Odi et amo (lett. “Odio e amo”) è il nome ed inizio del carme 85 del poeta latino Catullo. È forse l’epigramma più noto di tutto il suo Liber, che per la sua brevità (un solo distico elegiaco) merita di essere riportato integralmente.
DOMANDA CH. : ma anche voi, quando scrivete, scrivete presi da una specie di raptus e andate avanti quasi senza sapere cosa dite e direte, meglio? Se mi stare dicendo che sia io a scrivere così “si vede”, rispondo : “lo so” e me ne dispiace.
IL MIO CATULLO
nota ch. : mi pare sia questa l’unica poesia che ho sempre saputo a memoria ed in latino (!), anche se, con gli anni, il suono era rimasto, ma la grafia ho dovuto controllarla …per mandare un MS a Linda. Ecco il perché “super-occasionale” del PIATTO DI OGGI.
- Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
- Nescio, sed fieri sentio et excrucior.
- Odio e amo. Forse mi chiedi come io faccia.
- Non lo so, ma sento che ciò accade, e ne sono tormentato
- suggerisco: “Odio e amo. Forse mi chiedi come sia possibile. Ma lo sento e ne soffro”, banale finché si vuole, ma “excrucior” è un’agonia di angoscia fissa…come dirlo? lascerei così, si perde, ma non si introduce troppe cose nostre…
- E voi come tradurreste?
Wikipedia: Il contrasto di sentimenti che l’amore provoca (“Ti odio e, contemporaneamente, ti amo”) è uno dei tòpoi più comuni nella letteratura mondiale di ogni tempo…
chiara:
…così come è dei topi, ma più degli umani, una terrificante ambivalenza in chi non riesce ad “avvicinare” i due cavalli che guida -nella vita e nella testa-cuore ecc. – portandoli a mettersi in sintonia, anche a tratti, almeno al 51%. Splitting o “spaccatura-taglio in due” (R. L. Stevenson, o anche “l’io e la sua ombra”- Jung?- che lo perseguita”, dico io). Se vi guardate in giro, se provate a “sentire” voi stessi nel rapporto con gli altri, sì la famosa trave, questa ambivalenza così netta è diffusissima, molto spesso la trovate rivestita di bei modi fini ed educati da salotto settecentesco, cioè avete davanti uno spettacolo che il soggetto (che spesso finisce per credervi e “si vede” così) è costretto a rappresentare sul teatro della società per evitare che “GLI ALTRI”, TUTTI POTENZIALI NEMICI AL NOSTRO AFFASCIARCI SUL MONDO, mettano a fuoco qualcosa della sua interiorità, che è così conflittuale e lacerante che, anche se “sa”, in genere non vuole vedere, perché ne rimarrebbe sopraffatto (e così -giustamente- SI DIFENDE CON UNA MASCHERA.
Il pericolo è che alla fine questa maschera si mangi la persona ossia che, quell’io che sta dietro si assottigli, non avendo alimento né luce né ossigeno, tanto da addormentarsi di inedia. Cosa succede? Di preciso non lo so, ma la persona perde in “autenticità”, in spessore e deve aggrapparsi ai famosi “ruoli” come uno si attacca in autobus (io poi che cado a pezzi) per non stramazzare per terra liquefatto. Frase ad effetto: ma voglio dire che questa persona, inutile dire “a mio esclusivo parere”, deve man mano-per non soffrire troppo-rinunciare ad alcuni aspetti tipici di una persona e-di conseguenza-anche degli altri diventano sempre meno persone. Negli anni ho verificato che per poter trattare gli altri (devo averlo già scritto, forse a proposito degli adolescenti, giovani o vecchi) come persone, siamo costretti passin passino ad essere prima di tutto noi una persona. In genere è la freccia del Macchiavelli…ma a qualcosa arriviamo, sempre con molto lavoro- sacrificio ed “accettazione di soffrire anche come bestie”…la discriminante sta proprio qui tra chi arriva ad essere una persona e chi rinuncia presto o tardi: modificarsi, cambiare, crescere danno molta sofferenza e poi, c’è anche una cosa più terrificante che è “cambiare pelle” – quando la biscia o il serpente cambia pelle o, meglio il bruco che diventa -diventerà farfalla—vive una terrificante angoscia che è panico, in cui non è più “bruco” e non è neanche “farfalla”
Se così non è, e nella nostra società “dominante” (grazie al cielo il sottobosco è vastissimo) così non è,
NOTA BENE: PRIMO NON CREDERE A QUELLO CHE DICO, MA USARLO SE MAI COME PUNTO INTERROGATIVO PER RI-DARE UN’OCCHIATA IN GIRO (QUESTO è IL MASSIMO), SECONDO: TUTTO QUANTO HO DETTO CON TANTA SICUMERA SI RIFERISCE A LUNGHE E MEDITATE OSSERVAZIONI, QUESTO SI’, CHE “POTREBBERO” E COME IPOTESI DESCRIVERE DUE O TRE O CINQUE PERSONE CHE SI SONO AFFACCIATE SULLA MIA TANA. TUTTI GLI ALTRI MOLTEPLICI DI MILIARDI DI MODI DI SUPERARE L’AMBIVALENZA, SPECIE QUANDO NETTA, SONO STATI LASCIATI FUORI.
Un componimento simile ma non uguale, poiché contrapponeva non amore ed odio ma amore ed assenza d’amore, lo ritroviamo in uno scritto di Anacreonte:
- Odi et amo (lett. “Odio e amo”) è il nome ed inizio del carme 85 del poeta latino Catullo. È forse l’epigramma più noto di tutto il suo Liber, che per la sua brevità (un solo distico elegiaco) merita di essere riportato integralmente.
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- Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
- Nescio, sed fieri sentio et excrucior.
- Odio e amo. Forse mi chiedi come io faccia.
- Non lo so, ma sento che ciò accade, e ne sono tormentato.
Il contrasto di sentimenti che l’amore provoca (“Ti odio e, contemporaneamente, ti amo”) è uno dei tòpoi più comuni nella letteratura mondiale di ogni tempo. Un componimento simile ma non uguale, poiché contrapponeva non amore ed odio ma amore ed assenza d’amore, lo ritroviamo in uno scritto di Anacreonte:
- ANACREONTE
- ch. nota Chiara: Anacreonte, come tutti i lirici greci, scuola a parte, l’ho amato, come tanti della nostra età, per es. Donatella, nella splendida traduzione di Salvatore Quasimodo (per me splendida, magari inesatta? E’ poesia “ri-creata…quindi è poesia di Don Salvatore! siete d’accordo??). Ma non ricordo più niente, anche perché -come tanti altri imprestati e magari anche ricomprati- è sparito dalla circolazione, intendo di casa nostra. Mi permetto di dire con piacere che il confronto introduttorio ad A. , fatto dall’Enciclopedia, è semplicemente idiota, come il commento finale, menola traduzione – personale, s’intende- di Guido Ceronetti che ho sottolineato.
- Non lo conoscevo e non l’ho allora “inciso”, ma guardate che bellezza per un blog come il mio-nostro!
- Ὲρέω τε δηὖτε κοὐκ ἐρέω,
- καὶ μαίνομαι κοὐ μαίνομαι.
- Amo e non amo,
- sono pazzo e non sono pazzo.
- (Frammento 46, Gentili)
Wikipedia continua:
Ma in Catullo c’è qualcosa di più ( E DI MENO/ E DI COSI’ COSI’, ch), perché è presente la consapevolezza della difficoltà, come anche nel poeta greco, certo, ma il dramma si acuisce con la triste constatazione che tale difficoltà nasce indipendentemente dalla volontà umana. Al Poeta non resta altro che prendere atto della situazione e soffrirne terribilmente: il verbo excrucior, che letteralmente significa “sono messo in croce”, rimanda con la sua pronuncia all’idea del dolore lacerante (particolarmente intenso è il modo in cui viene tradotto da Guido Ceronetti: Ma tu mi vedi qui crocifisso / Al mio odio e al mio amore).
nota ch.: non se la prenda il grande Ceronetti, ma preferisco Catullo ed una trad. letterale.
“”” La palla rossa / a me lancia Eros dai capelli d’ oro / e con una fanciulla dai sandali a colori / mi spinge a giocare. // Ma essa, ch’ è di Lesbo dalle belle case / sdegna me bianco già sul capo / e avida sospira per un altro . “””
“”” Biancheggiano già le mie tempie / e calvo è il capo ; / la cara giovinezza non è più, / e devastati sono i denti. / Della dolce vita ormai / mi resta breve tempo // [ … ] “””
( Anacreonte/Quasimodo )
capita anche a me di scrivere presa da una specie di raptus, però so bene dove voglio andare a parare. -in quanto poi all’odiare ed amare, è troppo difficile per me mettere un commento, perchè non riesco a trovare un momento o una cosa per cui posso dire che odio ed amo. L’odio poi non so bene se lo conosco, se so che cosa sia in realtà. Sarò anormale ? Devo studiarmi un po’.