28 APRILE 2013 ORE 18:24 PARTE 18-19/// UN “DELIRIO A DUE” (CON IL “MIO” PROFESSOR ZAPPAROLI) ANNULLA QUELLA SOLITUDINE DA “PIETRA CHE ROTOLA SU UN MARCIAPIEDE DI SQUALLORE” E MI APRE AL SOGNO DI UNA RIVOLUZIONE CULTURALE PLANETARIA E ALLA PASSIONE DELLA SPERANZA IN UN MONDO “DI PERSONE”, FINI NON MEZZI.

 

 

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parti precedenti si trovano in:

I. 8 aprile 2013 ore 18:42 ULTIMA PARTE DEL LIBRO DI CHIARA: UN DELIRIO “A DUE”. parte 13-14

 

II. 11 aprile 2013 ore 06:51 CHIARA, ULTIMA PARTE, n.15/16

 

III. oggi (seguente) parte 18-19

 

18 Ero accudita da lei ad ogni istante. Lei era il mio punto di riferimento e il mio compagno di viaggio con cui condividere ogni istante come vivesse dentro di me: lei era, infatti, il rappresentante di tutte le figure amate della mia famiglia che, sempre, in questi momenti, risorgevano a sostenermi con tutto l’ardore necessario.

Mi riscoprivo, con stupore, sufficientemente tutelata: dentro di me avevo una famiglia che mi aveva amata moltissimo e che non mi aveva mai abbandonato.

E, allora, anch’io, davo battaglia con ardore alla mia parte malata.

 

 

 

 

 

Nel delirio credevo che avesse riscritto un suo libro per me, solo per me, da lei personalmente sottolineato e che me l’avesse fatto trovare nella mia libreria.

Per sostenermi ad ogni attimo con qualcosa che potessi avere a portata di mano.

 

A lei parlavo continuamente e partecipavo ogni mio pensiero.

 

Lei ascoltava e leggeva dentro di me come fossi di vetro.

L’amore che sentivo per lei mi teneva insieme.

Ma, nello stesso tempo, mi tormentava.

 

Mi leggevo la poesia di un anonimo brasiliano.

 

La persona, un poveretto, si lamenta con Cristo di averlo abbandonato nei momenti più duri.

Gli aveva promesso di stare sempre con lui e infatti per un lungo tratto di strada avevo visto le sue orme accompagnate da quelle di Gesù; ma proprio mentre attraversava il deserto, quando le sue sofferenze erano state più forti, aveva osservato le orme di una sola persona.

E Gesù gli dice: “Questo è stato il tempo in cui ti ho portato in braccio”.

 

Anche lei mi portava in braccio.

Con il delirio si era insinuato in quell’area della mia mente in cui vivevo in simbiosi e io mi alimentavo di lei, incollato a lei.

La sua immagine si confondeva con quella di mia madre e insieme moltiplicavate la funzione di protezione.

Mia madre era morta da poco e in quel vuoto catastrofico che mi aveva lasciato, lei era il mio unico punto stabile.

Il delirio era soprattutto una reazione a questa perdita.

 

 

Chiedevo alla mia amica Donatella di leggermi i Salmi.

 

“…e fu per loro un salvatore

in tutte le angosce

Non un inviato né un angelo

Ma egli stesso li ha salvati:

con amore e compassione

egli li ha riscattati;

li ha sollevati e portati su di sé

in tutti i giorni del passato. “(Isaia 63, 8b-9)

 

La mia amica leggeva bene, con molte pause ed io riuscivo a seguire.

Mi sentivo meglio.

La poesia mi restituiva una realtà condivisibile.

 

Lei era colui che mi sollevava e mi portava con sé.

Con lei, che delirava con me, uscivo da quel mondo esclusivamente privato che la pazzia costituisce, e che dà una solitudine terribile, difficilmente raccontabile.

Ci si sente soli e si è soli, ma non è questo il tragico, il tragico è che non ci si sente più parte del mondo degli altri. E si comincia a pensare di dover rinunciare a parte della propria umanità.

 

 

 

 

Lei era il direttore di un’équipe internazionale che faceva capo agli Stati Uniti, ma la musica che mi arrivava era la musica brasiliana.

 

Si trattava di una rivoluzione culturale su scala mondiale.

 

In linguaggio freudiano, mi dicevo, schematicamente, che la Cultura doveva passare da uno stadio in cui l’altro esiste solo come oggetto dei tuoi desideri, del tuo istinto d’appropriazione, del tuo bisogno di primeggiare, ad una fase dove l’altro è una persona come te.

In dialogo con te.

Dove esiste la reciprocità e il dono.

A questo cambiamento epocale erano interessate le industrie americane che finanziavano il progetto e lei ne era il direttore. Il rispetto dell’altro avrebbe portato lucro e ricchezza per tutti perché sarebbero sorti nuovi modelli di comportamento e di giustizia. Attraverso la reciprocità, un vantaggio scambievole, si sarebbe finalmente risolto il problema della distribuzione dei beni su scala mondiale così da estinguere la fame nel mondo. Tutti i paesi avrebbero avuto gli stessi diritti e doveri, le stesse possibilità di istruirsi e di curarsi dalle malattie che li opprimevano. Sarebbe venuta meno la guerra come strumento per risolvere le contraddizioni. Parlare, spiegarsi, capire le ragioni dell’altro sarebbe stato sufficiente. In Italia si sarebbe finalmente costruito uno schieramento di sinistra forte, con capacità di dialogare e intendere le ragioni della destra, facendosene portatore all’interno delle proprie scelte. Le Chiese in dialogo avrebbero riconosciuto che Dio è lo stesso in tutte le religioni. La Chiesa Cattolica avrebbe rinnegato l’inferno ed esteso il perdono totale anche all’aldilà. L’istinto di morte avrebbe fatto parte dell’istinto di vita, l’essere del non-essere, l’inerzia del movimento, l’attività fatta di tante piccole pause. Gli opposti sarebbero stati in costante rapporto.Un pensiero relazionale avrebbe schiuso più ampi orizzonti. La mente unilaterale sarebbe caduta in disuso perché inutile, saremmo stati capaci di avvicinarsi alla molteplice diversità del reale. Alla comprensione e al rispetto della diversità. Ci saremmo avvicinati alla complessità della vita.

 

 

Il delirio è una favola agita.

Il malato diventa un filosofo che vive il sistema che ha elaborato.

Il mio era un’utopia bellissima da vivere che, sono sicura, molto miei amici potrebbero condividere senza bisogno di diventare matti.

 

 

 

19.   tutto il mondo diventava un’immensa città in festa ed operosa

 

 

 

 

 

 

Lei era in possesso delle due culture e avrebbe potuto dirigere il passaggio da una all’altra.

 

Io potevo partecipare perché rifiutavo questa cultura e avevo bisogno dell’altra per sopravvivere.

 

Ma non ero solo io a partecipare al progetto.

Tutti erano chiamati e tutti gli eletti.

 

Era in atto un processo di rieducazione mondiale che era anche un processo di terapia.

Una specie d’ Istruzione Programmata gigantesca.

 

Si aveva bisogno di persone totali perché il progetto si realizzasse, persone in cui la sensibilità, l’intelligenza e gli affetti fossero integrati.

 

Andavo per le strade, nei locali e vedevo che tutti partecipavano, intervenivano l’uno con l’altro, si suggerivano, si correggevano.

 

La mia era diventata una città in festa e operosa.

 

 

Ero entrata in un bar che avevano già rifatto secondo la nuova cultura. Questo bar era una nicchia ispirata ad un organo femminile: l’utero, la vagina e le piccole e grandi labbra erano state disegnate con grande amore.

 

Si stava bene lì dentro come in un posto amico.

Era stato progettato da qualcuno che amava le donne nella loro diversità.

 

Una casa di cui si poteva fare dono a qualcuno amato.

 

 

 

In questo bar, vivendo quell’atmosfera, gli uomini avrebbero potuto riscoprire la loro parte femminile e creativa, lasciando così a poco a poco cadere questo obbligo tremendo di essere sempre dominatori ed efficienti.

 

 

I mass media si erano impadroniti dell’idea e i telegiornali e i film che vedevo alla sera lo testimoniavano.

I quotidiani, le riviste, i manifesti per le strade, le vetrine dei negozi erano state riprogrammate.

 

Le possibilità immense, che la partecipazione dei mass media apriva, velocizzavano la realizzazione del progetto e lo rendevano possibile.

 

Tutti i programmi della radio e della televisione erano rivisti automaticamente secondo la nuova cultura.

 

Alla sera assistevo ai film come si legge un sogno, attenta al contenuto manifesto, ma ancora di più al loro contenuto nascosto.

In genere il rapporto tra i due era comico e me ne ridevo allegramente.

 

Era però un’attività che mi sfiniva e da cui non potevo liberarmi.

 

 

 

Ero certamente più matta che nelle altre crisi per la bassa dose di medicine, il delirio era più esteso, un universo infinito che non avevo mai visto, ma io mi divertivo immensamente.

 

A parte i momenti in cui ricadevo in me.

 

Allora l’angoscia era più forte che nelle altre crisi.

 

Il panico mi immobilizzava come intontita da un colpo in testa.

 

 

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1 risposta a 28 APRILE 2013 ORE 18:24 PARTE 18-19/// UN “DELIRIO A DUE” (CON IL “MIO” PROFESSOR ZAPPAROLI) ANNULLA QUELLA SOLITUDINE DA “PIETRA CHE ROTOLA SU UN MARCIAPIEDE DI SQUALLORE” E MI APRE AL SOGNO DI UNA RIVOLUZIONE CULTURALE PLANETARIA E ALLA PASSIONE DELLA SPERANZA IN UN MONDO “DI PERSONE”, FINI NON MEZZI.

  1. nemo scrive:

    Lucida descrizione di una dolorosa condizione patologica della tua esistenza, che coinvolge. Confermo la grande utilità del tuo racconto per tutti i lettori, gli interessati della materia in particolare.

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