QUALCHE NUMERO SUI LAVORATORI A CONTRATTO E PER FESTEGGIARE DOMANI LA DONNA CON NOTIZIE, RISAPUTE DEL RESTO, INVECE CHE CON RAMI DI MIMOSA…

 

Lavoratori a progetto? Dipendenti?

Isfol: quasi 700mila lavoratori con reddito inferiore a 10mila euro.

FTAOnline, Milano, 2 Mar – 12:48 Mentre si parla di riforma del lavoro, una ricerca dell’Isfol – Istituto per lo sviluppo professionale dei lavoratori – mette in luce i difetti dell’attuale sistema occupazionale italiano. Leggendo le statistiche contenute nello studio targato Isfol, la volontà di procedere a una ristrutturazione delle forme contrattuali vigenti nel nostro Paese sembra poggiare su buone ragioni, giacché l’inquadramento dei lavoratori in forme di occupazione parasubordinata nasconde sempre più spesso vere e proprie forme di lavoro subordinato.

 

Quando il lavoro autonomo diventa mascherato

Secondo i dati resi noti dall’Isfol, nel nostro Paese sarebbero circa 676mila i lavoratori a progetto – con età prevalentemente al di sotto dei 40 anni – che non hanno un altro lavoro:

si tratterebbe di lavoro dipendente che le aziende mascherano da lavoro autonomo allo scopo di pagare meno contributi e salari più bassi.

 

I parasubordinati nel complesso

 

Complessivamente, con riferimento all’anno 2010, l’Isfol ha stimato che in Italia i lavoratori parasubordinati siano 1milione e 422mila, il 46,9% dei quali assunti con un contratto a progetto che frutterebbe mediamente un reddito di 9.855 euro l’anno. Un reddito molto basso, sicuramente insufficiente per fare fronte alle esigenze della vita quotidiana, soprattutto se quello che dovrebbe essere un lavoro autonomo è in realtà, come spesso succede, un lavoro dipendente mascherato.

 

I lavoratori subordinati

 

L’indagine svolta dall’Isfol rivela particolari interessanti sul mondo del lavoro parasubordinato.

 

Il 58% dei lavoratori parasubordinati, secondo le statistiche, sarebbe di sesso maschile e potrebbe contare su uno stipendio doppio rispetto alle colleghe donne.

 

In pieno contrasto con la normativa sul lavoro, inoltre, il 70% dei collaboratori sarebbe costretto a garantire la presenza sul posto di lavoro, il 67% ha concordato un orario giornaliero con il datore di lavoro e il 71% utilizza nello svolgimento della prestazione mezzi e strumenti di proprietà dell’azienda con cui collabora. Per concludere, infine, risulta dall’indagine che il 70% dei lavoratori parasubordinati si trova in tale posizione non per sua propria scelta, ma su precisa richiesta del datore di lavoro.

 

Nota di ch. Il testo è tratta dal sito di Borsa italiana di oggi 7 marzo 2012 ore 14:31 (i testi, dopo qualche ora vengono spostati, per chi volesse controllare lo scritto).

QUESTO TONO DOLCE E MORBIDO NONCHE’ I NUMERI ADDIRITTURA BLANDISSIMI, MI HA DATO QUALCHE SOSPETTO, SONO DIFFIDENTE, LO RICONOSCO, PERCIO’ PREFERISCO DIRVI QUI SOTTO “CHI E’ L’ISFOL E COSA FA”, TRATTO DAL PROPRIO SITO DELL’ISFOL, S’INTENDE.

COMUNQUE SIA, SE QUESTI SONO DATI GOVERNATIVI VUOL DIRE CHE ALMENO QUESTI NUMERI SONO CERTI CERTISSIMI.


 

L’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori (Isfol) è un ente pubblico di ricerca.

Svolge e promuove attività di studio, ricerca, sperimentazione, documentazione, valutazione, informazione, consulenza e assistenza tecnica per lo sviluppo della formazione professionale, delle politiche sociali e del lavoro.
Contribuisce al miglioramento delle risorse umane, alla crescita dell’occupazione, all’inclusione sociale e allo sviluppo sociale.

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2 risposte a QUALCHE NUMERO SUI LAVORATORI A CONTRATTO E PER FESTEGGIARE DOMANI LA DONNA CON NOTIZIE, RISAPUTE DEL RESTO, INVECE CHE CON RAMI DI MIMOSA…

  1. D 'IMPORZANO DONATELLA scrive:

    Se penso alla situazione del lavoro oggi in Italia mi sale dentro una rabbia tremenda, anche perché le risposte della Sinistra ( se ancora possiamo adoperare questa parola) sono, a parere mio, del tutto inadeguate.Pare che la stessa parola ” socialdemocrazia” sia ormai indecente. Dobbiamo essere solo moderati e guardare al centro! Trovo vergognoso che nessun dirigente del PD vada alla manifestazione della FIOM. Ma dove pensiamo poi di trovare i voti? Nel cosiddetto centro, che mai ci voterà? Saluti rabbiosi. Do

    • Chiara Salvini scrive:

      cara Do, avevo risposto contemporaneamente ai tuoi commenti (sempre belli) dello 07 e dello 09 s’intende marzo, subito ho riprovato a scriverti di nuovo, ma mi sono infilata in una storia, ovviamente personale!!, che aveva un senso in relazione a quello che hai scritto, ma non diretto, insomma, cara Bella Professoressa di Lettere (tutte maiuscole, le noti?) non ero proprio fuori tema da prendere quattro ma sei meno meno (te la ricordi questa incredibile cazzata del sei meno meno?) non me lo toglieva nessuno. Mi sono subito accorta che, anche senza tanto percepirlo, ero arrabbiata che mi fosse sparita “la replica”, come bisogna chiamarla, replica che, dal momento che ormai è sicuro che nessuno la leggerà (purtroppo neanch’io), posso dire tranquillamente che era venuta proprio bene nel senso che ero riuscita abbastanza a dire quello che pensavo, cosa come sai-dai tuoi alunni, non da te! (ci farai il bagno in tutta ‘sta vaselina)- è sempre molto difficile. Non trovo però il tuo commento all’articolo su BB di cui mi hai parlato questa mattina al telefono, sei sicura di aver fatto tutto “direitinho” (si legge: direitigno, port. è diminutivo di “direito” che vuol “dritto” con tutti i suoi vari significati anche in italiano, almeno mi pare; in questo caso si tradurrebbe “hai fatto tutto perbene”, o meglio, “perbenino”?) : la lingua port-brasiliana (ha varie differenze dal portoghese del Portogallo) è tutta diminutivi che le danno una “grazia” tutta particolare. Mi è capitato e magari lo racconterò: ma se parli con loro come parliamo noi, diciamo pane al pane, ti succedono le cose più inverosimili. Per esempio, appena arrivata in Brasile, quando mi chiedevano: “oi come vai? (come stai?), come in genere si dice da noi – forse per timore dell’invidia- rispondevo “mais o menos” (più o meno), finché mio zio E. mi ha spiegato che se rispondi così, un brasiliano immagina subito che ti sia morto un parente e ti fanno le condoglianze (le condoglianze è un’aggiunta mia per esagerazione, ma spiega bene). Infatti loro – sempre sempre (non ho potuto osservare se rispondono così anche in occasione della morte di un parente)- rispondono: “Jòia!! joinha!!!” (pronuncia jòia, joigna) e insieme tirano su il pollice della mano destra o no, le due cose insieme sono facoltative, il rigoglioso e splendente entusiasmo no, ma il pollice da solo è frequentissimo per dire “positivo!” ossia barra dritta (è italiano?), forse l’avrai visto fare dai giocatori di calcio bras.; oppure rispondono : “tudo bem – tudo òptimo” (pr. uguale senza la “p”, ammesso che sappia ancora scriverlo dopo quasi trent’anni). Starei quasi per raccontarti un episodio assai significativo a prova di quello che ti ho detto (bell’inizio retorico!): una delle tante volte che mia madre è venuta in Brasile stazionandoci, con mio piacere, sia chiaro, vari mesi, degli amici ci hanno invitato tutti e tre in un posto al mare, molto bello (che tutta la costa brasiliana fosse bella lo sapevi già) che si chiama Ubatuba. Stavamo in un bungalow vicino a loro – i nostri amici- dove c’era un gas per il mangiare ma niente ristoranti neanche bettole. Mia madre, spaventatissima di non avere da mangiare per ben quindici giorni, ha cominciato vari giorni prima a fare torte di zucca salate, almeno cinque o sei, se non di più…infatti l’abbiamo mangiate per almeno una settimana senza varianti!… e, per far presto, grattugiava le zucche nel tritacarne; mentre eravamo assenti veniva una signora a pulire bene la casa: una signora che lavorava dalla mia amica brasiliana M.A., una signora che chiamerò I. e che era la “classica perla delle perle”, cosa che tra l’altro non metto in dubbio. Quando ritorno, dopo 15 dì, la signora è ancora a casa mia, proprio in cucina; io vedo il tricarne-tritazucca nell’identico posto e stato di come l’avevo lasciato. Tra lo stupore soprattutto, ma anche l’incazzato (sai, noi abbiamo sempre timore di essere presi per i famosi fondelli, che in buon italiano si chiamano… al singolare) ho fatto, seria, ma senza alzare la voce più di tanto, come viene d’istinto se ti arrabbi davvero: “ma come sarebbe, è ancora qui sporco?”. Questa signora perla si toglie il grembiulino e se ne va senza un commento; le ho poi dato quello che le dovevo attraverso la mia amica. Era offesa a morte e non avrebbe più messo piede a casa mia per niente al mondo. Così la mia cara M.A.- che ricordo con vero piacere- mi ha spiegato, ma premetto una cosa: lei abitava una vecchia villa con un parco nel quale stava anche la villa della suocera e della madre della suocera, entrambi ville grandi e in pieno centro. Lei M.A. apparteneva ad una famiglia che, da parte di padre, erano diventati più che miliardari con il caucciù dei cui alberi (credo alberi) il nord del Brasile era pieno; questa fortuna del Brasile è durata parecchio, lo saprai, finché – non so chi – ha rubato varie radici e, portandole in Africa, ne ha fatto una coltivazione sistematica con produzione, come immagini, alle stelle, così i poveri alberi che crescevano naturali del Brasile, non valevano più niente. Il marito invece, apparteneva a quelle rare famiglie nobili del Brasile chiamate “quatrocentao” (sull’ultima “ao” c’è una till per fare la nasale) che significa più o meno “quattrocento anni” ossia sono nobili i discendenti dei portoghesi che sono venuti in Brasile con/ o subito dopo, la scoperta. Insomma entrambi non se la passavano male, anche se la madre di M.A., un’italiana, appena morto il marito (forse per eccessivo amore verso di lui) si è venduta tutto, o quasi tutto, cose da nababbi arabi, se -sempre per amore anche della figlia in questo caso- non ha ricomprato niente, e come puoi immaginare questi soldi…era rimasto – per quello che mi hanno detto, cosa che come sai su proprietà o soldi il segreto è d’obbligo – un terreno lontano da Sao Paulo a vedere il quale la mia amica non era neanche mai andata. L’unica cosa…che ha ricomprato questa cara signora italiana chiamata Dona L. (tutti le signore in Brasile sono “dona”, sta per “signora”…meno quelle che non lo sono e che sono l’estrema maggioranza) …è stata la figlia che a 15 anni ha convinto a sposare questo ragazzino 400 ricchissimo… (perché si capisce puoi anche essere un 400 povero, anche se è molto difficile perché, come sai… “turna”, chi li ha e più li ha, se li conserva di generazione anche con giusti matrimoni ecc….ma – anticipando questa bella storia che mi piace da morire raccontare – la mia amica M.A. e il marito lo sono diventati…”poveri” si fa per dire”, sono usciti dalla situazione di privilegiatissimi per approdare alla situazione di privilegiati, ma così non si capisce niente…la telenovela è lunga e assai assai articolata con risvolti sia amorosi che tragici… Fornisco solo la spiegazione che la mia amica mi ha dato a proposito dello strano comportamento del tritacarne-trita zucca: non si è minimamente stupita, primo, poi mi ha detto (ecco finalmente il perché dell’informazione “necessaria” che ho dato all’inizio del fatto che abitava in una vecchia villa) : “Vedi, come sai, a casa mia, queste vecchie vasche da bagno hanno i rubinetti in ottone; non chiederei mai ad una donna di lavarli, ma le dico: “Mentre fai la vasca, quando sali e ti avvicini ai rubinetti, piano piano fai un gesto appena un po’ più ampia, così li ripassi appena. Questo è lo stesso motivo -ha continuato- per cui non sgriderei mai nessuna delle mie donne qualunque cosa facessero, visto che sono molto brave e non le voglio perdere: al lunedì mattino, tutte le settimane (verso le nove, in cucina – informo io ch. – c’erano sempre due donne, la cuoca e la ragazza che lavava i bicchieri della sera prima ecc.), entro in cucina e senza nessunissimo motivo apparente, faccio una bella sgridata non guardando nessuna delle due in particolare, alzo la voce e dico quattro cose secche, così si va avanti benissimo tutta la settimana”. Adesso vorrei uscire a sgranchirmi le ossa visto che dopo la violenta caduta di sabato scorso a Ventimiglia alta, me le sento come quelle di un sopravvissuto ad un incidente…mortale! Eh be’, era impossibile (ma è un’altra storia) abitare dieci anni in Brasile senza imparare ad esagerare……un po’? (mi spiace per Elena, ma qui le virgolette devono essere sei…anche questa un’altra storia). Dovrei rileggere, ma perdonerai, e ancor più devono perdonare i miei tre milioni di lettori quotidiani…sono quelli di riccciolino cinque stelle…che mi pongo a meta… Spero ti sia piaciuta la mia storiella perché vorrei continuarla al più presto dato il divertimento che procura a me raccontarla. Come ti puoi immaginare, i miei dieci anni in Brasile sono stati “una vita di stucco” per le mirabilie dei signori…che da noi non si sarebbe sognato neanche il figlio di Mondadori, era nella mia classe all’Università ed arrivava con il suo bravo autobus… ma ancor più con un gran dolore fisso al cuore per quello che vedevi nell’enorme maggioranza della popolazione che faceva un fatica fatica vera ad aggiungere i fagioli al riso (piatto quotidiano come da noi la pastasciutta) per mangiare almeno una volta al giorno. Erano gli anni tra il 76 e l’86, poi hanno fatto le prime elezioni democratiche dopo il colpo di stato dell’esercito nel ’64 quando, da appena tre mesi, si era installato, se per elezioni non lo so, il governo riformista di Goulart ovviamente tacciato di comunismo. Ma non credere a quello che dico, mi vengono in mente dei buchi nella storia che riempirò appena posso dopo essermi letta almeno Wikepedia…visto che i libri del Brasile sono tutti in soffitta. O interrogherò M. che sa tutto di tutto, ma che preferisce inesorabilmente essere lasciato “nei suoi stracci”, come si dice qui…per l’ennesima volta…”come sai”. Baci e abbracci, non schiodarti dal blog, a parte che ne sei la colonna, ormai Nemo ci snobba, perché “presto presto” sarai – e le tue poesie e racconti- una dei tre milioni come “ricciolino”, di cui morire mi ricordassi una volta il nome…è un uomo di spettacolo…ma pazienza! chiara

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