nota ch. : purtroppo nel “copia-incolla” si è perso il fondo giallo che tanto fa risaltare le scritte nere, fondo cui Nemo tiene tanto. Spero di non aver fatto male ad evidenziare la parte riprodotta di Antonio Damasio ed aver aggiunto una nota informativa su di lui presa da una Enciclopedia che, scusate, non ho annotato. Non è propriamente una enciclopedia, è un blog che, dai titoli, pare occuparsi di cose serie, e, per chi interessa, si chiama Riflessioni.it
NEMO 6 MAGGIO
Luca Speziale: quando è lo ‘stato vegetativo’ ad avere paura !
“””… < […] conosco le contraddizioni di una società che tenta, con l’ avanzare della scienza, di salvare sempre più vite umane, soprattutto giovani, ma poi accetta le stragi sulle strade e la morte e la disabilità di tanti suoi figli. La pace vera è quando ogni giorno ciascuno di noi ‘ sente ‘ di gioire nell’ assistere il meno fortunato, quando si respingono compromessi, quando facciamo parlare la nostra coscienza, quando non rinneghiamo valori veri per inseguire obiettivi senza futuro, quando i medici esercitano con gli originari principi e con la massima professionalità il loro mestiere, quando gli operatori sanitari offrono la loro assistenza con tutta l’ abilità ma anche con tutto l’ amore di cui sono disponibili, quando i preposti alle amministrazioni pubbliche sanitarie gestiscono le risorse non con l’ obiettivo di guadagnare voti a ogni costo ma semplicemente per curare nel migliore modo possibile gli interessi di coloro che hanno bisogno di essere assistiti. Questo è il terreno su cui costruire >. …”””
>.
( Francesco ne La forza della vita di Luca Speziale, Società Editrice Fiorentina sff Firenze, Marzo 2012, pgg. 144, euro 12 )
Paolo Cornaglia Ferraris: Così la nostra civiltà ha cancellato l’ idea di ‘ morte naturale ‘
“””… [… ] D. Noi non sappiamo come e dove muoiono gli italiani R. < Sì, una vergogna. Abbiamo i dati Istat, però sono estrapolati dalle schede di morte – e di dismissione ospedaliera – che non suggeriscono mai la reale diagnosi che ha condotto al decesso. Spesso prevale la formula di comodo – arresto cardio-circolatorio – che difficilmente può essere smentita. E non sappiamo nulla sulla qualità assistenziale nella fase terminale >. D. Sappiamo però che circa 25.000 sono ogni anno le morti ‘evitabili’. R. < Sì, pazienti che potevano essere curati e muoiono per complicanze attribuibili con sufficiente chiarezza a interventi intraospedalieri. Prendiamo le infezioni: pazienti che entrano con il femore fratturato e muoiono di polmonite. Ogni anno settecentomila pazienti ricoverati in ospedale contraggono infezione, che ne uccide tra i 1350 e i 2000. Sono cifre da talebani, che ricaviamo da indagini parziali. Il problema è che da noi, a differenza di Inghilterra o Germania, non esiste un sistema di sorveglianza nazionale >. D. La maggior parte degli italiani muore in ospedale. R.< Nel Sud il rapporto si rovescia: la cultura patriarcale favorisce l’ assistenza a casa. Colpisce che solo una percentuale minima muoia nelle strutture che sono predisposte per accogliere i malati terminali >. D. Ci sono pochi hospice ? R. < No, il problema non è questo. In tredici anni sono nati circa 150 hospice, molti realizzati con capitale pubblico e privato. Alcuni rappresentano l’ eccellenza come la Fondazione Seragnoli a Bentivoglio, alle porte di Bologna, che garantisce ai malati un’ assistenza di prim’ ordine. Ma il fatto è che generalmente manca un personale medico e infiermeristico formato per un lavoro fra i più usuranti >. D. I rudimenti della medicina non bastano ? R. < No, occorre una sorta di salto culturale. A noi insegnano una medicina che identifica la morte con la sconfitta del medico. Se il paziente muore sei un perdente >. D. Non è bene così ? R. < Ma questo conduce all’ accanimento terapeutico, che troppo spesso dà luogo a un inganno a carico del servizio pubblico e di famigliari creduloni. Se ti sei formato per guarire, non per curare, sei spinto a osare sempre di più, prima della rinuncia finale. Quello che non ti insegnano è di farti carico del processo finale. Non esiste una strategia medica che ti accompagni a morire >. D. Cosa intende ? R. < Lo spiega bene Michele Gallucci, che è stato il primo a fondare in Italia una scuola di cure palliative. Non c’ è nella testa dei medici l’ idea della morte naturale. Tutte le volte che un medico ha a che fare con un malato che rischia di morire, immediatamente mette in atto tutta la potenza della medicina per tenerlo in vita >. D. Per fortuna, no ? R. Sì, certo. Ma il medico fa la stessa identica cosa quando si trova davanti a malattie inarrestabili. Quando in un pronto soccorso arriva un malato terminale che sta morendo per un’ emorragia, il medico dovrebbe chiedersi se nel fargli una trasfusione gli sta allungando la vita o semplicemente la sofferenza. È un passaggio culturale. Nell’ hospice, se un malato comincia a morire, lo si lascia morire, evitando che sviluppi sintomi come il dolore o altri tipi di sofferenza >. […] D. L’ obiettivo del medico diventa non più salvare la vita ma togliere la sofferenza . R. < Il problema è che i medici non sono attrezzati a far questo. Quante volte la mano indugia sull’ iniezione di morfina, nel sospetto che potrebbe accelerare la fine ? La nuova legge, poi, lascia i medici nella più totale solitudine. Anzi, peggio, li costringe ad alimentare artificialmente pazienti ormai perduti, con la minaccia del processo penale. Se non metti il sondino, commetti reato. Una follia. L’ estremo atto di compassione diventa una colpa, e pure grave. Uguale a quella di chi ha preso la lupara e ha sparato >. D. Siamo indietro rispetto all’ Europa. R.< La legge andrebbe riscritta, anche perché non rispetta la volontà di quel settanta per cento di italiani – dati del Censis – che vogliono avere la possibilità di decidere quando interrompere le terapie. Ed è curioso come le posizioni del cattolicesimo più intransigente – nonostante il luminoso esempio finale di papa Wojtyla – coincidano con il laicismo longevista che non s’ arrende fino all’ ultimo respiro. A farne le spese è comunque la qualità dell’ assistenza terminale . Tema difficile, su cui però varrebbe la pena di riflettere >.
( da Tabù di Stato Intervista di Simonetta Fiori, la Repubblica di Mercoledì 18 Aprile 2012 , a Paolo Cornaglia Ferraris per l’ uscita del suo nuovo libro ‘ Accanimento di Stato ‘ – Piemme, pagg. 182, euro 14,50 –
Giovanni De Luna : Dai nazisti ai marines, quando saltano le regole
“””… Furono 15 mila le vittime civili delle stragi naziste che insanguinarono l’ Italia tra il 1943 e il 1945. Dappertutto, a Sant’Anna di Stazzema come a Marzabotto, con la stessa ferocia, con un surplus di violenza che lascia sgomenti anche nel contesto della guerra totale. A Marzabotto, all’ eccidio si accompagnarono gli stupri. E poi ovunque scene raccapriccianti, bambini finiti a colpi di baionetta, ostaggi bruciati vivi, cadaveri lasciati insepolti. Perché ? L’ essenza della guerra è certamente uccidere e farsi uccidere. Ma in quella efferatezza c’ è qualcosa di più. Non ci si limita a uccidere il nemico; se ne profana il corpo, si attacca la sua integrità personale, penetrando nelle case, squarciandone l’ intimità, distruggendo le famiglie. Come può accadere ? Cosa succede nella testa degli uomini normali, di soldati che non sono SS, di ufficiali che pure hanno imparato a obbedire alle regole ? Parlando delle stragi naziste in Italia, quegli eccessi sono < spiegabili > con il forte risentimento scaturito dall’ armistizio dell’ 8 Settembre, dal < tradimento > badogliano, dalla frustrazione di sapere che gli italiani erano usciti da una guerra che per i tedeschi continuava e continuavano ormai senza prospettive di vittoria. Ma non era solo questo. Più in generale, la guerra si presentava come una sorta di terra di nessuno, in cui non valgono più né i comandamenti religiosi del < non uccidere >, né i precetti delle leggi civili che puniscono l’ omicidio. Anzi, l’ uccidere, da gesto vietato, diventa un atto dovuto, un segno di valore. Ed è questo capovolgimento che consente a uomini normali di oltrepassare una soglia, di immergersi in un senso di estraneazione psicologica e sociale nei confronti delle abitudini quotidiane, di avviare una frequentazione assidua con la fisicità corporea della morte. […] …”””
( da Il commento di Giovanni De Luna, il Venerdì di Repubblica del 20 Aprile 2012 )
Flavia e Fabrizio Famà : “Baciamolemaniparty” vergogna in terra di mafia
“””… Quella stessa terra che lo scorso 7 Aprile ha intitolato una piazza a nostro padre ucciso dalla mafia a Catania il 9 Novembre 1995, oggi lo dimentica, e lo uccide un’ ennesima volta, con una festa in maschera. In uno dei locali più conosciuti e frequentati della provincia di Catania, Villa Paradiso dell’ Etna, si organizza una festa dal titolo ‘Baciamolemaniparty’ per ricordare e inneggiare alla Sicilia del passato: ‘ Di stampo prettamente agricolo – dice l’ invito – che poi esportò fuori dai confini tante illustri personalità ma anche alcune particolari caratteristiche fatte di Vossignoria e di Mammasantissima ‘ . Gli uomini dovranno indossare coppola e gilet, in tasca dovranno avere dei pizzini. Le donne dovranno agghindarsi come nei film. La musica, comincerà con la colonna sonora del Padrino. Da siciliani, e da figli dell’ avvocato Serafino Famà, proviamo sgomento. …”””
( Lettera a la Repubblica, Sabato 21 Aprile 2012 )
Antonio Damasio: ‘Perché la nostra mente è come una sinfonia’
“””… […] < La coscienza è un grandioso brano sinfonico. Possiamo dire che è l’ ingrediente principale della mente, che altrimenti sarebbe soltanto cervello, capace di poche operazioni di base. La mente cosciente invece ha differenti livelli di ‘sé’: il sé primordiale, il sé nucleare, il sé autobiografico. Noi condividiamo con diversi animali un tipo di coscienza molto semplice, che si può distinguere con il termine sentience . In inglese equivale a coscienza, ma per essere più precisi è la condizione dell’ essere senziente. E infatti è un termine più antico di coscienza, deriva dal latino sentire. Questo è sostanzialmente un ‘ sé primordiale’ che permette di avere sensazioni, come provare dolore e piacere. Ma non di riflettere su queste sensazioni >. D. Che cosa possiamo fare noi esseri umani ? R. < Grazie ad altri livelli come il sé nucleare e il sé autobiografico. Così siamo in grado non solo di essere senzienti, ma anche ‘riflettenti’. Ovvero abbiamo la capacità di speculare su noi stessi e su quello che ci succede. Anche nella prospettiva della storia e della memoria: ogni cosa che ci accade è un’ eco di quelle che abbiamo passato e assume senso in ciò che succederà poi. > D. La coscienza è quindi ciò che ci permette di dare senso alle cose ? R. < Proprio così- Il livello di base ha a che fare con le sensazioni, il resto della coscienza dà un quadro migliore e più chiaro di quello che significano le cose. > D. E questo aspetto riflessivo che rapporto ha con il corpo ? R. < Ogni azione materiale è modellata e forgiata dal cervello. C’è una costante fusione tra cervello e corpo. Tanto che basta tagliare questo legame che tutto collassa. E’ il caso dei danni al tronco cerebrale, come avviene in certi casi di coma: tutto crolla, fisicamente e mentalmente >. […] D. Possiamo dire che la coscienza è una sorta di sceneggiatura della nostra vita ? R. < Sì, è giusto …. come esseri viventi abbiamo alla base una sinfonia e poi, quando raggiungiamo il livello del linguaggio, abbiamo una sceneggiatura. E questo è quello che facciamo: scriviamo le cose, tutte le volte >. D. quindi siamo noi che ‘scriviamo’ la nostra coscienza ? R. < Ne siamo gli autori in larghissima parte, ma non del tutto. In passato la natura ha scritto per noi. Perciò non siamo completamente padroni del nostro destino : spesso ci troviamo a far fronte a cose che non volevamo ma semplicemente sono successe >. D. E questa consapevolezza è sempre un bene ? R. < Più sappiamo come siamo fatti, più possiamo capire come funzioniamo. Certo, c’è la doppia faccia, quasi pericolosa …. che ci mostra la tragedia della vita: vivere e morire. Eppure questa conoscenza è la sola possibilità che abbiamo di aiutare gli altri a vivere meglio >. […] D. Che importanza ha la biologia nel suo lavoro ? R.< Tutto si può capire meglio se lo si guarda in una prospettiva biologica. I nostri sistemi biologici sono sistemi economici, ovvero sistemi che operano in un ambiente sociale. Questo ci può maiutare a comprendere la nostra società che, in fondo, si comporta come un sistema biologico, basato sul successo e sul fallimento. I sistemi morali, religiosi, economici, così come le leggi o la medicina e le arti, non sono altro che una proiezione di un sistema biologico > D. E questo vivere biologico come si concilia con la coscienza che abbiamo di noi stessi ? R. < La nostra condizione di viventi è una lotta contro la malattia e la morte. È una battaglia costante, dobbiamo sempre lottare per mantenere una ‘ condizione omeostatica ‘. Questa condizione oscilla fra il buon funzionamento e il cattivo funzionamento. Sin dall’ inizio biologico ed evolutivo, storicamente, appaiono questi yin e yang, uno nella forma del piacere e l’ altro nella forma del dolore. E vivere è stare nel mezzo. Dobbiamo navigare fra il troppo dolore che ti uccide e la troppa felicità, che ti uccide lo stesso >. […] …”””
( dall’ intervista di Marco Filoni al neuroscienziato Antonio Damasio, la Repubblica di Mercoledì 18 Aprile 2012 )
nota di chiara: PER CHI SENTE IL BISOGNO DI UN APPROFONDIMENTO su questo gigantesco personaggio che ha contribuito, insieme a tanti altri, a “cambiare-ricreare” l’aria che respiriamo oggi, al punto che-specie nei giovani- certi suoi concetti appaiono affermati come ovvietà. La sua, sempre insieme ad altri, è comunque ancora una battaglia durissima che per ora non smuove “il buon senso”, perché Cartesio (primissimi del Seicento), insieme a Galileo Galilei, entrambi frutti del nostro grandioso Umanesimo Rinascimento (Quattro-Cinquecento<), sono alla base strutturale delle origine del mondo moderno. In questo fondamento e nella sua scala di valori (per es. razionalità opposta a sentimento/ corpo e mente senza alcun rapporto, cos’è la conoscenza vera opposta a quella falsa e perché la scienza, per essere efficace, deve partire dall’esperimento e non dal’empireo delle idee)…in questa scala di valori, dicevo, noi ci viviamo tuttora e, come sappiamo, le vecchie concezioni -sedimentate nei secoli – e diventate così “buon senso” “senso comune” “mondo di tutti” “normalita’ personale e ociale”- lottano con violenza per mantenersi e bloccare il nuovo che le sostituirà. Questo è l’articolo che al momento è il migliore articolo che ho trovato su Internet. Sottolineo alcune cose che di questo autore mi hanno più colpito nonché guidato nel cambiare un modo di vedere la mia vita e quella degli altri.
Antonio R. Damasio
Vita, pensiero, libri
Antonio R. Damasio è docente di Neuroscienze, Neurologia e Psicologiapresso la University of Southern California, dove dirige il Brain and Creativity Institute, nonché professore associato al Salk Institute e alla University of Iowa. Le sue ricerche sulla neurologia della visione, della memoria, del linguaggio, e i suoi contributi allo studio della malattia di Alzheimer gli hanno procurato fama internazionale.
Vita
Nato a Lisbona nel 1944 e laureato in medicina, Antonio Rosa Damasio opera negli USA. Rappresenta una delle figure di maggior spicco a livello mondiale nel campo delle neuroscienze. E’ autore di importanti pubblicazioni sulla memoria, sulla fisiologia delle emozioni e sulla malattia di Alzheimer.
I laboratori di ricerca che Damasio e sua moglie Hanna hanno realizzato presso l’Università dello Iowa, sono considerati ormai un punto di riferimento per lo studio dei fenomeni nervosi che sono alla base dei processi cognitivi.
Antonio Damasio è membro di prestigiose associazioni, come l’European Academy of Science and Arts e l’American Neurological Association; fa parte inoltre dei comitati scientifici di importanti periodici dedicati alle neuroscienze e di alcune fondazioni di ricerca.
Pensiero
Il punto di partenza di Damasio, sostenuto dall’osservazione di diversi casi clinici, è che il cervello non può essere studiato senza tener conto dell’organismo a cui appartiene e dei suoi rapporti con l’ambiente.
Per Damasio, lo studio delle funzioni cognitive, e in particolare dellacoscienza, ha subito per lungo tempo l’influsso di una tradizione filosofica che può essere fatta risalire a Cartesio. Questi ci propone, infatti, una concezione che separa nettamente la mente dal corpo, attribuendo alla prima, addirittura, un fondamento non materiale.
L’errore di Cartesio è stato quello di non capire che la natura ha costruito l’apparato della razionalità non solo al di sopra di quello della regolazione biologica, ma anche a partire da esso e al suo stesso interno.
Il processo decisionale (ad esempio quello di compiere una scelta tra due o più alternative), per Damasio è condizionato dalle risposte somatiche emotive osservabili, utilizzate dal soggetto come indicatori della bontà o meno di una certa prospettiva: i sentimenti somatici normalmente accompagnano le nostre aspettative del possibile esito delle varie opzioni di una decisione da prendere; in altre parole, i sentimenti fanno parte in qualche modo del contrassegno posto sulle varie opzioni; in tal modo i marcatori somatici ci servono come strumento automatico che facilita il compito di selezionare opzioni vantaggiose dal punto di vista biologico.
Nelle scienze biologiche, l’orientamento cartesiano ha avuto come conseguenza quello di emarginare la mente dal campo della ricerca, ritardando ogni serio tentativo di indagarla mediante un approccio scientifico rigoroso.
La coscienza, nel modello di Damasio, è studiata in funzione di due componenti fondamentali: l’organismo e l’oggetto, insieme alle relazioni che si sviluppano tra loro nel corso delle loro interazioni. In tale prospettiva, la coscienza consiste nella costruzione di conoscenze rispetto a due aspetti:
– l’organismo che entra in relazione con qualche oggetto;
– l’oggetto coinvolto nella relazione che causa un cambiamento nell’organismo.
Comprendere la biologia della coscienza significa quindi capire in che modo il cervello riesce a rappresentare le due componenti – organismo e oggetto – e in che modo si stabilisce la relazione tra questi.
Secondo Damasio, la coscienza inizia come un sentimento, un tipo particolare di sentimento, ma comunque qualcosa di assimilabile a questo, anche se non completamente sovrapponibile alle altre modalità sensoriali rivolte al mondo esterno. In ogni caso, coscienza ed emozione non sono separabili, poiché la prima è indissolubilmente legata al sentimento del corpo.
Da un punto di vista evolutivo, le emozioni sono risposte fisiologiche che mirano ad ottimizzare le azioni intraprese dall’organismo nel mondo che lo circonda. A sostegno di queste tesi, il neurofisiologo portoghese riporta alcune prove neurologiche che mostrano come certi meccanismi cerebrali siano comuni sia alle emozioni che alla coscienza, giungendo alla conclusione che la coscienza rappresenti fondamentalmente un aspetto ausiliario della nostra dotazione biologica di adattameno all’ambiente.
Nella concezione di Damasio, la coscienza non è monolitica, ma può essere distinta in:
– Proto-sé
Fenomeno primordiale di autoidentificazione che l’uomo condivide con gli animali superiori, alle cui base sono le emozioni, eventi strettamente biologici, sui quali si sviluppano poi i sentimenti (paura, fame, sesso, rabbia…) che hanno come motore l’interazione tra l’organismo e il mondo oggettuale. Il “proto-sé” non è consapevole di sé: rappresenta semmai quella parte del sé che impara poco per volta a riconoscersi come parte separata dal mondo esterno.
– Coscienza nucleare
Fenomeno biologico nel quale sono contemporaneamente presenti tre elementi: l’oggetto di sui si è coscienti, la posizione del proprio corpo rispetto a quell’oggetto e la relazione che si stabilisce tra queste due entità. La coscienza nucleare fornisce all’organismo un senso di sé qui e ora; non ci dice nulla riguardo al futuro. L’unico passato che possiede è quello, vago, relativo a ciò che è appena accaduto.
– Coscienza estesa
Si forma sulla base della coscienza nucleare ed è all’origine del “sé autobiografico”.
Questo livello di coscienza richiede il linguaggio, poiché solo attraverso di esso possiamo formulare la nostra storia personale, in cui prendono posto i ricordi, le speranze, i rimpianti e così via.
Il modello di coscienza proposto da Damasio è un modello gerarchico, per cui non può darsi il sé nucleare senza il proto-sé e non può darsi quello autobiografico senza il sé nucleare.
A Damasio va senz’altro riconosciuto il merito di aver contribuito a introdurre il corpo nella discussione scientifica sulla coscienza. L’idea che l’organismo partecipi all’esperienza cosciente rompe nettamente con una tradizione che vuole la mente ben distinta dal corpo e restituisce alla coscienza stessa i requisiti biologici indispensabili per farne un oggetto di studio scientifico.
(Per gentile concessione de “Il Diogene” – www.ildiogene.it)
Libri
– Alla ricerca di Spinoza. Emozioni, sentimenti e cervello
di Antonio R. Damasio, 2003 – Adelphi edizioni
Attingendo ai risultati più recenti delle neuroscienze cognitive – in parte conseguiti dal suo stesso gruppo di ricerca allo University of Iowa Medical Center -, Damasio propone una risposta a vertiginosi interrogativi: da dove nascono i sentimenti? A che servono? E infine: che cosa sono? In questa analisi, insieme fenomenologica e neurobiologica, l’esperienza clinica e scientifica di Damasio si fonde, soprattutto nella esposizione dei casi clinici, con una vena narrativa affine a quella di Oliver Sacks.
Il volume completa la trilogia iniziata con “L’errore di Cartesio” ed “Emozione e coscienza”.
– Emozione e coscienza di Antonio R. Damasio, 2000 – Traduzione di Simonetta Frediani, Adelphi edizioni.
In quest’opera, Damasio prosegue sulla via già intrapresa con “L’errore di Cartesio”, affrontando il tema della coscienza dalla duplice prospettiva dell’analisi a livello neurofisiologico e delle relative corrispondenze sul piano psicologico.
– L’errore di Cartesio. Emozioni, ragione e cervello umano
di Antonio R. Damasio, 1995 – Traduzione di Filippo Macaluso, Adelphi edizioni.
In quest’opera Damasio compie il tentativo di unificare mente, cervello e corpo, sulla base di dati rigorosamente scientifici. Partendo da alcuni casi clinici, come quello di Phineas P. Cage, egli cerca di dimostrare che l’idea dell’esistenza di un pensiero puro, di una razionalità non influenzata da emozioni e sentimenti, non ha riscontro nella realtà.
La nostra mente, secondo Damasio, non è strutturata come un computer, in grado cioè di presentarci un elenco di argomenti razionali a favore o contro una determinata scelta. La mente umana agisce in maniera molto più rapida (anche se meno precisa): prende in considerazione il peso emotivo che deriva dalle nostre precedenti esperienze, fornendoci una risposta sotto forma di sensazione viscerale.
L’errore di Cartesio è stato quello di non capire che l’apparato della razionalità non è indipendente da quello della regolazione biologica, e che le emozioni e i sentimenti spesso sono in grado di condizionare fortemente, e a nostra insaputa, le nostre convinzioni e le nostre scelte.
– Suggeriamo la lettura dell’articolo: La mente senza emozioni del signor Elliot presente nella rubrica di Luciano Peccarisi Riflessioni sulla Mente.
Grazie, cara Chiara per l’ attenzione alle mie segnalazioni su cinelibri.