video, 2.17 –ANSA.IT / VIDEOGALLERY — 15 MARZO 2024  ::: Chi sono gli Houthi + Lorenzo Trombetta, IL GOVERNO FILO-IRANIANO IN YEMEN NON È SOLO UN BURATTINO DI TEHERAN -LIMESONLINE – 04 DICEMBRE 2023- + qualche immagine e due video

 

 

ANSA.IT / VIDEOGALLERY — 15 MARZO 2024
https://www.ansa.it/sito/videogallery/italia/2024/03/15/chi-sono-gli-houthi_cce15767-b0f1-483e-8d1e-d6d3cc5cbac6.html

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LIMESONLINE – 04 DICEMBRE 2023

https://www.limesonline.com/dossier/strillone-beirut-rassegna-mediorientale/il-governo-filo-iraniano-in-yemen-non-e-solo-un-burattino-di-teheran-14718969/

 

 

 

IL GOVERNO FILO-IRANIANO IN YEMEN NON È SOLO UN BURATTINO DI TEHERAN

 

Più che mero strumento dell’estroflessione dell’Iran, gli huthi vogliono accreditarsi come attore in grado di negoziare alla pari con tutti, sauditi ed emiratini compresi. La partecipazione al conflitto contro Israele. Gli attacchi nel Mar Rosso.

 

di Lorenzo Trombetta

 

Dettaglio di una carta di Laura Canali. La versione originale nell'articolo.Dettaglio di una carta di Laura Canali. La versione originale nell’articolo.

 

 

Il governo yemenita sostenuto dalla Repubblica Islamica dell’Iran, che da dieci anni controlla la capitale Sanaa e ampie regioni del martoriato paese arabo, è parte integrante del conflitto regionale scaturito dalla guerra a Gaza.

Attore che non può essere screditato come “forza ribelle”. Detiene il controllo di parte delle istituzioni dello Yemen, inclusa la Banca centrale, ed è guidato da un gruppo di potere costituitosi attorno al clan degli ḥūṯī (huthi) più di trent’anni fa (1992) nella regione settentrionale di Saada, al confine con l’Arabia Saudita.

 nota :   gli  Huthi sono religiosamente zayditi, una componente minoritaria dell’Islamsciita (nata verso la fine dell’VIII secolo, dopo una disputa circa l’identità del quinto Imam sciita)

Governatorato di Sa'da - Wikipedia

Governatorato di Sa’da, capitale le città di Saadah – wikipedia

 

Sia Riyad sia Teheran svolgono un ruolo di primo piano nella vicenda yemenita e soprattutto nel determinare l’atteggiamento che le forze filo-iraniane basate a Sanaa stanno assumendo rispetto al conflitto tra Ḥamās (Hamas) e Israele.

Lo Stato ebraico dista oltre duemila chilometri dallo Yemen. Ma già nel recente passato le forze huthi sostenute dall’Iran hanno dimostrato di poter colpire obiettivi molto distanti. Nel 2019 hanno usato dei droni contro la raffineria di petrolio di Abqaiq in Arabia Saudita; due anni dopo hanno colpito un centro commerciale ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti, e hanno messo a segno altri attacchi contro navi commerciali nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden.

 

 

 

Un volantino del governo yemenita filo-iraniano in cui si mostra la relativa vicinanza dello Yemen alla Palestina e, dunque, a IsraeleUn volantino del governo yemenita filo-iraniano in cui si mostra la relativa vicinanza dello Yemen alla Palestina e, dunque, a Israele

 

 

A partire dagli stravolgimenti politici avvenuti in molti altri paesi arabi nel 2011, le forze guidate dagli huthi hanno gradualmente preso il controllo di ampie aree del paese, conquistando nel 2014 la capitale Sanaa.L’anno successivo, l’Arabia Saudita ha dato vita a una coalizione anti-huthi a cui si sono uniti, tra gli altri, gli Emirati Arabi Uniti. Diverse fonti umanitarie concordano nel constatare che in questa guerra sono morte più di 350 mila persone.

 

Nell’aprile 2022 una tregua regionale sostenuta dall’Onu aveva avviato una fragile tregua nel paese, diviso ormai da tempo in quattro macroaree:

–nel Nord e nel Centro le forze filo-iraniane,

–nel Centro e nel Sud-Ovest quelle filo-saudite,

–nel porto meridionale di Aden quelle filo-emiratine,

–nell’Hadramawt e nell’Est una congerie di forze affiliate all’ala yemenita di al-Qāʿida, la più influente delle quali vicina all’Iran.

 

 

Dalla metà del 2022 gli attacchi aerei delle forze di Sanaa si sono di fatto interrotti così come non ci sono stati significativi raid delle forze aeree saudite. Un anno dopo, nella primavera scorsa, il disgelo politico e diplomatico tra Iran e Arabia Saudita mediato dalla Cina ha accelerato il dialogo tra le parti yemenite e ha prolungato il cessate-il-fuoco, di fatto ancora in vigore.

 

Il leader del movimento yemenita Ansar Allah, Sayyed Abdul-Malik al-Houthi

foto da :  https://english.almayadeen.net/news/politics/al-houthi:-us-plans-were-paving-way-for-controlling-occupyin

 

 

In questo contesto di relativa calma dopo anni di tempesta, il 10 ottobre scorso il leader delle forze yemenite, Abd al-Malek Ḥūthīannunciava di fatto l’entrata del suo governo nel conflitto contro Israele a fianco di Hamas e del cosiddetto asse della resistenza guidato dall’Iran.

 

Da metà ottobre a oggi sono più di dieci gli attacchi degli huthi contro obiettivi israeliani o statunitensi nel Mar Rosso e nel Golfo di Aqaba. Queste azioni vanno lette alla luce delle altre operazioni condotte contro Israele e basi Usa in Siria, Iraq e Libano dalle diverse forze filo-iraniane schierate nei vari teatri.

 

L’ultimo attacco yemenita risale al 3 dicembre. Secondo il racconto del Comando centrale Usa, tre droni di Sanaa, lanciati contro quattro navi mercantili in transito nel Mar Rosso, sono stati abbattuti dal cacciatorpediniere americano USS Carney nei pressi dello Stretto di Bāb al-Mandab ( vedi cartina di LIMES all’inizio ), che separa quel tratto di mare dall’Oceano Indiano.

 

Il primo attacco risale invece al 19 ottobre, quando lo stesso USS Carney aveva intercettato tre missili sparati dalle coste dello Yemen. Altri attacchi si sono registrati il 20, il 29 (un drone caduto su Taba, in Egitto, ferendo cinque persone) e il 31 ottobre; e poi il 4, il 9 e il 15 novembre.

 

Il 19 novembre si è verificata l’azione più clamorosa, ripresa dai media governativi di Sanaa: l’assalto e il sequestro di una nave cargo a largo delle coste del Mar Rosso. L’imbarcazione non è israeliana come inizialmente detto dalle forze yemenite ma è di proprietà di un armatore israeliano

 

 

Le forze del governo yemenita filo-iraniane sequestrano una nave cargo nel Mar RossoLe forze del governo yemenita filo-iraniane sequestrano una nave cargo nel Mar Rosso

 

 

Nessun israeliano era a bordo ma per gli huthi si è trattato di un successo mediatico rilevante. Anche perché dalla prospettiva delle forze yemenite vicine all’Iran gli Stati Uniti hanno assunto un atteggiamento sempre più aggressivo e invasivo nella regione. È esemplare l’ingresso della portaerei USS Eisenhower nelle acque del Golfo superando lo stretto di Hormuz del 26 marzo scorso.

 

 

Il fronte yemenita della guerra assomiglia molto a quello iracheno e a quello siriano orientale. Si tratta di teatri che non hanno confini territoriali con lo Stato ebraico ma che sono assai prossimi a obiettivi statunitensi.

 

 

A differenza delle forze filo-iraniane dispiegate in Siria e in Iraq, dallo Yemen per ora hanno sparato – o tentato di sparare – direttamente su Israele. E questo anche in virtù delle regole di ingaggio diverse che gli huthi hanno adottato negli anni contro i rivali sauditi ed emiratini.

 

Nella gerarchia di equilibri interni all’asse della resistenza, gli yemeniti rappresentano l’unico avamposto filo-iraniano sul Mar Rosso, e questo offre loro un vantaggio strategico di non poco conto.

 

Tuttavia, essi non dispongono della vicinanza ideologica e politica che può vantare Hizbullāh (Hezbollah) – il principale alleato arabo-mediterraneo della Repubblica Islamica.

 

Anzi, i combattenti del Partito di Dio libanesi sono presenti, assieme ai pasdaran, nelle stanze dei bottoni di Sanaa per sostenere e guidare la macchina da guerra e mediatica degli huthi.

 

La loro azione però non mira solo a soddisfare le esigenze dell’Iran su scala regionale e quelle di Hezbollah contro Israele. Per il governo dei “ribelli” yemeniti è vitale mantenersi come attore in grado di negoziare alla pari con sauditi ed emiratini. La loro azione nel conflitto mediorientale del 7 ottobre serve per accreditarsi con Teheran e per mostrarsi forti con Riyad, con la quale il negoziato continua anche in queste settimane.

 

Finora l’Arabia Saudita ha tenuto un profilo estremamente basso nella guerra di Gaza. E anche nei riguardi delle azioni del governo di Sanaa non ci sono state esplicite prese di posizione. A conferma del fatto che è interesse strategico dei sauditi mantenere la tregua in Yemen e, con essa, gli equilibri di potere scaturiti dalle trattative avviate nell’aprile del 2022 e rafforzate dalle intese della scorsa primavera.

 

In questo quadro è probabile che l’atteggiamento degli huthi continuerà a essere influenzato dalle decisioni politiche attorno a Gaza, tra una tregua e un’eventuale ripresa del conflitto.

 

In un contesto di sospensione delle attività belliche regionali, le forze yemenite filo-iraniane si limiteranno a operazioni di routine, come lanciare droni contro obiettivi militari statunitensi nel Mar Rosso. In un contesto di inasprimento della tensione in tutta la regione, torneranno forse con maggiore efficacia a puntare missili a lunga gittata contro Eilat e altri obiettivi israeliani.

 

File:Eilat Israele Map.png

EILAT, PORTO ISRAELIANO SUL GOLFO DI AQABA
https://en.wikipedia.org/wiki/File:Eilat_Israel_Map.png

 

 

 

EILAT – ESTREMO SUD DI ISRAELE SUL GOLFO DI AQABA–
AQABA, PORTO IN GIORDANIA CHE DA’ NOME AL GOLFO

 

 

 

video, 2 minuti — AQABA VISTA DAL DRONE

 

 

CONTINUA L’ARTICOLO DI LIMES  :

 

In ogni caso, le scelte degli huthi non saranno necessariamente speculari a quelle di Hamas, Hezbollah e Iran. La loro agenda converge, per molti aspetti, con quelle delle altre entità dell’asse della resistenza, ma diverge per quanto riguarda gli spazi geografici più prossimi alle aree yemenite sotto il loro diretto controllo: il Mar Rosso vicino al porto di al-Ḥudayda, lo stretto di Bāb al-Mandab, i confini settentrionali con l’Arabia Saudita.

 

In questo senso una delle variabili più rilevanti è quella relativa all’atteggiamento che Riyad adotterà contro le forze di Sanaa qualora il contesto regionale dovesse surriscaldarsi ulteriormente.

 

Ci si chiede se l’Arabia Saudita potrà rimanere così apparentemente in disparte se gli huthi, presenti nel cortile di casa della Penisola Arabica, dovessero innalzare in maniera esponenziale il livello del loro coinvolgimento.

 

 

Carta di Laura Canali - 2023Carta di Laura Canali – 2023

AQABA — 4K — 2.40 minuti — Fa vedere l’antico Forte mamelucco di Aqaba, oggi Museo-

segue da : CAIRO TOURS- FORTEZZA DI AQABA
https://www.cairotoptours.com/it/Giordania-Guida-di-Viaggio/Jordan-Attrazioni/Aqaba-Fortezza

Il castello ha una forma quadrilatera, e su ogni angolo, c’era una torre di pietra, e queste torri ora sono state distrutte. 1501-1516), fu scritta la frase: “Ha ordinato la costruzione di questo castello benedetto e felice, il nostro Maestro il Sultano, il Re Ashraf Abu Al-Nasr Qansuh Al-Ghouri, il Sultano dell’Islam e dei musulmani”, e “Il nostro Maestro, il Sultano Al-Ashraf Re Murad bin Salim Khan, possa la sua vittoria, rinnovare questo castello”.

Uno dei punti salienti del castello è l’albero di Aqaba. Fu costruito nel 2004 nella piazza adiacente al castello per portare la bandiera della Grande Rivolta Araba. A quel tempo, l’albero era il più alto del mondo.

Il castello fu originariamente costruito come un castello crociato, e fu in gran parte ricostruito dai Mamelucchi nel XIV secolo, in particolare nel 1587 d.C. durante il regno dell’ultimo sultano mamelucco, e cambiò diverse volte in seguito. All’inizio del XVI secolo, Aqaba cadde sotto il controllo del dominio ottomano. La città decadde e rimase un piccolo e insignificante villaggio di pescatori per circa 400 anni. Durante la prima guerra mondiale nel 1917, le forze ottomane si ritirarono dalla città dopo che l’esercito arabo di Sharif Hussein bin Ali, leader della Grande Rivolta Araba con l’aiuto di Lawrence d’Arabia, le attaccò. Divenne una delle principali roccaforti della rivolta contro i turchi. La fortezza fu sotto l’autorità egiziana fino all’anno 1892 quando fu consegnata all’Impero Ottomano fino a quando iniziò la Grande Rivolta Araba e le tribù giordane la presero come sede e punto di partenza per liberare il Levante dal dominio ottomano che durò 400 anni.

 se vuoi, apri qui

 

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EUGENE SUE ( Parigi, 26 gennaio 1804 – Annecy-le-Vieux, 3 agosto 1857 ), L’BREO ERRANTE ( 1844-45 ), uno dei suoi romanzi d’appendice più noti insieme a ” I Misteri di Parigi ” ( 1842-43 )

 

 

L' ebreo errante - Eugène Sue - copertina

 

 

L’ ebreo errante

Rusconi Libri, 2022

Con «L’ebreo errante» Sue denuncia i misfatti del sistema sociale: vede il trionfo dell’ingiustizia con la compagnia di Gesù che ha la meglio sui membri della famiglia che vuole depredare. La critica sociale attraversa tutta la storia e, proprio nelle conclusioni, l’autore si difende dalle critiche ricevute e riassume le sue denunce: l’insufficienza dei salari, le cauzioni troppo alte, la condizione delle donne lavoratrici, la facilità con cui le persone vengono rinchiuse in manicomio. Propone anche soluzioni, come la creazione delle case comuni degli operai. L’opera ha anche un tocco mistico con i personaggi di Erodiade e dell’ebreo errante, costretti a vagare sulla terra da diciotto secoli e che saranno perdonati dal Signore, mediante una sorta di contrappasso, solo con il sacrificio degli ultimi membri della stirpe dell’ebreo errante.

 

 

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L’ebreo errante (titolo originale in franceseLe Juif errant) è un romanzo di Eugène Sue pubblicato a puntate su Le Constitutionnel dal 25 giugno 1844 al 26 agosto 1845 e in volumi dall’editore Paulin dal 1844 al 1845.

 

Paul Gavarni – Internet Archive

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Trama

 

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Jacques Rennepont (inc. Paul Gavarni, Paris: Gustave Havard, 1851)

Garvarni – Eugène Sue, Le Juif Errant. Paris: Gustave Havard, 1851

 

 

cartina Alto Adige

 

 

La vicenda si svolge nel 1832. La storia inizia lungo le coste deserte della Siberia e dell’Alaska, separate dallo stretto di Bering nel Mar Glaciale Artico. Impronte maschili con sette chiodi sporgenti a formare una croce spiccano sulla neve del lato asiatico, a cui corrispondono sul lato americano analoghe impronte femminili; sono quelle dell’ebreo errante e di sua sorella Erodiade, gli angeli custodi dei protagonisti positivi del romanzo, ossia dei discendenti del marchese Marius Rennepont vissuto nel XVII secolo.

 

Nel marzo del 1685 Luigi XIV revocò l’editto di Nantes, la disposizione emanata da Enrico IV nel 1598 con la quale si garantiva la tolleranza religiosa agli ugonotti; con il nuovo editto Luigi XIV proibì la pratica di qualsiasi culto che non fosse quello cattolico ed espulse tutti gli ebrei dal regno. Il marchese Marius Rennepont abiurò pertanto la fede calvinista; ma, a quanto pare, la sua conversione non fu del tutto sincera. I gesuiti lo denunciarono e si impossessarono dei suoi beni. Il marchese Rennepont riuscì però a fuggire e a conservare un capitale di 150.000 franchi, la cui amministrazione era stata affidata nel 1682 a una famiglia di finanzieri ebrea.

 

Il 13 febbraio 1682 il marchese Rennepont redasse un testamento con cui si disponeva che 150 anni dopo, ossia il 13 febbraio 1832, i discendenti della famiglia Rennepont dovessero convenire al numero 3 di Rue St. François a Parigi, prima di mezzogiorno, per dividere l’eredità. Per mantenere memoria dell’evento, ogni erede porta una medaglia su cui sono incisi, per mezzo dei sette chiodi posti nella suola delle scarpe dell’Ebreo errante, le parole: «13 février 1832, rue Saint-François, n° 3». Con il passare del tempo il capitale iniziale di 150.000 franchi, amministrato dalla stessa famiglia di padre in figlio, si è trasformato con gli interessi nell’enorme somma di 250 milioni di franchi del 1832.

 

Gli eredi Rennepont sono sette e fanno ormai parte di gruppi sociali molto differenti. Sono Rennepont per discendenza materna: Rose e Blanche Rennepont, due gemelle, orfane del generale napoleonico Simon, le quali vivono in Siberia assistite da Dagobert, un ex soldato fedele alla memoria del generale; Djalma, principe indiano; François Hardy, industriale fourierista. Sono Rennepont per discendenza paterna: Gabriel Rennepont, gesuita missionario sulle Montagne rocciose, in America; Jacques Rennepont, operaio a Parigi, Adrienne de Cardoville, ricca e bella figlia del defunto conte Rennepont.

 

I gesuiti cercano di impedire l’arrivo tempestivo degli eredi in modo che tutta l’eredità vada al loro confratello Gabriel, uomo peraltro di angelica bontà, il quale quando è diventato gesuita ha devoluto all’ordine tutti i suoi beni, anche quelli futuri.

Il cattivo gesuita padre Rodin fa in modo che tutti gli eredi Rennepont muoiano: Adrienne e Djalma, innamorati, si uccidono; Jacques muore alcolizzato; François Hardy muore per il dispiacere di aver visto la sua fabbrica distrutta da un incendio; le due gemelle muoiono di colera  contratto per essersi dedicate ad assistere caritatevolmente gli ammalati. Rimane solo padre Gabriel; ma costui, conosciuta la malvagità di Rodin, ordina che la preziosa cassetta sia bruciata. Muore lo stesso Rodin avvelenato da un aderente alla setta indiana degli Strangolatori.

Dominano il romanzo i due personaggi fantastici dell’ebreo errante e della sorella, simboli il primo degli oppressi e della classe operaia lavoratrice condannata a una fatica gravosa senza compenso, mentre la seconda è simbolo della donna oppressa e conculcata nei suoi diritti. Sue si servì di questa storia per combattere i gesuiti e farsi interprete della lotta di classe

 

 

NEL LINK, SEMPRE VOLENDO, TROVATE TUTTI I CAPITOLI IN FRANCESE ( se non avete la traduz. automatica )- Ho pubblicato solo l’ultimo capitolo e la dedica 
https://fr.wikisource.org/wiki/Le_Juif_errant_(Eug%C3%A8ne_Sue)/%C3%89pilogue/22

 

 

ultimo capitolo:

XXII

Conclusione.

Il nostro compito è compiuto, il nostro lavoro completato.

Sappiamo quanto quest’opera sia incompleta e imperfetta; sappiamo tutto ciò che gli manca, sia in termini di stile, sia di concezione, sia di favola.

Ma crediamo di avere il diritto di dire questo lavoro in modo onesto, coscienzioso e sincero.

Nel corso della sua pubblicazione molti attacchi odiosi, ingiusti, implacabili lo perseguitarono; molti critici severi, aspri, a volte appassionati, ma leali lo hanno accolto favorevolmente.

Gli attacchi violenti, odiosi, ingiusti, implacabili ci hanno intrattenuto proprio per questo, lo ammettiamo con tutta umiltà, per il fatto stesso che sono stati formulati in ordini contro di noi, dall’alto di certi pulpiti episcopali. Queste piacevoli furie, questi buffoni anatematici che ci prendono in giro da più di un anno, sono troppo divertenti per essere odiosi; è semplicemente un’alta, bella e buona commedia di costumi clericali.

Abbiamo apprezzato, molto apprezzato questa commedia; l’abbiamo assaggiato, assaporato; Non ci resta che esprimere la nostra sincera gratitudine a coloro che, come il divino Molière, ne sono gli autori e gli attori.

Quanto alle critiche, per quanto aspre e violente possano essere state, le accettiamo tanto meglio in tutto ciò che riguarda la parte letteraria del nostro libro, poiché spesso abbiamo cercato di sfruttare il consiglio che magari ci è stato dato un po’ duro. La nostra modesta deferenza all’opinione di menti più giudiziose, più mature, più corrette che comprensive e benevoli, temiamo, abbia un po’ sconcertato, infastidito, turbato queste stesse menti; siamo doppiamente dispiaciuti, perché abbiamo beneficiato delle loro critiche, ed è sempre involontariamente che dispiacciamo coloro che ci obbligano… anche sperando di deluderci.

Qualche parola in più su attacchi di altro tipo, ma più gravi.

Ci accusavano di aver fatto appello alle passioni, additando alla pubblica animosità tutti i membri della Compagnia di Gesù.

Ecco la mia risposta:

Ciò è ormai fuori dubbio, è incontestabile, lo dimostrano i testi sottoposti ai controlli più contraddittori, da Pascal ai giorni nostri; è dimostrato, diciamo, da questi testi, che le opere teologiche dei membri più accreditati della compagnia di Gesù contengono la scusa o la giustificazione

Di furto, — di adulterio, — di stupro, — di omicidio.

È anche provato che opere immonde e ripugnanti, firmate dai reverendi padri della Compagnia di Gesù, furono più di una volta messe nelle mani di giovani seminaristi.

Quest’ultimo dato accertato, dimostrato dall’esame scrupoloso dei testi, essendo stato peraltro solennemente consacrato non molto tempo fa, grazie al discorso pieno di elevazione, alta ragione, seria e generosa eloquenza, pronunciato dall‘avvocato generale Dupaty, durante il processo del dotto e onorevole signor Busch, di Strasburgo, come abbiamo proceduto?

Abbiamo supposto membri della compagnia di Gesù, ispirati ai principi detestabili dei loro teologi classici , e che agiscono secondo lo spirito e la lettera di questi libri abominevoli, del loro catechismo, del loro rudimento; abbiamo finalmente messo in atto, in movimento, in rilievo, in carne e ossa queste dottrine detestabili; Niente di più, niente di meno.

Abbiamo forse affermato che tutti i membri della Compagnia di Gesù avessero l’oscuro talento, l’audacia o la scelleratezza di usare queste armi pericolose, che contiene l’oscuro arsenale del loro ordine? Affatto. Ciò che abbiamo attaccato è lo spirito abominevole delle Costituzioni della Compagnia di Gesù, questi sono i libri dei suoi teologi classici.

Dobbiamo infine aggiungere che, poiché papi, re, nazioni e, più recentemente, la Francia, hanno condannato le orribili dottrine di questa compagnia espellendone i membri o sciogliendo la loro congregazione, non abbiamo, per ben dirlo, quello presentato, sotto nuova forma, idee, convinzioni, fatti da tempo consolidati dalla pubblica notorietà.

Detto questo andiamo avanti.

Siamo stati accusati di fomentare il risentimento dei poveri contro i ricchi, per infiammare l’invidia che la vista degli splendori della ricchezza suscita nella sventura.

A questo risponderemo che abbiamo, al contrario, tentato, nella creazione di Adrienne de Cardoville, di personificare per nome e fortuna quella parte dell’aristocrazia che, tanto per un impulso nobile e generoso quanto per l’intelligenza del passato e con la lungimiranza del futuro, tende o dovrebbe tendere una mano benefica e fraterna a tutto ciò che soffre, a tutto ciò che mantiene integro nella miseria, a tutto ciò che è dignitoso nel lavoro. In una parola, è seminare la divisione tra ricchi e poveri mostrare Adrienne de Cardoville, la bella e ricca patrizia, che chiama Mayeux sua sorella e la tratta come una sorella; lei, povera operaia, miserabile e inferma?

Mostrare al signor François Hardy che getta le prime fondamenta di una casa comune irrita l’operaio contro chi lo impiega?

No, al contrario, abbiamo tentato un’opera di riavvicinamento, di conciliazione, tra le due classi poste ai due estremi della scala sociale, perché, da quasi tre anni, scriviamo queste parole: se i ricchi sapessero!

Abbiamo detto, e lo ripetiamo, che c’è di terribili ed innumerevoli miserie, che le masse, sempre più illuminate sui loro diritti, ma ancora tranquille, pazienti, rassegnate, esigano che coloro che governano si occupino finalmente del miglioramento della loro deplorevole situazione, aggravata ogni giorno dall’anarchia e dalla spietata concorrenza che regna nel settore.

Sì, abbiamo detto e ripetiamo che l’uomo laborioso e onesto ha diritto ad un lavoro che gli dia un salario sufficiente.

Riassumiamo infine in poche righe le questioni da noi sollevate in questo lavoro.

Abbiamo cercato di dimostrare la crudele inadeguatezza dei salari delle donne e le orribili conseguenze di questa inadeguatezza.

Abbiamo chiesto nuove garanzie contro la facilità con cui chiunque può essere rinchiuso in un manicomio.

Abbiamo chiesto che l’artigiano possa godere del beneficio previsto dalla legge in materia di libertà su cauzione , una cauzione elevata a una cifra tale (cinquecento franchi) che gli è impossibile conseguirla, libertà di cui tuttavia ha bisogno più di chiunque altro, poiché spesso la sua famiglia vive della sua industria, che lui non può esercitare in carcere. Abbiamo quindi proposto la cifra da sessanta a ottanta franchi , che rappresenta la media di un mese di lavoro.

Infine, cercando di rendere pratica l’organizzazione di una casa comune dei lavoratori, abbiamo dimostrato, speriamo, quali immensi vantaggi, anche con l’attuale tasso dei salari, per quanto insufficiente possa essere, le classi lavoratrici troverebbero nel principio di associazione e vita comune, se facilitassimo i mezzi per praticarle.

E affinché ciò non sia considerato un’utopia, abbiamo stabilito in cifre che gli speculatori potrebbero sia compiere un’azione umana, generosa, vantaggiosa per tutti, sia ritirare il 5% del loro denaro, contribuendo alla fondazione delle case comuni.

Speculazione umana e generosa che abbiamo segnalato anche all’attenzione del consiglio comunale, sempre così pieno di preoccupazione per la popolazione parigina. La città di Parigi è ricca, non potrebbe investire fruttuosamente dei capitali istituendo, in ogni quartiere della capitale, una casa comune modello: innanzitutto la speranza di esservi ammessi, per un prezzo modesto, susciterebbe una lodevole emulazione tra le classi lavoratrici; poi avrebbero attinto a questi esempi dei primi e fruttuosi rudimenti associativi.

Ora, un’ultima parola per ringraziare dal profondo del nostro cuore gli amici conosciuti e sconosciuti la cui benevolenza, incoraggiamento, simpatia, ci hanno costantemente seguito e ci sono stati di così potente aiuto in questo lungo compito…

Ancora una parola di rispettosa e inalterabile gratitudine per i nostri amici del Belgio e della Svizzera che si sono degnati di darci pubblica prova della loro simpatia, di cui saremo sempre orgogliosi, e che sarà stata una delle nostre più dolci ricompense.

 

 

 

EPILOGO

Al signor C*** P***.
Amico mio, ti ho dedicato questo libro; Dedicartelo significava impegnarsi a compiere un’opera che, se gli mancava il talento, era almeno coscienziosa, sincera, e la cui influenza, sebbene limitata, poteva essere salutare. Il mio obiettivo è raggiunto; alcuni cuori d’élite come il tuo, amico mio, hanno messo in pratica la legittima associazione di lavoro, capitale e intelligenza, e hanno già concesso ai loro lavoratori una quota proporzionale dei profitti; altri hanno gettato le prime fondamenta di case comuni, e uno dei più grandi industriali di Amburgo ha avuto la gentilezza di venire a raccontarmi i suoi progetti per unaun’istituzione di questo tipo intrapresa su proporzioni gigantesche.

Quanto alla dispersione dei membri della compagnia di Gesù, la provocai io come tanti altri nemici delle detestabili dottrine di Loyola, e la voce di costoro ebbe molto più fulgore, sonora ed autorità della mia.

Addio, amico mio, avrei voluto quest’opera degna di te; ma tu sei indulgente, e terrai conto, almeno, delle intenzioni che lo hanno dettato.

A te, amico mio.
EUGENIO SUE.
Parigi. 25 agosto 1845.

 

 

L’AUTORE : EUGENE SUE

 

Eugène Sue | Mystery Novels, Gothic Fiction & Social ...

Eugène Sue (Parigi26 gennaio 1804 – Annecy-le-Vieux3 agosto 1857) è stato uno scrittore francese, noto soprattutto per i suoi romanzi d’appendice a carattere sociale: I misteri di Parigi (18421843) e L’ebreo errante (18441845).

 

SEGUE :

https://it.wikipedia.org/wiki/Eug%C3%A8ne_Sue

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Giona nella Bibbia di Pamplona, Navarra, 1197 // Jonah Pamplona Bible, Navarre 1197 / (Amiens, Bibliothèque municipale, ms. 108, fol. 146r) + Giona nella bocca della balena, Epistolarium Amiens, manoscritto 1475-1505

 

 

 

 

 

 

 

DETTAGLIO

 

 

 

DA : 

 

Epistolarium (Amiens) [Épistolier à l’usage d’Amiens ; les Ms-661 et 662 sont appariés].

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video, 34 min. «Stiamo perdendo la guerra» | Federico Petroni (Limes) | UTOPIA

 

[OSPITE] – Federico Petroni

[INTERVISTATORE] – Giacomo Pucillo

[MONTAGGIO] – Simone Dinoi

 

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Un bel ricordo — una bimba bellissima, parrucchiere ESTHER e la figlia SILVIA – e il mio carissimo DIDI’ —

 

 

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ELISA BUSON, Crolla il mito dei maschi fisicamente più grandi delle femmine. Lo sfata un vasto studio su oltre 400 specie di mammiferi –ANSA.IT  15 MARZO 2024- 8.11

 

 

ANSA.IT  15 MARZO 2024- 8.11

https://www.ansa.it/canale_scienza/notizie/ragazzi/news/2024/03/15/crolla-il-mito-dei-maschi-fisicamente-piu-grandi-delle-femmine-_2803611e-53a7-4b29-bd77-fffafdab7623.html

 

 

Crolla il mito dei maschi fisicamente più grandi delle femmine.

 

Lo sfata un vasto studio su oltre 400 specie di mammiferi

di Elisa Buson

 Ritratto di una coppia di babbuini africani (fonte: Neurobite, iStock) –

 

 

Contrariamente allo stereotipo secondo cui i maschi sarebbero più grandi delle femmine, sostenuto a lungo anche da buona parte della letteratura scientifica, una ricerca condotta su 429 specie di mammiferi dimostra che in molti casi i maschi hanno le stesse dimensioni delle femmine e talvolta sono persino più piccoli.

I risultati sono pubblicati su Nature Communications dai ricercatori della Princeton University negli Stati Uniti.

La stazza di maschi e femmine può variare nelle diverse specie di mammiferi in relazione alla competizione per l’accoppiamento e all’investimento che viene fatto sulla prole. Accade per esempio nei leoni e nei babbuini, dove i maschi (più grandi delle femmine) si sfidano fisicamente per aggiudicarsi una compagna, così come nei conigli, dove le femmine (che sono più grandi dei maschi) generano più cucciolate per ogni stagione degli accoppiamenti.

In passato diverse ricerche hanno dimostrato che maschi e femmine della stessa taglia sono più comuni di quanto si pensi, eppure si è comunque diffuso lo stereotipo secondo cui i maschi sarebbero più grandi delle femmine nella maggior parte dei mammiferi.

Per dimostrare definitivamente l’infondatezza di questa convinzione, i ricercatori guidati da Kaia Tombak hanno messo a confronto la massa corporea di maschi e femmine di 429 specie di mammiferi che vivono in libertà. I dati raccolti indicano che nella maggior parte dei casi i maschi non sono più grandi delle femmine e che in molte specie hanno dimensioni simili: questo vale ad esempio per i cavalli, le zebre, i lemuri e le talpe dorate. Differenze significative tra maschi e femmine sono presenti in un numero ridotto di specie, come l’elefante marino settentrionale (i maschi sono tre volte più grandi delle femmine) e il pipistrello dal naso a tubo (con le femmine grandi 1,4 volte i maschi).

Secondo gli autori dello studio, i pregiudizi che resistono nella letteratura scientifica da oltre un secolo derivano dal fatto che per anni l’interesse si è focalizzato su alcune specie più importanti e iconiche, in cui i maschi sono più grandi delle femmine, e sulla competizione maschile per l’accoppiamento, come nei primati e nelle foche. In proporzione, però, sono più numerose le specie di roditori e pipistrelli che solitamente hanno dimensioni simili tra maschi e femmine.

 

 

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DEMI ROUSSOS, ELENI –TESTO E TRADUZIONE + la stessa cantata dal duo pop olandese Tol&Tol

 

 

 

 

Eleni
To xlomo to prosopaki sou
stis fotografies mas koito
toso kourastikes na fugeis viastikas
ta thlimenna ta matakia sou
san duo sunnefa ston ourano
pou na pigainoune, pou taksideuoune
Eleni, ekei pou pas koita na eisa eutuxismeni,
s´auti ti gi i moira sou itan grammeni
s´aspro xarti me ena kitrino stilo
san dakru apo lemoni
Thumamai posa apogeumata
kathosouna dixos vgaleis tsimoudia
mono me koitazes kai xamogelages
sou stelno auto to tragoudaki mou
gia na sou krataei suntrafia
kai na min ksexnas na mou xamogelas
Eleni, ekei pou pas …
Compositori: Karvelas Nikos Nikolaos
Il tuo visetto pallido
guardo nelle nostre fotografie,
quanto eri esausta, tanto in fretta te ne sei andata .
I tuoi occhietti tristi
come due nuvole nel cielo,
chissa’ dove vanno, dove viaggiano ?
 
Elena, dovunque vai cerca di essere felice,
su questa terra il tuo destino e’ stato scritto
su un foglio bianco con una penna dall’inchiostro giallo come
la lacrima di un limone.
 
Ricordo tutti quei pomeriggi
in cui stavi seduta senza dir parola,
solamente mi guardavi e sorridevi.
Ti mando questa mia canzoncina
perche’ ti tenga compagnia
e affinche’ tu non dimentichi di sorridermi
 Da 

canzone :: Eleni, cantata da Tol&Tol

 

 

Tol & Tol è un ex duo pop olandese , composto dai fratelli Volendam Cees e Thomas Tol . All’inizio del 1990 erano al primo posto per due settimane nella National Hit Parade con la canzone Eleni . È diventato anche un successo all’estero.

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Sayed Haider Raza / SH RAZA ( Kakkaiya -distretto di Mandla- , 22 febbraio 2022 // Nuova Delhi, 23 luglio 2016 ), è stato un pittore indiano vissuto in Francia per oltre 50 anni — Da una mostra al Centro Pompidou, Parigi, 15 febbraio/ 15 maggio 2023

 

 

 

 

Sayed Haider Raza  (22 febbraio 1922 – 23 luglio 2016) è stato un pittore indiano che ha vissuto e lavorato in Francia per la maggior parte della sua carriera. Nato il 22 febbraio 1922 a Kakkaiya (distretto di Mandla), province centrali, India britannica (l’attuale Madhya Pradesh ), Raza si trasferì in Francia nel 1950, sposando l’artista francese Janine Mongillat nel 1959. Dopo la sua morte per cancro nel nel 2002, Raza ritornò in India nel 2010, a Delhi,  dove visse fino alla sua morte, avvenuta il 28 luglio 2016 a 94 anni. Il suo ultimo desiderio di essere sepolto nella sua città natale, Mandla, accanto alla tomba di suo padre è stato esaudito. Fu sepolto nel Kabristan della città di Mandla.

Per la promozione dell’arte tra i giovani indiani, ha fondato la Fondazione Raza in India che assegna il premio annuale della Fondazione Raza ai giovani artisti indiani. La Fondazione Raza in Francia, con sede nel villaggio degli artisti di Gorbio, gestisce la tenuta di Sayed Haider Raza

 

“Il mio lavoro è la mia esperienza interiore e il coinvolgimento con i misteri della natura e della forma che si esprime nel colore, nella linea, nello spazio e nella luce”.
– SH Raza

 

DA :  https://en.wikipedia.org/wiki/S._H._Raza

 

 

 

 

segue da:

 

VIAGGIA CON NOI

THE FRENCH CONNECTION: SH RAZA AL CENTRE POMPIDOU DI PARIGI

Gruppo editoriale

01 marzo 2023

https://dagworld.com/the-french-connection-s-h-raza-at-paris-centre-pompidou.html

 

SH  RAZA  1960
del Centre Pompidou, foto di André  Morain

“SH Raza ha avuto molti compagni di viaggio nel mondo dell’arte moderna indiana, come Akbar Padamsee e FN Souza, che hanno trascorso entrambi lunghi anni all’estero, in Europa e in America.”

– Catherine David e Diane Toubert, curatrici di ‘Sayed Haider Raza’ al Centre Pompidou

 

A febbraio, il Centre Pompidou di Parigi, un importante centro per l’arte moderna sin dalla sua costruzione nel 1977, ha allestito un’ampia mostra personale ripercorrendo la carriera pittorica di SH Raza. Rappresenta un momento storico per la storia internazionale dell’arte moderna indiana così come si è svolta nel corso del XX secolo, e ha segnato anche il ritorno simbolico di Raza al luogo in cui rimase per gran parte della sua vita lavorativa. Il fertile periodo post-indipendente ha visto le connessioni interculturali forgiate da artisti indiani in Europa e in America secondo i loro termini e questa mostra è una testimonianza degli incontri in evoluzione di Raza con la terra e la mitologia. Le curatrici, Catherine David e Diane Toubert, hanno parlato con DAG evidenziando alcuni dei punti salienti di questa importante retrospettiva.

 

 

SH RAZA

Maa 1981
olio su tela
Adagpa, Parigi 2022- Fonazione Raza

 

 

Come molti artisti indiani della sua generazione come Akbar Padamsee, Krishna Reddy, Jean Bhownagary, Ram Kumar, SH Raza ha avuto un’esperienza parigina. Ma a differenza di loro, si stabilì a Parigi per sessant’anni (1950-2010), lavorando e vivendo in Francia e visitando regolarmente l’India dal 1959 in poi.

In questo senso la sua esperienza incontra il percorso di FN Souza, che vive temporaneamente a Londra prima di trasferirsi a New York come Natvar Bhavsar o Mohan Samant. La mostra è dedicata a questa specificità condivisa di visioni incrociate sui contesti artistici indiano ed euro-americano. La posta in gioco della modernità post-indipendente in India sembra più facile da leggere per un pubblico francese – che è ancora in gran parte inconsapevole delle diverse forme e dei contesti specifici della modernità indiana – quando vengono abbinati a indicatori familiari come la storia dell’astrazione euro-americana.

“Raza è uno dei tanti artisti moderni non euroamericani che hanno sviluppato le loro pratiche in modo indipendente o al di là dei centri autoproclamati della modernità e ha bisogno di essere introdotto nel moderno canonico fino a poco tempo fa ristretto e nelle sue icone o feticci.” 

-Catherine David e Diane Toubert

 

 

Centre Pompidou, immagine gentilm. concessa, fotografo Bernard Prévost

 

 

Ankuran, 1987

 

 

Wilfredo Lam - David Catherine | Libro Centre Pompidou 09/2015 - HOEPLI.it

WILFREDO LAM  ( Sagua la Grande, Cuba,  1902 – Parigi 1982 )
Paris, Centre Pompidou, 30 septembre 2015 – 15 février 2016<br />Madrid, 12 avril-15 aout 2016<br />Londres, Tate Modern, 14 septembre 2016-8 janvier 2017
DAVID CATHERINE
foto Hoepli.it  ( Editore del libro )

 

A Wifredo Lam Retrospective Opens in Atlanta | Architectural Digest

Untitled, circa 1940, Wifredo Lam.

Architectural Digest

—un quadro preso a caso, ch.

 

 

 

SH RAZA
Alto di Cagnes, 1951
Guazzo su carta.
Collezione Darashaw
Adagp Parigi, 2022, gentile concessione
The Raza Foundation

 

Paul Gaugin, L’albero di Ibisc (Te Burao)
1892 – Pittura –
0.907m x 0.68m

L'albero di ibisco (Te Burao)

The Art Insitute Chicago

 

 

SULL’INTERPRETAZIONE DI RAZA E LA SFIDA CURATORIALE

La sfida era quella di evitare interpretazioni e interpretazioni errate. Ad esempio, di fronte alla serie di chiese dipinte da Raza a metà degli anni Cinquanta si può pensare a Bernard Buffet, Van Gogh, Gauguin, ma non bisogna dimenticare il dialogo di Raza dell’epoca con Souza e le sue visioni iconoclaste e torturate dell’iconografia cristiana. È importante evidenziare anche l’incontro con le sperimentazioni di Raza sul nudo, il dialogo con Souza, Padamsee, Kumar e (MF) Husain e l’impatto della pittura figurativa-narrativa e del nudo nel contesto indiano. Abbiamo fornito al pubblico le consuete informazioni biografiche e storico-artistiche per una maggiore chiarezza.

2 FOTO SOPRA : Centre Pompidou, Fotografo, Jacques Prévost

La mostra si svolgerà — SI E’ SVOLTA — dal 15 febbraio al 15 maggio 2023 al Centre Pompidou di Parigi.

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Qualche foto da un sito Facebook di soldati ucraini ( link subito sotto )– quanto gattini fanno loro compagnia – quello rosso mi sembra preoccupato !

 

148-ма окрема артилерійська бригада

1 marzo 2024  – ore 9.30 ca

https://www.facebook.com/148Guns

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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La Villa romana del Casale a Piazza Armerina:: appena qualcosa. Villa protetta UNESCO

 

 

 

in questo link trovate bellissime fotografie e anche la storia

 

La Villa

 

 

 

 

Scena di caccia
Jerzy Strzelecki – Opera propria

 

 

 

 

 

Scena di caccia
Jerzy Strzelecki – Opera propria

 

 

 

 

 

Sicile. Villa del Casale – Jeu de balle.
Sconosciuto – Science&Avenir n°746 – Avril 2009 – page 58

 

 

 

 

 

Il mosaico pavimentale del secondo cubicolo

 

 

 

 

 

 

Una delle “fanciulle in bikini

 

 

 

 

 

Particolare del mosaico del Circo

 

 

 

 

 

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https://www.italia.it/it/sicilia/cosa-fare/villa-romana-del-casale

 

 

 

 

Villa Romana del Casale

 

 

 

 

Villa Romana del Casale

 

 

 

 

 

Villa Romana del Casale

 

 

 

 

 

Villa Romana del Casale

 

 

 

 

Villa casale piazza armerina

 

La Villa romana del Casale di Piazza Armerina

 

 

 

Villa romana del casale

 

 

 

La Villa romana del Casale a Piazza Armerina. Un documentario in formato mosaico antico | RestaurArs

 

 

 

Mappa MICHELIN Piazza Armerina - Pinatina di Piazza Armerina ViaMichelin

Michelin

 

 

Piazza Armerina (EN) - Stradario, Cartina e Satellite

Tutt’Italia

 

 

Enna il Consorzio Comunale i Comuni i Borghi da visitare - Città, Comuni e Paesi di Sicilia

 

clicksicilia.com

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Enzo Di Serio- link sotto- Villa Romana di Philippianus in contrada Gerace di Enna, vicino Pergusa. Mosaico

 

FACEBOOK DI ENZO
https://www.facebook.com/profile.php?id=100007271984640

 

Questa bellezza quattro anni fa fu insabbiata dopo lo scavo e abbandonata forse per mancanza di fondi.

Mosaico tardo imperiale dalla Villa Romana di Philippianus in contrada Gerace di Enna, vicino Pergusa .

 

LAGO PERGUSA: Tutto quello che c'è da sapere (AGGIORNATO 2024) - TripadvisorLago di Pergusa
TripAdvisor

 

 

 

da 
Circuiti d'Italia: Autodromo di Pergusa

da : viaggiorelax.it

PERGUSA

Nessuna descrizione della foto disponibile.

Enna

 

 

 

Monti Erei - Wikipedia

wikipedia  Monti Erei

 

 

 

Nessuna descrizione della foto disponibile.

ENNA

 

 

 

 

Nessuna descrizione della foto disponibile.

 

 

 

Nessuna descrizione della foto disponibile.

ENNA

 

 

 

Un gioiello archeologico siciliano!

 Villa Romana tardoimpe👉🏻riale di Philippianus in contrada Gerace di Enna

📸 @Chiamami Antonio

 

 

SEGUE DA 

ARCHEOLOGIA VIVA 
n. 195 – maggio/giugno 2019
pp. 22-39

Con Philippianus nella tenuta di Gerace

 

di Roger Wilson;
a cura di Roger Wilson e Serena Raffiotta;
traduzione Serena Raffiotta

 

La Sicilia di età romana era famosa per la grande produttività agricola ma sono ancora relativamente poche le ville riportate alla luce nell’isola: quella del Casale a Piazza Armerina è in assoluto la più nota

 

È raro sapere con certezza chi possedesse queste tenute ma sono talvolta le iscrizioni a fornirci importanti indizi: Roger Wilson ci parla delle sue scoperte nella contrada Gerace non lontano da Enna dove eccezionalmente è stato individuato il proprietario terriero – tale Philippianus vissuto nella seconda metà del IV secolo – e insieme al nome il racconto della sua vita

In un momento imprecisato dopo la metà del IV sec. d.C. un giovane proprietario terriero siciliano di nome Philippianus, osservando il grande e solido magazzino costruito una generazione precedente nella sua tenuta, si accorse che il tetto necessitava di un piccolo intervento.

Aveva appena realizzato una fornace per tegole, tutte bollate con il suo nome e che ora poteva utilizzare per la riparazione. Come primi prodotti della fornace, i pezzi non erano venuti granché – il colore verdastro tradiva un’eccessiva cottura – ma li impiegò ugualmente.

Tuttavia, non passò molto che il tetto crollò per una forte scossa di terremoto, forse lo stesso registrato dallo scrittore Libanio subito dopo la morte dell’imperatore Giuliano nel 363, in conseguenza del quale andarono distrutte “tutte le città della Sicilia” (un’esagerazione?), oppure un altro sisma che colpì l’isola all’incirca nello stesso periodo. E forse lo stesso che danneggiò la vicina villa del Casale di Piazza Armerina, distante solo una quindicina di chilometri. […]

 

 

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Lele @Lelesan79 – 23.07 –13 marzo 2024 – grazie di aver condiviso !

 

 

 

 

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Un gruppo di case colorate liguri — CAMOGLI –CHIAVARI -PORTOFINO — VERNAZZA

 

 

Perché le case in Liguria sono colorate?

CAMOGLI

 

IMMOBILIARE.IT — 5 FEBBRAIO 2024

https://www.immobiliare.it/news/perche-le-case-in-liguria-sono-colorate-185679/?utm_source=outbrain&utm_medium=native&utm_campaign=real_estate_market_desktop&dicbo=v4-eNhgSiR-1081470193

 

 

 

CHIAVARI

 

 

CHIAVARI

 

 

 

CHIAVARI

 

 

CAMOGLI

 

Why are the facades of Ligurian houses richly decorated?

 

 

 

case colorate del borgo di Portofino in Italia - 11727973

PORTOFINO

 

 

 

Vista di Vernazza. Vernazza ? un comune situato nella provincia di La Spezia, Liguria, Italia nord-occidentale. - 17935482

VERNAZZA

 

 

Riviera di Levante map, Liguria, Italy | Liguria italy, Europe honeymoon,  Portofino italy

CAMOGLI –CHIAVARI -PORTOFINO — VERNAZZA (= 5 TERRE )

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MARZIA APICE, Le mostre del weekend, dall’Informale alla Pop Art. Tra i focus quelli su Kounellis, Munari e il Sassetta -ANSA.IT/ PISTOIA   13 MARZO 2024- 18.39

 

 

ANSA.IT/ PISTOIA   13 MARZO 2024- 18.39
https://www.ansa.it/canale_viaggi/notizie/arte/2024/03/13/le-mostre-del-weekend-dallinformale-alla-pop-art_c49fcc31-9464-4bb2-a8ef-ddf47663dbbe.html

 

 

Le mostre del weekend, dall’Informale alla Pop Art.

Tra i focus quelli su Kounellis, Munari e il Sassetta

 

ANSACheck

Dai movimenti dell’Informale e della Pop Art in Italia, fino all’arte antica del Sassetta e a quella contemporanea di Kounellis e Munari.

 

PISTOIA – A Palazzo Buontalenti “’60 Pop Art Italia”, grande mostra curata da Walter Guadagnini e allestita dal 16 marzo al 14 luglio.

Per il pubblico un vero e proprio viaggio in quelle città – come Roma, Milano, Torino, Venezia, Palermo e Pistoia – che hanno permesso il proliferare della cultura Pop: nel percorso sono ricostruite le vicende del movimento in Italia, attraverso 60 opere e i suoi maggiori esponenti, da Schifano a Festa, da Rotella a Pascali, da Kounellis fino a Titina Maselli e Giosetta Fioroni.

LECCO – Il segno, il colore, la materia, il gesto sono protagonisti dal 15 marzo al 30 giugno a Palazzo delle Paure nella mostra

“Informale. La pittura italiana degli anni Cinquanta”. A cura di Simona Bartolena, la rassegna racconta quella generazione di autori usciti feriti dalla Seconda guerra mondiale che sperimentò nuovi linguaggi e nuovi stili capaci di narrare una situazione drammatica e complessa. Esposte più di 60 opere di artisti quali Afro, Tancredi, Chighine, Fontana, Moreni, Burri, Morlotti e molti altri.

 

MASSA MARITTIMA – “Il Sassetta e il suo tempo. Uno sguardo sull’arte senese del primo Quattrocento” è in programma dal 14 marzo al 15 luglio al Museo di San Pietro all’Orto.

A cura di Alessandro Bagnoli, l’esposizione riunisce una cinquantina di opere di cui 26 del maestro senese (tra queste anche un inedito, una Madonna con Bambino, scoperta sotto una ridipintura seicentesca), le altre appartengono ad artisti attivi in quegli anni nel medesimo contesto.

FIRENZE

Dal 15 marzo al Museo Novecento “La stanza vede.
Disegni 1973-1990″, mostra dedicata ai disegni di Jannis Kounellis, con la direzione artistica di Sergio Risaliti e a cura di Dieter Schwarz. In programma fino al 9 giugno, l’esposizione presenta un centinaio di disegni eseguiti su carta, per lo più a china, matita, carboncino, tra gli anni Settanta e Ottanta.

 

MAMIANO DI TRAVERSETOLO – Alla Fondazione Magnani-Rocca la grande mostra “Bruno Munari. Tutto”, dal 16 marzo al 30 giugno: alternando grafica, oggetti e opere d’arte, il percorso condensa 70 anni di idee e lavori senza essere suddiviso per tipologie o per cronologia, ma per attitudini e concetti, in modo da poter mostrare i collegamenti e le relazioni progettuali tra oggetti anche apparentemente molto diversi l’uno dall’altro.

 

ROMA

Spazio Treccani Arte presenta un nuovo format espositivo, intitolato Voci, che accoglie artisti selezionati invitati a scegliere una parola dal vocabolario della lingua Italiana e a ideare, partendo dalla sua definizione, una o più opere in edizione limitata e un progetto artistico site specific. L’11 marzo a inaugurare il ciclo è Alice Guareschi, con la parola “giorno”, in mostra fino a venerdì 14 giugno con 2 opere neon inedite in edizione limitata.

Dal 13 marzo al 1 maggio all’Istituto centrale per la grafica la personale “Doppia ombra” dell’artista rumeno Ciprian Mureşan. Curata da Maura Picciau e da Pier Paolo Pancotto, la mostra presenta circa 24 opere su carta di diversi formati, oltre a 9 lavori fotografici e una scultura.

 

Dal 12 marzo al 15 luglio alla Galleria Erica Ravenna la bipersonale dedicata a Vincenzo Agnetti e Tomaso Binga dal titolo “una macchina è una macchina”.

L’esposizione mette a fuoco i punti di contatto tra i due artisti che, nonostante non si siano mai incontrati, hanno condiviso linguaggi comuni: nel percorso circa 30 opere, per la maggior parte inedite, dai dattilocodici di Tomaso Binga ai prodotti della macchina drogata di Vincenzo Agnetti, raccontano come il loro lavoro abbia anticipato quanto accade oggi nell’ambito delle nuove tecnologie, dell’intelligenza artificiale e dei new media.

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Tg3 @Tg3web – 20.00 13 marzo 2024 — grazie !

 

Un convoglio di pacifisti israeliani parte da Tel Aviv con cibo per i palestinesi di Gaza. C’è una frase in ebraico che dice: “Affamarli non è umano”

 

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grazie, come sempre alla bella Donatella ! — Zélia Gattai ( 1916- 2008 ), genitori e nonni italiani, nasce a San Paulo in Brasile. Per trentanni è la compagna dello scrittore Jorge Amado. Inizia a scrivere storie dai suoi ricordi nel 1979 a 63 anni —

 

 

 

Anarchici, grazie a Dio - Zélia Gattai

Sperling & Kupfer 2002
“Anarchici, grazie a Dio” è il fresco e brioso racconto dell’infanzia e dell’adolescenza dell’autrice, trascorse fra ristrettezze e sacrifici, ma colorate di emozioni e ricche di avvenimenti. E’ l’odissea di una grande famiglia di italiani emigrati in Brasile alla fine del 1800, personaggi dalla straordinaria vitalità, coraggiosi sognatori che avevano lasciato la patria per poter sopravvivere o sperando di costruire un mondo migliore. Sullo sfondo scorrono gli eventi storici di quegli anni: la fondazione della Colonia Cecilia, primo esperimento di comunità socialista in Brasile, al quale parteciparono anche i nonni paterni dell’autrice, il proliferare delle riunioni operaie e delle associazioni anarchiche, la vicenda di Sacco e Vanzetti, l’instaurarsi del fascismo in Italia… Avvenimenti pubblici e privati che la memoria intreccia in un vivace affresco, completato da deliziose foto d’epoca.

 

 

Zélia Gattai

São Paulo 1916 – Salvador 2008

 

 

 

Ritratto di Zelia Gattai. Cortesia di Acervo Fotográfico Zélia Gattai/Fundação Casa de Jorge Amado.

 

 

Enciclopedia delle donne

pubblicato nel 2012 — rivisto nel 2023

https://www.enciclopediadelledonne.it/edd.nsf/biografie/zelia-gattai

 

 

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Casa de Jorge Amado, Lardo do Pelourinho ( a destra )
Salvador , Bahia

 

 

DI Antonella Rita Roscilli ( al fondo il suo libro )

 

 

 

 

Le tre razze di Carybé (1911-1997) -a sinistra l’europea, in centro gli Africani, a destra gli Indios, i Nativi Americani

 

CARYBE’  – Héctor Julio Páride Bernabó  (Lanus, Argent. 7 febbraio 1911- Salvador, Bahia, 2 ottobre 1997) è stato un artista , ricercatore , scrittore , storico e giornalista argentino-brasiliano . Il suo soprannome e nome artistico , Carybé , un tipo di piranha, deriva dal suo periodo negli scout.  Ha prodotto migliaia di opere, tra dipinti, disegni, sculture e schizzi. Era un Obá de Xangô , una posizione onoraria presso Ilê Axé Opô Afonjá

 

 

Scrittrice, memorialista e fotografa, Zélia Gattai ama definirsi “contadora de histórias” (raccontatrice di storie) e pubblica 11 libri di memorie, 3 favole, 1 romanzo e una fotobiografia. Nasce a São Paulo, nipote e figlia di emigranti italiani, “liberi pensatori” che hanno attraversato l’oceano alla ricerca di una vita migliore portando con sé i loro ideali. Il padre Ernesto Gattai è meccanico e appartiene a una famiglia toscana che alla fine del secolo XIX partecipa al sogno della Colonia Cecilia, un esperimento socialista e anarchico, voluto da Giovanni Rossi, nel Paraná.

 

La madre, Angelina da Col, è operaia ed è di una famiglia veneta cattolica giunta in Brasile per lavorare nelle piantagioni di caffè, dopo l’abolizione della schiavitù, avvenuta nel 1888.

 

Ultima di cinque figli, Zélia trascorre l’infanzia e l’adolescenza in mezzo alle prime manifestazioni operaie e anarchiche nei quartieri degli immigrati. Insieme ai genitori partecipa alle riunioni politiche nei locali delle Classi lavoratrici ove vende i giornali socialisti «La Difesa» e «La lanterna».

 

Durante la dittatura di Getulio Vargas ( 1937- 1945 ), suo padre viene gettato in carcere e torturato, con l’accusa di essere un sovversivo. Quando ne esce, la sua salute è minata a tal punto che muore di febbre tifoide nel 1940, all’età di 54 anni.

 

 

 

Una bella foto di Bahia, il Pelourinho, anche se la casa di Jorge Amado l’avete già vista.

nota : Pelourinho era un nome comune con il significato di “colonna di pietra o di legno, collocata in luogo centrale o pubblico dove i criminali venivano esibiti e puniti” (Dizionario Houaiss). Pelourinho divenne il luogo della gogna dove gli schiavi venivano puniti e frustati in pubblico.

 

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Altra foto di Bahia– Vista do Largo do Pelourinho em Salvador –  foto §André Urel – Opera propria

 

 

Mappa dei quartieri di

Mappa dei quartieri di Salvador, Bahia– Porto
André Koehne – Opera propria

 

Porto ( un aspetto ) di Salvador, Bahia
Pedro Mello | Fotógrafo– instagram.com

 

 


Foto Manu Dias/AGECOM

 

il porto di Salvador

 

e, la stessa foto, dettaglio 

Foto Manu Dias/AGECOM

Porto di Salvador
Wikipedia

 

Salvador-de-Bahia-favela-©-oltreilbalcone | oltreilbalcone

Una favela di Salvador
foto di Corinna Agostoniu. Oltre il Balcone

 

Salvador de Bahia: spiagge, capoeira e favelas – Viaggio nel Mondo

Una stradina di Salvador–
Travel Magazine

 

 

«Tu sei la mia speranza» dice alla figlia. Ciò spinge Zélia a impegnarsi ancor più e a lottare per la giustizia. Nel maggio 1945 partecipa ai movimenti per i diritti sociali e collabora alla preparazione dei comizi per l’amnistia dei prigionieri politici.

 

Jorge Amado e la moglie Zélia Gattai ( entrambi reduci di un matrimonio finito male ) nella loro casa di Rio, nella Baixada Fluminense, all’epoca una zona un po’ fuori di Rio, nel 1945

 

 

In questa occasione conosce lo scrittore Jorge Amado che già è molto noto e ha patito il carcere e l’esilio per l’impegno nella sinistra brasiliana. I suoi libri sono stati sequestrati e bruciati nella pubblica piazza. Zélia li ha letti tutti. Considera Jorge un uomo coraggioso e pieno di fascino. L’amore tra i due nasce con la complicità di una canzone di Dorival Caymmi, amico di Jorge e con una singolare dichiarazione di amore, alla quale assiste un illustre amico: Pablo Neruda. Inizia così la loro vita in comune e Zélia collabora con Jorge occupandosi della revisione dei testi dei romanzi. Lo sostiene anche nella campagna elettorale come deputato alla Camera federale, ove viene eletto nel 1946: rimangono memorabili le leggi da lui proposte sul diritto d’autore e la libertà di religione,“a clausola pétrea”* (disposizione non emendabile), cosa che ci mostra  il profondo rispetto che lo scrittore aveva per le classi sub-alterne, che sapeva molto legate alle religioni afro-brasiliane.

 

A Rio de Janeiro l’anno successivo nasce il figlio João Jorge, ma quando il partito comunista (PCB) viene dichiarato illegale, Zélia è costretta all’esilio con la sua famiglia. Dal 1948 al 1952 vive a Parigi (frequenta il corso di Lingua e Civiltà Francese alla Sorbonne) e poi si trasferisce con Jorge in Cecoslovacchia ove nasce Paloma Amado, la seconda figlia.

In questo periodo inizia l’amicizia con intellettuali e artisti come Pablo Picasso, Nicolas Guillén, Jean Paul Sartre, Anna Seghers e Simone de Beauvoir con la quale stringe un’amicizia che durerà nel tempo.

Scrive Simone de Beauvoir (La forza delle cose): «Per Zélia provai una simpatia immediata. Lei doveva alla sua origine italiana una natura e una freschezza giovanili, aveva molto carattere e comunicativa, uno sguardo acuto, la lingua pronta. Trovai molto tonica la sua presenza, anzi è una delle poche donne con le quali abbia riso!».

Durante l’esilio Zélia si dedica all’arte della fotografia e registra ogni momento importante della vita dello “scrittore di Bahia”.
Quando torna in Brasile, insieme a Jorge abita a Rio de Janeiro e, pur non essendo iscritta al PCB, ne è militante: viene designata per la raccolta dei fondi e organizza, anche nelle favele, seminari nei quali racconta l’esperienza vissuta durante l’esilio. Rimane comunque e sempre una “libera pensatrice”.

Nel 1963 insieme ai figli e a Jorge sceglie di vivere a Salvador, nel quartiere di Rio Vermelho e qui rimane fino alla morte di Jorge, avvenuta nel 2001.

 

Veduta della spiaggia di Rio Vermelho.

una foto del quartiere ( bairro ) Rio Vermelho ( Fiume rosso ) nel 2005
IKAROW – Flickr

 

 

Mapa de Salvador detalhado no entorno do Rio Vermelho.

Mappa di Salvador, intorno a Rio Vermelho– c’è anche la spiaggia ” Rio Vermelho ”
André Koehne – Opera propria

 

 

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Largo de Santana nel quartiere di notte, sullo sfondo l’acarajé de Dinha, oggi quartiere bohémien di Salvador- Dinha è quello sgabiotto sulla destra dove preparano da mangiare.
nota : L’Acarajé è una specialità gastronomica della cucina africana e afrobrasiliana, simile al falafel arabo del Medio Oriente; l acarajé è un alimento rituale dell’orixá Iansã

 

 

non definito

Una donna di Salvador che vende i suoi acarajé per strada–

 

 

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Festival Jemanjà ( la dea del mare  di origine africana: Iemanjá, creatrice dell’acqua e origine della vita, è considerata la madre di tutti gli dei e di tutti gli uomini e il suo nome, che in yoruba suona come Yeyé omo ejá, significa “madre i cui figli sono pesci”.  E’ identificata sincreticamente con Nostra Signora della Concezione, ossia, Maria, madre di Gesù- Un metodo che gli schiavi hanno dovuto adottare per sopravvivere all’invasione nelle loro teste delle religione cristiana, una volta deportati in Sud America.

 

 

 

alt="Celebrazione della festa di Iemanja"

Festa di Jemanjà a Bahia

Nel Mare per Iemanjà si buttano fiori bianchi, la gente si veste di bianco, e il 31 dicembre a Rio, facevano anche piccoli altarini nella sabbia, con una o più candele accese, a volte davanti ad un’immagine di Jemanjà o di Maria.

alcune foto sono dihttps://www.laglobetrotter.it/festa-iemanja-salvador-bahia/

 

 

 

CASA DI ZELIA E JORGE AMADO A SALVADOR, BAIRRO RIO VERMELHO.
ADESSO E’ UN MUSEO

 

Casa sul fiume Rosso. Foto: Fabio Marconi

Casa di Jorge Amado e Zélia Gattai al Rio Vermelho che adesso deve
essere un museo in loro onore

 

Questa sarebbe l’entrata di servizio dove portano i pacchi, e dove passano persone non importanti-

 

Nel giardino sono depositate le ceneri dei due scrittori

giardino : Ana Beatriz Farias è una famosa giornalista della Globo, la maggiore rete televisiva brasiliana,  è anche la maggiore televisione commerciale dell’America Latina, e la seconda nel mondo dopo l’ American Broadcasting Company.
https://en.wikipedia.org/wiki/TV_Globo

 

Casa do Rio Vermelho - Salvador da Bahia

Salvador da Bahia– i famosi azulejos di origine portoghese

 

 

 

La camera degli sposi..

Janelas Abertas

 

 

 

Casa do Rio Vermelho, em Salvador, preserva a história de Jorge Amado - Verso - Diário do Nordeste

Foto Diàrio di Nordeste

 

 

 

Vou na Janela

 

 

 

Casa do Rio Vermelho - Salvador da Bahia

Deve essere la cucina
Salvador da  Bahia

 

 

A Casa do Rio Vermelho

Seduto al tuo fianco
nella panca di azulejos
all’ombra della manguera ( l’albero del mango )
aspettando che la notte arrivi
per coprire di stelle i tuoi capelli
Zélia di Euà avvolta di luna:
dammi la tua mano, dammi il tuo sorriso,
felice e allegro nel tuo bacio,
alloro e ricompensa.

 

 

 

A Casa do Rio Vermelho

 

 

 

«Per 56 anni Jorge Amado é stato mio marito, il mio maestro, il mio amore». Questa frase Zélia Gattai ama ripeterla in tutti i discorsi ufficiali. La famosa casa, piena di ricordi e oggetti acquistati in ogni parte del mondo, sta per divenire oggi un Memoriale aperto al pubblico. In quella casa entrarono persone comuni e amici illustri del mondo intero come Frida Kahlo, Diego Rivera, Lina Wertmuller, Marcello Mastroianni, Sofia Loren.

 

Zélia esordisce come memorialista nel 1979, all’età di 63 anni, con il libro Anarchici grazie a Dio,nel quale scrive i ricordi legati ai genitori, alla sua infanzia e adolescenza ricche di avvenimenti legate alla vita degli emigranti italiani a São Paulo agli inizi del Novecento. È un grande successo con 200.000 copie vendute in Brasile. Rete Globo ne ricava una fortunata miniserie diretta da Walter Avancini.

 

Da questo momento in poi, utilizzando un linguaggio diretto e intriso di emozione, Zélia racconta le incredibili memorie sue, della famiglia Gattai, della famiglia Amado e di tanti amici. Fra le sue opere ricordiamo Un cappello da viaggio (1982), il libro di fotografie Reportagem incompleta (1987), con traduzione in francese a cura di Pierre Verger, Giardino d’inverno (1988), Chão de meninos (1992), La casa di Rio Vermelho (1999), Città di Roma (2000), Jonas e a sereia (2000), Códigos de família (2001), Jorge Amado um baiano sensual e romântico (2002), Vacina de sapo e outras lembranças (2005), Cronaca di una innamorata (2007).

 

La materia prima di quasi tutta l’opera letteraria di Zélia è la sua stessa memoria che le permette di riscattare un secolo di vita delle sue radici familiari attraverso uno stile semplice e preciso. Dalle narrazioni emerge una vitalità contagiante, un canto di amore alla vita, sì, aspra e piena di ostacoli, ma fatta per essere vissuta con generosità, affrontata senza alcun senso drammatico.

«Continuo a trovare grazia nelle cose e nelle persone. Continuo ad avere curiosità della vita e mi sento immune dalle amarezze e dai rancori».

Anche per questa qualità della sua persona e della sua scrittura Zélia viene considerata oggi la più grande memorialista brasiliana ed è di fondamentale aiuto nella ricostruzione dell’emigrazione italiana a São Paulo fra Otto e Novecento.

Sue sono le fotografie più importanti che esistono oggi di Amado: 30.000 negativi circa si trovano nella Fondazione Casa de Jorge Amado, la casa azzurra di quattro piani nel centro storico di Salvador, polo culturale amorevolmente diretto dalla poetessa Myriam Fraga che ospita il fondo Amado e il fondo Gattai.

Nel 2002 Zélia entra a far parte dell’Accademia Brasileira di Letras di Rio, di Salvador e di Ilhéus.

La sua carriera letteraria è costellata di successi e riconoscimenti internazionali (Commendatore di Arti e Lettere in Francia, il Gonfalone d’Argento della Regione Toscana; il grado di Grande Ufficiale della Stella della Solidarietà italiana, concessole dal Presidente Giorgio Napolitano nel 2007 e consegnato da Michele Valensise, ambasciatore d’Italia in Brasile; la Laurea Honoris Causa presso la Universidade Federal da Bahia).

Zélia Gattai, Anarchici, Grazie a Dio Milano, Sperling & Kupfer 2002
Zélia Gattai, Un cappello da viaggio Milano, Sperling & Kupfer 2006
Antonella Rita Roscilli, Zélia de Euá, Rodeada de Estrelas Salvador, Casa de Palavras 2006

Fondazione Jorge Amado (sito ufficiale)

 

Referenze iconografiche: Ritratti di Zelia Gattai. Cortesia di Acervo Fotográfico Zélia Gattai/Fundação Casa de Jorge Amado.

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MICHELE GIORGIO, Orrore al Nasser. «Abusati per ore dagli israeliani» -STRISCIA DI SANGUE. La Bbc mostra un filmato. IL MANIFESTO  13 MARZO 2024

 

 

IL MANIFESTO  13 MARZO 2024
https://ilmanifesto.it/orrore-al-nasser-abusati-per-ore-dagli-israeliani

 

 

Orrore al Nasser. «Abusati per ore dagli israeliani»

 

 

STRISCIA DI SANGUE. La Bbc mostra un filmato girato nel principale ospedale di Khan Yunis in cui si vede una fila di uomini lasciati in mutande, inginocchiati con le mani dietro la testa. Alcuni avevano davanti a sé dei camici medici.

 

 

Distribuzione del cibo a RafahDistribuzione del cibo a Rafah – Ap

 

 

Il raid delle truppe israeliane scattò il 15 febbraio. L’ospedale Nasser di Khan Yunis, il secondo per importanza della Striscia di Gaza e uno dei pochi ancora funzionanti, come lo Shifa di Gaza city, era considerato un «covo di terroristi» e una «base operativa di Hamas» dai comandi militari israeliani. E l’incursione veniva data per imminente. Molti degli sfollati che l’ospedale ospitava erano fuggiti nei giorni precedenti sfidando i bombardamenti e altrettanto avevano fatto i pazienti in grado di camminare. Nel Nasser restavano oltre 100 feriti e ammalati gravi e decine di medici ed infermieri. I soldati arrivarono all’improvviso. Alla ricerca, dissero, «degli ostaggi nelle mani di Hamas o dei loro corpi». Proclamarono di voler agire nel rispetto della struttura sanitaria. Le cose andarono in modo molto diverso. Chi quel giorno e in quelli successivi ebbe la sfortuna di trovarsi nell’ospedale di Khan Yunis, non dimenticherà quanto ha vissuto.

 

«Sono state ore difficili. Fu aggredito chiunque aveva fatto anche solo un movimento», ci diceva ieri al telefono il dottor Atef Al Hout, direttore generale dell’ospedale e uno dei testimoni citati dalla Bbc nel suo servizio su quanto è accaduto nell’ospedale Nasser a febbraio. «Alcuni di noi sono stati fermati, fatti spogliare e lasciati per ore in posizioni umilianti» ha aggiunto Al Hout «non siamo stati trattati con rispetto, come si dovrebbe di fronte a medici e paramedici che lavoravano senza sosta, in condizioni molto difficili a causa della guerra, pur di assistere persone ammalate o ferite. Meritavamo protezione e invece siamo stati trattati come criminali. Ho impiegato giorni per riprendermi».

 

 

 

Un filmato girato di nascosto all’interno dell’ospedale è arrivato alla Bbc. Il video mostra una fila di uomini lasciati in mutande fuori dall’edificio del pronto soccorso, inginocchiati con le mani dietro la testa. Alcuni avevano davanti a sé dei camici medici. La Bbc sottolinea che il personale sanitario è stato sottoposto a maltrattamenti e picchiato. Un altro medico Ahmed Abu Sabha ha raccontato all’emittente britannica di essere stato detenuto per una settimana, di aver subito aggressioni che gli hanno provocato la frattura di una mano e di essere stato morso da cani dell’esercito. Resoconti simili sono stati dati da altri due medici. Le Forze armate israeliane sostengono di non aver maltrattato medici ed infermieri e che «qualsiasi abuso sui detenuti è contrario agli ordini dell’Esercito, quindi severamente vietato». Durante la procedura di arresto, affermano, è consuetudine che i sospettati consegnino i loro vestiti a scopo di perquisizione. Spiegazioni che i palestinesi respingono totalmente, denunciando abusi e violenze sistematiche sui detenuti.

Altri medici, questa volta israeliani, invece avvertono che la crisi sanitaria nella Striscia di Gaza è grave ed inoltre costituisce una minaccia strategica per Israele. In un rapporto firmato dal professor Nadav Davidovich dell’Associazione per la sanità pubblica, e riferito ieri dalla tv pubblica Kan, i medici spiegano che le acque reflue provenienti da Gaza sfociano nel mare e possono causare l’inquinamento delle spiagge e danni agli impianti di desalinizzazione israeliani, oltre ad epidemie e varie malattie infettive. Sulla base dei dati diffusi dalle organizzazioni sanitarie internazionali, i medici israeliani riferiscono di 312.000 palestinesi affetti da polmonite e più di 220.000 da gastroenterite e diarrea, più della metà dei quali sono bambini sotto i 5 anni.

Dati che non turbano il premier israeliano Netanyahu che, intervenendo alla conferenza dell’organizzazione americana filo Israele, Aipac, ha ribadito per l’ennesima volta che l’esercito attaccherà anche la città di Rafah, sul confine con l’Egitto – nonostante l’opposizione dichiarata dall’Amministrazione Biden – dove si ammassano centinaia di migliaia di sfollati palestinesi. Ieri altre decine di morti e feriti tra i civili. Fonti palestinesi riferiscono di raid aerei a Deir Al Balah, Gaza city, Qarara.

In Cisgiordania, coloni israeliani sono entrati nel villaggio di Burin (Nablus) e hanno dato fuoco ad alcune automobili. Sempre nel distretto di Nablus, gruppi di coloni si preparano a stabilire nuovi «avamposti ebraici» sulle terre dei villaggi di Luban Sharqie, Sinjil e Qariut.

Con il sostegno dei ministri dell’estrema destra, Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, e dal deputato del Likud Simha Rotman, i coloni continuano le proteste per l’autorizzazione data dall’esercito al trasferimento due giorni fa da Rafah a Betlemme (via Egitto) di 68 orfani palestinesi tra i due e i 14 anni di età affidati all’ong Sos Palestine. Secondo i coloni e i loro leader, l’arrivo in Cisgiordania di quei bambini di Gaza rappresenterebbe un «deterioramento dei valori» perché gli ostaggi israeliani restano a Gaza.

«In guerra – ha detto Ben Gvir – si deve schiacciare il nemico e non essere sempre moralisti». Negli atenei non cessano sanzioni e punizioni contro le voci dissidenti.

L’Università Ebraica di Gerusalemme ha sospeso la docente di criminologia Nadera Shalhoub-Kevorkian perché ha accusato Israele di genocidio a Gaza.

Ieri, finalmente, è partita da Larnaca la nave Open Arms che rimorchia una chiatta con 200 tonnellate di cibo e generi di prima necessità destinati alla popolazione di Gaza. L’arrivo è previsto questa notte o domani mattina.

 

Questione di Cipro - Wikipedia

LARNACA E’  UN PORTO DI CIPRO GRECA — L’ALTRA E’ QUELLA TURCA

 

 

Consigli per un viaggio a Larnaca | Blog dei Viaggi Transfeero
LARNACA
foto Transfeero

 

 

Larnaca Estate 2023 | offerte vacanze, voli soggiorni | hi-land.it

LARNACA

 

 

What to do in Larnaca Cyprus - MelbTravel

Melb Travel

 

 

November 2018 Larnaca Cyprus Beautiful View Main Street Larnaca Cathedral  Stock Photo by ©ingus.kruklitis.gmail.com 233533950

Depositphotos

 

 

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Adobe Stock

 

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Hakan Kapucu @1hakankapucu — 14.33 — 13 marzo 2024 – grazie, anche se fa un grande pena, ch.

 

Questa mamma gatta è senza zampe anteriori ma è comunque felice di giocare con il suo bambino. Ciò dimostra che le disabilità fisiche non possono spezzare lo spirito di una madre premurosa.

 

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*** video, 37 minuti ca –Emanuele Felice – La conquista dei diritti | Pandora Rivista Videopodcast / ” Il liberalismo, separato dal socialismo, e dall’ambientalismo non riesce a realizzare le sue promesse, e ugualmente il socialismo e l’ambientalismo “

 

 

La conquista dei diritti: Un'idea della storia eBook : Felice, Emanuele: Amazon.it: Libri

IL MULINO, 2022

immagine da Amazon

 

Emanuele Felice (Lanciano4 gennaio 1977) è un economista e saggista italianostorico dell’economia.

SEGUE : https://it.wikipedia.org/wiki/Emanuele_Felice

 

intorno al minuto 19° parla benissimo dell’Animalismo, primo capitolo essenziale dell’Ambientalismo, fondato sulla scienza  (Darwin )

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ROBERTO LIMONTA, BIOGRAFIA DI TEOPHANO – ENCICLOPEDIA DELLE DONNE DEL 2021 – RIVISTO 2023

 

NOTA — Ci sono tre imperatrici d’Oriente con questo nome e vissute più o meno nello stesso periodo storico IX/ X secolo
https://www.treccani.it/enciclopedia/teofano/

 

 

ANTEFATTO :

Dopo la caduta di Roma d’Occidente nel 476, l’ Impero bizantino fu l’unico stato successore dell’Impero Romano . L’incoronazione imperiale di Carlo Magno nell’800, un’usurpazione dal punto di vista bizantino , rappresentò una sfida per l’ imperatore, che risiedeva a Costantinopoli . L’assunzione del titolo imperiale carolingio da parte di Ottone I nel febbraio 962 rinnovò il problema dei due imperatori . Nel 967 si intensificarono i conflitti tra Ottone I e l’imperatore bizantino Niceforo II Foca per la supremazia in Italia . Il 25 dicembre 967 papa Giovanni XIII. Roma Ottone II venne eletto co-imperatore alla presenza del padre Ottone I.
L’obiettivo di Ottone I era quello di far riconoscere la sua dignità imperiale da Bisanzio e di chiarire le questioni di confine nell’Italia meridionale. L’accordo doveva essere sancito dal matrimonio di suo figlio, il giovane Ottone II, con la figlia di un imperatore bizantino.
Il “Certificato di matrimonio dell’imperatrice Theophanu” documenta il matrimonio del diciassettenne co-imperatore del Sacro Romano Impero Ottone II con la dodicenne principessa Theophanu. Politicamente, il matrimonio significò il riconoscimento dell’Impero Ottoniano da parte dell’Impero Bizantino. Lo sfarzo con cui la famiglia regnante ottoniana accolse la principessa bizantina in Italia servì a dimostrare la sua uguaglianza con la corte imperiale di Costantinopoli.

altro nel link:
https://de.wikipedia.org/wiki/Heiratsurkunde_der_Kaiserin_Theophanu

 

 

segue da:

 

Enciclopedia delle donne
2021 /2023

https://www.enciclopediadelledonne.it/edd.nsf/biografie/theofano

 

 

biografie

DI Roberto Limonta

 

 

Formella d'avorio che raffigura Ottone II e Theofano (a destra), Parigi, Musée de Cluny, 982/3

Formella d’avorio che raffigura Ottone II e Theofano (a destra), Parigi, Musée de Cluny, 982/3

 

Theophanu, Theuphanu, Theophano o Theofano, Theophanius; al femminile, Theufany, Theuphania, Theophannia, Teofania o Theofania, Theophana, Theophany fino al più improbabile di tutti, Pyphanü.

Le varianti ortografiche si depositano strato su strato, come i veli di una sacra cortina, attorno alla figura di Theofano, principessa bizantina vissuta tra il 958 e il 991 e destinata a essere dapprima sposa e poi madre di un sovrano del Sacro Romano Impero.

Icona di una corte i cui fasti suscitavano la meraviglia dei barbari d’Occidente, orfani da secoli della grandezza dei Cesari, “la greca” – questo l’epiteto, tra diffidenza e rispetto, con cui è citata in tante cronache del tempo – seppe farsi artefice e protagonista di una breve stagione nella quale l’oriente bizantino e l’occidente latino si incontrarono e dialogarono, nel sogno della renovatio di una comune tradizione imperiale.

 

Le origini di Theofano sono oscure quanto l’ortografia del suo nome. Le fonti sono generalmente laconiche. Alcuni affermano fosse figlia del basileus Romano II. Più probabilmente i legami con la corte bizantina sono riconducibili a una parentela con Giovanni Zimisce, imperatore dal 969 al 976 grazie ai complotti di una quasi omonima della principessa, l’imperatrice Theofane. Nonostante la scarsità di informazioni, possiamo ragionevolmente supporre che abbia ricevuto una educazione degna di una donna del suo rango: i classici greci, l’educazione religiosa e certamente anche qualche rudimento di latino, quantomeno in vista delle nozze.

nota :  Figlia (n. 950 circa – m. Nimega 991) dell’imperatore bizantino Romano II e figliastra di Niceforo II Foca, fu data in sposa (972) a Ottone II di Sassonia ( Treccani )

 

Di fatto, per le fonti storiche Theofano comincia a esistere il 14 aprile 972, giorno delle nozze a Roma, nella veneranda basilica costantiniana di San Pietro, con l’erede al trono del Sacro Romano Impero, Ottone II, figlio di Ottone I. Per questo capolavoro diplomatico si era mosso il vescovo Liutprando sin dal 968, dopo il fallimento di una prima missione nella quale aveva chiesto per Ottone la mano di Anna, sorella del basileus Basilio II. Liutprando chiedeva una porfirogenita, una principessa nata nella porpora, e Theofano non lo era. Ma doveva avere sufficienti quarti di nobiltà, ai quali probabilmente aggiungeva doti personali, e il matrimonio fu combinato. L’imperatore Giovanni Zimisce avrebbe riconosciuto de facto la dignità imperiale dei sovrani germanici; in cambio, Ottone I avrebbe rinunciato alle proprie ambizioni sulle provincie bizantine di Puglia e Calabria.

 

Secondo le cronache del tempo, la cerimonia fu sfarzosa come meritava. Le fonti si attardano sulla principessa e il suo seguito, con un’attenzione che non ritroveremo in seguito: illustre progenie di stirpe imperiale, Theofano è descritta come una principessa raffinata nell’eloquio ed elegante d’aspetto (ingenio facundam vultuque elegantissimam). Il ripetersi degli epiteti da una cronaca all’altra, con variazioni minime, potrebbe avere spiegazioni di segno opposto: il perpetuarsi di stereotipi del genere encomiastico o il riconoscimento dell’aristocratica naturalezza di un retaggio secolare. In un caso come nell’altro, la scelta degli aggettivi è significativa: donna “elegante nell’aspetto” (e non semplicemente pulchra), colta, eloquente e sicura di sé, Theofano appare subito lontana dal cliché della fanciulla pudica dagli occhi bassi e dal profilo altrettanto basso. Veri o falsi che siano, questi accenni ci restituiscono, se non la realtà storica, quantomeno qualcosa che le si avvicina molto: una figura dell’immaginario, il sogno di un oriente lontano e l’epifania di un impero antico, fuori dal tempo. Perché tale dovette apparire, in una giornata d’aprile, ai tanti che si accalcarono a San Pietro per ammirare il corteo nuziale.

 

Dalla cerimonia Theofano uscì non soltanto sposa, ma anche imperatrice. Ricevette infatti insieme al marito il sacramentale dell’incoronazione: in caso di morte del consorte o minore età dell’erede, sarebbe stata lei a reggere l’impero, in quanto coimperatrix augusta.

 

 

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Certificato di matrimonio di Ottone e Teofano (Staatsarchiv Wolfenbüttel 6 Urk 11). – 972 – Con questo documento, Ottone assegnò ampie terre nell’impero e in Italia a sua moglie come Morgengabe. Il documento presenta il testo in scrittura dorata su un fondo viola/porpora decorato con degli animali.

 Heiratsurkunde der Kaiserin Theophanu

non definito

Scena di lotta tra animali con parti dell’Eschatocol ( = parte finale di un documento ufficiale ) del documento- 972 –
Theomarriage2.JPG

 

 

 

 

A volte le iscrizioni riportano addirittura il titolo al maschile, Theophanius imperator augustus. È quindi associata al trono, anche se occorre intendersi su cosa ciò significhi. Theophano è consorte nell’impero, tuttavia cè un’asimmetria tra dignità politica e potere effettivo, quando si tratta di una donna. Theofano intercede, domanda, auspica, sollecita quegli atti di governo che il marito, benevolmente, in genere le concede; in particolare, opere pie e fondazioni monastiche, come nella tradizione delle sovrane bizantine. È speculum principis e come tale brilla, ma della luce riflessa del sovrano. Tuttavia, ciò non toglie che il potere – soprattutto per una donna, e per una donna raffinata e intelligente come Theofano – possa e in genere debba esercitarsi anche in forme più sottili e mediate: qualche anno dopo il matrimonio, Ottone II si firmerà non più semplicemente imperator ma imperator romanorum, una formula che poteva rivendicare grazie al lignaggio della moglie.

 

La vita dei basileis dell’impero d’oriente era legata indissolubilmente a Costantinopoli:

il Grande Palazzo; il corridoio nascosto che lo collegava al kathisma dell’Ippodromo; la basilica di Aghia Sophia. Quella dei sovrani germanici, invece, era una corte vagante e Theofano dovette adattarsi alle funzioni di rappresentanza che questo esercizio del potere comportava. L’immagine pubblica degli imperatori si definiva in questa frequentazione regolare con le grandi famiglie della nobiltà germanica: era la montagna ad andare da Maometto, insomma, e non il contrario come accadeva a Costantinopoli, dove la vita dei bizantini aveva nel palazzo dei basileis, sulle rive del Bosforo, il cuore pulsante dell’impero. Nella sua biografia di Theofano, Réginald Grégoire ricostruisce un esempio della sua ipotetica “agenda di lavoro”. Nell’estate del 973, a un anno dal matrimonio, la coppia imperiale si trova a Magdeburgo. Siamo fra il 4 e il 5 giugno. Il giorno dopo è a Oldenstadt, il giorno dopo ancora ad Halberstadt. Il 17 giugno raggiungono Lorsch e poi Worms, dove si fermano una decina di giorni per poi ripartire alla volta di Trebur e poi di Augusta. Il 22 agosto li troviamo a Metz, da dove, pochi giorni dopo, cominciano il viaggio di ritorno per svernare in Sassonia. La corte imperiale, per così dire, era sempre in tour.

 

 

 

In una formella d’avorio custodita al museo di Cluny (vedi immagine), Ottone e Theofano appaiono incoronati da Cristo. Imperatore e imperatrice sono rappresentati secondo l’iconografia dei basileis bizantini: la corona con i praependulia, il loros indossato da Theofano, la fissità ieratica delle figure. L’iscrizione recita: “Ottone imperatore dei Romani, Augusto” (in latino) e “Theofano, Imperatrice, Augusta” (in greco). Al lato femminile della rappresentazione è riservato il ruolo di custode della successione dinastica. L’imperatrice non ha funzioni ufficiali di governo, perché non lo prevedevano il diritto germanico e le consuetudini di corte. Ma il suo nome è una presenza costante negli atti giuridici della cancelleria imperiale, accanto a quello di Ottone.

Theofano darà alla luce cinque figli: Sofia, Adelaide, Matilde, Ottone e una bimba morta pochi mesi dopo la nascita e di cui si è perso il nome. Il figlio maschio arrivò per ultimo, nel luglio del 980. Ottone III sarà cresciuto ed educato nel culto della dignità imperiale, che egli identificò nelle glorie della Roma antica. Nella sua formazione, oltre all’abate benedettino Gerberto d’Aurillac (già precettore del padre e futuro papa Silvestro II), ebbe certamente un ruolo di rilievo, se non con ogni probabilità quello di maestra, la madre Theofano. Come ogni imperatore germanico, Ottone compirà il suo viaggio a Roma, ma non sarà il consueto pellegrinaggio di breve durata. Fedele al progetto paterno della renovatio imperii ed educato dalla madre nel culto della dignità imperiale, egli prenderà dimora stabile sul Palatino, dove terrà corte restaurando il cerimoniale romano e bizantino. Ma anche lui sarà costretto ad ammettere l’impossibilità di governare l’impero da Roma e ad abbandonare la città. Morirà prematuramente a soli 22 anni, nel gennaio del 1022.

 

Otto II. (cropped)– =  ritagliato– 985
Master of the Registrum Gregorii 

 

 

 

Nella scarna biografia che ricostruiamo dalle fonti, l’immagine di serenità degli augusti imperatori ogni tanto scricchiola, come un cristallo incrinato. Si intravedono screpolature che fanno intuire quanto deve essere stato difficile conciliare due modi di pensare, due concezioni del potere, due civiltà. Ottone II non aveva abbandonato le sue ambizioni sulla penisola. Sceso in Italia, penetrò nei territori bizantini e strappò Taranto ai Saraceni, che l’avevano occupata. Si preparò ad affrontare l’esercito dell’emiro di Palermo, sbarcato in Calabria, ma a Capo Colonne subì una rovinosa sconfitta ad opera dei Saraceni, appoggiati da mercenari bizantini. Quando tornò a corte e diede alla moglie la notizia della disfatta, Ottone fu travolto da un’ondata di ingiurie, parole sferzanti di indignazione per lo scarso valore dei germanici a fronte della forza e del coraggio dei suoi compatrioti, loro sì veri romaioi, romani, come si chiamavano i bizantini. Frustrato nelle sue ambizioni politiche, Ottone morirà pochi mesi dopo.

Theofano terrà a lungo le redini dell’impero, insieme alla suocera Adelaide. Dovrà fronteggiare l’ostilità della corte verso quella “greca” così altera; le ambizioni delle grandi famiglie della nobiltà germanica, che miravano a sottrarre il trono al piccolo Ottone, che allora aveva solo tre anni; il tentativo di usurpare il trono da parte di Enrico, zio di Ottone II; persino invidie e maldicenze sui suoi abiti sontuosi e gli splendidi gioielli. Nel 995, finalmente, suo figlio salirà al trono. Ma Theofano non poté assistere al proprio successo. Morì infatti il 15 giugno 991 a Nimega, a soli 33 anni. Devota e fervida credente, come da tradizione delle principesse di Bisanzio, spirò con il conforto spirituale dei suoi funzionari più fedeli, i vescovi Willigiso di Magonza e Hildibaldo di Worms.

 

 

 

Tassinari 2021

 

Storia illustrata di Spyros Theocharis (Autore), Chrysa Sakel (Illustratore), Emanuele Rizzardi (Traduttore)
Amazon

 

 

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LA 7 OTTO E MEZZO, Ospiti di Lilli Gruber: Paolo Mieli, *** Lina Palmerini, *** Lucio Caracciolo, Italo Bocchino, ***Andrea Scanzi

 

*** =  molto bravi

 

VIDEO, 36 minuti ca

https://www.la7.it/otto-e-mezzo/rivedila7/meloni-vince-per-la-sinistra-la-strada-e-lunga-otto-e-mezzo-puntata-1132024-11-03-2024-530801

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ORIANA PERSICO, IAQOS e la psicanalisi di quartiere: quando l’IA è uno specchio e vive in mezzo a noi –IL MANIFESTO  26 SETTEMBRE 2023

 

chiara : è una cosa nuova, io stessa sono un po’ a disagio di pubblicarla perché
non so neanche se ho compreso la metà di quello che mi viene detto, si tratta di una  “brutta copia ” da lasciare  nella testa e poi lavorarci sopra, piano piano- dico per chi è estraneo a questo mondo come me-

 

 

IL MANIFESTO  26 SETTEMBRE 2023
https://ilmanifesto.it/iaqos-e-la-psicanalisi-di-quartiere-quando-lia-e-uno-specchio-e-vive-in-mezzo-a-noi

 

IAQOS e la psicanalisi di quartiere: quando l’IA è uno specchio e vive in mezzo a noi

 

RESPIRO. La storia della prima Intelligenza Artificiale di Quartiere Open Source, nata a Roma, nel quartiere di Tor Pignattara

IAQOS e la psicanalisi di quartiere: quando l’IA è uno specchio e vive in mezzo a noi

 

RESPIRO è una nuova rubrica del manifesto. Un collettore di articoli che riflette sui dati e la computazione come fenomeni esistenziali, culturali e politici, per solleticare immaginari non estrattivi e un approccio ecosistemico alle nuove tecnologie. RESPIRO è la concatenazione di arte, politica, scienza, ricerca e innovazione – con pronunciate simpatie cyber.punk.eco.trans.femministe – ci convivono menti eterogenee. A cura di Oriana Persico.

Debora Pizzimenti è una giovane dottoranda in Scienze Cognitive presso l’Università di Messina. Si occupa di Media Education e di formazione, ed è membro dell’associazione nazionale italiana di Media Education (MED). I suoi interessi di ricerca, attualmente  incentrati sull’analisi dell’incitamento all’odio nelle piattaforme digitali, si interrogano sugli aspetti cognitivi dell’elaborazione linguistica con particolare riferimento al modo in cui i social network modifichino la lettura.

 

Tutto ciò la porta nel 2019 a seguire il progetto IAQOS: la prima Intelligenza Artificiale di Quartiere Open Source, nata a Roma, nel quartiere di Tor Pignattara, grazie al bando sperimentale periferiA Intelligente, varato dal MIC (Allora MIBACT) con l’obiettivo di mettere dati e intelligenza artificiale a servizio della rigenerazione urbana per migliorare la nostra qualità di vita.

 

 

Debora ha seguito il progetto da vicino, decidendo a sue spese di finanziare una missione di ricerca sul campo, iscrivendosi a un workshop e partecipando a uno degli eventi centrali del progetto: la nascita e il battesimo di IAQOS, avvenuto al SIP Bistrot il 31 marzo dello stesso anno ( 2019 ). Ne è nato un articolo illuminante che a suo tempo non è stato pubblicato. A IAQOS si devono concetti fondativi del Nuovo Abitare quali l’intelligenza artificiale di comunità, educazione collaborativa dei nostri agenti computazionali e ancora quelli di dati relazionali a “km 0” delineati in questo articolo.

 

video, 4.52 + interessante

apri qui

Roma: nasce la prima intelligenza artificiuale di quartiere

https://youtu.be/rzcAA6Fo7DE

 

Debora ne offre in questo articolo un’interpretazione illuminante che, a distanza di oltre tre anni, con il concetto di psicoanalisi di quartiere e il richiamo alle tecnologie del sé di Foucault è attuale quanto il progetto.

Eccone un estratto:

“IAQOS attua una vera e propria psicoanalisi del quartiere, genera una etnografia delle cose che le persone creano e/o amano, rilevando quali problemi, gioie o servizi sono utili al quartiere e a tutta la comunità. I dati delle IA vengono interpretati in maniera opaca, ed il problema centrale è che aziende come Facebook fanno ogni giorno tantissime ricerche di psicologia sociale ma i milioni di utenti iscritti a Facebook non sapranno mai di preciso come questi dati verranno letti, interpretati o a chi verranno venduti. La IAQOS, invece, sviluppa una visione dall’alto e la fa conoscere a tutti.

[…]

Le operazioni veicolate da IAQOS e gli elementi descritti fin qui, rappresentano una formula per attivare quel tipo di trasformazione di cui parla Foucault, e consentono di trasformare le tecnologie del potere, della produzione e dei sistemi dei segni in tecnologie del sé.

[…]

IAQOS, manifestandosi nello spazio pubblico con le sue installazioni, le performance di strada, gli eventi e i workshop, diventa uno di questi: una entità non umana con cui stabilire relazioni per eseguire questo tipo di operazioni. Con la sua psicanalisi di

quartiere, la giovane IA di Tor Pignattara non è una app o un servizio, è una tecnologia abilitante per lo sviluppo del benessere digitale e di nuove possibilità espressive, cognitive e di linguaggio”.

È solo il primo degli articoli che leggerete di questa giovane ricercatrice. È con lei che sperimenteremo un nuovo format di Respiro dedicato alla diffusione della ricerca e in particolare delle tesi di dottorato capaci di illuminare aspetti importanti della nostra esistenza, fenomeni culturali, politici, geopolitici, antropologici, economici, giuridici, sociali legati alle nostre esistenze tecnologicamente mediate dai dati e dalla computazione.

 

Scarica l’articolo in versione integrale

In attesa di scoprire questo nuovo format e il dottorato di Debora, ecco il suo articolo che ci ha gentilmente concesso di pubblicare.

Qui a Respiro non finiremo mai di parlare di dati relazionali e IA cyberdiverse, che vivono in mezzo a noi e raccontano un mondo potenziale, bloccato esclusivamente dal realismo dell’estrazione (la nostra immaginazione sociale) e dai nuovi oligopoli delle piattaforme globali (le forme del dominio e delle egemonie correnti).

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tiziana campodoni  @tizianacampodon – 8.28 13 marzo 2024 — una foto bellissima di Leonard Freed

 

 

mi è difficile star dietro a tutto il livello di idiozia,
livore e merda la fa da padrone cia’ New York City.

Old man from Eastern Europe. 1972. © Leonard Freed/Magnum Photos

 

 

Immagine

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eric van nyatten – link del suo sito, ny — 4 foto + Fever ( New York Jazz Lounge )

 

eric van nyatten – link del suo sito, ny

https://www.ericvannynatten.com/street-photography-1

 

 

 

 

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Fever

 

 

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ALCUNE POESIE DI MAHMOUD DARWISH ( 13 marzo 1941, Al-Birwa / 9 agosto 2008, Houston, Texas ) è considerato il maggiore poeta arabo contemporaneo, la sua vita, oltre che i suoi versi, testimoniano la tragedia del suo popolo.

 

 

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Mahmoud Darwish, scrittore palestinese considerato tra i maggiori poeti del mondo e testimone della tragedia del suo popolo : al-Birwa, suo villaggio natale, è stato distrutto dalle truppe israeliane durante la Nakba e ora non esiste più, né fisicamente né sulle cartine geografiche.

Fuggito in Libano con la famiglia, per scampare alle persecuzioni sioniste, tornò in patria (divenuta terra dello Stato d’Israele) da clandestino, non potendo fare altrimenti.
La sua condizione di “alieno” e di “ospite illegale” nel suo stesso paese rappresenterà uno dei capisaldi della sua produzione artistica.

Arrestato svariate volte per la sua condizione di illegalità e per aver recitato poesie in pubblico, Mahmoud – che esercitò anche la professione di giornalista – vagò a lungo, non avendo il permesso di vivere nella propria patria: Unione Sovietica, Egitto, Libano, Giordania, Cipro, Francia furono le principali nazioni dove il poeta, esule dalla sua terra, visse e lavorò.

Eletto membro del parlamento dell’Autorità Nazionale Palestinese, poté visitare i suoi parenti solo nel 1996, anno in cui – dopo 26 anni di esilio – ottenne un permesso da Israele.

Il poeta si spense a Houston (Texas) il 9 agosto 2008 in seguito a complicazioni post-operatorie. Mahmoud aveva infatti subito diversi interventi al cuore, l’ultimo dei quali gli fu fatale.

 

 

 

 

POESIE

 

 

A MIA MADRE

 

Mi manca il pane di mia madre

Il suo caffè

La sua carezza

Che cresce con la mia infanzia

Giorno dopo giorno

Amo la vita

Perché se morissi

Non sopporterei il pianto di mia madre!

Accoglimi se un giorno diventero’

Mascara per le tue ciglia

E coprimi le ossa di erbe

Portate dal tuo candido seno¨

E stringimi forte

Con una ciocca dei tuoi capelli

Sperando di diventare un dio

Diventero’ un dio …

Quando tocchero’ il fondo del tuo cuore

E quando tornero’, usami come combustibile

Per rinvigorire il fuoco

Come filo da bucato sul terrazzo di casa

Perché non posso resistere senza le tue preghiere

Sono invecchiato

Ridammi le stelle dell’infanzia

Perché possa condividere coi giovani uccelli

La strada del ritorno

Verso il nido della tua attesa!

 

 

TI HO SCONFITTO, MORTE 

O morte, siediti e aspetta.
Prendi un bicchiere di vino e non trattare.
Una come te non tratta con nessuno,
uno come me non si oppone alla serva dell’invisibile.
Prendi fiato… forse sei spossata da questo giorno
di guerra astrale. Chi sono io perché tu mi faccia visita?
Hai tempo di esplorare il mio poema? No. Non è affar tuo
Tu sei responsabile della parte d’argilla
dell’uomo, non delle sue opere o delle sue parole.
O morte, ti hanno sconfitta tutte le arti.
Ti hanno sconfitta i canti della Mesopotamia,
l’obelisco dell’Egizio, le tombe dei Faraoni,
le incisioni sulla pietra di un tempio ti hanno sconfitta,
hanno vinto, ed + sfuggita ai tuoi tranelli
l’eternità…
e allora fa’ di noi, fa’ di te ciò che vuoi.

 

 

 

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PENSA AGLI ALTRI

Mentre prepari la tua colazione, pensa agli altri,

non dimenticare il cibo delle colombe.

Mentre fai le tue guerre, pensa agli altri,

non dimenticare coloro che chiedono la pace.

Mentre paghi la bolletta dell’acqua, pensa agli altri,

coloro che mungono le nuvole.

Mentre stai per tornare a casa, casa tua, pensa agli altri,

non dimenticare i popoli delle tende.

Mentre dormi contando i pianeti , pensa agli altri,

coloro che non trovano un posto dove dormire.

Mentre liberi te stesso con le metafore, pensa agli altri,

coloro che hanno perso il diritto di esprimersi.

Mentre pensi agli altri, quelli lontani, pensa a te stesso,

e dì: magari fossi una candela in mezzo al buio.

 

 

 

CARTA D’IDENTITA’

 

Ricorda !

la mia identità è araba

E la mia carta d’identità è la numero cinquantamila

Ho otto bambini

E il nono arriverà dopo l’estate.

ti irriti?

Ricorda!

la mia identità è araba,

e con i compagni della miseria lavoro in una cava

Ho otto bambini

Dalle rocce

Ricavo il pane,

I vestiti e I libri.

Non chiedo la carità alle vostre porte

Né mi umilio sui gradini della vostra camera

Perciò, sarai irritato?

Ricorda!

la mia identità è araba,

Ho un nome senza soprannomi

vivo con pazienza in paesi

La cui gente è arrabbiata.

Le mie radici

esistono da prima delle ere,

da prima dei cipressi e degli olivi

da prima che crescesse l’erba.

Mio padre… viene dalla stirpe dell’aratro,

Non da un ceto privilegiato

e mio nonno, era un contadino

né ben cresciuto, né ben nato!

mi insegnò la dignità

Prima di insegnarmi a leggere,

la mia casa (da guardiano) è semplice

fatta di canne e rami

sei soddisfatto del mio stato?

Ho un nome senza titolo!

Ricorda!

la mia identità è araba,.

le mie caratteristiche sono

capelli color carbone

occhi color marrone

la testa avvolta in una kefyah

ruvido come la pietra il palmo della mia mano

graffia chi lo tocca.

e il mio indirizzo

è quello di un villaggio abbandonato

le sue strade non hanno nomi

e tutti i suoi uomini sono a lavorare la pietra

Questo ti fa irritare?

Ricorda,

la mia identità è araba

E tu hai rubato gli orti dei miei antenati

E la terra che coltivavo

Insieme ai miei figli,

Senza lasciarci nulla

se non queste rocce,

E il vostro governo prenderà anche queste,

Come si era sentito dire.

Perciò!

Scrivilo in cima alla tua prima pagina:

Io non odio la gente

e non ho mai abusato di alcuno

ma se avrò fame

mangerò pure la carne del mio boia

Attenzione…Guardati!

dalla mia collera

E dalla mia fame!

(Traduzione Khalil Tayeh 4-6-2015)

 

 

 

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PROFUGO

Hanno incatenato la sua bocca

e legato le sue mani alla pietra dei morti.

Hanno detto: “Assassino!”,

gli hanno tolto il cibo, le vesti, le bandiere

e lo hanno gettato nella cella dei morti.

Hanno detto: “Ladro!”,

lo hanno rifiutato in tutti i porti,

hanno portato via il suo piccolo amore,

poi hanno detto: “Profugo!”.

Tu che hai piedi e mani insanguinati,

la notte è effimera,

né gli anelli delle catene sono indistruttibili,

perché i chicchi della mia spiga che va seccando

riempiranno la valle di grano.

 

UNA LEZIONE DI KAMASUTRA

Con la coppa incastonata d’azzurro

aspettala

vicino alla fontana della sera e ai fiori di caprifoglio,

aspettala

con la pazienza del cavallo sellato,

aspettala

con il buon gusto del principe raffinato e bello

aspettala

con sette cuscini pieni di nuvole leggere,

aspettala

con il foco dell’incenso femminile dappertutto

aspettala

con il profumo maschile di sandalo sui dorsi dei cavalli,

aspettala.

E non spazientirti. Se arriva in ritardo

aspettala,

se arriva in anticipo

aspettala

e non spaventare gli uccelli sulle sue trecce,

e aspettala

ché si sieda rilassata come un giardino in fiore,

e aspettala

ché  respiri un’aria estranea al suo cuore,

e aspettala

fino a che non sollevi il suo vestito scoprendo le gambe

nuvola dopo nuvola,

e aspettala

e portala su un balcone per vedere una luna annegata nel latte,

e aspettala

e offrile l’acqua prima del vino e non

guardare il paio di pernici che le dormono sul petto,

 e aspettala

e accarezza lentamente la sua mano

quando poggia la coppa sul marmo

come se sollevassi la rugiada per lei,

e aspettala

e parlale come il flauto

alla coda spaventata del violino,

come due testimoni di ciò che il domani vi prepara,

e aspettala

e leviga la sua notte anello dopo anello,

e aspettala

fino a che la notte non ti dica:

Al mondo siete rimasti soltanto voi due.

Allora portala dolcemente alla tua morte desiderata

e aspettala….!

 

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TOMASO MONTANARI, PIETRE & POPOLO::Israele e Palestina: la vittima collaterale è la nostra lingua. DUE LIBRI PER RITROVARE UN SENSO–IL FATTO QUOTIDIANO  11 MARZO 2024

 

IL FATTO QUOTIDIANO  11 MARZO 2024

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2024/03/11/israele-e-palestina-la-vittima-collaterale-e-la-nostra-lingua/7474947/

 

PIETRE & POPOLO

 

 

 

 

Israele e Palestina: la vittima collaterale è la nostra lingua.

 

DUE LIBRI PER RITROVARE UN SENSO – Guerra. Dopo massacro e rappresaglia, le parole della pace sono impronunciabili: torniamo a cercarle in due recenti testi tradotti dalla lingua inglese e dall’ebraico

 

Tra le conseguenze del massacro palestinese perpetrato il 7 ottobre scorso e della smisurata rappresaglia israeliana tuttora in corso, si conta la crescente impossibilità di trovare una lingua comune per parlare dalla parte della pace possibile. La strage, giorno dopo giorno, si mangia anche le nostre parole, e diventa sempre più remota la possibilità di capire l’altro: ineludibile primo passo per costruire la pace.

Qualche giorno fa una lettera del presidente della comunità ebraica di Firenze, Enrico Fink, ha criticato con durezza le parole usate durante un importante incontro su Pace e giustizia in Medio Oriente, tenutosi a Palazzo Vecchio.

(1) al fondo riportiamo per chi interessasse La lettera di Enrico Fink

Fink ha l’uso di “parole e concetti mutuati irresponsabilmente dalla Shoah – dall’uso della parola ‘genocidio’ come fosse un sostantivo qualunque, fino, in una progressione che sarebbe comica se non fosse spaventosa, all’uso sistematico delle parole di Primo Levi fuori contesto”.

 

Visti il livello altissimo degli oratori di quel convegno (tra gli altri gli israeliani Ilan Pappe e Sarit Michaeli, e i palestinesi Ruba Salih e Mustafa Barghouti), e la qualità e l’onestà intellettuale di Fink, è necessario chiedersi come sia possibile superare questo muro di reciproca non comprensione, ritrovando il linguaggio comune che pure era stato, faticosamente, costruito.

In questo tentativo, difficile ma ineludibile, possono forse aiutare due recenti e importanti traduzioni, una dall’inglese e una dall’ebraico. La prima rende disponibile un saggio a più mani, uscito nel 2019 presso Columbia University Press e ora tradotto da Zikkaron, la casa editrice della Comunità di Monte Sole fondata da Giuseppe Dossetti (Olocausto e Nabka. Narrazioni tra storia e trauma, a cura di B. Bashir, A. Goldberg, 2023).

L’urgenza che muove i promotori della traduzione sta – nelle parole del discorso di Dossetti all’Archiginnasio (1986) – nella “memoria indelebile dell’olocausto ebraico” e “nella lucida consapevolezza che … il nostro mondo occidentale ha commesso, e continua a commettere, nei confronti degli arabi palestinesi un’enorme ingiustizia”.

Nel libro, autori arabi e israeliani si interrogano sulle connessioni storiche, culturali, politiche tra Shoah e Nakba (la “catastrofe”, cioè l’esodo dei Palestinesi provocato dalla fondazione di Israele nel 1948), distinguendo continuamente tra due tragedie radicalmente diverse, ma anche connettendole attraverso il discorso che le riguarda dentro e fuori le due comunità.

Una riflessione alta e documentata sugli effetti del trauma, e sulle modalità attraverso i quali se ne fa memoria. Tutto il libro ruota intorno alle parole di Edward Said per cui sebbene massacro di massa non possa essere equiparato a una espropriazione di massa, tuttavia questi due eventi “sono connessi”.

Una connessione che l’eccidio di questi mesi a Gaza – per cui la Corte dell’Aja ha giudicato “plausibile” l’uso della parola “genocidio” – non può che riportare alla luce: il punto è farlo non per ferire l’altro, ma per comprenderlo. Tendendo, cioè, alla possibile convivenza, non all’annullamento altrui.

Nella premessa, i due curatori ( B. Bashir, A. Goldberg, professori di storia e teoria politica in due università israeliane di Gerusalemme) citano una frase del grande poeta ebreo Avot Yeshurun:

“L’Olocausto degli ebrei d’Europa e l’Olocausto degli arabi in terra d’Israele sono un unico olocausto del popolo ebraico. Entrambi guardano uno all’altro diritto in faccia”. E commentano: “Non sono mai state scritte parole più potenti in ebraico su questo argomento”.

 

Il secondo libro (Mahmud Darwish, Con la lingua dell’altro, a cura di Francesca Gorgoni, Portatori d’acqua, 2023) è una lunga intervista data nel febbraio 1996 dal massimo poeta palestinese alla traduttrice e editrice israeliana Helit Yeshurun, figlia di Avot: una conversazione meravigliosa che si svolse in ebraico, “la lingua dell’altro” – proprio quello che oggi sembra impossibile. È un dialogo vero, aperto: a tratti durissimo e cupo, a tratti tenero e pieno di speranza. Molti sono i passaggi nei quali i due non riescono a capirsi: ma non viene mai meno la volontà di provarci. Una volontà tenace, per la quale non si trova una parola diversa da ‘amore’. Darwish è felice che le sue poesie siano state tanto spesso tradotte dall’arabo all’ebraico, ma nota come un errore (un melograno che diventa “granata”, nel senso di bomba…) sveli la visione stereotipata per cui se un palestinese usa quella parola pensa certo a una bomba, non al frutto.

E tuttavia non si spegne la coscienza che – dice il grande poeta nazionale palestinese, parlando la lingua dell’altro – “siamo due popoli nati per essere soggetti poetici. Giunti al gioco politico, abbiamo iniziato a litigare. Quando faremo pace rideremo di tutto questo … Gli israeliani non sono più le stesse persone di quando arrivarono, e i palestinesi non sono più le stesse persone di un tempo. Nell’uno si trova l’altro”. Dirlo oggi sembra quasi impossibile: ma non c’è un’altra strada. A parte il massacro.

 

 

 

NOTA 1-

(1) LETTERA DI ENRICO FINK

DA : 

OSSERVATORIO ANTISEMITISMO – 29 FEBBRAIO 2024

Lettera di Enrico Fink Presidente della Comunità Ebraica di Firenze ai membri del Consiglio Comunale di Firenze

 

CHI E’ IL PRES. DEL CONS. COMUNALE NOMINATO NELLA LETTERA

Luca Milani
Presidente del Consiglio comunale
Gruppo consiliare Partito Democratico
https://www.comune.fi.it/pagina/luca-milani

 

 

Lettera di Enrico Fink Presidente della Comunità Ebraica di Firenze ai membri del Consiglio Comunale di Firenze

Autore:   Enrico Fink

Gentili membri del Consiglio Comunale di Firenze

e p.c. gentile Sindaco, Dario Nardella

Vi scrivo cercando, al meglio delle mie capacità, di interpretare sentimenti largamente condivisi nella generalità della Comunità che rappresento.

Passato il Sabato, le cui regole ci impedivano di essere presenti all’evento del 24 febbraio scorso, abbiamo ascoltato la registrazione del convegno “Pace e giustizia in Medio Oriente” con un crescente senso di inquietudine e amarezza. Alla fine dell’ascolto, il sentimento prevalente era quello di profonda delusione per il percorso intrapreso con questo Consiglio, percorso che ci aveva visto anche partecipi nel co-organizzare il primo appuntamento. Avevamo appreso e compreso da parte del Presidente del Consiglio Comunale il desiderio di articolare una riflessione sulla pace su più appuntamenti, concentrandosi via via su temi specifici – così avevamo voluto fare la nostra parte, uscendo dal ruolo proprio di una comunità ebraica che, come non ci stanchiamo di ripetere, non rappresenta parti in causa in questo o in altri conflitti, ma collaborando con l’associazione Italia Israele per portare a Firenze una coppia di persone impegnate da decenni sul campo per favorire dialogo e convivenza fra palestinesi e israeliani. Era una scelta non scontata (come non era certo scontato per l’associazione Italia Israele portare al Comune di Firenze come relatori persone notoriamente all’opposizione dell’attuale governo); ma ci tenevamo a fare la nostra parte riconoscendo, o credendo di riconoscere, la volontà da parte del Consiglio di creare una riflessione degna della storia fiorentina, originale e davvero capace di costruire ponti di dialogo e comprensione reciproca.

Ecco dunque il motivo dell’amarezza e della delusione. Non certo perché si è parlato del dramma dei palestinesi, perché ancora una volta ribadiamo che com’è del tutto naturale ci stanno a cuore i diritti, la pace e la serenità di tutta la regione, di tutti i suoi abitanti, ebrei cristiani o musulmani, israeliani o palestinesi, e la morte di qualunque essere umano ci crea angoscia indipendentemente dalla sua religione o cultura o nazionalità. No, l’amarezza è cresciuta man mano che diventava sempre più chiaro che invece di cercare prospettive di pace si riproponeva per l’ennesima volta una sterile narrativa completamente di parte, volta non al riconoscimento delle aspirazioni e dei diritti di tutti, ma alla calunnia, al veleno non solo contro le scelte politiche di un governo, ma contro l’idea stessa dell’esistenza ebraica nella regione, portando avanti anche nel linguaggio la politica di rovesciamento delle responsabilità e della sostituzione delle vittime che spinge il campo anti israeliano ad assumere continuamente parole e concetti mutuati irresponsabilmente dalla Shoà – dall’uso della parola “genocidio” come fosse un sostantivo qualunque, fino, in una progressione che sarebbe comica se non fosse spaventosa, all’uso sistematico delle parole di Primo Levi fuori contesto, per arrivare in un tripudio di applausi della sala all’arruolamento nell’immaginario antiebraico della povera Anne Frank, a cui diciamocelo, mancava solo questo. Gli applausi sono stati appunto un elemento significativo dell’amarezza provata: assistiamo da tempo a una deriva con cui una parte del mondo italiano, evidentemente seccata dal “troppo” parlare del fascismo e dei suoi crimini in questi ultimi vent’anni di Giorno della Memoria, si sente sollevato e quasi esilarato nel potersi finalmente sfilare dall’imbarazzante peso della ricostruzione delle proprie responsabilità collettive, e rovescia sulle vittime di ieri un mal digerito e mal diretto senso di colpa. Niente di nuovo, ma non ci aspettavamo di trovare il Consiglio Comunale partecipe di questo processo.

Ma ancora tutto questo, pur grave in un contesto di crescita rapidissima di episodi di antisemitismo sul nostro territorio nazionale e locale, non ci avrebbe spinto a scrivervi, oggi. Ciò che è veramente insostenibile per noi non come Comunità Ebraica ma più semplicemente come gruppo di cittadini che si era affidato a questo Consiglio e aveva pensato di partecipare a un percorso di riflessione sulla pace, è stato ascoltare la progressiva crescita nel Salone dei Cinquecento di una retorica di guerra.

Le affermazioni del professor Pappé, che invitano a gioire della “imminente fine” del “regime” rappresentato dallo Stato d’Israele, invocando un “fronte unico” del mondo arabo e, con frasi rilanciate da Francesca Albanese, la “rottura della diga” che porterà a un unico “stato di Palestina fra il Giordano e il mare”, stato dove (bontà loro) potranno avere cittadinanza anche quegli ebrei che non siano “i sionisti”, sono un concreto invito alla violenza.

Di più, sono l’antica e stantia retorica massimalista e trionfalista che, come Pappé ha ribadito, proclama “impossibile la pace” con Israele. Quelle parole, queste false idee di imminente vittoria e di rifiuto del compromesso e della pace non sono ammissibili nel consesso civile del Salone dei Cinquecento. Mentre il professor Pappé sparge odio dal suo esilio dorato in terra d’Inghilterra, a Gaza, in Israele, le persone muoiono. Il sangue scorre e parte della responsabilità morale è nei cattivi maestri che da troppo tempo incitano gli estremisti e mortificano e i veri pacifisti in entrambi i campi. Che il Presidente del Consiglio Comunale abbia assistito silente a queste affermazioni, di più, abbia applaudito e stretto mani dando evidente sostegno alle parole espresse, è una vergogna verso le vittime palestinesi prima ancora che israeliane. Ognuno è libero di esprimere le sue idee, ci mancherebbe: ma in un contesto di poca e cattiva informazione sulla storia di quella regione, permettere che quelle parole malate fossero espresse senza nemmeno un commento, sotto una patina di finto pacifismo, ascoltate non solo dal pubblico in sala ma da centinaia e forse più di singoli e gruppi d’ascolto in tutta la città, applaudite e condivise senza comprenderne il portato di violenza, il portato di sangue – tutto ciò è una responsabilità gravissima. L’entusiasmo con cui una parte della città, mal guidata e mal consigliata, ha accolto e accoglie queste parole che continuano a rimbalzare sui social del nostro associazionismo, ci fa sentire, per la prima volta da decenni, isolati, accusati, nemici quasi, nella nostra città.

Di fronte a simili avvenimenti, la più naturale reazione sarebbe chiudere rapporti e collaborazioni con gli organismi responsabili. Ancora una volta, la violenza verbale e ideologica di chi sotto falsa pretesa di pacifismo invoca in realtà la guerra, tende a tappare la bocca prima di tutto a chi la pace ha veramente nel cuore.

Qualche giorno fa, però, abbiamo appreso con sgomento un’altra, diversa notizia non direttamente collegata:

la consegna a Stefano Jesurum a Milano di una lettera anonima minacciosa, che paventava il suo diventare “pietra d’inciampo” davanti al suo portone.

Lo cito perché Jesurum è un esempio classico di persona impegnata nel dialogo e nel riconoscimento dei diritti di entrambe le parti nel conflitto israelopalestinese; e non è un caso che riceva queste minacce – sono gli operatori di pace i veri nemici degli estremisti. E allora, per opporsi a questa deriva e anche in solidarietà a Stefano, crediamo non ci si debba ritirare dall’impegno. Anzi, si debba restare, tutti noi impegnati veramente nella pace, come “pietre d’inciampo”, come un disturbo nel fluire troppo facile delle parole d’odio e di violenza che, questa volta, hanno trovato casa anche purtroppo nelle stanze del nostro Comune.

Pietre d’inciampo contro i cattivi maestri, per una prospettiva vera, indispensabile di pace.

Enrico Fink

Presidente della Comunità Ebraica di Firenze

 

 

NOTA – 2

DA :

“Pace e Giustizia in Medio Oriente – focus Palestina”

https://www.comune.fi.it/comunicati-stampa/pace-e-giustizia-medio-oriente-focus-palestina

 

ESTRATTO DI UNA PARTE DELL’INTERVENTO DEL PRESIDENTE MILANI

 

All’incontro parteciperanno relatori di statura internazionale come

Francesca Albanese (Special Rapporteur delle Nazioni Unite sui Territori Palestinesi Occupati),
Ruba Salih (accademica palestinese, antropologa all’Università di Bologna, esperta di questioni di genere e di diritto),
Mustafa Barghouti (definito il Gandhi di Palestina, è stato candidato al Premio Nobel per la Pace nel 2010. Oggi è membro del Consiglio legislativo palestinese),
Ilan Pappé (storico israeliano di altissimo livello internazionale, professore cattedratico nel Dipartimento di Storia dell’Università di Exeter) e
Sarit Michaeli (rappresentante di B’tselem, organizzazione israeliana riconosciuta a livello internazionale per il proprio impegno a favore del rispetto e della promozione dei diritti umani dei palestinesi).

A coordinare l’incontro sarà Manfredi Lo Sauro, in rappresentanza della Rete Pace e Giustizia in Medio Oriente.

 

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La serie “Shot on iPhone” di Eric Van Nynatten, fotografo di New York — di Michelle Joubert-Martin, 9 febbraio 2018 – — Blog ORMS Connect

 

 

 

 

Il blog fotografico di Orms

Eric Van Nynatten’s “Shot on iPhone” Series

 

 

 

A proposito di questa serie Eric ha detto: “Per questa serie di foto scattate su iPhone, volevo spingere al massimo le capacità dell’iPhone e vedere se potevo ottenere gli stessi risultati della mia fotocamera mirrorless full-frame, dallo scatto in ambienti ideali con luce solare a condizioni di scarsa illuminazione. -condizioni di luce. Durante le riprese in condizioni di bufera di neve, l’iPhone 8 Plus sorprendentemente non si è bloccato o si è bloccato, il che è un notevole miglioramento rispetto ai modelli precedenti che ho avuto. Tutte le immagini sono state scattate su iPhone 8 Plus e modificate utilizzando le app VSCO e Snapseed per iOS.”

Se desideri vedere altri lavori di Eric, puoi visitare il suo  sito Web , seguirlo su  Instagram o  Behance .

Se hai bisogno di un po’ più di ispirazione per iniziare, non perderti il ​​nostro post di Dan Mace all’inizio di questa settimana intitolato; “Vlogging nel passato” .

 

 

 

 

ALCUNE FOTO DI QUELLE PUBBLICATE DAL BLOG —

IL SERVIZIO INTERO LO TROVATE NEL LINK

 

 

 

 

 

La serie "Shot on iPhone" di Eric Van Nynatten

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Enrica Battifoglia, Un vento stellare soffia via il gas da una culla di pianeti. Impedisce che si formino giganti gassosi- — ANSA.IT  – 12 MARZO 2024 – 15.46

 

 

ANSA.IT  – 12 MARZO 2024 – 15.46
https://www.ansa.it/canale_scienza/notizie/spazio_astronomia/2024/03/12/un-vento-stellare-soffia-via-il-gas-da-una-culla-di-pianeti_17c2d44a-9296-48a5-8fd0-2f44e224a6e1.html

 

 

Un vento stellare soffia via il gas da una culla di pianeti.

 

Impedisce che si formino giganti gassosi

di Enrica Battifoglia

 La nebulosa di Orione vista dal telescopio spaziale James Webb (fonte: NASA/ESA/CSA/S. Fuenmayor/PDRs4All) –

 

Il vento fatto di raggi ultravioletti che soffia da alcune stelle, sta cancellando per sempre la possibilita’ che in un baby sistema planetario possano nascere pianeti gassosi simili a quelli del nostro Sistema Solare, come Giove, Saturno, Urano e Nettuno.

 

Sta accadendo attorno a una stella che si trova nella nebulosa di Orione, distante circa 1500 anni luce, e il processo proseguira’ circa per un milione di anni.

 

La scoperta, pubblicata sulla rivista Science, si deve alla ricerca coordinata dal gruppo di Olivier Berne’, astrofisico e planetologo dell’Universita’ francese di Tolosa e del Consiglio nazionale delle ricerche francese Cnrs.

Nella scoperta sono state fondamentali le osservazioni fatte con il telescopio spaziale James Webb, di Nasa, Agenzia Spaziale Europea e agenzia spaziale canadese Csa, e con il radiotelescopio Alma dello European Southern Observatory che si trova sulle Ande cilene.

I raggi ultravioletti generati da stelle vicine stanno strappando i gas dal disco destinato a dare origine a un futuro sistema planetario. Di solito, fenomeni simili avvengono quando i dischi protoplanetari, ossia i dischi di gas e polveri dai quali nasceranno i pianeti, vengono riscaldati da raggi X o ultravioletti, che aumentano la temperatura del gas e lo fanno fuoriuscire dal sistema.

Sulla base dei dati dei telescopi, gli autori della ricerca hanno ottenuto un modello del disco protoplanetario osservato nella nebulosa di Orione, indicato con la sigla d203-506 e secondo il quale il gas sara’ eliminato nell’arco di un milione di anni e, con esso, la possibilita’ che il futuro sistema planetario potra’ avere pianeti giganti.

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ALFRED KUBIN, Confessioni di un’anima tormentata. Mostra a Vienna al Leopold Museum, 2022 – +++ richardchance84, LA VALIGIA DELL’ARTISTA, 8 SETTEMBRE 2022 ( link sotto ) :: un testo su Alfred Kubin che ho trovato ” bellissimo “.- + Adelphi, L’altra parte di Alfred Kubin

 

 

video, 0.51  VIDEO DELLA MOSTRA A VIENNA LEOPOLD MUSEUM, APRILE 2022

 

 

«Le sue opere ci confrontano fra l’altro con violenza, devastazioni belliche, epidemie, catastrofi naturali, manipolazione delle masse e abissi dell’io: visioni pessimistiche che – liberamente ispirate a Schopenhauer, filosofo ammirato da Kubin – abbozzano il peggiore dei mondi pensabili, e sono più attuali che mai nell’attuale situazione gepolitica».

Hans-Peter Wipplinger, curatore della mostra a Vienna

 

 

 

L’orrore
Alfred Kubin
1902. Inchiostro, acquarello e spray su carta

 

 

 

 

 

 

«Verso l’ignoto» (1900-1901) di Alfred Kubin
Inchiostro, acquarello

 

 

 

 

Alfred Kubin, The Lady on the Horse, c. 1900/01 © Städtische Galerie im Lenbachhaus und Kunstbau München

 

 

 

La Morte come un Cavaliere
Alfred Kubin
1906. Guazzo su carta

 

 

le immagini e il video sopra sono di :

LEOPOLD MUSEUM
https://www.leopoldmuseum.org/en/collection/highlights/127

 

 

 

 

SEGUE DA 

 LA VALIGIA DELL’ARTISTA:

8 SETTEMBRE 2022
https://lavaligiadellartista.com/2022/09/08/alfred-kubin-artista-dellincubo/

 

 

 

 

Alfred Kubin, artista dell’incubo

 

 

 

Ancor prima di compiere vent’anni, aveva già sofferto le pene che molte persone non soffrono nel corso d’una vita intera. La tisi gli aveva portato via la madre davanti ai suoi stessi occhi, a scuola era una catastrofe, frequenti crisi di nervi gli rendevano insopportabile il quotidiano, il padre lo disprezzava e picchiava regolarmente ; persino il suo tentativo di suicidio aveva fatto cilecca. Fosse divenuto un reietto, un poco di buono, un alcolizzato, addirittura un criminale, come non riuscire a compatirlo ?

E invece lui aveva trovato la forza di combattere i propri demoni, lui aveva scoperto come trasformare le proprie angosce e paure in qualcosa di profondo, unico, originalissimo, qualcosa che a suo modo poteva essere considerato bello. Dedicando la propria vita alla pittura, al disegno, alla scrittura, dedicando la propria vita all’arte, Alfred Kubin aveva potuto tenere a bada i pensieri più bui che non gli davano pace, e dare una personalissima espressione a ciò che medici e studiosi dell’epoca si sforzavano di sondare con gli strumenti della scienza, gli abissi dell’animo umano.

 

 

Era nato nel 1877 in una cittadina della Boemia, regione dell’Europa centrale oggi facente parte della Repubblica Ceca e allora inglobata nell’Impero austro-ungarico, ma presto si era spostato con la famiglia prima a Salisburgo e poi a Zell am See, villaggio a 700 metri d’altitudine adagiato tra i declivi delle Alpi Nord-orientali e le sponde di un lago. Suo padre, ufficiale dell’esercito imperiale riconvertito in geometra a servizio del governo, vi era stato trasferito in pianta stabile, e così il piccolo Alfred lo aveva seguito con la madre pianista.

 

 

Il Sonno
Alfred Kubin
1901/02. Inchiostro, acquarello e spray su carta

Gli anni della prima infanzia erano trascorsi senza troppi intoppi, tra qualche marachella a scuola e la gelosia verso le sorelle più giovani, ma la sfortuna volle che un evento traumatico perturbasse la vaga spensieratezza in cui era fino ad allora vissuto. Alfred Kubin aveva infatti appena dieci anni allorché fu testimone dell’atroce calvario patito dall’amatissima madre, spirata nel proprio letto di malattia polmonare : la vista della donna agonizzante, poi della sua salma trascinata per casa dal padre in preda alla disperazione, provocò in lui uno shock talmente forte da segnarlo per il resto dei suoi giorni.

 

 

Da lì divenne instabile, irrequieto, introverso, insomma il ragazzino recalcitrante agli obblighi scolastici e attirato dalla violenza dei cataclismi naturali, i temporali, gli incendi, gli straripamenti di fiumi ; ancor più intensa, poi, era la fascinazione che provava verso i corpi in decomposizione ripescati nel lago o le carcasse d’animali esposte in macelleria. A placare i suoi tormenti, o per meglio dire a offrirgli un poco di distrazione, pareva essere l’attività immaginativa, fonte delle sue prime prove artistiche : il giovane Kubin aveva iniziato a disegnare.

 

Nell’ignoto
Alfred Kubin
1900/01. Inchiostro, acquarello e spray su carta

( VEDI SOPRA PIU’ GRANDE )

 

 

Ma la morte della zia, che suo padre aveva sposato in seconde nozze a un anno dal decesso della moglie, e soprattutto il rapporto conflittuale con la tata della sua sorellina, complicarono ulteriormente la già difficile situazione famigliare, al punto che il genitore decise di mandarlo a studiare presso la scuola d’arti decorative di Salisburgo – probabilmente mosso più dal desiderio di sbarazzarsene presto che da sincera apprensione paterna. Qui i suoi risultati scolastici migliorarono, e stare lontano dalle botte del padre gli fece solo del bene ; quando poi gli venne proposto d’entrare come apprendista presso lo studio fotografico d’uno zio adottivo, accolse l’opportunità con grande entusiasmo. E se della tecnica fotografica riuscì a imparare poco e niente, confinato com’era a mansioni di pura manovalanza, quattro anni di lavoro in bottega gli servirono a conoscere meglio le dinamiche interpersonali.

 

L’essere umano
Alfred Kubin
1902. Inchiostro, acquarello e spray su carta

L’avvicinarsi all’età adulta, tuttavia, non placò le sue trepidazioni ed esplosioni d’angoscia, le quali con il tempo si aggravarono portandolo addirittura a un passo dal togliersi la vita – fu l’inceppamento della rivoltella con cui provò a spararsi in testa che lo fece desistere dal terribile proposito. E quindi cosa fare, all’alba dei vent’anni, emotivamente fragile e senza veri progetti per il futuro ? Fu su consiglio d’un vecchio amico di famiglia, nonché grazie al bel gruzzoletto di denaro ricevuto in eredità dai nonni, che nel 1898 Alfred Kubin scelse d’iscriversi all’Accademia di pittura di Monaco di Baviera. Lui a dire il vero non ci aveva pensato, non aveva pensato di fare dell’arte la propria professione : disegnare gli piaceva, aveva anche un certo talento, ma mai avrebbe immaginato che fosse quella la sua strada.

 

 

Eppure, una volta giunto nella capitale bavarese e visitata la vecchia pinacoteca cittadina, gli si schiuse davanti agli occhi un mondo nuovo, veloce, esuberante, un mondo di feste, concerti, circoli d’intellettuali, teatri di varietà, un mondo da cui egli fu subito avvinto. Alle lezioni in Accademia andava poco, preferiva lavorare per conto proprio, oppure bighellonare per musei e gallerie d’arte e scoprire le opere di quelli che sarebbero diventati i suoi pittori di riferimento : Max Klinger, James Ensor, Odilon Redon e l’immancabile Francisco Goya.

Nei momenti di solitudine, invece, quando le vecchie insicurezze tornavano a farsi sentire, trovava consolazione nella lettura ; Arthur Schopenhauer, all’epoca il filosofo di lingua tedesca più in voga, era l’autore che considerava per favorito, alla stregua d’un padre spirituale.

 

L’orrore
Alfred Kubin
1902. Inchiostro, acquarello e spray su carta

Malgrado però il grande darsi da fare, malgrado l’ardore che metteva nella propria formazione artistica e intellettuale, Kubin aveva l’impressione di non essere all’altezza della carriera in cui si era imbarcato. Rispetto ai grandi artisti presi a modello, Kubin continuava a sentirsi distante, minuscolo, decisamente inadeguato. Quando allora il ricco amatore d’arte Hans von Weber, conosciuto per il tramite dell’amico poeta Maximilian Dauthendrey, si presentò al suo domicilio e gli acquistò ottanta lavori d’un sol colpo, per lui fu un successo di cui faticò a capacitarsi : stava accadendo veramente ?

 

 

Merito del passaparola scaturito dal felice evento, il suo nome iniziò a circolare tra collezionisti e appassionati, e in breve tempo il giovane artista venuto dalle montagne oltreconfine fece breccia nella buona società bavarese. I disegni grigiastri raffiguranti creature mostruose e situazioni grottesche partoriti dalla sua fantasia macabra non corrispondevano certo alle scene solari e colorate solitamente scelte per decorare il salotto di casa, eppure c’era in loro un disagio, una malinconia, un senso d’abbandono, c’era una presenza sinistra, una forza inquietante, un’ironia disperata, l’ironia del condannato a morte che sorride al boia sul patibolo… insomma nelle opere di Alfred Kubin c’erano gli ingredienti giusti per conquistare il pubblico borghese d’inizio ventesimo secolo – lo stesso pubblico che scopriva con interesse gli studi del neurologo Sigmund Freud appena divulgati nel saggio L’interpretazione dei sogni.

 

 

La Morte come un Cavaliere
Alfred Kubin
1906. Guazzo su carta

 

 

Qualche soldo in tasca permette una vita più comoda, oltre l’appagamento del lusso preferito dagli artisti : viaggiare. Berlino, Vienna, Parigi, Francoforte, l’Italia… grazie ai proventi risultanti dalle vendite dei propri lavori, Kubin visitò le città d’arte di mezza Europa, spesso tornandosene a casa con preziosi souvenir.

 

Nonostante tuttavia il nuovo corso che aveva preso la sua carriera, la malasorte pareva non demordere : prima la scomparsa della beneamata fidanzata e promessa sposa, poi quella del padre a cui si era nel frattempo riavvicinato, interruppero il periodo di relativa tranquillità.

 

Il dolore, per quanto ricorrente, è qualcosa cui non ci si abitua, e la perdita del genitore scaraventò l’artista in una tale depressione da rendergli impossibile continuare a disegnare e dipingere. La sua voglia di creare era però inestinguibile, il tarlo che gli rodeva il cervello aveva bisogno di trovare uno sfogo, trovare uno sbocco, trovare espressione, sicché deposti

 

colori, matite e pennelli nell’autunno del 1908 Alfred Kubin si gettò a capofitto in un’attività fino ad allora mai intrapresa, la redazione di un romanzo.

 

Pochi anni prima che un suo compatriota praghese, impiegato assicurativo con la mania della letteratura, scrivesse di metamorfosi, improbabili processi ed esecuzioni capitali, lui ne anticipava la propensione al mistero e il gusto surreale raccontando la propria esperienza immaginaria nella città di Perla, luogo d’ambientazione di Die andere Seite. Ein Phantastischer Roman (tradotto in italiano con il titolo abbreviato dL’altra parte).  — vedi al fondo la traduzione di Adelphi

 

Era un sogno che pian piano si trasforma in un incubo, era il viaggio nel paese dei balocchi in versione horror, era la trasposizione sulla pagina scritta dei suoi timori e patimenti più nascosti ; era ed è tuttora una lettura densa, imprevedibile, a tratti confusa, spesso  disturbante.

 

Pubblicato nel 1909 con l’aggiunta d’illustrazioni da lui stesso realizzate,il romanzo fu accolto molto favorevolmente dal pubblico, diventando con il tempo un’opera di riferimento nel genere della narrativa fantastica. E se questa impresa letteraria non convinse Alfred Kubin ad abbandonare le arti figurative a favore della penna e del calamaio, gli aprì le porte del mondo editoriale procurandogli numerose commesse per l’illustrazione di testi altrui, dai racconti dello scrittore americano Edgar Allan Poe al romanzo Il sosia del russo Fëdor Dostoevskij.

 

 

La Sinfonia
Alfred Kubin
1901/02. Inchiostro, acquarello e spray su carta

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rimessosi di nuovo in sella, l’artista tornò a dipingere e disegnare. Ancora sogni, immagini, visioni, ancora figure bizzarre, oggetti rari, luoghi estremi, ancora l’adorazione del sublime, dell’ineffabile, della sofferenza che elude qualsiasi comprensione. E intanto che in Europa si sviluppavano movimenti artistici in aperta rottura con il passato, cubismo, costruttivismo, futurismo, fauvismo, astrattismo, creatività naif, influssi da culture esotiche, lui, dalla sua dimora di Zwickledt, villaggio dell’Austria settentrionale dove si era stabilito nel 1906 con la moglie Hedwig Schmitz, osservava con curiosità il grande fermento senza lasciarsi troppo coinvolgere. Non era tipo d’arruolarsi facilmente sotto un qualche stendardo, o cedere alle tentazioni della moda, ma l’incontro con i pittori Vasilij Kandinskij e Franz Marc lo avvicinò a Der Blaue Reiter (Il cavaliere azzurro), gruppo d’artisti creato a Monaco di Baviera nel 1911 per il quale Kubin realizzerà una serie d’illustrazioni dedicate al profeta biblico Daniele.

 

A parte però il desiderio di battere strade nuove e farsi trasportare da suggestioni venute da lontano, a scuotere il mondo dell’arte di quegli anni fu un evento dalla portata immane. Era il luglio del 1914 quando scoppiò la prima guerra mondiale. Il conflitto, durato quattro anni e costato la vita a quasi dieci milioni di soldati, toccò in svariate maniere moltissimi artisti e intellettuali : chi opponendosi ostinatamente all’insensata carneficina, chi abbandonandosi all’entusiasmo patriotico ; e chi, come gli sfortunati Franz Marc e Umberto Boccioni, lasciandoci le penne sul campo di battaglia.

 

Prossimo ai quarant’anni e di salute cagionevole, Alfred Kubin riuscì a scampare al reclutamento forzato, niente assalti alla baionetta e vita da trincea per lui, ma ciò che stava accadendo al fronte e tra la società civile non poteva lasciarlo indifferente, anzi egli elaborò dentro di sé l’immensa tragedia collettiva quasi si trattasse d’una malattia.

 

 

 

Marcia Funebre
Alfred Kubin
1910. Inchiostro e guazzo su carta

 

 

Le notizie di amici deceduti combattendo gli arrivavano mentre se ne stava ore e ore sdraiato sul divano di casa, incapace di lavorare, immobilizzato in uno stato di torpore, e lui le accoglieva come un indovino che accoglie l’avverarsi di una profezia funesta : l’orrore e la crudeltà dei suoi disegni e dipinti avevano infine preso vita.

 

Questa condizione pietosa fu ancora una volta terreno fertile per profonde elucubrazioni, ispiratrici peraltro di un inatteso exploit. Scavando nella memoria, radunando vecchie idee impolverate e aggiungendovi la violenza in cui il mondo versava, tra il 1915 e il 1916 Kubin produsse una delle sue collezioni di disegni più famose, la Danza dei Morti, tra cui 24 tavole che saranno successivamente editate dal gallerista tedesco Bruno Cassirer a Berlino.

 

 

La Morte al Lavoro
Alfred Kubin
1923. Inchiostro e acquarello su carta

Ma dalla sfera privata la sua sofferenza era ormai sfociata in qualcosa di generalizzato, era diventata crisi esistenziale, facendo vacillare le poche certezze che s’era pian piano costruito. Cos’era quella sensazione d’estraniamento che spesso l’invadeva ? Cos’era quell’indomabile forza che tutto pareva dissolvere ? O forse che la realtà, la natura, le percezioni sensibili, il dolore, non erano altro che una grande illusione, il limite ultimo del pensiero umano ?

 

Nei testi di Schopenhauer, Nietzsche, Immanuel Kant, nell’illustre tradizione filosofica tedesca l’artista cercava risposte alle sue mille domande, ma soprattutto cercava quell’armonia, quella calma, quella possibilità d’un equilibrio interiore che da sempre sembravano essergli negate. Dove non arrivava l’arte arrivava la speculazione filosofica, e così lui leggeva, leggeva, impregnandosi del forte pessimismo che aveva sancito la fine della belle époque; finché un giorno, capitatogli tra le mani un saggio dello scrittore Hermann Grimm dedicato al buddismo, ne rimase talmente colpito d’adottarne la dottrina e i precetti in maniera radicale.

 

Chiuso ancor più in se stesso, quando non vagava solitario nella foresta si rincantucciava in un angolino di casa addobbato d’un mucchietto di paglia e un tavolino, e lì trascorreva i giorni e le notti in silenzio, meditando, senza quasi mangiare né dormire : delirio d’una mente balorda o sprofondamento nell’estasi mistica ?

 

 

Ogni notte ci visita un sogno
Alfred Kubin
1902/03. Inchiostro, acquarello e spray su carta

L’esperienza durò solamente poco più d’una settimana, ma per lui fu un punto di svolta, il capolinea di una corsa disperata e priva di meta. Impossibile vederci chiaro, vedere la luce dietro le apparenze sensibili ; il velo di mistero che ammantava la realtà rimaneva impenetrabile. Eppure l’acuto ronzio che gli trapanava la testa sembrava essersi affievolito, quietato, il nemico invisibile contro cui l’artista si era lungamente battuto proponeva una tregua. Era, quello, il momento di radunare i confusi pensieri sparsi e tirare avanti.

 

 

 

Gli anni successivi Alfred Kubin proseguì a disegnare e dipingere, proseguì ad avventurarsi nella riflessione filosofica, accostando la propria ricerca artistica e spirituale a quella di stampo scientifico condotta da specialisti psichiatri. Le sue ossessioni e allucinazioni dipinte divennero oggetto di studio, non solo da parte di galleristi e critici d’arte, e lui stesso sviluppò un vivo interesse per la stupefacente creatività delle persone affette da disturbi mentali. Insicuro, lunatico, scomodo alla propaganda nazista che idealizzava invece l’uomo forte e inamovibile, a fine anni ’30 venne inserito nella famosa lista degli artisti degenerati redatta dagli scagnozzi di Adolf Hitler, ma questo non gli impedì di continuare a esporre i propri lavori. E a seconda guerra mondiale finita, considerato ormai al livello dei grandi maestri, venne ammesso nel corpo insegnante dell’Accademia bavarese di Belle Arti. Il fanciullo irrequieto era divenuto l’anziano mite e assennato, sicché quando sentì la morte avvicinarsi, nell’agosto del 1959, egli l’accolse con la tranquillità che si riserva alle cose familiari. La conosceva troppo bene per averne ancora paura.

 

 

IN COPERTINA

Alfred Kubin, É inutile ribellarsi! (Graphische Sammlung Albertina, Wien).

 

Alfred Kubin

L’altra parte

Un romanzo fantastico

Traduzione di Lia Secci

Biblioteca Adelphi, 1
1965, 7ª ediz., pp. 295, 52 disegni dell’autore

altra edizione 2001

 

 

SINOSSI

Nel 1908, appena trentunenne e disegnatore già noto e apprezzato, Kubin è profondamente scosso dalla morte del padre, che lo coglie in uno stato di tormentosa sterilità succeduto a lunghi periodi di crisi psichica. Per liberarsi dalle visioni che lo perseguitano e a cui, in quelle condizioni di paralisi creativa, non sa dare espressione grafica, egli decide di mettersi a scrivere e, nel giro di dodici settimane, butta giù un romanzo: L’altra parte. Nelle otto settimane che seguono egli riesce ad aggiungere al libro (che sarà pubblicato l’anno successivo e che attirerà l’attenzione dei più sensibili tra i suoi contemporanei) una cinquantina di disegni. È una discesa agli inferi, e una liberazione. Poco dopo avrà inizio la fase più matura di Kubin, il quale diventerà quel grande disegnatore fantastico, uno dei maggiori del nostro secolo, che entusiasmerà i surrealisti e le cui opere saranno conosciute anche in Italia grazie alla mostra del 1952, organizzata dalla Biennale di Venezia.

Che cos’è Perla, la città immaginaria di Alfred Kubin, lo scenario del suo unico romanzo?
È una città gravata da un mistero permanente, concepita come un mosaico di ruderi, di antichità, di avanzi decrepiti e corrosi del passato, tratti dai più famosi angoli del mondo. È una città artificiale, una messinscena perfetta, nella quale si muove una popolazione di nostalgici, di nevrastenici, di gente che fugge la vita del suo tempo e preferisce crogiolarsi in stati d’animo e sensazioni tra il mistico e l’estetizzante, tra il poetico e il morboso. Ma dietro l’apparente grigiore della vita quotidiana di questa città si nasconde un mistero: un sovrano, un essere inafferrabile e proteiforme tiene sotto il suo magico incantesimo uomini e cose, si insinua in esse facendole diventare mere parvenze, e le accomuna in un unico allucinante e assurdo disegno.

Kubin era boemo e il romanzo è impregnato dei chiaroscuri di Praga, luogo d’incontro di una cultura raffinata e stanca di forze brutali: città del Golem e di alchimisti, di anditi oscuri e di pericoli in agguato. È la città di Kafka, il quale conobbe Kubin, l’ammirò e ne subì l’influenza, tanto che nelle sue opere si ritrovano, soprattutto nel Castello, alcuni dei motivi fondamentali di L’altra parte.

Se per Kubin è la storia di una crisi superata, L’altra parte è per noi un libro terribile e profetico. La distruzione della città e del regno immaginario, in un crescendo di incubi apocalittici e attraverso tutte le fasi della disgregazione e della rivolta delle forze naturali scatenate, preannuncia di pochi anni la guerra del ’14 e l’inizio del crollo della vecchia civiltà europea. Kubin visse così a lungo da vedere, nella seconda guerra mondiale, le estreme conseguenze di questo processo. Egli morì nel 1959.

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