Andrzej Witold Wajda ( Suwałki, 6 marzo 1926 – Varsavia, 9 ottobre 2016 ) è stato un regista, sceneggiatore e direttore artistico polacco, considerato uno dei principali esponenti della scuola polacca di cinema.
Quattro suoi film – La terra della grande promessa (1975), Le signorine di Wilko (1979), L’uomo di ferro (Palma d’oro al Festival del cinema di Cannes nel 1981) e Katyń (2007) – furono nominati come miglior film straniero agli Oscar, mentre nel 2000 Wajda ricevette dall’ A.M.P.A.S. l’Oscar alla carriera.
Importante figura nel mondo del cinema europeo orientale dopo la Seconda guerra mondiale, Wajda ha fatto una cronaca dell’evoluzione politica e sociale del suo Paese con sensibilità e fervore, rifiutando di scendere a compromessi nel trattare argomenti difficili. Divenuto un simbolo per un Paese sotto assedio, Wajda ha ripetutamente attinto alla storia della Polonia per soddisfare la propria sensibilità tragica, realizzando un capolavoro che distrugge e allo stesso tempo informa.
Figlio di un ufficiale della cavalleria polacca assassinato dai sovietici nel Massacro di Katyn’, Wajda, ancora adolescente, combatté nell’Esercito Nazionale contro i tedeschi. Dopo la guerra studiò per diventare un pittore all’Accademia di Belle Arti di Cracovia prima di entrare alla Scuola Nazionale di Cinematografia di Łódź.
Quando era apprendista al seguito del regista Aleksander Ford, gli fu data l’opportunità di dirigere un film da solo. Con Generazione (1955) il novello regista tirò fuori tutta la sua amarezza e il suo disinganno riguardo al cieco patriottismo e il linguaggio retorico del tempo di guerra, utilizzando come suo alter ego un giovane antieroe in stile James Dean, interpretato da Zbigniew Cybulski.
due film successivi svilupparono ulteriormente il tema antibellico di Generazione, I dannati di Varsavia (1956) e Cenere e diamanti (1958), anche quest’ultimo interpretato da Cybulski. Anche se era perfettamente in grado di realizzare pellicole commerciali non d’avanguardia (spesso rigettate dai sui critici come “banali”), Wajda era maggiormente interessato a opere di allegoria e simbolismo, con certi mezzi simbolici che appaiono ripetutamente nei suoi film (come incendiare un bicchiere di liquore, a significare la fiamma dell’idealismo giovanile che veniva spenta dalla guerra).
Nel 1967 Cybulski rimase ucciso in un incidente ferroviario, dopo di che il regista espresse il proprio dolore in quello che è considerato il suo film più personale, Tutto in vendita (1969). L’ultimo atto di devozione di Wajda al nascente movimento di Solidarność fu manifestato nelle pellicole L’uomo di marmo (1976) e L’uomo di ferro (1981). In quest’ultimo Lech Wałęsa (capo di Solidarność) compariva nei panni di sé stesso. Il coinvolgimento del regista in questo movimento spinse il governo della Repubblica Popolare di Polonia a far uscire dal mercato la compagnia di produzione di Wajda.
Nel 1985 vinse il Premio Herder.
Nei primi anni novanta, Wajda fu eletto senatore e nominato direttore artistico del Teatro Powszchny di Varsavia. Dello stesso periodo è la nomina a membro onorario dell’Unione dei Teatri d’Europa. Continuò a girare film, affrontando il tema della Seconda guerra mondiale ne L’anello con l’aquila coronata del 1993 e La settimana santa del 1996. Nel 1997 il regista cambiò direzione con Panna Nikt, un dramma sulla crescita che esplorava gli aspetti più oscuri e spirituali della relazione fra tre studentesse.
Nel 1998 la Mostra del Cinema di Venezia gli conferì il Leone d’oro alla carriera. Tre anni più tardi, durante la consegna dei Premi Oscar 2000 ricevette l’Oscar alla carriera per i suoi numerosi contributi al cinema; successivamente donò il premio alla Università di Cracovia. Per i risultati di una vita, nel febbraio 2006, Waida ha ricevuto un Orso d’oro alla carriera, il premio del Festival di Berlino.
Andrzej Wajda è stato sposato quattro volte. La sua terza moglie è stata la popolare attrice Beata Tyszkiewicz, da cui ha avuto la figlia Karolina (nata nel 1967). La sua quarta moglie è l’attrice e costumista Krystyna Zachwatowicz.
Il suo ultimo film Il ritratto negato è stato presentato postumo alla Festa del Cinema di Roma 2016.
Filmografia
Regia
- Zły chłopiec, cortometraggio (1950)
- Ceramika iłżecka, cortometraggio (1951)
- Kiedy ty spisz, cortometraggio (1952)
- Generazione (Pokolenie) (1954)
- Idę do słońca, cortometraggio documentario (1955)
- I dannati di Varsavia (Kanał) (1957)
Cenere e diamanti (Popiół i diament) (1958)
- Lotna (1959)
- Ingenui perversi (Niewinni czarodzieje) (1960)
- Lady Macbeth siberiana (Powiatowa lady Makbet) (1961)
- Samson (1961)
- Miłość dwudziestolatków, episodio di L’amore a vent’anni (L’amour à vingt ans) (1962)
- Ceneri sulla grande armata (Popioły) (1965)
- Guazzabuglio (Przekładaniec), film TV (1968)
- Tutto in vendita (Wszystko na sprzedaż, 1968)
- Gates to Paradise (1968)
- Caccia alle mosche (Polowanie na muchy) (1969)
- Il bosco di betulle (Brzezina) (1970)
- Paesaggio dopo la battaglia (Krajobraz po bitwie) (1970)
- Pilato e gli altri (Pilatus und andere) (1971)
- Le nozze (Wesele) (1972)
- La terra della grande promessa (Ziemia obiecana) (1974)
- La linea d’ombra (Smuga cienia) (1976)
- L’uomo di marmo (Człowiek z marmuru) (1976)
- Invito a entrare (Zaproszenie do wnetrza) (1978) documentario
- Senza anestesia (Bez znieczulenia) (1978)
- Le signorine di Wilko (Panny z Wilka) (1979)
- Direttore d’orchestra (Dyrygent) (1980)
- L’uomo di ferro (Człowiek z żelaza) (1981)
- Danton (1983)
- Un amore in Germania (Eine Liebe in Deutschland) (1983)
- Cronaca di avvenimenti amorosi (Kronika wypadków miłosnych) (1985)
- Dostoevskij – I demoni (Les possédes) (1988)
- Dottor Korczak (Korczak) (1990)
- L’anello con l’aquila coronata (Pierścionek z orłem w koronie) (1992)
- Nastasja (Nastazja) (1994)
- La settimana santa (Wielki Tydzień) (1995)
- Panna Nikt (Miss Nobody) (1996)
- Pan Tadeusz (1998)
- Wyrok na Franciszka Kłosa (2000)
- Zemsta – La Vendetta (Zemsta) (2002)
- Lekcja polskiego kina – documentario (2002)
- Solidarność, Solidarność… (segmento “Man of Hope”) (2005)
Katyń (2007)
Tatarak (2009)
- Kręć! Jak kochasz, to kręć! (2010) documentario
- Walesa – L’uomo della speranza (Walesa. Czlowiek z nadziei) (2013)
- Il ritratto negato (Powidoki) (2016)
INTERNAZIONALE DEL 18 OTTOBRE 2016
https://www.internazionale.it/opinione/goffredo-fofi/2016/10/18/andrzej-wajda-regista-morto
Andrzej Wajda sul set di Katyn, 2007. (Koch/Lorber Films/Everett/Contrasto)
Andrzej Wajda, il regista che ha smascherato la storia ufficiale
Goffredo Fofi, critico
È quasi certo che nessun italiano, anche del mestiere, abbia visto tutti i film diretti da Andrzej Wajda nella sua lunga carriera, dal 1955 all’anno della sua morte, che è l’anno ancora in corso. Sono quasi cinquanta, e molti hanno potuto vederli solo i frequentatori dei festival, che non sempre sono i critici più acuti.
Nato nel 1926, suo padre era un ufficiale dell’esercito, di quelli ammazzati dall’esercito staliniano a Katyń attribuendo il massacro ai nazisti. Wajda conobbe presto la verità, ma nella Polonia “socialista” del dopoguerra non poteva certo dichiararla, e si adattò a quell’esistenza che milioni e milioni di persone hanno dovuto sperimentare nello scorso secolo, e tanti altri sono obbligati a sperimentare tuttora in molte parti del mondo: l’accettazione di un sistema di potere odioso, per poter sopravvivere, sé e i propri cari.
Una sorta di doppio gioco, di “doppia cittadinanza”, di doppia vita quantomeno con la mente. Era poco più che adolescente alla fine della guerra, quando seguì una scuola di cinema a Łódź e fu il miglior allievo di un regista probo e dimenticato, Aleksander Ford. Poté esordire dirigendo il suo primo film nel 1955, ispirandosi alle sue esperienze e a quelle dei suoi amici in tempo di guerra e di resistenza, e il film si chiamò Generazione, di un realismo sincero e prevedibile. Un film tuttora commovente, soprattutto per chi ha memoria di quegli anni.
Insofferenza per il racconto tradizionale
Fu seguito da due capolavori di vasta risonanza, distribuiti anche in Italia: I dannati di Varsavia e Cenere e diamanti, due tragici affreschi della disperata resistenza al nazismo il primo, e della confusione dell’immediato dopoguerra il secondo, tra destra e sinistra, tra nostalgici e innovatori gli uni contro gli altri armati.
Regia barocca, si disse, e visionaria, estrema, forse unica nel cinema del tempo che era tutto portato alla ricerca di un nuovo realismo. Si indovinava nei protagonisti di quei film la tensione che animava il regista, l’insofferenza per il racconto tradizionale o tranquillizzante, dopo l’inferno della guerra, un inferno che in Polonia fu perfino più nero che altrove, in un paese schiacciato dai tedeschi ma anche dai russi.
Non serve citare tutti i film che seguirono, quali più euforici, nel breve periodo della speranza (la destalinizzazione, l’apertura all’Europa, una nuova e più libera generazione), quali “classici” o intimi, ma almeno due, meno visti di altri, vanno ricordati: Samson, sulla shoah, e Paesaggio dopo la battaglia, da uno straordinario libro di Tadeusz Borowski sull’uscita dal lager, sulla difficoltà di uscirne anche mentalmente.
Wajda vide come un suo dovere d’artista quello di parlare dell’occupazione sovietica
Sia che illustrasse i grandi romanzi della tradizione polacca – La terra della grande promessa da Władysław Reymont, La linea d’ombra da Joseph Conrad, Danton da Stanisława Przybyszewska (dove la simpatia del regista va appunto a Danton e non a Robespierre), Pan Tadeusz dal romanzo-poema di Mickiewicz fedelmente recitato in versi e debitamente oleografico, ma anche I demoni di Dostoevskij, già affrontato con un adattamento teatrale, poiché Wajda fu anche egregio regista di teatro e trasferì in film il capolavoro teatrale di Tadeusz Kantor La classe morta – o si riportasse a romanzi più recenti di scrittori suoi amici, sia che inventasse un “cinema storico” per raccontare la storia recente e non più quella della guerra, appena gli fu possibile Wajda vide come un suo dovere d’artista quello di parlare dell’occupazione sovietica, del buio periodo stalinista e dei modi di reagirvi del paese e della sua parte più sana e coraggiosa, quella operaia, che conosceva assai bene.
Nascono i grandi affreschi di L’uomo di marmo e L’uomo di ferro, tra i pochi film dedicati alla vera storia della classe operaia, così mistificata e avvilita dalla tradizione marxista e bolscevica anche nei partiti comunisti occidentali e perfino dalla nuova sinistra, e più tardi il film su Walesa.
L’uomo di ferro, 1981. (Rue des Archives/Mondadori Portfolio)
E nasce Katyn che, con la solidità, la persuasione e la misura di un grande romanzo storico, dimostra fino in fondo la maestria del regista nel ricostruire un’epoca attraverso vicende e figure che spiccano a tratti su un coro e uno sfondo abitato da masse in movimento, da uomini e donne che sono anche ceti sociali e collocazioni politiche. Il respiro storico va di pari passo con un respiro documentario di cui Wajda è sembrato tra i pochi a conoscere il segreto: far sembrare presente la storia, come se tornasse in vita sotto i nostri occhi.
Questa “impressione di realtà” attraversa tutto il cinema “in costume” di Wajda, e ha forse il suo culmine in Doctor Korczak, dedicato alla figura del grande pedagogista ebreo difensore dei diritti del bambino, del diritto del bambino al rispetto. Korczak tenne in vita la sua scuola di orfani nel ghetto di Varsavia e, pur avendo una possibilità di fuga, preferì morire con loro nelle camere a gas di Auschwitz.
Purtroppo non ho visto quasi nulla di Wajda, ma questi articoli mi hanno fatto venire voglia di conoscerlo. Grazie.