MARCO ZAVAGLI ( notizie in fondo ) :: Federico Aldrovandi, cosa è cambiato 15 anni dopo la morte del giovane: gli altri casi e il reato di tortura. I genitori: ‘Non dimenticatelo’ +++ VIDEO LUNGO LE MURA, 1.42

 

 

IL FATTO QUOTIDIANO DEL 25 SETTEMBRE 2020

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/09/25/federico-aldrovandi-cosa-e-cambiato-15-anni-dopo-la-morte-del-giovane-gli-altri-casi-e-il-reato-di-tortura-i-genitori-non-dimenticatelo/5943967/

 

 

GIUSTIZIA & IMPUNITÀ

Federico Aldrovandi, cosa è cambiato 15 anni dopo la morte del giovane: gli altri casi e il reato di tortura. I genitori: ‘Non dimenticatelo’

Federico Aldrovandi, cosa è cambiato 15 anni dopo la morte del giovane: gli altri casi e il reato di tortura. I genitori: ‘Non dimenticatelo’

Il 25 settembre 2005 la morte del giovane fermato a Ferrara. Per quei fatti quattro agenti vennero condannati a tre anni e mezzo per omicidio colposo, condanna ridotta a sei mesi per l’indulto. Solo tre di loro entreranno in carcere. Nonostante la mobilitazione nazionale che chiedeva di destituirli dal servizio, tutti vennero reintegrati e ancora oggi – tranne un pensionamento – prestano servizio

 

 

di Marco Zavagli | 25 SETTEMBRE 2020

 

Quindici anni fa un ragazzo di 18 anni non è tornato a casa. Mentre i genitori si svegliavano e trovavano il suo letto vuoto, lui era disteso sull’asfalto di via Ippodromo. Pieno di sangue e con il volto sfigurato. Tutt’attorno c’era mezza questura di Ferrara, che cercava di far combaciare la versione dei quattro poliziotti autori del pestaggio con l’impossibile realtà.

Da allora, da quel 25 settembre 2005, sono passati 15 anni. Tre lustri e una miriade di processi tra i tre gradi di giudizio che condannarono Monica Segatto, Paolo Forlani, Luca Pollastri ed Enzo Pontani a tre anni e mezzo per omicidio colposo, i processi contabili presso al corte dei conti, quelli davanti al tribunale di sorveglianza e le centinaia di querele contro giornalisti, cittadini e politici che dubitarono di quella verità ufficiale. I quattro agenti si videro la condanna ridotta a sei mesi per l’indulto. Solo tre di loro entreranno in carcere. Forlani e Pollastri per quasi tutta la pena. Pontani, per pochi giorni, prima di finire ai domiciliari come Segatto. Alla condanna penale seguirono sei mesi di sospensione dal servizio, cui si aggiunge per Forlani un procedimento disciplinare per aver offeso su Facebook la madre della vittima. Nonostante la mobilitazione nazionale che chiedeva di destituirli dal servizio, tutti vennero reintegrati e ancora oggi – tranne un pensionamento – prestano servizio, pur lontano da Ferrara e in incarichi di ufficio.

Oggi Lino Aldrovandi ricorda il figlio su facebook: “Federico, nato a Ferrara il 17 luglio 1987, terminò forzatamente la sua breve vita ad appena diciotto anni, alle ore 06:04 di un assurdo 25 settembre 2005, sull’asfalto grigio e freddo di via Ippodromo, di fronte all’entrata dell’ippodromo, in Ferrara, in un luogo forse troppo silenzioso, ucciso senza una ragione all’alba di una domenica mattina da 4 persone con una divisa addosso”. Troppo da sopportare per un genitore che “il 25 settembre di ogni anno, giunta l’alba, si ripete quello che per me rimarrà per sempre un incubo, o peggio, il ricordo orribile dell’uccisione di un figlio da parte di chi avrebbe dovuto proteggergli la vita. Quello che non mi darà mai pace sono le urla di Federico con quelle sue parole di basta e aiuto sentite anche a centinaia di metri, ma non da quegli agenti”.

Nel suo sfogo Lino Aldrovandi ripercorre quei minuti fatali ricostruiti nelle aule di giustizia: Federico è a terra, prono, ammanettato dietro la schiena. Eppure i quattro poliziotti lo massacrano di pugni, calci, manganellate (due sfollagente si ruppero sul suo corpo e furono poi puliti e nascosti). Il padre si sofferma sul dettaglio di uno dei quattro agenti “quello proteso in piedi a telefonare col cellulare di un collega, mentre Federico è a terra bloccato, a tempestarlo di calci. Un’immagine ai miei occhi di padre non diversa, anzi peggiore, considerandone gli autori di quel massacro (54 lesioni Federico aveva addosso, la distruzione dello scroto, buchi sulla testa e per finire il suo cuore compresso o colpito da un forte colpo gli si spezzò o meglio gli fu spezzato)rispetto ad altri casi orribili in cui la violenza l’ha fatta da padrona. Perchè?”.

Il padre considera poi quella pena, i tre anni e mezzo, nulla in confronto alle motivazioni dei tribunali “parole scritte dai giudici nei tre gradi di giudizio che rimarranno lì come un macigno a rendere un poco di giustizia a un ragazzo ucciso, e che faranno sempre la differenza, con risvolti che avrebbero potuto avere un epilogo di pena ben più grave nei confronti dei responsabili di un omicidio tanto assurdo quanto ingiustificato”. Lino chiede di ricordare sempre “quando si abbia a parlare di questa orribile storia, per non correre il rischio di sminuire, annullare o resettare una verità che oltre a produrre inevitabilmente tanto dolore lacerante, sopratutto in chi l’ha subita, ha comunque aperto una strada anche se difficile da percorrere, verso quei luoghi chiamati rispetto, dignità, civiltà, democrazia, legalità, umanità, partecipazione, impunità”.

Il caso Aldrovandi infatti divenne il “precedente” nella storia giudiziaria italiana. Dopo Federico morirono sotto la responsabilità di una divisa

Stefano Cucchi. Giuseppe Uva, Riccardo Rasman, Michele Ferulli, Dino Budroni, Aldo Bianzino, Riccardo Magherini, Davide Bifolco e altri ancora.

Le sorti processuali furono alterne, ma un velo si era squarciato. Con Aldrovandi si infranse il tabù dell’infallibilità delle forze dell’ordine. Su un altro versante, con Aldrovandi e il caso Diaz al G8 di Genova si aprirono le porte al percorso che portò all’introduzione del reato di tortura in Italia.

Intanto nel giorno di quello che sarebbe stato il suo 33mo compleanno, ad Argenta, nella provincia ferrarese, l’amministrazione comunale intitola un parco ad Aldrovandi. “Abbraccio idealmente le persone che si sono prodigate per un gesto di grande sensibilità – commenta Lino -. L’idea di dare il nome di mio figlio ad un parco, sa di natura, di respiro, di voglia di correrci dentro a perdifiato. E solo i bimbi lo possono fare senza mai fermarsi, quello di correre a perdifiato, come faceva Federico. Ed è a loro che penso. E quando un giorno un bambino dopo una grande corsa si siederà vicino al nonno per riposarsi, incuriosito da quel nome e cognome così lungo, potrà anche chiedergli chi fosse Federico Aldrovandi”. E di ricordare chi fosse Federico Aldrovandi lo chiede anche la madre Patrizia Moretti, che su twitter scrive: “Non dimenticate”.

Foto del profilo, apre la pagina del profilo su Twitter in una nuova scheda

patrizia moretti

@MorettiPatri

non dimenticate #FedericoAldrovandi

6:04 AM · 25 set 2020

Una preghiera raccolta idealmente dai tifosi della Curva Ovest della Spal, che nella notte hanno creato una incredibile coreografia lungo le mura medievali di Ferrara. Federico tifava la loro stessa squadra e“a distanza di 15 anni la tua memoria è viva più che mai – scrivono i tifosi – e il tuo volto è un mattone portante di una fortezza fatta di civiltà, giustizia e amore che deve proteggere la nostra città, come per secoli lo ha fatto la nostra cinta muraria. Aldro vive!”. VEDI IL VIDEO SOTTO:

 

VIDEO, 1.42 IL FATTO QUOTIODIANO DEL 26 SETTEMBRE 2020

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/09/26/aldro-vive-con-noi-la-coreografia-dei-tifosi-della-spal-in-memoria-di-federico-aldrovandi-il-padre-lino-che-emozione/5479367/

 

 

 

 

Marco Zavagli

 

Marco Zavagli

Giornalista

 

Sono nato nel 1974 a Ferrara, da dove non mi sono più spostato, salvo un anno in Scandinavia. Qui mi chiedevano come si potesse vivere tutta la vita in una città di provincia. Rispondevo che quando il riccio attraversa la strada e viene abbagliato dai fari delle auto si immobilizza. Rimane stordito. E viene investito. Per non correre il rischio rimango sul ciglio. Forse un po’ stordito. Ma osservo. In una città di provincia si vive al rallentatore. A volte un evento fa breccia nella quotidianità. Come la morte di un ragazzo di 18 anni. A una manifestazione in questa città di provincia, organizzata per chiedere che i responsabili della sua uccisione venissero processati, c’erano ottomila persone. Provenivano quasi tutti dall’altra parte della strada. Tra loro c’era un ragazzo con una maglietta con sopra una frase di Brecht. “La menzogna si scrive col sangue, per la verità basta l’inchiostro”. Basta l’inchiostro. Forse per questo sono contento di essere un giornalista in una città di provincia. Nessuno può togliermi l’inchiostro. Così scrivo. Sul ciglio della strada osservo e scrivo. Pensando a quella maglietta. E a quel ragazzo. Che ero io

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