SIMONETTA FIORI, REPUBBLICA DEL 30 GIUGNO 2021 :: 1. La battaglia che divide gli psichiatri; 2. INTERVISTA A :: Pierfranco Trincas ( vincitore del concorso a Trieste ) : “Ma a Trieste nessuno vuole riaprire i manicomi”

 

 

REPUBBLICA DEL 30 GIUGNO 2021

https://www.repubblica.it/cultura/2021/06/30/news/la_battaglia_che_divide_gli_psichiatri-308367220/

 

 

La battaglia che divide gli psichiatri

di Simonetta Fiori

 

Da una parte c’è l’eredità della rivoluzione di Basaglia da difendere. Dall’altra i medici che considerano centrale il ricorso al farmaco. Due modelli che si fronteggiano in una contesa culturale e politica

30 GIUGNO 2021 

 

L’episodio di Trieste, il concorso della città più basagliana d’Italia vinto da un candidato estraneo a quella esperienza, accende i riflettori su un conflitto interno alla psichiatria, italiana e internazionale. Una guerra culturale e anche politica che serpeggia nella disciplina sin dal principio della rivoluzione di Basaglia, ma che in questi ultimi tempi mostra una rinnovata recrudescenza.

 

 

Covid, lo psichiatra: «Un terzo in più di persone avrà disturbi mentali legati alla pandemia»

MASSIMO DI GIANNANTONIO, Socio Onorario, è Professore Ordinario di Psichiatria presso l’Università degli Studi G. D’Annunzio, Chieti – Pescara. Presidente della SIP, SOCIETA’ PSICHIATRIA ITALIANA

 

 

 

Dopo il concorso assai contestato, arriva il gran rifiuto della Società Italiana di Psichiatria di partecipare alla Conferenza sulla salute mentale promossa dal ministro Speranza. La più antica tra le società psichiatriche, la Sip è la stessa associazione che il mese scorso — per voce del suo presidente Massimo Di Giannantonio — ha definito «superati» i metodi basagliani, schierandosi a sostegno del concorso vinto da Trincas (vedi intervista, articolo dopo questo, qui).

«Sono costretto a rinunciare tanto nella mia veste di presidente della Sip quanto di componente del tavolo tecnico del ministero», ha dichiarato Di Giannantonio prima della Conferenza tenuta nei giorni scorsi, centotrenta relatori in otto sessioni, tra operatori dei servizi, rappresentanti dell’accademia, utenti, famigliari, volontari delle cooperative. La ragione del dissenso? «Il metodo autoreferenziale di scelta degli argomenti» oggetto dei lavori. «Non condivido la scelta di impedire la partecipazione del coordinamento nazionale dei direttori dei dipartimenti di salute mentale, né la decisione di non coinvolgere il mondo della ricerca e il ministero dell’Università, principale garante dei percorsi formativi dei professionisti della salute mentale».

Fabrizio Starace – DiAPAson

FABRIZIO STARACE – FOTO DIAPASON

Fabrizio Starace è Presidente SIEP Società Italia di Epidemiologia Psichiatrica, componente del Consiglio Superiore di Sanità, componente del Comitato di esperti in materia economica e sociale della Presidenza del Consiglio per l’emergenza Covid-19 per la fase 2.

Tra gli studiosi direttamente coinvolti nell’organizzazione della Conferenza c’è Fabrizio Starace, direttore del Dipartimento di salute mentale di Modena e membro del Consiglio Superiore di Sanità.

«Non c’è stata nessuna esclusione», replica Starace. «Sono stati invitati sia esponenti della Sip che rappresentanti dell’Università. Alcuni hanno partecipato, altri hanno declinato l’invito. Forse la scelta di intitolare la conferenza “per una salute mentale di comunità” deve aver scontentato chi si riconosce in una psichiatria più tradizionale, meno sensibile ai “determinanti sociali” e scarsamente impegnata nell’assistenza sul territorio».

 

AracneTv | Maria Grazia Giannichedda

MARIA GRAZIA GIANNICHEDDA

 

DI LEI, ABBIAMO PUBBLICATO QUESTO ARTICOLO:

Maria Grazia Giannichedda :: L’INCHIESTA. Trieste, il concorso che tradisce Basaglia — IL MANIFESTO 11 GIUGNO 2021

 

 

In campo è una contrapposizione culturale profonda che spesso si riverbera nei modelli organizzativi, come spiega Maria Grazia Giannichedda, collaboratrice di Basaglia sin dal principio della rivoluzione. «Esiste un modello psichiatrico che è incentrato sul posto letto ospedaliero, cioè sul Servizio di diagnosi e cura (Spdc) concepito come reparto specialistico per ricoveri, a cui seguiranno nuovi ricoveri in altri reparti psichiatrici di ospedali e cliniche, day hospital, visite ambulatoriali per il controllo dei farmaci: è la scelta del farmaco che determina il successo della cura.

Il modello opposto è quello cosiddetto “di comunità” che si fonda sui centri di salute mentale aperti 24 ore al giorno, per tutta la settimana, intorno ai quali esiste una rete di servizi che si occupano delle abitazioni, del lavoro, della socialità del paziente: la persona sofferente viene curata e accompagnata nel processo di recupero».

Essere psichiatri di comunità significa passare molto tempo con sindaci e assessori, con i responsabili delle strutture abitative e scolastiche, con le cooperative di volontari. «Impiego in questi rapporti le stesse energie che i miei colleghi tradizionali spesso investono nella classificazione del sintomo e nella formulazione della diagnosi», racconta Starace, che opera nel modenese. «Ma purtroppo l’individuazione del circuito neuronale attivato dalle allucinazioni non sempre mi è di aiuto nel sostegno che devo dare alla persona allucinata».

La ricerca neuroscientifica resta fondamentale per la conoscenza del funzionamento del cervello e della fisiologia del sistema nervoso centrale ma ancora non si è tradotta in una strategia psichiatrica altrettanto efficace rispetto a quella di chi pratica l’ascolto e la cura umana del paziente.

«È un limite che riscontriamo non solo in Italia ma anche Oltreoceano, dove gli investimenti sono illimitati. Significativo è il bilancio degli ultimi vent’anni tracciato dall’ex direttore del National Institute of Mental Health: sono tanti gli articoli scritti da bravissimi ricercatori, miliardi i dollari investiti, ma non siamo ancora riusciti a ridurre suicidi né ricoveri, né a migliorare gli esiti di guarigione».

L’unico progresso tangibile, conclude Starace, «è avere farmaci neurolettici di seconda generazione che hanno una soglia di tollerabilità più alta, ma per efficacia sono sovrapponibili ai farmaci di vent’anni fa».

Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità considera una punta di diamante il modello di cura simboleggiato da Trieste e diffuso lungo tutto la penisola, dalle Alpi alla Sicilia.

 

 

Benedetto Saraceno - Intervista - YouTube

FOTO DA YOUTUBE–

 

 

 

Benedetto Saraceno ha diretto il Department of Mental Health and Substance Abuse dell’Oms con cui continua a collaborare attivamente. «I farmaci sono utili, nessuno lo nega. E naturalmente anche a Trieste e in altre realtà analoghe vengono usati. Ma tutti dovrebbero capire che il farmaco serve a correggere un sintomo acuto quando il paziente è allucinato o delirante, ma non risponde ai bisogni delle persone».

La psichiatria italiana — continua Saraceno — ha assorbito in questi quarant’anni la riforma di Basaglia, a volte entusiasticamente altre a malincuore, «ma è altrettanto innegabile che i nostri psichiatri spesso fanno fatica a capire che il modello biomedico è insufficiente rispetto alla complessità della domanda psichiatrica. Quando sento dire che la lezione di Basaglia è superata da nuove conquiste, e queste non sono altro che le scoperte farmacologiche, capisco che non si va da nessuna parte».

Nonostante le tante esperienze di cura comunitaria, in Italia continua a prevalere il modello psichiatrico più convenzionale.

«Temo che anche il concorso di Trieste, contestato dalle migliori università internazionali incluse Harvard, Cambridge e il King’s College, vada in questa direzione», dice Saraceno. «Si comincia con il sostituire le persone provviste di solida esperienza e quindi gli stili di lavoro, poi diminuiscono i centri di salute mentale, aumentano i ricoveri nelle residenze protette che replicano il modello dell’ospedale psichiatrico. È l’inizio di una restaurazione progressiva da parte del modello biomedico tradizionale. E non sorprende che possa essere favorito dalla destra politica, dal suo orientamento culturale, dall’attenzione che riserva alle esigenze della sanità privata: ora si limita a governare in alcune regioni, ma domani potrebbe essere alla guida del Paese».

 

 

 

REPUBBLICA / CULTURA– 30 GIUGNO 2021

https://www.repubblica.it/cultura/2021/06/30/news/pierfranco_trincas_ma_a_trieste_nessuno_vuole_riaprire_i_manicomi-308367226/?ref=drla-1

 

Pierfranco Trincas: “Ma a Trieste nessuno vuole riaprire i manicomi”

di Simonetta Fiori

Lo psichiatra Franco Basaglia (1924-1980)

Parla il vincitore del contestato concorso per la direzione di uno dei centri di salute mentale

«Mi hanno trattato come un aguzzino degno di Mengele», dice il dottor Pierfranco Trincas, il vincitore del contestato concorso di Trieste per la direzione di uno dei centri di salute mentale. Il candidato al primo posto per titoli ed esperienza, Mario Colucci, è stato battuto agli orali dallo psichiatra sardo, estraneo agli stili di lavoro maturati in quella città.

Più che da carnefice, è stato rilevato che lei è culturalmente distante dal modello triestino.

«Nessuno vuole riaprire manicomi o limitare la libertà dell’individuo. Dirigo una struttura che ha le porte aperte. E i nostri reparti sono accessibili anche ai famigliari del paziente, che possono trascorrere la notte accanto al loro caro».

 

Dopo un’ispezione al Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura della Santissima Trinità — da lei diretto — il garante dei diritti delle persone private di libertà ha denunciato, tra l’altro: porta di ingresso allarmata, povertà di spazi aperti, uso della contenzione e assenza di un registro.

«Io ho assunto la direzione di quel servizio nell’aprile del 2019, pochi mesi prima dell’ispezione. Posso assicurarle che abbiamo lavorato per mettere le cose a posto, sul piano della regolarità dei registri, degli spazi di verde e delle porte aperte. Nell’altro servizio da me diretto dal 2012 le porte erano già aperte. Per quel che riguarda le contenzioni, quando ho preso in carico la struttura ne erano state già fatte 19: tutte sotto la vecchia gestione. E da quando sono io il responsabile, il ricorso alle contenzioni è diminuito».

Lei lavorava nel servizio messo sotto accusa quando morì un paziente dopo sette giorni di contenzione.

«Ma io con quel caso non c’entravo nulla. E i medici incriminati sono stati tutti assolti».

 

Ma è un fatto culturale, non penale. Lei ha un’esperienza molto diversa da quella maturata a Trieste.

«Io vado là per confrontarmi, non per demolire alcunché. È una sfida che ho voluto darmi a 66 anni dopo che ho rischiato di morire per il Covid. Hanno perfino scritto che sarei al servizio di un progetto politico. Ma io di tessera ne posseggo solo una: quella della Società Italiana di Psichiatria».

 

La Sip l’ha difesa. E lo psichiatra Leonardo Tondo ha scritto sull’“Unione Sarda” che lei andrà a Trieste per aggiornare il metodo di Basaglia con le nuove frontiere della psichiatria. Quali sono?

«Le nuove ricerche farmacologiche. Ma, intendiamoci subito, i farmaci da soli non bastano. Perché occorre una terapia integrata con la psicoterapia che riabiliti il paziente. In questi quarant’anni sono cambiati i pazienti: nella maggior parte dei casi fanno uso di sostanze. E a noi spetta una doppia diagnosi».

Al concorso un candidato aveva più titoli di lei. Come spiega l’esito?

«Posso solo dire che ho risposto bene alle domande. La prima era sui budget dei centri di salute mentale. La seconda era sul rapporto dei centri con gli autori di reato: qui ho dato il massimo, essendo psichiatra forense».

Possiamo dire che è stato fortunato?

«Perché? Le domande erano uguali per tutti. Qualcuno ha obiettato che l’esame avrebbe dovuto vertere sui centri di salute mentale aperti h 24, ma non erano neppure nel bando di concorso».

È una delle specificità del modello friulano.

«Sì, anche da noi li abbiamo avuti. Poi sono stati chiusi. E comunque avrei saputo rispondere benissimo».

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1 risposta a SIMONETTA FIORI, REPUBBLICA DEL 30 GIUGNO 2021 :: 1. La battaglia che divide gli psichiatri; 2. INTERVISTA A :: Pierfranco Trincas ( vincitore del concorso a Trieste ) : “Ma a Trieste nessuno vuole riaprire i manicomi”

  1. i. scrive:

    Mah, se facessimo parlare i pazienti ?

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