PAOLO MORANDO : Eugenio Cefis. Una storia italiana di potere e misteri — LATERZA, 15 aprile 2021 + recensioni da Art.21, Huffigton Post.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Eugenio Cefis. Una storia italiana di potere e misteri

 Paolo Morando

Editore: Laterza
Collana: I Robinson
Anno edizione: 2021
In commercio dal: 15 aprile 2021
Pagine: 392 p., Brossura
20 euro, prezzo pieno

Eugenio Cefis è stato per anni uno degli uomini più potenti d’Italia. Secondo molti, il più potente: la politica al suo servizio, i rapporti con i servizi segreti, le accuse di progettare disegni eversivi, fondi neri, dossier e intercettazioni telefoniche. Un grande burattinaio della Repubblica, capace di nutrire per oltre mezzo secolo una inarrestabile leggenda nera. Ma che cosa c’è di vero?

Tenente dell’esercito del Regno, capo partigiano in Val d’Ossola, braccio destro all’Eni di Enrico Mattei, di cui divenne successore. E poi la scalata a Montedison. Fino al colpo di scena del 1977: le dimissioni da presidente del colosso chimico e l’espatrio in Svizzera, con un immenso patrimonio personale. Un improvviso abbandono della scena pubblica di cui era stato a lungo uno dei principali protagonisti. In mezzo, una miriade di polemiche giornalistiche, scandali e inchieste, da cui uscì miracolosamente indenne. Una coltre di sospetti alimentati dalla sua leggendaria riservatezza: le sue interviste si contano sulle dita di una mano, rarissime le foto, inesistenti i filmati in cui compare. La leggenda nera, che da sempre lo avvolge, dopo la sua morte nel 2004 si è arricchita a dismisura, con Cefis messo in correlazione con le morti di Mattei, del giornalista Mauro De Mauro e di Pier Paolo Pasolini che, nell’incompiuto Petrolio, scriveva proprio di lui.

E poi la P2, di cui è stato indicato come il fondatore.

Questo libro, grazie a una documentazione inedita (compreso un clamoroso retroscena sulla morte di Mattei), è un profilo autentico e senza sconti. Perché raccontare Eugenio Cefis oggi, nel 2021 in cui ricorre il centenario della sua nascita, significa raccontare l’Italia come mai è stato fatto prima.

 

 

RECENSIONE AL LIBRO DI ARTICOLO 21:

 

I tanti misteri italiani di Eugenio Cefis nel racconto di Paolo Morando

CARLO MARTINELLI

 

La collezione degli ex voto Per Grazia Ricevuta, le bambole Lenci, le trattative con i guerriglieri in Biafra, l’incidente aereo che si porta via Enrico Mattei (un delitto? è più di un sospetto), una canzone di Rino Gaetano (cosa filava Berta, esattamente?), la Resistenza e la Repubblica partigiana dell’Ossola, la P2, Fanfani e la repubblica presidenziale (solo abbozzata?), un’altra collezione: quella delle biografie di briganti, la veggente Angela Volpini, l’Agente Zeta, il discorso all’Accademia militare di Modena, i fanghi rossi inquinanti in Toscana, la “guerra” con i partiti, la tragedia di Stava quando i bacini di decantazione di Prestavel rovesciarono il loro fango di morte sulla valle, i colloqui dell’economista Giulio Sapelli nel “buon retiro” di Zurigo, la razza padrona e il “Superpotere” (suo e del suo acerrimo rivale, l’Avvocato Agnelli), l’Italia che esce dal fascismo, l’Italia della ricostruzione, l’Italia del boom, l’Italia della strategia della tensione e delle lotte operaie e studentesche, l’Italia della Borsa e dei profitti vertiginosi, la finanza cattolica e i contratti petroliferi con i sovietici, il “Petrolio” profetico di Pier Paolo Pasolini e la mafia (o è una firma buona per tutte le stagioni?) che fa sparire il giornalista Mauro De Mauro. Ovviamente: l’Eni e la Montedison, la Montedison e l’Eni.

Ci fermiamo qui. Anche se undici pagine di indice dei nomi e sedici di fonti e bibliografia parlano chiaro: questa lista potrebbe occupare molto altro spazio. Tutto quello – e sono 392 pagine fitte – che Paolo Morando si è preso per il suo nuovo, rapinoso saggio, in libreria per i tipi di Laterza (20 euro, da spendere senza dubbio alcuno).

Così come era successo per i suoi precedenti titoli (tutti Laterza: “Dancing Days, i due anni che hanno cambiato l’Italia”; “’80. L’inizio della barbarie” e “Prima di piazza Fontana. La prova generale”) la previsione è facile quanto certa.

Questo suo “Eugenio Cefis. Una storia italiana di potere e misteri” farà il pieno di recensioni, di copie vendute, di inevitabili polemiche e dietrologie (siamo in Italia, bellezza, il Paese dove la verità non è mai certa e gli accomodamenti del potere e attorno al potere sono il mestiere di molti).

Un pieno meritato per il giornalista trentino (ora scrive per “Huffington Post”, “Internazionale” e sul blog “minima&moralia”) che nel tempo si è ritagliato sempre più uno spazio da storico, sapientemente in bilico tra cronaca, costume, politica, sempre scavando, sempre curioso, sempre civilmente attento. Gli è così riuscito di conquistare un ruolo riconosciuto ed importante, curiosamente al fianco di un altro storico trentino, quel Francesco Filippi che smonta le bufale fasciste e fascistoidi con altrettanta perizia e competenza.

Non era una impresa facile quella di raccontare la vita di un uomo, Eugenio Cefis (nato giusto cento anni fa) che della riservatezza (ai suoi imponeva di essere citato come “il presidente”, senza che vi fosse aggiunto il nome e il cognome…) aveva fatto la sua bandiera. Morando vi è riuscito forte della sua specialità: infaticabile rovistatore di archivi (cartacei o in rete che siano), onnivoro lettore, scrupoloso intervistatore (e alcune delle interviste di questa sua vertiginosa indagine lo ribadiscono, a partire da quelle ai familiari: ci credereste? nessuno, prima, aveva mai pensato di chiedere loro qualcosa). Forte anche dell’adesione convinta ad una amicizia. Perché il tarlo di siffatta indagine biografica su quello che è stato uno degli uomini più potenti e misteriosi d’Italia glielo ha instillato, negli anni, l’amico Luca Dal Bosco, noto film maker trentino. Morando non solo gliene dà atto. Lo omaggia – omaggiando sua maestà il cinema, del quale sono entrambi devoti consumatori – scegliendo di assegnare cinque titoli cinematografici ai cinque grandi capitoli (ognuno dei quali a sua volta declinato in cinque “sottocapitoli”: un 5X5 che ritorna, eccome, riguardo a Cefis…) del libro. Lo stato delle cose, Sentieri selvaggi, Orizzonti di gloria, Il lungo addio, La caduta degli dei. In ogni titolo Cefis lo si può ritrovare, garantito. Saggio che ha la struttura di un giallo, ma forte di un impianto di ricerca che resta saldo anche quando deve riferire di episodi e personaggi che rasentano il grottesco e l’incredibile, “Eugenio Cefis” ci aiuta a capire come siamo stati e, forse, come stiamo diventando. Per questo resta capitolo denso ed emozionante quello che ruota, “antropologicamente”, attorno a Pier Paolo Pasolini.

 

Dimenticavamo: Paolo Morando chiude il suo libro con la rivelazione di un clamoroso retroscena – a dir poco – sulla morte di Mattei e si concede, quasi di passaggio, una annotazione pungente. In rete troverete che Cefis è morto a Lugano il 28 maggio del 2004. Sbagliato. È morto tre giorni prima: ed anche questo particolare aiuta nella (ri)costruzione della sua vita.

 

 

 

HUFFINGTON POST — 16 APRILE 2021

https://www.huffingtonpost.it/entry/un-filo-fra-mattei-de-mauro-e-pasolini-la-leggenda-nera-di-eugenio-cefis_it_6079bdeae4b001abc4dbf95e

 

Un filo fra Mattei, De Mauro e Pasolini. La leggenda nera di Eugenio Cefis.

Pubblichiamo un estratto del libro Eugenio Cefis. Una storia italiana di potere e misteri, di Paolo Morando, editore Laterza

 

Pier Paolo

Pier Paolo Pasolini

 Pubblichiamo un estratto del libro Eugenio Cefis. Una storia italiana di potere e misteri, di Paolo Morandoeditore Laterza.

Cefis nel 1962 regista della morte di Enrico Mattei, per prenderne il posto e avviare l’Eni lungo un percorso meno sgradito agli amici americani. Poi della scomparsa nel settembre 1970 del giornalista Mauro De Mauro, che di quel misterioso incidente aereo aveva scoperto i retroscena. Infine nel 1975 dell’uccisione di Pier Paolo Pasolini, che in Petrolio, pubblicato postumo addirittura diciassette anni dopo la sua morte, stava per collegare definitivamente Troya (Cefis) all’eliminazione di Bonocore (Mattei).

Questo è il disegno tracciato negli ultimi quindici anni e che ormai si è fatto vulgata. Lo svelamento del disegno, avvincente, si è sviluppato articolandosi in una pubblicistica ormai sterminata, ma che in sostanza poggia su un’unica gamba: le richieste del pubblico ministero Vincenzo Calia in ordine al procedimento penale n. 181/84 mod. 44 della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pavia.

La data sul frontespizio è 20 febbraio 2003, e va appuntata: perché è da quel momento che la leggenda nera di Cefis inizia a farsi nerissima. Si tratta di 427 pagine corredate da altre 11 di Indice dei nomi, come in un saggio fatto come si deve, e ben 42 (tra l’altro in chiusura, dunque al momento di tirare le fila) sono incentrate proprio su Cefis.

Rifare qui un riassunto esaustivo del poderoso lavoro di Calia è impossibile. Basterà dire che la presenza a bordo dell’aereo di un congegno esplosivo (e appunto esploso durante il volo, poco prima dell’inizio della manovra di atterraggio a Linate) pare inequivocabilmente provata.

Così come la falsità di alcune testimonianze chiave di chi, il contadino Mario Ronchi, la sera del 27 ottobre ’62 vide precipitare il Morane-Saulnier pilotato da Irnerio Bertuzzi su cui viaggiavano Mattei e il giornalista americano William McHale. Per non parlare naturalmente della palmare approssimazione con cui vennero svolte in prima battuta perizie, indagine ministeriale e istruttoria giudiziaria. Di tante circostanze successive che sembrano costituire elementi di un vasto depistaggio. E del disinteresse in cui cadde questo appunto del Sisde, ritrovato proprio da Calia. Datato 25 luglio 1979, ancora non fa il nome di Pasolini ma quello di un altro morto ancora: il capo della Squadra mobile di Palermo Boris Giuliano, ucciso appena quattro giorni prima con sette colpi di pistola sparati alle spalle.

Si vocifera che il defunto V. Questore, Giuliano, si occupava, quasi a titolo personale, cercando di evitare ogni indiscrezione, della scomparsa del noto giornalista Mauro De Mauro, eliminato, si afferma, per aver trovato il bandolo della matassa sull’incidente aereo che costò la vita all’On. Enrico Mattei. In proposito un Magistrato della Procura di Roma, collegando l’intera vicenda, avrebbe confidato a persona amica che, secondo il suo giudizio, l’eliminazione di De Mauro, dell’On. Mattei e del V. Questore Giuliano, gli richiamerebbe il nome dell’ex Presidente della MONTEDISON, Eugenio Cefis.

Lasciamo da parte il caso Giuliano: che ad ammazzarlo fosse stato il mafioso Leoluca Bagarella, allora ancora non si sapeva. Ma per il resto ce ne sarebbe abbastanza per indicare Cefis come orchestratore di alcuni dei casi più controversi della storia repubblicana. E qui è arrivato il momento di parlare del libro firmato Steimetz di cui si è detto.

editore effigie, 2010

1. “Questo è Cefis”

 

L’inchiesta di Calia fu lunga e solitaria: il magistrato la aprì nel 1994 e la chiuse nel 2003. E la stampa lo degnò di scarsissima attenzione, impegnata com’era ad attaccare o difendere Silvio Berlusconi. In quei nove anni, a un certo punto, un’incredibile coincidenza portò Calia a fermarsi a una bancarella in piazza della Vittoria a Pavia, imbattendosi in un libro singolare e raro. Del “grande vecchio” quel libro riportava bello grande in copertina il cognome e, rosso fuoco, addirittura il disegno del capo glabro: Questo è Cefis, il titolo in grande evidenza, sottotitolo L’altra faccia dell’onorato presidente. L’autore, mai sentito prima, tale Giorgio Steimetz. Che nulla ha a che fare con George Steinmetz, il fotografo americano quasi omonimo che, con i suoi scatti soprattutto di Africa e di deserti dai quattro angoli del mondo, da anni appassiona i lettori di testate come «New Yorker», «Time», «New York Times Magazine» e «National Geographic». Peraltro Steinmetz, all’uscita del libro, era un qualsiasi quattordicenne di Los Angeles. Ma la scelta di uno pseudonimo, per giunta così particolare, può portare alle supposizioni più estreme. Giorgio Steimetz infatti in carne e ossa non esiste: è il nome-schermo dietro il quale nel 1972 si è trincerato l’autore del pamphlet (perché tale è, e durissimo) contro l’allora presidente di Montedison, fresco di passaggio dall’Eni. (…)

Il libro firmato Steimetz altro non è che una carrellata di servizi speciali diffusi dall’agenzia nel corso del 1971 (il primo è del 22 aprile, titolo “Le due potenze occulte del pozzo d’oro nero”, quello finale del 18 dicembre, “Ultimo round per il Ko”).

Sono tutti incentrati su Cefis ed escono proprio nel periodo in cui maggiori sono le polemiche attorno alla sua figura. Quelli sono infatti esattamente i mesi del suo passaggio (che avviene a maggio) dalla guida dell’Eni a quella di Montedison, cioè il colosso dell’industria e della finanza privata, bastione dei “poteri forti” del capitalismo italiano, conquistato però grazie al capitale pubblico: appunto i soldi dell’Eni. Sono 279 pagine che grondano pesante sarcasmo, fin dall’introduzione: «Eugenio Cefis: un personaggio inquietante, integrazione perfetta del sistema. Sfrenato nelle sue mire, freddo nella connessione scoperta dei suoi intrighi privati con gli impegni della sua gestione pubblica». L’autore di quelle pagine è il giornalista Corrado Ragozzino, titolare appunto dell’Ami, o così almeno si è sempre detto. (…)

2. “Petrolio”

Un passo indietro, torniamo a Petrolio. Quando nel 1992 venne pubblicato incompiuto e postumo da Einaudi, un po’ tutti si chiesero se ne valesse la pena: «Un immenso repertorio di sconcezze d’autore, di un’enciclopedia di episodi ero-porno-sado-maso, di una galleria di situazioni omo ed eterosessuali, come soltanto dall’autore di Salò e le centoventi giornate di Sodoma ci si può aspettare», scrisse ad esempio un giornalista autorevole come Nello Ajello su «la Repubblica», ma anche quei critici che preferirono volare più alto non nascosero il proprio imbarazzo. E a rileggerle oggi, le articolesse dei vari Alberto Arbasino, Lorenzo Mondo e addirittura Enzo Siciliano sorprendono per presbiopia: altro che la struttura sconclusionata, altro che la gang bang sul pratone della Casilina, la polpa del libro era ben visibile a occhio nudo.

L’Appunto 22A per dire si apre così:

Troya emigrato a Milano nel 1943, fu colto non inaspettatamente preparato alle proprie scelte, a quanto pare, dalla fine del fascismo e dall’inizio della Resistenza. Partecipò infatti alla Resistenza (questo, come vedremo, costituisce lo scandalo). C’era una formazione mista degasperiana e repubblicana (il misto cominciò subito, come si vede), che lottava sui monti della Brianza. Il capo di quella formazione partigiana era l’attuale presidente dell’Eni, Ernesto Bonocore. (Sia Troya che Bonocore, come il lettore avrà notato, non sono due cognomi settentrionali: si trattava effettivamente di immigrati. Quelle che erano settentrionali erano le madri: una certa Pinetta Springolo di Sacile, per Troya, e una certa Rosa Bonali, di Bascapè (xxx), per Bonocore.) […] La cosa che vorrei sottolineare è la seguente: Troya nella formazione partigiana era secondo. E la cosa pareva gli si addicesse magnificamente fin da allora. […] Dunque, Troya è attualmente vicepresidente dell’Eni. Ma questa non è che una posizione ufficiale, premessa per un ulteriore balzo in avanti dovuto non tanto a una volontà ambiziosa quanto all’accumularsi oggettivo e massiccio delle forze guidate da tale volontà. La vera potenza di Troya è per ora nel suo impero privato, se queste distinzioni sono possibili.

Si proseguirebbe anche a lungo, ma è già abbastanza così. Perché questo solo passo ci dice che non era poi così difficile identificare i due. E invece fino al 2003 nessun lettore (e nessun recensore all’uscita nel ’92, a meno di ipotizzare una ben orchestrata manovra editoriale e giornalistica) capì quello che i familiari e gli amici più stretti di Pasolini avevano sempre saputo: e cioè che dietro i nomi dei protagonisti del libro, Aldo Troya ed Ernesto Bonocore, si nascondevano Cefis e Mattei. E che quello era il cuore nero di Petrolio. Il primo a intuirlo fu appunto il giudice Calia, incrociando il libro di Steimetz, e verificando che suoi interi passi erano finiti dritti nel manoscritto pasoliniano. (…)

Petrolio parla spesso fin troppo chiaro: in un passo si legge infatti che Troya «sta per essere fatto presidente dell’Eni: e ciò implica la soppressione del suo predecessore (caso Mattei cronologicamente spostato in avanti)». E poco dopo si legge che quello stesso Troya «sta per essere fatto presidente della Montedison». Benché con trent’anni di ritardo rispetto a quando Pasolini lavorava alla sua opera più ambiziosa, la falla nella diga si era dunque aperta. Il primo a infilarvisi fu Paolo Di Stefano, che sul «Corriere della Sera» diede conto del lavoro di D’Elia partendo appunto dalla sua rivelazione.

Poche settimane dopo, ecco su «Micromega» un lunghissimo articolo-saggio di Gianni Borgna e Carlo Lucarelli (Così morì Pasolini) che, riallineando tutti i misteri del delitto all’idroscalo di Ostia Lido, dettagliava ancor più la connessione tra Pasolini e Steimetz.

Quattro mesi dopo il libro di D’Elia, la riedizione di Petrolio negli Oscar Mondadori restituiva a Steimetz ciò che era di Steimetz. In uno scrupoloso apparato di note, in cui Silvia De Laude aggiornava e ampliava quello curato nel 1998 assieme a Walter Siti per la monografia dei “Meridiani” su Pasolini, si risolvevano finalmente i nodi filologici della questione, svelando tra l’altro che il poeta voleva utilizzare nella propria opera, esattamente a metà racconto, tre rarissimi discorsi pubblici di Cefis: a partire naturalmente da “La mia Patria si chiama Multinazionale”, perché quello era il titolo con cui già era stato “fissato” da «L’erba voglio», la rivista bimestrale dello psicanalista Elvio Fachinelli che lo pubblicò come “supplemento pedagogico” al proprio numero di luglio/agosto 1972. (…)

Questo è Cefis è un libro di culto non solo per i suoi contenuti scottanti nei confronti dell’allora fresco presidente di Montedison o per via di come, oggi, è stato messo correttamente in relazione con Pasolini e Petrolio. Lo è soprattutto per la sua rarità, visto che dell’originale girano pochissime copie, poiché scomparve improvvisamente appena uscito. E il motivo, si dice da anni, è che quasi certamente fu proprio Cefis a far rastrellare tutte quelle in circolazione, forse per distruggerle in un fuoco purificatore. Al punto che non ne sopravvivono esemplari neppure nelle due sedi di Roma e Firenze della Biblioteca Nazionale Centrale, che istituzionalmente conservano copia di qualsiasi pubblicazione venga stampata in Italia. Chi ne ha una, oggi se la tiene stretta. Ed è disponibile a cederla (tipicamente su eBay) solo per svariate centinaia di euro.

La morbosità nel frattempo è però scemata, visto che solo pochi anni fa il valore non scendeva sotto al migliaio di euro. E da tempo non si vedono spuntare esemplari caratterizzati da una ulteriore rarità: è quella segnalata da Simone Berni, punto di riferimento di tutti i bibliofili italiani, che nel suo “Manuale del cacciatore di libri introvabili” intitolato Questo è Berni, con copertina mutuata ovviamente da Questo è Cefis, rivela che il libro (o almeno parte delle copie, probabilmente quelle di una seconda edizione) conteneva anche una “cartolina editoriale” con questa scritta:

Gentile Signore,

se Lei conviene con noi che la verifica formulata dal nostro libro sui casi di malcostume e sui sistemi del sottobosco corrente meriti adesione non soltanto formale, e possa anzi investire più alte e determinanti censure, spedisca questa cartolina in busta chiusa. Sarà una testimonianza e un gesto di coraggio: presenza consapevole e coerente. Le siamo assai grati per la comprensione.

Edizioni Ami

E a fianco l’indirizzo a cui spedire la cartolina: «Chiarissimo Signor Procuratore Generale della Repubblica – Palazzo di Giustizia – Piazzale Clodio – Roma». Sul retro, accanto allo strillo «Anche lei – con noi – per una protesta: civile e doverosa, concreta e responsabile» (in originale tutto in maiuscolo), la lettera già pronta per l’invio, da sottoscrivere con firma e indicando le proprie generalità precise, così come l’indirizzo per esteso.

Signor Procuratore, ho letto il libro «Questo è Cefis». Delle due, o il signor Cefis è stato oggetto di meschine e artificiose calunnie, o le notizie (e le denunce) ivi contenute presentano validi motivi di inquietante attualità. Il silenzio su questo caso avvalora piuttosto la seconda supposizione. Mi unisco allora a quanti Le chiedono di occuparsi di così sconcertante situazione, nell’interesse della verità.

Il che, mettetevi nei panni dell’allora presidente di Montedison, era un eccellente motivo per decidere di rastrellarne il maggior numero di copie possibile: più che il libro, di per sé un centone di faticosa lettura e ben distante dagli standard di qualità e profondità degli autentici pamphlet, forse il vero pericolo erano proprio quelle cartoline. Comunque un po’ sorprende che Pasolini sia rimasto abbagliato dal cumulo di allusioni spazzatura contenute in Questo è Cefis, frutto velenoso di una stagione italiana ancor più velenosa: la guerra della chimica in cui a chi scriveva certi libri (o li commissionava) premeva più che altro minacciarne l’uscita, per mettere sotto scacco il protagonista di turno. Cefis in questo caso, ma anche il suo avversario Nino Rovelli un paio di anni dopo, pure lui irriso e sepolto di illazioni in Il malaffare di un Diego Monteplana inesistente come le Edizioni Everest responsabili della pubblicazione (pure questa scomparsa nel nulla, benché le copie d’obbligo risultino depositate nelle Biblioteche nazionali). Libri come armi di ricatto, agenzie come l’Ami di Verzotto (e pure Roma Informazioni, altra emanazione verzottiana, con l’opuscolo L’Eni da Mattei a Cefis) che informavano solo i loro abbonati e da cui i giornalisti “veri” si tenevano ben lontani. Non a caso Eugenio Scalfari e Giuseppe Turani, che in Razza padrona a Cefis non risparmiarono nulla, ignorarono bellamente Steimetz.

Che invece folgorò Pasolini. E con lui oggi schiere di pasoliniani: una quindicina d’anni fa, infatti, Questo è Cefis fu perfetto per rilanciare la tesi del poeta ucciso perché sul punto di svelare l’indicibile. Tesi solida, viste le manchevolezze della sentenza che condannò il solo Pino Pelosi. Che quell’indicibile riguardi però Cefis, non è dimostrabile. Così come altri scenari: l’ultimo sviluppo, per dire, colloca senza dubbio alcuno il movente del delitto tra strategia della tensione e dossieraggio ai danni di un potente Dc come Mariano Rumor. Ma da qui al 2022, centenario della nascita di Pasolini, c’è da scommettere che altri ne spunteranno. (…)

 

 

 

 

QUALCOSA SULL’AUTORE::

 

Intervista a Paolo Morando – Nuove Pagine

 

Paolo Morando, giornalista, vive e lavora a Trento dove è vicecaporedattore del “Trentino”. Ha contribuito al volume collettaneo

Uscire dalla Seconda Repubblica. Una scuola democratica per superare il trentennio di crisi della politica (a cura di Mario Castagna, Carocci 2010).

Per Laterza è autore di Dancing Days. 1978-1979. I due anni che hanno cambiato l’Italia (2009),

’80. L’inizio della barbarie (2016),

Prima di Piazza Fontana. La prova generale (2019)

 

 

Tirate sull'anarchico. Intervista a Paolo Morando - Pulp libri

Laterza, 2019

 

 

 

Gli anni '80 di Paolo Morando tra «barbari» e paninari | L'Arena

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