un particolare amore “in tempi interessanti”, e un passpartu per la vita”. Racconto di Donatella D’imporzano (in modif)

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ritratto della mente del protagonista : ma lui chi sarà mai?

Racconto quiz. Pubblicheremo le risposte.

Finora nessuno ha indovinato il protagonista principale eppure c’è scritto!

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una quadrato di bandiera rossa sotto il sol dell’avvenir!

Ho ormai raggiunto felicemente la terza età, forse la quarta o la quinta, ma non me ne curo più. Sto ancora molto bene di salute e, a sentire gli amici e i vicini, anche di aspetto. Il colorito è ancora quello degli anni giovanili, c’è qualche piccola increspatura della pelle, qualche giuntura che scricchiola, ma nel complesso non posso proprio lamentarmi. Sovente mi dico che la mia razza doveva essere proprio buona, se ho potuto passare incolume attraverso tante fatiche e tante sventure. E sì, io sono di quella generazione che ha dovuto sopportare due guerre mondiali, mi sembra quasi impossibile quando lo dico. Potrei anzi affermare, senza pericoli di smentite, che ho fatto due guerre mondiali. Sono nato nei primi anni del ‘900 e allora, per chi come me era nato in un paese povero, l’unica via di salvezza era quella di emigrare. Con  paura ma anche con grande curiosità lasciai i miei parenti, i miei amici e mi trovai imbarcato su quella che al momento mi sembrò una città galleggiante. Dopo una settimana di navigazione in terza classe , avevo cambiato idea e quella carretta puzzolente mi era apparsa in tutta la sua marcescente bruttezza. Quando toccai terra respirai finalmente un po’ di aria pulita e fu comunque un sollievo, anche se la parte più difficile doveva ancora venire. Dovetti accontentarmi di stare in un seminterrato umido e maleodorante ( ma almeno l’aria non dovrebbe essere di tutti?), con altri miei compagni di sventura. Fu lì che mi vennero quei reumatismi che non mi sono più andati via. A fatica riuscii ad abituarmi: per far passare un po’ la nostalgia, con i miei vicini ci raccontavamo le storie e le vicende dei nostri paesi; fu anche lì che imparai un sacco di cose, praticamente fu la mia scuola, perché altre non me le sono mai potuto permettere. Era divertente conoscere abitudini strane, cibi esotici, parole impronunciabili.

Io ero molto bravo a non stupirmi mai di niente e perciò ero simpatico a tutti. A volte facevo fatica a non mettermi a ridere o a non indignarmi di fronte a certe cose, ma avevo capito che un aspetto rassicurante era la migliore garanzia di accettazione.

Quando ormai mi ero quasi abituato dovetti fare quell’orribile viaggio per nave, ma in senso contrario: era scoppiata la guerra ( la prima guerra mondiale, ma allora non si sapeva che ce ne sarebbe stata una seconda, per cui si diceva solo ” la grande guerra”). Come già vi avevo detto, la feci pure la guerra: dovetti andare al fronte e fu una miracolo che ne uscissi sano e salvo. Una volta una bomba mi scoppiò molto vicino e l’incidente paradossalmente mi salvò la vita, perché mi rimandarono a casa, anche se porto ancora oggi una cicatrice che mi fa un po’ male quando deve piovere. I dopoguerra, si sa, sono momenti di grandi rivolgimenti, di odi e di passioni fortissimi. Sembra quasi che la gente sia stata zitta durante la guerra perché troppo impegnata dalla paura e dal desiderio di sopravvivere, poi passato il pericolo riprende con le vecchie abitudini di sempre, rese più vivaci dalla lunga astinenza. Ne vidi di tutti i colori, anzi alla fine prevalse un unico colore, il nero, per cui immaginatevi che allegria! Dato che ero un tipo fidato, mi fu data da custodire una bellissima bandiera rossa, perché era troppo pericoloso lasciarla in giro, seppure in casa. Insieme ci siamo proprio divertiti. Io, che ero un bel baulone in legno nel fiore dell’età, mi commuovevo fino alle lacrime sentendo quella bella figliola parlare delle angherie che aveva dovuto subire per via del suo colore. Ho sempre trovato il rosso un colore stupendo. Ai suoi racconti fremevo con lei e intanto me la stringevo vicino. Abbiamo passato degli anni favolosi: lei ogni tanto aveva voglia di prendere un po’ d’aria ed io la lasciavo fare perché capivo che ne aveva proprio bisogno. Quando tornava mi dimostrava un amore più intenso , mi stringeva con un ardore struggente e mi sussurrava:” Meno male che ci sei tu che mi vuoi bene e mi proteggi. E’ così brutto fuori!”. Un giorno, anzi una notte, sentimmo un rombo terribile e poi un fragore come se ci cadesse in testa la casa. Quando ci riavemmo dallo spavento, venimmo a sapere dalle persone che erano arrivate terrorizzate in cantina che era scoppiata la seconda guerra mondiale. Questa volta la chiamarono subito così ed era già una bella chiarezza. Da quel momento non avemmo più un momento di tranquillità. Non è che quell’andirivieni mi dispiacesse: le persone, sotto l’effetto della paura e del pericolo che incombeva su tutti, mettevano in luce pregi e difetti estremi, per cui nel complesso erano molto più divertenti. La realtà, da tinte tenui era passata a colori vivacissimi, violenti di gioia o di dolore. Sotto a queste tremende emozioni continuava però il tran-tran quotidiano: sentivo le lamentele per il prezzo del pane, la preoccupazione per la figlia che non trovava marito, la lamentela per il vicino rumoroso, gli stipendi sempre troppo bassi, l’allegria per un appuntamento amoroso o una festa improvvisata perché si era riusciti a racimolare il burro e lo zucchero per una torta. Le persone venivano a sedersi su di me, qualcuno più organizzato portava un cuscino, le donne sovente avevano da cucire. La mia compagna sentiva tutto e fremeva: nessuno come lei aveva la sensazione dei tempi che cambiavano e questo presentimento che aleggiava nell’aria la rendeva più vibrante e sensibile. Io sentivo che prima o poi ci sarebbe stata una separazione e questo me la rendeva più cara e preziosa, se possibile. Certe frasi sibilline che diceva mi facevano piombare in abissi di tristezza: ” Mi pare che i tempi stiano cambiando”,” Devo tenermi su per quando sarà il momento”, “Chissà se sarò ancora all’altezza”. Mi chiedeva spesso se il suo aspetto fosse ancora giovanile e se le pieghe di tanti anni non l’avessero un po’ sgualcita. Io sentivo le mie viscere scricchiolare, ma non chiedevo niente per non starci troppo male. Usciva sempre più di frequente e tornava trasfigurata, come se avesse incontrato un amante. Cercava di comunicarmi questa sua frenesia: “Tra poco usciremo, ci faremo vedere da tutti e ci sarà una grande festa”. Quel “noi”, se da una parte mi faceva piacere perché includeva anche me, dall’altra mi ricordava che non ci sarebbe mai stato un “noi” fuori da lì. La sentivo più allegra, ancor più vivace di prima , ma anche più indipendente, più distaccata. Il mondo esterno, che prima la faceva rabbrividire di sgomento, ora la faceva sorridere , le dava un’ansia gioiosa che la allontanava da me. Non è che non tentasse di inglobarmi in quel suo meraviglioso futuro: “Vedrai come sarà bello: io ti racconterò per filo per segno quello che vedrò fuori, come adesso e poi, chissà, con quattro ruote sotto….” Aveva sempre avuto una gran fiducia nella tecnica e non riusciva, nel suo entusiasmo, a vedere certi inconvenienti. Figurarsi, io con le ruote, così grosso che ci volevano due uomini per spostarmi, e poi alla mia età. Ad ogni modo le ero molto riconoscente per il pensiero. Quando se ne andò definitivamente, mi ero ormai rassegnato. Non so se lo aveva fatto intenzionalmente, comunque mi aveva abituato dolcemente alla sua lontananza e di questo gliene sarò sempre grato. Aveva diradato progressivamente i suoi ritorni ma quando tornava era piena di attenzioni per me, se possibile più di prima. Mi descriveva tutto quello che succedeva fuori e si vedeva che voleva mantenere ad ogni costo la promessa fatta. Credo che tutto ciò le costasse molto perché fuori c’era una gran da fare per una come lei. Un giorno, ritornata dopo una lunga assenza, mi propose di uscire con lei.” Dai,- mi disse piena di entusiasmo- se vieni c’è un gran da fare anche per te. Presto avremo forse bisogno di barricate e tu saresti perfetto”. Beh, riconosco di essere stato vile, ma io ero sempre stato un tipo tranquillo, forse anche un po’ pigro e la sola idea di tutta quella confusione mi faceva star male. Ero stato fatto per una resistenza passiva, in questo ero imbattibile, tant’è vero che la gente mi affidava le cose più care, ma in quel caos che intuivo esserci fuori mi sarei perso. Sapevo di un mio antenato, un intellettuale che aveva un mucchio di libri di filosofia e di politica, che aveva partecipato a Parigi alle barricate del ’48 e ne era uscito letteralmente a pezzi. I suoi discendenti dicevano che era un gran personaggio, ma di lui, dopo le cannonate, non era rimasto che qualche bullone e la copertina del ” Contratto sociale”, che qualcuno dei miei parenti custodiva ancora come una reliquia. Era troppo grande la diversità tra me e lei, sarebbe stato peggio far finta che non ci fosse. Così un giorno mi salutò più amorevolmente del solito ed io capii che non ci saremmo più rivisti. Sentii per l’ultima volta quella sua morbidezza che per prima mi aveva intenerito, vidi per l’ultima volta quel suo colore splendente che aveva illuminato la mia esistenza un po’ buia. Penso che la parte migliore della mia vita sia finita allora. Dopo sono stati giorni tutti uguali. Sì, ho mantenuto i rapporti con i miei parenti, ma quelli non riscaldano il cuore. Ogni tanto, nella cantina dove sono ormai da innumerevoli anni, capita qualche giovane che mi racconta quello che sta avvenendo fuori. Io mi convinco sempre di più di avere fatto a suo tempo la scelta giusta. Sì, non è una gran vita, ma posso pensare, leggere i libri e i giornali che mi vengono affidati, scambiare ragionamenti con i miei compagni, pensare a tutto quello che ho visto scorrere davanti a me, insomma sono ancora intero e la memoria è lucida. La rivoluzione che sognava la mia compagna non c’è stata, so che tutto è tornato alla normalità anche se i soliti entusiasti dicono che le cose cambieranno ancora. Mi piacerebbe tanto sapere dove è finita lei, se è rimasta con quel carattere tutto di un pezzo ma piena di meraviglia e di tenerezza. So di avere avuto buon senso e lo testimonia il fatto che sto qui a parlare con voi. Però, che nostalgia, che divertimento negato, che smania di vivere soffocata sul nascere, che rimpianto… Non è detto che il buon senso sia tutto e la mia pena è questo dubbio che mi tormenta.

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14 risposte a un particolare amore “in tempi interessanti”, e un passpartu per la vita”. Racconto di Donatella D’imporzano (in modif)

  1. nemo scrive:

    Bella questa ‘personalizzazione’ di una bandiera ‘rossa’, il protagonista ‘ in cantina’ ricorda qualcuno … della ‘sinistra’ .

    • Chiara Salvini scrive:

      sei proprio sicuro che ci sia un protagonista in cantina? Partecipa al nostro quiz (vedi prima pagina) e suggeriscimi un premio. Un premio per me sarebbe che mi mandassi la poesia che ami di più di Pasolini, visto che sei un esperto… sempre da “piccoli uomini” come siamo noi due e, forse, con noi…c’è qualcun altro…Meglio così, facciamo parte di un grande fiume, l’umanità semplice…onesta (che non ha alcun potere), che ci trascina tutti insieme e ci fa da culla perché ci porta avanti , e con le mani allacciate tra noi, ci fa fare anche un balletto: si chiama ” il ballo della solidarietà”: non c’è al mondo ballo più bello e più felice, e se non vedo male, c’è qualcuno che, di questi tempi, vorrebbe entrare con noi, ripeto non vedo bene, ma mi pare addirittura che ci sia una massa di giovani. Tu lo credi possibile o farò meglio a mettermi gli occhiali?

  2. nemo scrive:

    Il bel racconto surrealista si ‘presta’ a varie e suggestive interpretazioni soggettive , comunque un ‘protagonista’ c’ è e un ‘amore’ anche. Del premio, dubito di riuscire a indicare una poesia che ‘amo di più’ perché l’ emozione che la poesia ci dà varia col variare dei ‘sentimenti’ del lettore. La ‘solidarietà’ si realizza ogni volta che abbiamo le stesse emozioni . Sui giovani, non so proprio.

  3. Nicolò scrive:

    Molto carino il racconto. Un po’ fuorviante la domanda sotto la foto “ma lui chi sarà mai?” che sembra riferirsi a persona o personaggio che si nasconderebbe nelle metaforiche pieghe dello scritto. Invece mi sembra un racconto alla Hans Cristian Andersen,uno di quei graziosissimi racconti (mi viene in mente “La penna e il calamaio”, ma ne ha scritti altri dello stesso tipo) di oggetti animati.
    Un dubbio: “ma questo non doveva essere un blog sulle malattie mentali?

  4. diletta luna scrive:

    potrei dire che non so commentare. Perchè? Sono un po’ lenta nella comprensione di ” cose ” basate più sul fantasioso che sul razionale. Forse sono carente di fantasia ( ce ne ho tanta solo quando sogno !! ). Di Pasolini, che x me è + scrittore che poeta e che comunque amo tanto, una delle + belle poesie è “Il glicine” e a seguire “Il pianto della scavatrice”.

    • Chiara Salvini scrive:

      bisognerà vedere se sarà d’accordo Nemo, grande amante e, credo, buon conoscitore di P. Naturalmente scherzo, ma…quattro occhi…Temo, almeno vedendo come vanno le cose finora, che il quiz non lo risolverà nessuno. Ha ragione Simona: questo raccontino, per gustarlo, va riletto per vedere un film così montato: di sfondo i fatto storici, io direi fino agli anni ’50 e in primo piano la storia di un amore totale, assoluto e completamente dedito all’altro, contrariamente alle aspettative: totale, assoluto, a me, fa venir in mente “proprietà” ossia l’altro come un tuo possedimento esclusivo (sentimento così diffuso tra le coppie e da sempre). Da questo tipo d’amore, oltretutto una specie di medaglia da appendersi al collo perché tutti la vedano, nascono poi tutte le liti con i suoceri: nessuno può “con-dividere” il possesso con i genitori (e vicerversa) che pure prima erano stati ecc. Mia nonna raccontava che la suocera è sempre stata amara, così una volta l’hanno fatta di zucchero…eppure era sempre amara! Secondo me, tanti dolori, amarezze e gelosie si spiegano solo come liti di proprietà di gente che non ha imparato a dividere, a condividere senza sentirsi espropriati: in sintesi persone che non “conoscono” il relativo. Ma “non apro il libro”! Dovrò rispondere alla forte obbiezione di Nicolò: ma questo blog è un’insalata russa? E non sarà facile farlo. Ma voi potreste aiutarmi su due problemi: il blog dovrebbe essere più specialistico, o per far musica deve avere anche le pause? Domanda che suggerisce la risposta, ma potete far finta di non sentire e dire schietto schietto come la pensate. L’altro è molto importante: ieri ho parlato con una carissima amica che non farebbe mai un blog, né può scrivere su quello di un’altro o, forse, addirittura aprirlo (questo non lo so) perché è un attacco al suo senso di riserbo e di “mondo privato”. Oltre a lei, altre amiche la pensano così. Per aiutarmi a rispondere, voi cosa ne pensate? Se potete darmi una mano, grazie, chiara
      Una piccola scioccheza: Mario mi ha fatto notare che era un po’ snob scrivere passpartout così come l’ho scritto: a parte che non ho idea che possa essere una persona snob succede che in quel momento lo ricordavo così.

      • Chiara Salvini scrive:

        ieri ti avevo risposto lungamente, ho toccato qualcosa ed è sparito tutto, ma oggi è un’altra mattina e anche il mio è un altro testo.
        Mi domando: ma che differenza c’è tra parlare di sé in un blog e stampare un libro di memorie? A me pare che non c’è alcuna differenza: ugualmente ti rivolgi a gente che non sai, non hai alcuna conoscenza né controllo sul viso dell’interlocutore né ti dirà mai cosa pensa (se vuole sul blog, sì) e altrettanto ed ugualmente ti metti le viscere sul tavolo…La differenza sta in altro: se uno sa scrivere o no; nel secondo caso, invece di leggere un racconto ti sembra di guardare dal buco della serratura. Da qui il forte disagio del lettore. Un po’ spii, ma poi ti stufi. Le storie degli altri rimangono “chiacchiere” che dopo poco ci infastidiscono, se qualcosa (un’arte, appunto) non le fa diventare anche “generali”, se hanno cioè qualcosa, anche minuscolo, un quid, come diciamo sempre quando non sappiamo cosa dire, in cui qualunque essere umano può specchiarsi almeno in parte, fosse un minuscolo francobollo nano. Ed evidentemente non è questo il mio caso. Ma ci sabbero molto altre cose da dire, e molte ricerche l’hanno gà dette ampiamente (ma non le conosco) come per esempio il fatto che la comunicazione attraverso Internet ha schiuso un mondo talmente ampio e complesso che la nostra testa fatica ad accompagnarlo. Troppo, troppo. Troppi universi opposti e contemporanei che agiscono uno sull’altro, troppo stridore nelle nostre orecchie come uno fosse costretto a gustare la Nona fatta da studentelli di primo pelo. Uno può dire come ha fatto Scalfari (sto riferendo come ricordo) : “sono arrivati i nuovi barbari”. E rifiutarsi di prender parte al “delinearsi di questo mondo sconosciuto”: non ne vuole far parte, anche se usa il computer come macchina da scrivere. Può darsi. Ma dall’osmosi della cultura romana e barbara, e in seguito araba) è nato il medioevo, e da questo lo splendore del Rinascimento. I nuovi barbari ci scalzeranno dal nostro seggi? Può farsi, ma i nostri sapienti, sia pure ridotti, rimarrano a costruire un’egemonia, per usare una bellssima parola di Gramsci che grossomodo significa: attirarli convincendoli; rispettano la tua autorevolezza, non la tua autorità.

        • Chiara Salvini scrive:

          17-09-11

          cara mia Franchina bella, sono veramente contenta (anche se è “un problema”, da studiare e da risolvere) che tu mi abbia messo sul tavolo con grande nettezza, ma senza la minima aggressività, “il mondo privato”: “Se voglio dire che sono malata, lo decido io”. Più che giusto. Adesso sto facendo un po’ un inchiesta e trovo solo persone che la pensano come te; sul blog, senza che tu minimamente debba guardarci, c’è un raccontino carino della Do, ultimo pubblicato, dove ho chiesto aiuto per due problemi, di cui uno è questo. Ci sono varie risposte, una di Donatella, a mio parere generica, varie mie, una di mio marito (si chiama Nicolò come il bambino) che stranamente mi sembra che non c’entri niente, Nemo non ha ancora risposto, lui è la segretezza in persona, vedremo. Ma sono due cose distinte: uno è non parlare d’altri, non permettersi di metterli in ballo, senza il loro consenso, l’altro è parlare di sé. Adesso mi chiedo se “il riserbo” su se stessi sia o no un valore morale e da dove viene questo principio. Ti ringrazio tanto, ma belle, perché, anche se con fatica, annaspamenti e sofferenza, mi aiuti a crescere. Ed è raro che uno si prenda tale briga: forse (tu hai però il tuo ambiente che non conosco, magari siete nella maggioranza così, io purtroppo non ho un ambiente con cui confrontarmi). Se mi vorrai ascoltare, ti dirò qualcosa in seguito e cioè le varie persone che mi circondano e che mi fanno questa critica molto molto più seccamente di te, è anzi una costante.
          Sei contenta di trovarti una specie di serra? Le foto sono tutte di una certa Simona, amica convivente da secoli di mia cugina Linda ex suora…hai ricevuto il filmato “coppie”?
          Quello che volevo dire è: è raro che qualcuno accetti, magari con difficoltà, di dirti una verità “grossa” su di te, ma è altrettanto raro che l’altro approfitti al massimo della “lezione”, se vogliamo dire così. Tu in verità ti sei semplicemente posta in tutta la verità di persona e hai occupato lo spazio che ti compete, io che- senza accorgermi, per carità, le buone intenzioni sono il pavimento il pavimento dell’inferno, no?-avevo invaso, ho dovuto automaticamente indietreggiare. E tornarmene con la coda bassa nel mio territorio, io sono sputatamente un cane e M e F ,e forse Pia, sono maledettamente gatti.

    • Chiara Salvini scrive:

      non dire più che non sai commentare, che non sai qualcos’altro, quello e quell’altro: su di te (da ligure secca, come mi chiami tu, dici solo stupidaggini come “non ho fantasia”…hai solo fantasia, tanto è vero che rimani con i piedi per terra perché in casa hai un santo santissimo gendarme che ti impedisce di volare…cantando naturalmentete, …sei lenta…un po’ siamo vecchietti, ma un po’ vogliamo proprio capire, una volta che dicevo qualcosa di analogo a colui che poi è diventato il dott. Benza, cardiologo, mi aveva gentilmente risposto(senti senti!) che i motori grossi, avrà detto “più potenti”, ci mettono un sacco a scaldarsi, ma poi vanno come razzi. Hai capito mio motore grassissimo, anche se hai felicemnete perso dieci chili?! Comunque credo di sbagliare a stare dietro le tue “magne” : i tuoi sono modi vezzosi …per attirare l’attenzione.. come fanno tutte le femmine. HO DETTO. Chiara

      A prosito saresti la persona indeale per risolvere i problema: “riservatezza nel blog”; tu che sei piuttosto riservata al punto
      che, avendo fatto, all’inizio, una brevissima presentazione di te e dei tuoi cari, tutti insieme, grazie al cielo non ti sei offesa, ma hai voluto toglierela subito e sostituirla con una piacevole, graziosa e intima presentazione fatta da te di te stessa. Vedi la tua esperienza in convento, o quacosa sui famigliari, ma specie la prima avrebbe fornito dati importantisssime, ma tu hai molto “rispetto degli altri” e nei tuoi scritti mantieni sempre “quel delicato riserbo” che la mia cara amica amerebbe e, con lei, forse la maggioranza delle persone.. Invece io non ti critico minimamente, ci mancherebbe!, ma penso che tu stia sbagliando, e che questo, sì, per me è un vero peccato di cui confessarsi. ammesso che uno si confessi. E’ un peccato civile contro la funzione dell’informazione (e in questo caso, avrebbe ben altro impeto perché si tratterebbe di una testimonianza) e, attraverso questa, è un peccato contro la società di tutti noi. E’ come se io, che ho visto soprusi, violenze, povera gente in mano a tecnici incompetenti e, in certi casi con un’impronta sadica, ecc. ecc. mi rifiutassi di denunciare tutto questo per il solo motivo che devo farlo attraverso la mia persona perché non ho altre prove che me stessa. Certo, mi guardavo in giro, ho visto tantissime cose, non solo negli ospedali o cliniche, ma anche nell’Istituto di Psicoanalisi di San Paulo. Ho verificato sulla mia persona il potere che i terapeuti acquistano sulla tua testa, potere che nessuno di loro sa controllare, o meglio, sono “nel giusto” quando non vanno oltre una posizione di autorità assoluta, nella quale in due secondi ti chiariscono chi è che ha il coltello dalla parte del manico…e poi, per ultima, la cosa più grave è questa: uno psicotivo deve essere curato da un’équipe che si prenda in carico (è gergo) anche la famiglia, perché è proprio inutile in un’oretta fare il maquillage al poveretto che, poi, torna 23 ore dove c’è “un terreno adatto” alla malattia. Credo sia un crimine che un malato di mente, spesso ottenebrato dai farmaci, dalla sofferenza e in genere dalle reazioni familiari alla pazzia, oltre che assolutamente impreparato al linguaggio tecnico per cui lo stravolge, sia “lasciato solo” con chi, un professionista, anche il più onesto, può essere impreparato, può maneggiare da stolto l’idoleggiamento che subito il paziente sente per lui (come del resto facciamo per il nostro medico…la sarta, la tale marca, il parrucchire.. oh il mio cagnolino!” ecc.) perché si lascia un essere umano, che dovrebbe essere libero e tutelato dai diritti che gli dà la Costituzione, oltre che la dichiarazione dell’ONU (1948) in mano al Signor Chiunque, anche se molto raccomandato del genere “come lui non c’è nessuno”. Queste cose posso dirle e a voce alta perché, nei trent’anni e più di terapia, ho messo a fuoco, certamente me stessa, ma soprattutto l’altro come lavorava: posso fare, per esempio, nome cognome indirizzo di uno psicologo di Milano perché so per certo (giudizio confermato anche da Zapparoli che tra l’altro lo conosce) che non mi sarei mai ammalata, se non avessi fatto una terapia di due anni con lui: per carità coscienziosissimo e anche comunista, sempre in visita a studiare come curavano le malattie mentali nell’Est, ma “un poveretto” esattamente come l’apprendista stregone. Se volete, potete pensare a Topolino… Ha toccato vari bottoni della mia testa, tutti contemporaneamente, poi quando sono entrata in crisi, non ha saputo più da che parte girarsi. Non credo che voglia parlarne, ma una mia cara amica ha subito una cosa analoga in mano ad un’analista.Se quqesto psicologo ricordasse il metodo di cura da lui seguito, e fosse disposto ad un confronto schietto, mi confronterei volentieri davanti a chiunque.

      Stando così le cose, io dovrei farmi venire ( gli altri sicuramente, assolutamente non devono essere tirati in ballo, e se mi è capitato, questo mi addolora profondamente) “un dolce riserbo” per non esporre me stessa davanti a tecnici che vanno in giro a piede libero? Certo, da sola, la mia è una testimonianza che può avere il suo valore, ma quello cui miro (ma avrei tanto bisogno di aiuto perché da sola..)è:

      1. prima di tutto denunciare non le persone, ma i metodi, l’ignoranza innimmaginabile, venduta a prezzi di chi non ha il minimo orrrore di se stesso; lo scopo sarebbe diminuire, anche a livello infinitesimale, la probabilità che altri debbano vivere quel che ho vissuto io;
      2. ed è il principale.

      A PARTIRE DA UN PICCOLO GRUPPO COME IL NOSTRO, TRAMITE UN BLOG APERTO A TUTTI, COLLEGARCI CON TANTISSIME ESPERIENZE DI PERSONE CHE DA TEMPO LAVORANO CON FORZA E SERIETA’, E SONO IN MOLTI, MOLTISSIMI, SPARSI QUI E Là, PER DIMINUIRE “L’INUTILE SUPPLIZIO” DEL MALATO DI MENTE..
      sOLENNEMENTE AMMETTO CHE, DI FRONTE A QUESTO, CHE E’ POI TUTTA LA MIA VITA, IO NON HO ALCUN PUDORE.

    • Chiara Salvini scrive:

      molto cara e diletta: tu sei come il visconte dimezzato, solo che vi
      ererre

  5. D 'IMPORZANO DONATELLA scrive:

    Le cause di un comportamento così riservato sono numerose: l’educazione ricevuta, per cui si ha molta resistenza a parlare del ” privato” di se’ e degli altri; il timore che quanto si ha dentro vada sciupato, perché gli altri forse sono indifferenti a noi e ci rimarremmo male di esserci ” spogliati” di fronte a persone tutto sommato estranee; pensare che dire delle cose di sè ci impoverirebbe ( una specie di avarizia a dare di se’ qualcosa di profondo). Naturalmente dico queste cose non a proposito di una persona reale, ma parlo in generale cercando di chiarire anche a me stessa i motivi di questa ” riservatezza”, che io credo di avere avuto e di avere ancora in parte. Beh, il computer è un magnifico strumento per facilitare la gente a parlarsi, almeno una grande occasione che dobbiamo utilizzare. Ciao, TELL, come il famoso pistoleiro del West, o se preferisci, Tellin

  6. niccolò scrive:

    Sulla riservatezza. Commento ai commenti: mi sembra che si rischi di confondere riservatezza con menefreguismo, denuncia con invadenza. C’è gente che si fa un vanto di dire tutto quello che pensa, ma forse farebbe meglio a pensare tutto quello che dice. Esempio (paradossale, ma tant’è). Se per strada vedi una donna brutta non è che la fermi e le dici “signora, ma lo sa che lei è proprio un cesso ?”. A parte l’ovvia considerazione che il tuo giudizio è fallace, sta di fatto che tu non le stai comunicando una tua opinione (sincerissima ed in buona fede finchè si vuole). ma la stai aggredendo. Mi sembra che al mondo esistano tante laidezze che vanno denunciate e combattute e non è proprio il caso di prendersela con la presunta laidezza della signora, e vale per la bruttura fisica come per quella morale, se non fa male a nessuno. Non so se il commento c’entri qualcosa, comunque non si riferisce a nessun intervento in particolare di quelli che mi hanno preceduto. Tanto per rimanere nel tema “ma non era un blog dedicato alle malattie mentali”?

    • Chiara Salvini scrive:

      so ormai per sapere sedimentato, di quasi settant’anni, che sono tonta, ma a parte la prima frase che condivido, non mi riesce di capire cosa c’entra questa povera signora oltre tutto così laida! magari qualcuno mi mostra il nesso con il tema, legame che per me è troppo profondo. Ci sarebbe una lettura, ma mi rifiuto di fare la psicoanalista domestica o colf psicoanalista! Comunque mille grazie per l’intervento: è già il secondo! Amo tutti quelli che vogliono collaborare con me in questa “impresa” che non posso portare avanti da sola.

  7. diletta luna scrive:

    Il nesso tra la “signora laida “ed il tema della riservatezza io lo troverei benissimo così : essere riservati è non dire determinate cose ( nostre e di altri ) e la signora laida (cui si dice ” ma quanto sei brutta, sei un cesso… “) è proprio l’esempio di una mancata riservatezza . Capisco l’osservazione di niccolò circa il non confondere la riservatezza con il menefreghismo e mi piace anche ciò che dice la donatella circa il sentirsi come ” impoveriti ” quando si arriva a dire qualcosa di sè molto privato. E’ comunque un tema interessante questo del riserbo, con diverse ed importanti sfumature.

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