GRAZIE A DONATELLA ! — Tre piani è un film del 2021 diretto da Nanni Moretti. trailer + varie recensioni

 

 

Tre piani è un film del 2021 diretto da Nanni Moretti.

Il film, adattamento cinematografico del romanzo omonimo del 2017 scritto da Eshkol Nevo, ha per protagonista un cast corale che comprende, oltre allo stesso Moretti, Margherita Buy, Riccardo Scamarcio, Alba Rohrwacher, Adriano Giannini, Elena Lietti, Alessandro Sperduti, Denise Tantucci, Anna Bonaiuto, Paolo Graziosi, Stefano Dionisi e Tommaso Ragno.

Si tratta del primo film del Moretti regista a basarsi su un’opera altrui e non su un soggetto originale

 

Interpreti e personaggi

  • Margherita Buy: Dora
  • Riccardo Scamarcio: Lucio
  • Alba Rohrwacher: Monica
  • Adriano Giannini: Giorgio
  • Elena Lietti: Sara
  • Alessandro Sperduti: Andrea
  • Denise Tantucci: Charlotte
  • Nanni Moretti: Vittorio
  • Anna Bonaiuto: Giovanna
  • Paolo Graziosi: Renato
  • Stefano Dionisi: Roberto
  • Tommaso Ragno: Luigi
  • Teco Celio: Saverio

 

TRAILER UFFICIALE, HD

 

 

 

 

Trama

 

Al primo piano di una palazzina vive una coppia di genitori, Lucio e Sara. Hanno una bambina, Francesca, che spesso affidano agli anziani vicini, Giovanna e Renato. Una sera, Renato, a cui è stata affidata Francesca, scompare con la bambina per molte ore. Quando finalmente i due vengono ritrovati, Lucio teme che a sua figlia sia accaduto qualcosa di terribile. La sua paura si trasforma in ossessione. Al secondo piano Monica, madre di due bambini e moglie di Giorgio, costantemente all’estero per lavoro, combatte una silenziosa battaglia contro la solitudine e la paura di diventare un giorno come sua madre, ricoverata in clinica per disturbi mentali. Al terzo piano abitano Dora e Vittorio, entrambi giudici, insieme al figlio di vent’anni, Andrea. Una notte il ragazzo investe e uccide una donna in stato di ebbrezza. Sconvolto, chiede ai genitori di fargli evitare il carcere. Vittorio pensa che suo figlio debba essere giudicato e condannato per quello che ha fatto. La tensione tra padre e figlio esplode, finché Vittorio costringe Dora a una scelta dolorosa: o lui o il figlio.

 

 

 

 

RECENSIONE DI PINO FARINOTTI — MY MOVIES

 

Da sempre ho definito Nanni Moretti una delle prove dell’esistenza in vita del cinema italiano. Altre “prove” nella mia personale gerarchia sono Mario Martone e Giorgio Diritti. Ammetto che nelle ultime stagioni il nostro cinema ha dato ottimi segnali internazionali, con riconoscimenti importanti. Non accadeva da tanto tempo. Tornando a Moretti, chiudevo la mia recensione sul suo penultimo film Mia madre, sul dizionario “Farinotti” in questo modo: “Moretti medita su se stesso e il suo lavoro. C’è una battuta che Giovanni dice alla sorella regista: ‘Fai qualcosa di unico, di diverso, devi rompere almeno un tuo schema, uno su duecento’. È chiaro che lo dice a se stesso. È stato detto che il personaggio di Margherita (Buy), la regista protagonista del film, sorella di Giovanni (Moretti), ne sarebbe l’alter ego. Sarebbe stato opportuno, per il regista, rinunciare a un doppione. Ne avrebbe guadagnato la leggerezza, che per fortuna arriva grazie a John Turturro con i suoi inserti durante la lavorazione del film. È il film meno felice di un grande autore. La speranza è che riesca a uscire dallo stallo e dalla ripetitività. Visto un Moretti invecchiato, in tutti i sensi.”

Tutto questo lo scrivevo con una parte di  imbarazzo. Ma… avevo visto giusto. E c’è un segnale davvero potente ad avallare: per la prima volta il nostro regista ha fatto un film da un’idea che non è la sua. Ma trattasi di ottima idea. Deriva dal romanzo di Eshkol Nevo, scrittore nato a Gerusalemme che ha girato il mondo e ha assunto tante culture. Così Moretti decide di evolvere la sua esplorazione, in tutte le chiavi: un nuovo orizzonte e un altro linguaggio registico. E Nevo gli offre un assist di qualità, policulturale, che poi il regista riduce in un contesto italiano senza perdere quelle culture e sentimenti.

Nevo nasce molto bene, presenta molti tratti del predestinato. Suo padre Baruch e sua madre Ofra sono docenti di psicologia dell’Università di Haifa, trasmettono al figlio una cultura laica, dove l’ebraismo è una mistica certo importante, da privilegiare, ma che si affianca ad altre che vanno comunque conosciute e approfondite. Nevo attento, dotato, esegue. Sulle orme famigliari completa gli studi di psicologia, e vive tra Israele e gli Stati Uniti. Coltiva così un’attitudine versatile e poliedrica. É capace di firmare un testo “politico” come “Nostalgia”, ambientato in Israele nei giorni del’assassinio dell’ex primo ministro Rabin. Ne “La simmetria dei desideri” del 2007,  affronta il tema dell’amicizia. Altro titolo esemplare può essere “Un canguro alla porta”, libro per bambini.

 

 

Tre piani - Eshkol Nevo - copertina

NERI POZZA, 2017

In Israele, nei pressi di Tel Aviv, si erge una tranquilla palazzina borghese di tre piani. Il parcheggio è ordinatissimo, le piante perfettamente potate all’ingresso e il citofono appena rinnovato. Dagli appartamenti non provengono musiche ad alto volume, né voci di alterchi. La quiete regna sovrana. Eppure, dietro quelle porte blindate, la vita non è affatto dello stesso tenore. Sorto da una brillante idea narrativa: descrivere la vita di tre famiglie sulla base delle tre diverse istanze freudiane – Es, Io, Super-io – della personalità, Tre piani si inoltra nel cuore delle relazioni umane: dal bisogno di amore al tradimento; dal sospetto alla paura di lasciarsi andare. E, come nella Simmetria dei desideri, l’opera che ha consacrato sulla scena letteraria internazionale il talento di Eshkol Nevo, dona al lettore personaggi umani e profondi, sempre pronti, nonostante i colpi inferti dalla vita, a rialzarsi per riprendere a lottare.

 

 

 

 

Ed ecco “Tre piani”, pubblicato nel 2015 e assunto da Moretti che, nell’intenzione di evoluzione del suo percorso decide di assumere un testo all’altezza. Il film narra le vicende di tre nuclei famigliari che vivono su tre piani dello stesso edificio a Tel Aviv.

É lo stesso Moretti a raccontare:

“Sono stato felice di aver trovato in quei personaggi il nucleo di quello che sarebbe stato il film. La responsabilità delle nostre scelte, il concetto di giustizia, di colpa, il ruolo di genitori. Questi temi mi hanno portato a una scelta netta: evitare ogni protagonismo soddisfatto di sé….sono i personaggi femminili che cercano di sbloccare le cose, le donne sono più aperte, hanno reazioni più sane. Quelli maschili restano più fermi, bloccati, addirittura incistati nei loro ruoli, tra rigidità, ossessioni, schematismi.”

Tutto questo trasmesso in una chiave che è più di un semplice sviluppo del suo percorso, è un’evoluzione radicale e coraggiosa. Che gli fa onore. E così Moretti “è uscito dallo stallo e dalla ripetitività”. Adesso non resta che attendere la nuova “idea”. Inutile tentare pronostici, con un artista di quella imprevedibilità e inventiva.

 

 

 

È la speranza l’ antidoto alla crudeltà

di Emiliano Morreale La Repubblica

 

Nanni Moretti, regista riconoscibile e spesso identificato con un universo preciso di temi, ha in realtà cambiato molto, nei decenni, il proprio modo di fare cinema, in un percorso quasi pendolare. Dalla struttura a sketch dei primi film a un recupero di una narrazione più strutturata con Bianca, poi la scelta di un cinema liberissimo da Caro diario e infine un ritorno al classico da La stanza del figlio in poi. Negli ultimi vent’ anni il percorso è stato quello di una sempre maggior depurazione, della concentrazione su pochi essenziali elementi, fino agli ultimi risultati, i più intensi e rigorosi: Mia madre e questo Tre piani. Che rischia di sconcertare i fan dell’ autore, per via di un’ essenzialità di stile che sembra il correlativo di una visione desolata degli uomini e della società. Pochissimi movimenti di macchina, una fotografia (di Michele D’ Attanasio) dai toni spenti, la musica di Franco Piersanti senza linee melodiche e soprattutto un lavoro sorprendente sugli attori, volti notissimi del cinema italiano abbassati di tono come se fossero fantasmi. Il film racconta una vicenda corale, in un condominio che dopo il Covid appare quasi una metafora profetica di un vuoto umano e morale. Tre momenti della vita, tante colpe piccole e grandi. Nei film di Moretti non ci sono mai stati, se si fa attenzione, i “cattivi”; neanche qui ce ne sono, ma i personaggi tutti sono visti con una crudeltà inedita, in tutte le loro miserie. Eppure il regista vuole credere nonostante tutto nei suoi personaggi, non fa film contro di loro ma insieme a loro e si sforza di non rinunciare alla pietà e alla speranza (soprattutto verso le donne e nei ragazzi: i maschi adulti, direi, sono irredimibili). Tanto che per la prima volta il suo cinema così laico sembra risuonare di accenti quasi religiosi.

da La Repubblica, 23 settembre 2021

PUBBLICATO DA MY MOVIES:

https://www.mymovies.it/film/2021/tre-piani/rassegnastampa/1671069/

 

 

 

 

IL MANIFESTO DEL 13 LUGLIO 2021

https://ilmanifesto.it/moretti-e-le-storie-di-vita-da-un-mondo-che-non-sa-piu-ascoltarsi/

 

Moretti e le storie di vita da un mondo che non sa più ascoltarsi

 

Cannes 74. Il regista romano con «Tre piani», unico film italiano in concorso, si interroga sulle relazioni umane. Per la prima volta la sceneggiatura è basata su un testo altrui, il romanzo omonimo di Eshkol Nevo

 

Nanni Moretti, Margherita Buy, Adriano Giannini, Alba Rohrwacher in «Tre piani»Nanni Moretti, Margherita Buy, Adriano Giannini, Alba Rohrwacher in «Tre piani»

 

Cristina Piccino– CANNES

EDIZIONE DEL 13.07.2021

PUBBLICATO13.7.2021, 0:15

AGGIORNATO12.7.2021, 20:27

 

Figli e genitori. Non è la prima volta che nel cinema di Moretti questo rapporto con le sue diverse – e faticose – fragilità viene messo al centro della narrazione. Non solo nell’esplicito La stanza del figlio che si sviluppava però intorno al sentimento della perdita, all’impotenza famigliare di fronte a un lutto per il quale non esiste neppure la parola con cui definirne la condizione. Genitori ai suoi occhi di giovane uomo ancora senza famiglia erano i coetanei di Caro diario (1993) – tornato in sala nell’edizione restaurata – che come molti altri film del regista romano tesseva il racconto di una generazione, la sua, colta in diversi passaggi dell’esistenza, qui appunto la genitorialità, talmente concentrata su quei figli unici da renderli insopportabili – la scena dei ragazzini che rispondono al telefono, ancora a gettoni e pubblico senza passare al malcapitato genitore la cornetta,  è esilarante.

Moretti stesso si è rappresentato a lungo come «figlio» insieme ai suoi genitori, passando dall’immagine (pure questa «generazionale») del «rifiuto» di crescere, di uscire fuori dall’evergreen dell’età giovane, alla dolorosa cesura in Mia madre (2015) – nel quale il suo alter ego era un personaggio femminile, interpretato da Margherita Buy, la cui esistenza viene messa profondamente in crisi dalla malattia incurabile della mamma.

Tre piani torna su questa relazione, prossimo a La stanza del figlio, Palma d’oro vent’anni fa, in modo quasi speculare; all’interiorità antepone il desiderio di un pensiero sul mondo che ha messo da parte la leggerezza ironica degli anni «giovani» e aspira a una dimensione universale, non più legata cioè ai coetanei o alle proprie ossessioni.

Per la prima volta Moretti ha lavorato su un testo altrui, il romanzo omonimo di Eshkol Nevo (Neri Pozza), riletto insieme a Valia Santella e Federica Pontremoli; la «fedeltà» non è però importante a cominciare dall’ambientazione, che «sostituisce» a Tel Aviv una Roma nord molto borghese di attici e terrazze dove la palazzina come unico orizzonte (metafora di Israele e della sua auto-rappresentazione) si fa per forza altro. Come accade agli stessi personaggi che «spogliati» da quei riferimenti alla realtà o alla memoria israeliane. Cosa sia è da scoprire perché queste famiglie che vivono nei diversi pianerottoli in sé non hanno molto da dire sul nostro tempo, o meglio ne incarnano il discorso comune di ripiegamento, cinismo, indifferenza, egoismo, in un’opacità soddisfatta di sé malgrado tutto.

 

CHI SONO allora questi condomini di uno stabile senza migranti, senza classe media, senza precariato – come del resto la zona romana in questione è?

Una coppia di professionisti, Lucio ( Riccardo Scamarcio) e Sara (Elena Lietti) con una bambina che spesso lasciano ai vicini più anziani, Giovanna (Anna Bonaiuto) e Renato (Paolo Grazioli). Per lei sono un po’ dei nonni, gli vuole bene, sono buffi specie lui, svagato: «Guasto» dice la ragazzina perché dimentica le cose.

Dora (Margherita Buy) e Vittorio (Moretti) è una coppia più grande, entrambi giudici hanno un figlio ventenne viziato e vittimista, Andrea (Alessandro Sperduti) che all’eccessiva rigidità dei genitori imputa il vuoto della propria vita pur continuando a approfittare di quei privilegi.

Monica (Alba Rohrwacher) ha appena avuto una bambina, il marito (Adriano Giannini) è sempre via per lavoro, lei soffre di baby-blues e di solitudine, con l’angoscia di essere come sua madre che dopo la sua nascita aveva iniziato a manifestare una psicosi – e oggi è chiusa in clinica. C’è poi quel fratello del marito (Stefano Dionisi) che lui non vuole più vedere, vecchie storie e gelosie, poi l’uomo ha fatto molti errori. E c’è la nipote adolescente della coppia anziana, Charlotte (Denise Tantucci), presenza sporadica (vive a Parigi) ma dirompente, innamorata di Lucio.

Nell’abitudine quotidiana di una gentilezza formale non sanno nulla gli uni degli altri, e non sembrano neppure essere troppo interessati a cosa capita al di là di quelle porte. Dunque?

 

TUTTO COMINCIA con un evento traumatico: Andrea nella notte perde il controllo della macchina e investe una donna finendo dentro la casa di Lucio mentre Monica è in strada con le doglie.

La donna muore, lui era ubriaco, rischia la prigione, per questo chiede aiuto ai genitori ma il padre è inflessibile: deve pagare, non lo sopporta più, per loro è stato sempre un problema, e alla moglie imporrà un aut aut: o io o lui. Ma: si può chiedere a una madre di scegliere? Le coordinate sono poste.

Il ragazzo non sembra neppure essere consapevole di quanto ha commesso, pretende di essere salvato perché sta male e la colpa appunto è dei genitori, della loro orrenda educazione. Più che di colpa si tratta di «responsabilità», quella che il giovane rifiuta di assumere, e probabilmente anche quella dei genitori verso di lui incapaci nella loro «coerenza» di coglierne i disagi e di un confronto più vero.

Poco dopo Renato si perde con la piccola Francesca, lasciata lì dal padre nuovamente nonostante avesse deciso il contrario – a causa delle stranezze dell’uomo e di un suo atteggiamento troppo affettuoso, bacetti, cavallucci in cui lui vede un sospetto di pedofilia – per non saltare la palestra. Li ritrovano in un bosco e Lucio si fissa che è successo qualcosa – forse perché si sente in colpa? La rabbia lo porta a insistere nonostante tutti neghino fino a aggredire l’anziano ricoverato in fin di vita per un ictus.

 

QUESTO BORDO tra «colpa» che prevede sempre un’ autoassoluzione, e «responsabilità» che significa invece mettersi in gioco e fare fronte a una dimensione collettiva, è quanto interessa il regista come spazio di un contemporaneo che ha dimenticato la politica. Valgono i gesti, le azioni, l’essere disposti a una «cura» che si oppone all’indifferenza.

Quale è il limite per ognuno, quale la sincerità delle proprie scelte e quale invece «la facciata»? Non sono interrogativi in cui districarsi facilmente, Moretti semina piste, procede tra inciampi che riflettono l’obbligata incertezza di fronte a questi temi, e parallelismi che rischiano di essere semplificatori – la vicenda di Lucio che fa sesso con Charlotte, lei ha sedici anni, lui avrebbe dovuto non farlo, però lei lo voleva: ancora una volta quale è il limite?

A muoversi rispetto agli uomini, ancorati al loro ruolo sono più le figure femminili, ma soprattutto i figli, che nell’arco degli anni in cui si svolge la storia mostrano ancora una «disponibilità» che i genitori (non gli adulti in genere) hanno perduto.

In questo senso, è il personaggio di Alba Rohrwacher il più arioso, nonostante il suo malessere, è lei con le sue strane visioni e la paura della follia a far circolare un soffio, a aprire un orizzonte di fuga tra quelle mura. Gli altri nonostante tutto appaiono rigidi, costretti in un impaccio che è poi quello del film, privo di certezze, a tratti a disagio persino con sé stesso. Trovare un proprio posto (un punto di vista) nel presente è doloroso.

 

 

 

IL MANIFESTO DEL 23 SETTEMBRE 2021

https://ilmanifesto.it/tre-piani-destini-al-crocevia-della-prossimita-e-della-distanza/

 

 

«Tre piani», destini al crocevia della prossimità e della distanza

In sala. Esce il nuovo film di Nanni Moretti, adattamento da un romanzo dell’israeliano Eshkol Nevo: il contesto di Tel Aviv e Giaffa trasposto in un quartiere della Roma borghese: con Margherita Buy, Riccardo Scamarcio, Alba Rohrwacher

 

 

Eugenio Renzi

EDIZIONE DEL 23.09.2021

PUBBLICATO23.9.2021, 0:09

AGGIORNATO22.9.2021, 21:52

 

Una sera come un’altra in un quartiere borghese di Roma, un giovane alla guida in stato di ebrezza investe una donna che muore in seguito all’urto. La macchina finisce poi nella vetrina dello studio di un professionista. A qualche metro dalla scena, una donna che si sta recando in ospedale per partorire assiste all’incidente. Tutte queste persone abitano curiosamente lo stesso immobile. Le loro vite avanzano in parallelo, fino a che un incidente, un clinamen imprevedibile, li fa scontrare. Detto in altri termini, il tema di Tre piani è la prossimità.

Che cos’è il vicinato? Che cos’è questo strano stato di cose per cui passiamo anni, in qualche caso decenni, della nostra esistenza insieme a dei perfetti sconosciuti? È un semplice stato fisico? Oppure qualcosa di più, come una familiarità o un destino comune. Come fare a non fidarsi di queste persone che ci abitano accanto e che improvvisamente entrano nelle nostre vite? E come fare al tempo stesso a non diffidarne, visto che in fondo non le conosciamo mai completamente?

 

CHE QUESTO TEMA venga da uno scrittore israeliano non dovrebbe stupire. Anche se nel libro Eshkol Nevo conduce la propria riflessione nel territorio benevolo di uno stabile, i tre piani funzionano come una cartina al tornasole di un vicinato mediorientale ben più problematico. Ed è una delle mancanze del film che, estirpando la storia da Tel Aviv – la città nata come estensione della vicina Jaffa, e adattandola a Roma, perde quella tela di fondo politica che il cinema israeliano ha invece spesso messo in scena – basti pensare al film di Avi Mograbi Happy Birthday.

 

Il film di Nanni Moretti sembra invece galleggiare nell’etere, astratto dal mondo e ripiegato nelle proprie faccende. Si dirà che questa è precisamente la formula che questo cineasta ha fatto propria sin dal suo primo film-manifesto: Io sono un autarchico. E che in tutti i suoi film, compresi i più grandi, non ha mai smesso di creare delle miniature del mondo nel proprio personale universo, tanto che il suo cinema potrebbe dirsi una sorta di ego-cosmo, che in tante occasioni si è dimostrato capace di proporre un punto di vista effettivo nel quale un vastissimo pubblico si è potuto riconoscere, o con il quale è sempre stato utile confrontarsi.

 

Il caso di Tre piani è più arduo. È difficile trovare una lettura chiara dei problemi morali che il film accumula. Qual’è il limite tra il diritto di proteggere l’incolumità della propria figlia e il fatto di farsi giustizia da sé, in maniera sommaria? Oppure: che può fare una donna alla quale si chiede di scegliere tra il marito e il figlio? È difficile da un lato perché sono delle scelte tragiche in sé. E dall’altro perché Moretti, seguendo una traiettoria iniziata dopo Aprile, pur recitando un ruolo nel film, non rappresenta più con il suo personaggio il punto di vista del film. Il suo magistrato integerrimo e sentenzioso è solo un personaggio tra gli altri, e tutti si trovano in un certo senso sullo stesso piano, incapaci di trovare una via d’uscita o una bussola morale alla quale affidarsi.

 

QUEL CHE RESTA è allora un carosello di situazioni e soprattutto la tonalità emotiva del dramma, alimentata dai colpi di scena: morti, separazioni e situazioni imbarazzanti. L’incursione di un momento di realtà – l’attacco di un centro di assistenza agli immigrati da parte di una folla di squadristi – sembra solo una parentesi nella vita del condominio che appare come una cittadella rinchiusa nelle proprie paure.

 

Moretti è noto per prendere sul serio i propri scherzi. Non è forse lui che, contento di una scusa per visitare un condominio in Caro Diario («sto facendo un film su un pasticciere trotzkista, un film musicale») decide poi che l’idea non è male e, nel film successivo, la mette in scena? Sempre in Caro Diario, si ricorderà Moretti irridere i film italiani del riflusso: «Siamo invecchiati, imbruttiti, gridavamo cose orrende, violentissime, e guarda come siamo diventati…», dicevano un gruppo di amici, a cui Moretti ribatteva solare: «Voi siete invecchiati… Io gridavo cose giuste e ora sono uno splendido quarantenne».

Ora, con Tre piani, in un certo senso, e certo involontariamente, sembrerebbe voler dare ragione ai primi.

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1 risposta a GRAZIE A DONATELLA ! — Tre piani è un film del 2021 diretto da Nanni Moretti. trailer + varie recensioni

  1. ueue scrive:

    Il film è sicuramente “serio”, nel senso che cerca di dire qualcosa, attraverso i suoi personaggi immersi nella contemporaneità, abbastanza piatta e priva di slanci ideali. La nota più dolorosa è il rapporto genitori-figli: entrambe le parti sembrano distanti, incomprensibili l’una all’altra. Su questa incomunicabilità prevale, verso la fine della narrazione, un senso di pietas: tutti sbagliamo, non riusciamo a capirci anche se siamo genitori e figli. Se ci apriamo alla comprensione e lasciamo da parte i giudizi, forse riusciamo a vivere più serenamente.

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