Le oligarchie dei sapienti
Positivo fu l’insorgere di movimenti cittadini che diedero vita a nuove forme di democrazia deliberativa, correggendo dal basso l’atrofizzata, oligarchica democrazia rappresentativa.
Non meno fuorviante il modello olandese, caro agli uomini di Monti e sfociato nei due comitati di Saggi incaricati da Napolitano di negoziare punti d’accordo istituzionali ed economici fra destra, centro e sinistra. Due volte, nel 2010 e nel 2012, i Paesi Bassi ricorsero ai Facilitatori (Napolitano ricusa la parola Saggio), dopo voti dall’esito dubbio. Nel 2010, la regina nominò suoi “esploratori” sette volte. Il metodo funzionò male, ed ebbe come conseguenza un Parlamento esautorato, l’espandersi della partitocrazia (più precisamente: del male che andava combattuto), e una monarchia screditata.
Il 13 settembre 2012, la Costituzione olandese fu riformata, abolendo i poteri d’influenza del monarca – e delle sue camarille partitiche – nella formazione dei governi. Il futuro Presidente italiano farebbe bene a trarne insegnamento: incoraggiare inciuci
rigettati da gran parte dell’Italia estenua la forza della carica. Il Parlamento olandese fece sapere alla regina che i Sapienti erano in Parlamento, non nelle regali stanze. Napolitano si dice abbandonato dai partiti che pure ha assecondato.
Ma anche il secondo tentativo olandese, che nel 2012 facilitò una grande coalizione all’insegna di “Costruire Ponti”, è un esempio bislacco. Se l’ingovernabilità ha dominato i Paesi Bassi così a lungo, è perché nel 2010 aveva fatto irruzione, rompendo gli appassiti equilibrismi fra destre e laburisti, un inedito soggetto politico: Geert Wilders, islamofobo e nazionalista. Le sue idee sono già ben radicate nella destra italiana (nella Lega, in parte del Pdl). Con Grillo hanno poco a che vedere. Una sinistra rinnovata può allearsi con 5 Stelle e approvare leggi democratiche essenziali; con personalità che somigliassero a Wilders no.
Obiettivo del modello olandese era estirpare Wilders, tramite un arco costituzionale comprendente il mondo di ieri. In Italia l’esigenza è tutt’altra: formare un governo che incorpori alcune richieste molto sensate di Grillo. Un’occasione purtroppo persa dal M5S, che per settimane si è rifiutato di proporre il nome di un Premier, finendo col propiziare l’odierna ricaduta nell’inciucio. Ma l’occasione potrebbe ripresentarsi. Bersani, formalmente ancora incaricato, potrebbe fermare la deriva del Pd. Così come si spera che sinistre e Cinque Stelle facciano un nome, per il Quirinale, che voli alto. Che ignori la logica escludente dei 10 Saggi e l’intesa sinistra-Berlusconi su cui lavorano.
I 10 Facilitatori scimmiottano l’Olanda, e l’obiettivo è escludere l’avulso, l’alieno Grillo/Wilders. A guidarli: l’istinto di sopravvivenza di un ordine politico ammaliato sin dagli anni ’70 dalle larghe intese. Non dimentichiamo che di ingovernabilità si cominciò a discettare in quell’epoca. Oberato da un “sovraccarico” di domande, sociali e civili (da una cittadinanza indisciplinata e sprecona, scrisse Gianfranco Pasquino), il potere diede risposte neoconservatrici: la democrazia, per tranquillizzarsi, doveva ridurre tali domande. La politica si sarebbe difesa emancipandosi dalla società civile. Fu allora che la parola riforma degenerò: non significò più miglioramento, ma sacrifici e peggioramento.
È con la forza dell’inerzia che quest’ordine fa oggi quadrato contro Grillo, per neutralizzarlo e spegnerlo. Sbigottito dalla democrazia partecipata e dalle azioni popolari, il vecchio sistema si cura coi veleni che ha prodotto, indifferente alla vera nostra anomalia che è Berlusconi: anomalia che spiega Grillo e le sue rigidità. I veleni sono le cerchie di potenti, legati ai partiti e non all’elettore, e si sa che la democrazia, quando si moltiplicano le domande cittadine, secerne le sue ferree leggi delle oligarchie. “I grandi numeri producono il potere di piccoli numeri”, disse tempo fa Gustavo Zagrebelsky: “L’oligarchia è l’élite che si fa corpo separato ed espropria i grandi numeri a proprio vantaggio. Trasforma la res publica in res privata” (Repubblica, 5-3-11).
I nomi dei Saggi designati da Napolitano sono quasi tutti figli delle oligarchie (Onida e Rossi sono un’eccezione). L’esempio più ominoso è quello di Luciano Violante: passato ormai alla storia per aver ammesso, nel 2003 alla Camera, che il Pd non era sospettabile dal governo di destra visto che sin dall’inizio aveva favorito Berlusconi, al punto da infrangere una legge del 1957 sull’ineleggibilità dei titolari di concessioni pubbliche. Riportiamo le parole che disse, perché non tutti avranno visto il film di Sabina Guzzanti (Viva Zapatero!): “L’on. Berlusconi sa per certo che gli è stata data la garanzia piena, non adesso ma nel 1994, che non sarebbero state toccate le televisioni, quando ci fu il cambio di governo. Lo sa lui, e lo sa l’on. Letta! (…) Voi ci avete accusato di regime, nonostante non avessimo fatto il conflitto di interessi, avessimo dichiarato eleggibile Berlusconi nonostante le concessioni, (avessimo permesso) che il fatturato di Mediaset, durante il centrosinistra, aumentasse di 25 volte!”. In altre parole: abbiamo patteggiato col diavolo dell’illegalità, ed ecco come ci ripagate!
Se così stanno le cose, è inane la protesta contro l’assenza di donne o giovani nei comitati. Forse che questi verrebbero nobilitati, se fosse cooptata una donna o un rottamatore? Difficile crederlo: il problema delle commissioni paracadutate dall’alto è la loro natura oligarchica, la loro dipendenza dall’ordine lottizzatore dei partiti, l’esclusione della cittadinanza che ha portato Grillo in Parlamento. Il male è quello che Adriano Olivetti (fondatore del Movimento Comunità, europeista) denunciò già nel 1959: “I sistemi congegnati e intrapresi dagli uomini della politica vorrebbero risanare la situazione e trovare la soluzione dall’alto, attraverso la macchina della burocrazia centrale, la penombra delle commissioni, e la potenza occulta degli apparati di partito”.
L’ultimo atto di Napolitano è disperato, solitario e conservatore (ben più ardito e coraggioso il suo europeismo). Al Corriere, ieri, ha detto che altre strade non c’erano: le Commissioni dureranno poco, non indicheranno governi. Tuttavia, anche se i Saggi saranno rapidi, i nomi prescelti proteggono la vecchia partitocrazia e già prefigurano una coalizione. Non costruiscono ponti verso il nuovo. Premiata è quella che Zagrebelsky chiama l’accidia della democrazia: “sulla libertà morale, prevale il richiamo del gregge e la tendenza gregaria”.
Oligarchie e greggi non sono tuttavia il ferreo destino della democrazia: sono solo una possibilità. Il Parlamento può aprirne altre, diverse: esigendo che subito siano istituite le commissioni parlamentari, senza attendere il nuovo governo, per deliberare su conflitto di interessi, legge elettorale, finanziamento dei partiti, reddito di cittadinanza, politica estera, austerità europea da rivedere. Subito può riunirsi la Giunta delle elezioni, per valutare se la legge sia stata rispettata quando Berlusconi fu ripetutamente eletto. Subito può chiedere che Monti agisca come deve: non come prospettato dal Quirinale (“d’intesa con le istituzioni europee e con l’essenziale contributo del nuovo Parlamento”), ma previa intesa col nuovo Parlamento e con il contributo di un’Europa da rifondare. Altre vie non s’intravvedono, sempre che si voglia smettere di trattare i cittadini come scolari spreconi e uscire dalla penombra delle commissioni.
(03 aprile 2013)© RIPRODUZIONE RISERVATA