente di fiumi impetuosi, la terribile calma piatta di laghi che sembravano non finire mai, paludi insidiose che nascondevano sotto il pelo dell’acqua putrida pericoli tremendi. Ora si trovava vicino alla meta prefissata. Se ne accorgeva dai tramonti e dalle albe sempre più brevi, dalle stelle che ormai non erano più le stesse che aveva fissato alla partenza, quando aveva lasciato la sua terra. Nelle notti che si avvicendavano sempre più rapide pensava con nostalgia a quello che aveva lasciato: la sua casa, i suoi cari, i compagni con cui aveva condiviso tante esperienze. Era fiero che a lui e a lui solo avessero assegnato il compito di scoprire nuove terre abitabili, ma il ricordo della sua terra si faceva sempre più struggente, ogni cosa passata si trasfigurava e diventava qualcosa di prezioso, come una luce dentro di se’ che lo illuminava ma anche lo consumava di nostalgia. A volte pensava di avere delle allucinazioni che percorrevano tutti i suoi sensi: gli sembrava di sentire il profumo del pane appena sfornato, di vedere delle bellissime tavole imbandite, con polli arrosti croccanti e insalatine tenere, di assaporare il dolce sfinente di canditi e marzapane. Altre volte era il profumo della terra bagnata dopo un temporale che lo stordiva e lo faceva andare indietro nel tempo e nello spazio. I fiori giganteschi della foresta lo affascinavano, ma li trovava un po’ mostruosi e rimpiangeva le candide pratoline di casa sua. Ormai sentiva la meta vicina: la foresta si andava diradando e, se i suoi calcoli non erano sbagliati, tra non molto sarebbe apparsa la grande pianura, dove il grano poteva crescere in abbondanza e dove gli alberi spontaneamente producevano frutti succosi. Queste erano le notizie della nuova terra che erano arrivate da viaggiatori occasionali e che avevano spinto i suoi a mandarlo in quell’avventura. Il paese da cui proveniva e dove da tanto tempo le innumerevoli generazioni della sua gente si erano succedute si era ormai inaridito. I campi producevano un decimo di quello che avevano dato una volta, gli alberi si erano seccati e il fiume, da cui avevano sempre attinto acqua e vita, era diventato un rigagnolo che ad ogni stagione diventava più esile. Avevano fame di nuove terre fertili e lui le avrebbe procurate al suo popolo. Ci sarebbe stata di nuovo l’abbondanza che i vecchi avevano conosciuto e con essa sarebbe venuta l’allegria, le feste per il raccolto, i nuovi nati che avrebbero potuto contare su un futuro possibile. Tutto questo aveva in mente mentre si lasciava alle spalle la foresta, con le sue paure gigantesche che l’avevano oppresso per molti giorni. Salito su una piccola collina, da lì poteva vedere quella che sarebbe diventata la nuova patria: un terreno pianeggiante, ricco di verde, che faceva presumere la presenza di abbondante acqua. Respirò forte, quasi incredulo di essere finalmente arrivato e pensò ai suoi compagni, che avevano avuto fiducia in lui. Ora avrebbe dovuto rifare quella strada difficile al contrario, ma la sua gioia e il suo entusiasmo avrebbero dimezzato la fatica. Gli venne in mente quanto quella nuova terra assomigliasse a quella da cui proveniva. Fu in quell’istante che il mondo gli calò addosso con un peso straordinario e schiacciò con lui tutti i suoi pensieri e le sue speranze. Non seppe mai che, nel momento in cui lui perdeva tutto, un bambino trionfante gridava alla sua mamma:” Mamma, guarda, ho schiacciato una formica!”.

 

 

 

 

ANTICHI CAVALIERI

Ha un nome bellissimo, con un suono nobile e armonioso, da cavaliere antico o da esploratore : Sereno Giobatta Rambaldi.

Quel nome è come un’onda, ogni parola si allenta e si perde nell’altra, verrebbe da pensare agli hidalghi della meseta, oppure a quegli esploratori che fecero per primi il giro del mondo, facce diverse di una stessa insofferenza per il quotidiano. Lui invece non ha nulla di insofferente, è calmo e asciutto come un tronco di ulivo centenario. E’ un ligure autentico, di quelli che, pur non essendo stati marinai, non potrebbero rinunciare a vedere il mare ogni giorno. Da giovane ha viaggiato molto. Racconta di scorribande, di avventure, di donne che lo volevano per sempre, di viaggi fatti per allegria e per amicizia. E’ ancora adesso un bell’uomo e ha passato da un bel po’ la settantina. Veste con una certa cura. Ha un accento ligure pieno, asciutto ma non aspro. E’ un ligure di città, anche se, quando era giovane lui, la città era paese, le vie avevano a fianco gli orti, nel porto i barconi scaricavano ancora barili di cancarun, vino da poco per povera gente, i turisti erano nobili che la rivoluzione russa avrebbe travolto o lord inglesi, di più duratura fortuna. Ogni tanto pronuncia qualche parola che noi giovani non capiamo più, e gli fa piacere spiegarcela.

Ci racconta di personaggi stravaganti, tutti del paese, uomini un po’ strambi, oppure soltanto un po’ fuori dalle regole, che poi, dopo averne fatto più di Carlo in Francia e quando ormai la pignatta era rotta, prendevano il mare e chi s’è visto s’è visto. Per America lui non intende gli Stati Uniti, ma l’America Latina. Ci racconta perché venga da sempre soprannominato ” U Generale “, grado conquistato sul campo di battaglia in imprese di giovanile esuberanza, non certo in imprese guerresche, da cui ogni ligure che si rispetti si tiene sapientemente alla larga.

Sereno Giobatta Rambaldi, generale della Quinta Armata del Messico : così si era autonominato e così spiegava a chi gli chiedeva, non sapendo del soprannome, quale corpo comandasse. Ride sommessamente, pensando a quei vecchi scherzi, e gli occhi gli brillano di divertimento. Racconta di un tale, Amilcare Bonfanti, suo coetaneo, diventato prete per volontà della madre, ricco, più che di soldi, di donne e di invenzioni. Un giorno, sopraffatto da tutta la situazione, preferì prendere il largo, non prima però di avere venduto la sua casa ad almeno dieci persone diverse ed avere lasciato ad un numero superiore di donne il ricordo di un figlio. Qualcuno del paese, che andò per lavoro in Venezuela, giurava di averlo visto a Caracas, vestito da vescovo, con un’aria molto solenne e con una bella croce d’oro al collo. Chiacchiere di concittadini invidiosi, eppure raccontate proprio come verità. E’ bello sentire quelle lontane follie, quelle storie bizzarre, che fanno tornare paese la città un po’ estranea, che non ha più una storia e una propria lingua in cui esprimersi.

Il Generale sa cantare bene. Canta romanze antiche, che parlano dell’amore, delle stagioni della vita che si susseguono, della lontananza e della gioia di ritrovarsi, di antichi cavalieri e di ragazze ingenue. Ma anche di donne a cui non si poteva resistere. Sul tavolo c’è pane, salame e del vermentino un po’ asprigno. Smettiamo di mangiare. La musica è troppo bella, anche se non c’è nessuna chitarra ad accompagnarla. La voce è calda, sicura. E’ ancora giovane e ferma e va diritta al cuore. La melodia è rotonda, fa pensare al ciclo della vita che sempre si ripete con lo stesso stupore e la stessa normalità. Ci viene da pensare al respiro del mare, che ci porta il desiderio di terre lontane, alle colline che alla sera si stagliano nitide contro il cielo ancora chiaro, alle giornate eterne di sole. Sul terrazzo che guarda verso il mare scende la sera. Si fa più intenso il profumo del basilico e del gelsomino. Questa notte ci addormenteremo con quelle romanze nel cuore e i nostri sogni saranno più leggeri.

Condividi
Questa voce è stata pubblicata in GENERALE. Contrassegna il permalink.

3 risposte a DONATELLA D’IMPORZANO :: DUE RACCONTINI DEL TEMPO D’ANTAN… ++ foto abbastanza recente fatte da ch.

  1. Donatella scrive:

    Questo personaggio è veramente esistito fino a qualche decennio fa. Era, per tutti quelli che lo conoscevano, “U generale”, l’anima di una Sanremo che stava scomparendo. Mio fratello è stato un suo grande amico e da lui ha bevuto il latte della sua tanto amata e odiata città.

  2. roberto scrive:

    Allora, il primo è – a parer mio e per quel che ho capito di Donatella – un classico breve racconto, scritto peraltro benissimo, che ti fa sorridere in attesa della fine e poi ti fa anche pensare.

    Il secondo , è vero, io “U generale” non l’ho conosciuto ma ne ho conosciuto altri , di Sanremo, forse con un grado inferiore, magari colonnelli, ma tutti con quell’impronta, col mistero alle spalle, di avventure piratesche o donnesche, un po’ trucide magari, ma non fa niente: è acqua ( e vino ) passata e ormai ci si gioca sopra.
    Pensandoci, come faccio ora, ne ho avuto una piccola riprova l’ultima volta che son venuto a Sanremo e, un dopo cena, da solo, un tre o quattro di febbraio di forse 6 anni fa mi fermai all’aperto al Bar Festival – un vecchissimo ricordo – a prendere un grappino per riscaldarmi (faceva un freddo boia ma volevo stare all’aperto e godermi via Matteotti ) e incontrai due persone e chiesi di qualcun altro ……. e così, con questi due signori semi sconosciuti ( o dimenticati) siamo arrivati, appunto, all’Africa e alle Americhe 🙂 .
    Mi spiace di questo mio piccolo intermezzo, scritto solo per farmi capire anche se assai poco chiaro (tutti ancora viventi, sospetto) ma utile a dimostrare come “U generale” sia sempre vivo in Sanremo, e finchè vivrà, vivrà anche quell’anima piratesca, burlona e “pallonara” che distingue queste razze marinare che non hanno mai solcato il mare ma non lo possono lasciare – quanto mi manca quel mare! –
    Scritto , inutile dirlo, bene e più che piacevole da leggere. Grazie Donatella!

  3. Donatella scrive:

    Siamo tutti orfani del mare e ci commuovono i commenti generosi degli amici.

Rispondi a roberto Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *