donne uomini o persone? (modificato il 25/27-08-11) di Tellìn e Chiara

 

 

[audio:https://www.neldeliriononeromaisola.it/wp-content/uploads/2011/07/ALFRED-BRENDEL-Moonlight-Sonata-1st-mvt.mp3|titles=ALFRED BRENDEL – Moonlight Sonata (1st mvt)]

 

 

Questo titolo è una sfida e una riflessione sia per voi che per me, e per me lo è da un numero infinito di anni, addirittura dalla mia nascita, quando i miei mi hanno accolto a braccia aperte, ma molto delusi perché da nove mesi aspettavano un maschio. Avendo, i miei, nomi pronti solo maschili, sotto le bombe (era luglio del ’44),  hanno finito per darmi lo stesso nome di mia madre (sono una copia senza un nome proprio). E mi vestivano solo da maschio. Infatti, non credo di essere diventata una donna.

 

Mettendomi a scrivere, però, ho scoperto di non saper neanche iniziare…neanche una parola, forse perché è un momento familiare lacerante, che mi fa dire, naturalmente, a me stessa (vivo tra sordi): “io me ne voglio andare”.
Questo, credo, sia un periodo di trasformazione profonda…c’è una maledizione cinese che dice: “Ti auguro di vivere in tempi interessanti!”

 

Questo blocco così strano a scrivere (come non avessi mai conosciuto un uomo e una donna), mi ha obbligato ad indagarmi dentro (un fatto in me che posso definire “automatico”), perché questo rapporto, che amo chiamare “tu ed io” invece che di coppia, è stato per me oggetto di  continua osservazione fin da molto piccola (per es. avevo in casa, alla sera, due genitori in lite per il lavoro, che sopportavo solo attaccando l’orecchio, e anche me stessa, alla radio; c’erano poi le varie famiglie dove stazionavo…e poi coppia  è qualsiasi rapporto a due).  Alla mia età, ho obbligatoriamente raccolto un’infinità di dati, dai quali, ho tratto lentamente qualche riflessione.

Dati e riflessioni li  ho man mano confrontati con altri, donne e uomini, ma confesso che mi è stato più facile farmi capire dalle donne. Come è obbligatorio dire? Uniformità di “genere”?
La verità è che non abbiamo un linguaggio (parlo di me, ma…) per parlare con gli uomini e farci capire: noi non l’abbiano, e neanche loro. Avere un linguaggio comune sarebbe lo strumento necessario, quello “sine qua non” per ogni trasformazione dei rapporti.

Tornando alla mia testa vuota-vuota,  sapendo che un blocco emotivo non si elimina per forza di volontà, e, men che meno, di pensiero, ho deciso, a questa storia tutta (al blocco / al tema) di girovagargli intorno, mentre aspetto il vostro aiuto: mi limito perciò a pubblicare qualche storiella alla buona, se pur veritiera, come quella che segue.

Vorrei soprattutto ricevere vostri articoli che entrino nel merito; a questo scopo vi fornisco l’email di un’amica che me li girerà. Il blog è predisposto solo per ricevere commenti.

Scusate  tutta questa segretezza a me necessaria, ma devo preservare il mio equilibrio  davanti ai miei “caporali” (dal film di Totò) potenti e vicini: vi chiedo di credermi, anche se non posso darvi nessuna spiegazione. L’indirizzo è questo:simona.valdano@alice.it

 

 

La vignetta.

Amália Rodrigues – É OU NÃO É (1972).

 

L’altra sera stavamo uscendo dalla pizza con due vecchissimi amici Samuele e Sara, non sono ebrei, sono solo due nomi che mi piacciono.

Subito fuori, dopo due passi,  il marito si ferma… forse ha visto  la moglie camminare in modo strano, non lo so, e mormora qualcosa tra sé: ha la testa bassa ed è un po’ risentito,  ma non troppo perché è un gran pacioccone.

Lo è in sostanza, ma sotto rustiche maniere, artisticamente corrette dalle mani  grassocce che fanno un balletto, mentre parla, come le farfalle sui fiori… tanto che si capirebbe tutto anche senza la voce, che, del resto, così rauca e catarrosa (fuma Gitanes) disturba  sia il balletto che l’ascolto. Se siete masochisti (L’uomo abbraccia la donna, quando può, diceva una vecchia signora), per sentire questo suono come fosse vicino alle vostre orecchie, dovete pensare ad un basso russo, di quelli classici, antichi, che ha preso una grave bronchite…insieme ad una polmonite!

 

una parentesi per fare con voi due chiacchiere sul quadro.

 

Posso confermare, come vedete chiaramente da soli, che queste sono due sedie: e confesso che lo sono anche per me, sedie fantasiose, forse,  ma autentiche sedie.

Invece ve le mostro  per suggerirvi un fantasioso ritratto della coppia  di cui sto raccontando.

Sono i colori, l’allegria,  la spensieratezza, e l’inconscienza così tipica delle sedie, i giochi di luce, e quel modo di tenersi appiccicati…e di diventare ogni giorno più simili tra loro…?

Una novità, questa, degli ultimi anni… in cui, forse, loro ancora così “giovani”, cominciano ad intravvedere la vecchiaia e i suoi acciacchi…?

O semplicemente hanno imparato a volersi bene, in questi quarantacinque anni di vita comune, come nel periodo dell’innamoramento non era stato possibile..? Troppo forte l’illusione, proiezione dei nostri desideri più profondi sull’altro?

Tornando “alla mia coppia di sedie”, la vedo maturata emotivamente  rispetto ad anni fa (li frequento da oltre 40 anni), proprio come i fichi, in questo fine d’agosto, qui nella Riviera di Ponente, già belli sgonfiotti come del resto sono loro, Sam e Sara, ma ancora  un po’ verdi su quegli alberi che vedete all’ombra…fichi un po’ verdi, ma solo per dire, e loro  lo sanno molto bene, che hanno ancora molto sale… da mettere sotto i denti.

Il mio è prima di tutto un augurio.

Sara, poi, lo sa cosi tanto che, da secoli, sostiene che bisognerebbe vivere almeno mille anni per tutto quello che c’è da imparare.

Ma tornando al mio “vino buono che migliora col tempo”, sarà invece che accettino (cosa molto difficile per la nostra mente) di “sentire il bisogno” e la relativa “dipendenza” l’uno dall’altro (pur essendo sufficientemente autonomi)?

Tanti punti interrogativi, ma, come sapete, la realtà non dico sia inconoscibile, ma…quasi. Naturalmente per me.

 

Loro sono una coppia tipica degli  anni Sessanta (pubblico sopra un loro ritratto di Peynet di quando, a vent’anni, si sono conosciuti): vengono entrambi da famiglie di sinistra, sono cresciuti insieme facendo politica nella scuola o nel sindacato, e amorosamente insieme sono invecchiati , come tanti di noi:  non dimenticando, questo è certo, ma “annebbiando” un poco i grandi ideali  allora diffusi in quasi tutto il mondo:  tra tutti questi scelgo, dato l’argomento,  “l’uguaglianza tra uomini e donne”, di cui allora si faceva un gran parlare, come e più di oggi, ma il ruolo della ragazza del ’68 era, esclusivamente o soprattutto, fare “l’angelo del ciclostile”, a parte due o tre eccezioni che, a mio parere, sarebbero state tali anche senza il ’68.

Certamente sul rapporto uomo-donna, molte acque, da allora, sono state mosse, nuovi orizzonti si sono affacciati a noi, molto si è modificato che è oggi specialmente evidente nei giovani, ma anche noi vecchie coppie, arrancando arrancando, insomma, facciamo la nostra figura…

 

Segue una  minuscola spiega storica un po’ ignorante (per dare un contesto), che ovviamente si può saltare o correggere, meglio.

A partire dagli anni Ottanta, quando  il terrorismo, pur sconfitto, ci ha lasciato in mezzo  a tante macerie (anche dentro); quando la globalizzazione (una riorganizzazione della società capitalista per far fronte alla crisi del ’73) comincia a diffondersi per il mondo e le soluzione di Reagan e della Thatcher si stanno imponendo a tutta l’Europa…; l‘ideolgia dell’individualismo  ogni giorno più egemone (siamo nel ’90, quando arriva anche il computer di massa, che rende effettiva la globalizzazione), il trionfo del consumismo che, attraverso i media, ha imposto un modello di essere umano di successo; e l’idea che finalmente tutti potevamo “arrampicarci” lassù tra i vincenti… e soprattutto il trionfo del principio che “il fine è quello che conta, bada solo a quello, il come, non ti riguarda”…oppure, pensando alle persone: ” vestiamoci solo di ruoli, che ci facciano apparire elegantissimi e affascinanti” (negli anni Novanta “l’apparire è l’essere”, come mi ha detto una volta mia sorella,  o, dicendo la stessa cosa, ” lo spettacolo trionfa” ),  “gli altri sono oggetti che ci aiutano ad arrivare al nostro obbiettivo. I rapporti personali sono un gran dispendio di energie che allungano tremendamente le cose”.

Si comincia sul lavoro…e poi ci si abitua all’estrema comodità di non spendere niente di noi: accumuliamo anche quello… proprio come l’avaro che vuole solo vedere il suo mucchio crescere.

 

(Arriva di nuovo la spiega da correggere): ma nella storia che abbiamo vissuto noi c’era dell’altro: sconfitto il comunismo in Russia alla fine degli anni Ottanta (1991) e caduto il muro di Berlino (1990), tra le tante cose che abbiamo capito ce n’era una molto semplice, ma fondamentale:

le persone devono cambiare insieme all’ambiente.

(non possiamo dilungarci, ma il marxismo che è arrivato in Russia, era un’interpretazione positivistica di Marx, anche se veniva chiamato “dialettico”.  Grossolanamente: “basta cambiare l’ambiente (l’economia) e gli individui cambieranno”. Questo è il marxismo che è arrivato in Italia tramite Togliatti e gli altri. La soggettività (cui invece  Gramsci – che era in galera – teneva tanto,  stabilendo un reciproco rapporto tra economia e pensiero o cultura),  schematizzando al massimo, era assente. Un’indiretta conferma: l’ostilità del partito comunista alla psicologia in genere, che non fosse ” sperimentale”, e alla psicoanalisi in particolare.

 

 

In quegli anni,  Ottanta-Novanta, un po’ il compito di “ricostruire” sembrava al di sopra delle nostre forze, un po’ si stava scoprendo “il privato”, ci siamo chiusi nelle nostre casette e ci siamo dedicati prevalentemente ai rapporti e alla famiglia, all’educazione dei figli, credendo, almeno lì, “nel piccolo”, di poter modificare qualcosa.

In conclusione: la storia è stata più forte degli esseri umani, soprattutto perché è riuscita a sbriciolare la solidarietà che legava tanta gente diversa trasformandola in un pulviscolo insignificante fortemente individualizzato.

 

Forse, di quel periodo movimentista e movimentato (parlo solo fino al ’76, perché a gennaio del ’77, mi sono trasferita in Brasile, come  ho già  detto) solo “il movimento delle donne” è stato erede dei famosi anni infuocati perché ha tenuto i contatti tra i vari gruppi e sempre con attitudine di ricerca è passato attraverso esperienze diverse con una costante voglia di cambiamento radicale.

 

Passate parecchie stagioni della politica, il movimento delle donne, come un fiume carsico (questa metafora è un must), che scorrendo sottoterra subisce continue modificazioni, con felicità e grande sorpresa per tutti, è finalmente venuto alla luce il 13 febbraio di quest’anno, assumendo caratteristiche che io, data la totale ignoranza che ho sempre avuto del movimento femminista (non me ne vanto, ma non ero d’accordo con l’impostazione), non avrei saputo neanche immaginare: dal numero e l’allegria delle donne in piazza in tutta Italia  alla tanto declinata, specie in TV, “trasversalità”.

striscione: “senza la libertà delle donna non c’è civiltà”: molto bello. Siamo ad Imperia, come ho detto, il 13 febbraio.

 

 

 

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2 risposte a donne uomini o persone? (modificato il 25/27-08-11) di Tellìn e Chiara

  1. nemo scrive:

    Persone persone, io opto per ‘ persone ‘. “…. dignità ‘sociale’, dunque come principio che regola i rapporti tra le persone, il nostro essere nel mondo, il modo in cui lo sguardo altrui si posa su ciascuno di noi. .. ” ( come magistralmente ha scritto Stefano Rodotà su la Repubblica ieri. )

  2. nemo scrive:

    chapeau …. al pittore delle ‘ sedie ‘ …..

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