nota: chiara ha preferito “di molto” questa edizione a quella classica di Elisabeth Scharzkoff, che spero di ricordarmi di farvela ascoltare. Come immaginate, è su YOUTUBE!
Dame Kiri Te Kanawa sings “Beim Schlafengehen” – Vier Letzte Lieder – Richard Strauss—Testo di Herman Hesse
Richard Strauss (1864-1949):
“Beim Schlafengehen”
from “Vier Letzte Lieder”
Beim SchlafengehenLanguage: German [Nun]1 der Tag mich [müd]2 gemacht, soll mein sehnliches Verlangen freundlich die gestirnte Nacht wie ein müdes Kind empfangen. Hände, laßt von allem Tun, Stirn, vergiß du alles Denken, alle meine Sinne nun wollen sich in Schlummer senken. Und die Seele unbewacht will in freien Flügen schweben, um im Zauberkreis der Nacht tief und tausendfach zu leben. |
Addormentandosi
Language: Italian
Ora che il giorno mi ha estenuato, il mio ardente desiderio accoglierà in amicizia la notte stellata come un bambino stanco. Mani, lasciate ogni cura, fronte, dimentica ogni pensiero; tutti i miei sensi vogliono ora sprofondare nel sonno. Così l'anima, incustodita, volerà con libere ali, per vivere profondamente e per migliaia di volte nel cerchio magico della notte.
INFORMAZIONI PER CHI VUOL LEGGERE / IN GRASSETTO – SOTTO – QUELLO CHE SI RIFERISCE A QUESTO CANTO
Vier letzte Lieder (Quattro ultimi canti) per soprano e orchestra
Musica: Richard Strauss
Testo: Hermann Hesse i numeri 1, 2 e 3, Joseph von Eichendorff il numero 4
- Frühling (Primavera) – testo: Herman Hesse
- Allegretto
Soprano solista, 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, 3 fagotti, 4 corni, arpa, archi
Composizione: Pontresina, 18 Luglio 1948
- September (Settembre) – testo: Herman Hesse
- Andante
Soprano solista, 3 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, arpa, archi
Composizione: Montreux, 20 Settembre 1948
- Beim Schlafengehe (Addormentandosi) – testo: Herman Hesse
- AndanteBeim Schlafengehe (Addormentandosi) – testo: Herman Hesse
Soprano solista, 2 ottavini, 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, bassotuba, celesta, archi
Composizione: Pontresina, 4 Agosto 1948
- Im Abendrot (Al tramonto) – testo: Joseph von Eichendorff
- Andante
Soprano solista, 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, 2 fagotti, controfagotto, 3 trombe, 3 tromboni, bassotuba, timpani, archi
Composizione: Montreux, 6 Maggio 1948
Prima esecuzione: Londra, 22 Maggio 1950
Edizione: Boosey & Hawkes, Londra, 1950
Dedica: Dr. Willi Schuh und Frau
Strauss nel 1946 vinse l’angoscia e si rimise al lavoro, con la disciplina di sempre. Ma lavorava per sé non più per il mondo. I suoi di quel tempo sono lavori strumentali di sapienza, grazia e trasparenza superiori (nel 1945-46 la Sonatina per 16 fiati, come quella del ’43, significativamente intitolata stavolta Fröhliche Werkstatt, “La bottega allegra”, nel 1946 il Concerto per oboe, nel 19417 il bellissimo Duetto-Concertino per clarinetto e fagotto con archi e arpa). Sono limpide meditazioni sulla classicità, elegantemente manieristiche, cortesie reverenti a Haydn e a Mozart (libere affatto da ogni sospetto di imitazione o parodia), segni sereni di pacificazione.
Ma Strauss pensava anche ad altro, a ciò che aveva abbandonato, al lirismo poetico della voce umana, a cui non aveva detto ancora addio. L’addio, egli alla fine lo pronunciò, ascendendo alla vetta dell’arte, come aveva fatto tante volte in passato, con i Vier letzte Lieder (Quattro ultimi canti). Il titolo non è di Strauss, che forse non aveva neppure pensato di farne un ciclo, è invece di Ernest Roth, funzionario della casa editrice Boosey and Hawks, il quale fissò anche l’ordine, preferibile almeno in concerto, dei quattro Lieder – ordine che non è quello cronologico della composizione.
In quegli anni appartati e difficili Strauss, gran lettore per antica abitudine, leggeva molto, più di quanto avesse mai fatto. Nel 1946 lesse, o rilesse dopo decenni, la poesia Im Abendrot (Al tramonto) del poeta romantico Joseph von Eichendorff (1788-1857). Di lui aveva musicato in passato, nel 1927, quattro poesie del ciclo Die Tageszeiten per coro maschile e orchestra e mai più altro (veramente tra le opere della fanciullezza non pubblicate ci sono alcune composizioni su versi di Eichendorff, anche queste per coro).
Alla fine del 1945 Strauss con la moglie aveva lasciato la Germania rifugiandosi in Svizzera. Della delusione e delle amare difficoltà di quegli anni ho detto. La bella poesia di Eichendorff (“Al tramonto”) trasfigurava in una superiore serenità l’afflizione del vecchio genio stanco, ma cantava anche il consolante valore dell’amore fedele in prossimità della morte: «Siamo passati tra pena e letizia, insieme, la mano nella mano, ora ci riposiamo dal cammino, in una terra tranquilla. Intorno si oscurano le valli, già l’aria si fa buia […] O ampia, immobile pace! Così profonda nel tramonto! Siamo tanto stanchi del cammino: questa è forse la morte?»
Strauss stese subito un abbozzo del Lied, alla fine del 1946, poi accantonò il lavoro. Visto lo stupendo risultato di poi, vorremmo dire che egli abbia lasciato crescere e maturare in sé l’emozione creativa accesa da quelle parole che egli voleva fossero le ultime.
Passò circa un anno, poi il 6 maggio 1948, a Montreux, egli concluse la strumentazione del suo Lied crepuscolare. E riprese le sue letture, irrequieto e scontento.
Qui segue un aneddoto incantevole. Il figlio, Franz Strauss, temeva l’inattività del padre, che poteva segnare un declino, e qualche volta l’esortava a interrompere tutte quelle letture e a riprendere la composizione. Strauss in silenzio non gradiva le sollecitazioni. Un giorno Franz passò al padre la raccolta di poesie di Hermann Hesse, uscita da poco. Il 20 giugno 1948 Strauss stese il primo abbozzo di Frühling, concluso neppure un mese dopo, il 18 luglio. In rapida successione, come spinto da necessità interiore, creò Beim Schlafengehen e September: terminò l’una il 4 agosto, il 14 agosto l’abbozzo della seconda e il 20 settembre la versione definitiva. Le ultime parole che egli intonò, in uno struggente colore autunnale dell’orchestra, sono: “E lentamente chiude i suoi occhi stanchi” (certamente pensò a sé: il testo di Hesse, infatti, parla di “grandi occhi stanchi” e Strauss soppresse il primo aggettivo, inappropriato al lirismo autobiografico). E una sera egli, memore del rimprovero di qualche mese prima, consegnò il manoscritto dei tre capolavori sublimi alla carissima nuora, la signora Alice Strauss, dicendo con affettuosa ironia di darli a Franz: questo era ciò che il vecchio padre aveva saputo fare!
Come si è detto, non sappiamo se Strauss abbia mai deciso di fare dei quattro Lieder un ciclo, un’unità poetico-musicale (anzi, la differenza nell’organico orchestrale tra il primo Lied e gli altri tre farebbe pensare il contrario). Ma l’unità esiste e tutti la percepiamo – è l’unità di un’idea superiore sulla vita, di un sentimento della condizione umana presso il confine. Che si può dire ancora del capolavoro celeberrimo, ormai amato da tutti? (Ma non sembrano lontani gli anni, in verità ormai remoti, in cui queste liriche incomparabili erano giudicate con sufficienza: c’è ancora chi ricorda bene la sua intensa commozione alla prima esecuzione italiana, a Roma, dei Vier letzte Lieder, e il suo stupore nel sentire i molti giudizi di chi si dichiarava deluso o indifferente a questa musica antiquata).
Al momento dell’addio il grande artista compie, con semplice solennità e con pathos profondo e discreto, un rito della memoria – della sua memoria di uomo e di musicista e della memoria di tutti gli uomini degni. L’espressione autobiografica, impulso produttivo dell’arte di Strauss, ora compiutamente si trasforma in solidale, fraterna commozione dei rimpianti, e delle speranze. Un tale dominio della bellezza pura e luminosa riscatta ogni dolore e riscatta la morte. Ciò che è stato, dice commosso il poeta-musicista, è stato bene – e sarà bene per sempre. Ogni pensiero, ricordo, affetto (il Lied romantico, l’opera, Mozart e Wagner, la voce femminile, l’arte del contrappunto, le immagini delle persone amate, il padre, la moglie Pauline, Elisabeth Schumann, Maria Jeritza…), i Naturlaute, le voci della natura – tutto è trasfigurato in un raggiante incanto sonoro, che ha pochi, pochissimi confronti nella nostra musica. Chi ascolta e sa ricordare e commuoversi, è soggiogato da tale bellezza, da tale glorificazione del passato, perché essa è sobria, necessaria, definitiva. Sì che in essa il brivido della primavera, la malinconia dell’autunno, il tramonto, la notte, il presagio della morte, tutte le metafore esistenziali del sentimento romantico ci suonano oggi come una metafora assoluta della nostra civiltà.
Franco Serpa
Se con Till Eulenspiegel Strauss aveva suggerito che vivere è un piacere, con i Quattro ultimi Lieder ci mostra quanto è dolce perfino il morire, quando tutto sia stato detto. Ed effettivamente, nei cinquantatré anni che separano il giovanile poema sinfonico dal capolavoro estremo, Strauss poteva pensare di aver detto tutto quanto aveva da dire. Aveva egli stesso attraversato la gioia e il dolore mano nella mano con la sua musica, nella storia e nel mito; ora non restava che riposare nella pace profonda del tramonto. Sarebbe tuttavia sbagliato vedere nei Quattro ultimi Lieder una rinuncia alla vita: essi sono piuttosto un sereno congedo dal mondo ogni passione spenta, la trasfigurazione di un distacco irreparabile che pone in dubbio la realtà stessa dell’evento.
La composizione dei Quattro ultimi Lieder ebbe inizio subito dopo la fine della guerra, dopo l’abbandono di Garmisch e l’esilio coatto in Svizzera. Che Strauss non pensasse da principio di farne un ciclo, né tantomeno che l’ordine di successione dovesse essere quello che conosciamo dall’edizione uscita postuma nel 1950, è provato dal fatto che la stesura di Im Abendrot /Al tramonto, abbozzato già tra la fine del 1946 e l’inizio del 1947 e terminato in partitura il 6 maggio 1948 a Montreux, precedette le altre, e che dunque un poeta tanto caro a Strauss quanto lontano dall’attualità come Joseph von Eichendorff (1788-1857) attirò la sua attenzione prima che la conoscenza delle liriche di Hermann Hesse (1877-1962) lo spingesse a completare il lavoro. Il secondo Lied in ordine di composizione fu Frühling (18 luglio 1948, a Pontresina): seguirono, rispettivamente il 4 agosto e il 20 settembre dello stesso anno, sempre a Pontresina, Beim Schlafengehen e September. Strauss morì prima di poter ascoltare la sua opera, che venne eseguita per la prima volta all’Albert Hall di Londra il 22 maggio 1950 da Kirsten Flagstadt e Wilhelm Furtwängler.
Sappiamo in realtà poco della genesi dei Quattro ultimi Lieder, come se Strauss, dopo averli battezzati “die letzten”, “gli ultimi”, stentasse a parlarne, e non per motivi scaramantici. Aveva dichiarato di considerare l’opera Capriccio come il suo testamento, e che un testamento non si poteva scrivere due volte. “Esiste qualcosa di più perfetto di quest’opera?”, aveva anche aggiunto; dal suo punto di vista, probabilmente no: eppure aveva continuato a comporre. L’inafferrabilità dell’uomo, che era stata una costante della sua vita, sembra acuirsi negli ultimi anni per lasciar spazio solo ai ricordi e alla parvenza della musica.
Ritornando dopo trent’anni di teatro al Lied con orchestra, il vecchio Strauss affina all’inverosimile la capacità di interpretare con il canto le suggestioni di testi pregni di profondi significati emotivi, che la musica però alleggerisce e sospende in una dimensione di sogno, sprofondandoli mollemente in un tessuto orchestrale tanto sontuoso quanto evaporato: solo raramente, nonostante il dispiegamento massiccio dell’organico, usato in modo corposo. La dimensione cameristica è la vera dimensione di quest’opera: ottenuta via via togliendo e trasformando una pienezza originaria in struggenti frammenti di un addio. Sotto questo profilo non sono tanto i testi in sé a offrire l’impressione di un malinconico epitaffio, quanto lo svanire della musica sul soffio delle parole e delle immagini.
Il tono crepuscolare si manifesta come clima dominante dell’opera fin dall’inizio, nella visione di una primavera che filtra da volte senza luce, attirando teneramente a sé con la sua presenza miracolosa. L’iridiscenza dell’orchestra, che rende l’immagine di una perenne instabilità, sembra provenire da un altro mondo: ma la voce riafferma, con la sua linea melodica luminosa e salda, la bellezza di una sensazione vissuta. Questo clima si rispecchia anche nel Lied seguente, dove l’immagine dell’estate morente si colora di un’estenuata stanchezza, che a poco a poco diviene quasi simbolo di attesa della morte, dolcissimamente evocata dal corno.
Il terzo Lied, Beim Schlafengehen, sviluppa questi motivi ma introduce anche una nota di consolazione, che dopo l’esitante inizio della melodia sulle oscure sonorità di violoncelli e contrabbassi si trasferisce dalla voce al canto del primo violino solo contrappuntato dai corni.
“Molto tranquillo”, scrive Strauss: quasi a voler così rassicurare e placare un’inquietudine fattasi ormai troppo opprimente. Sarà poi la voce a dirci il destino più profondo dell’anima, volteggiando coi suoi aerei arabeschi nei cieli dell’assoluto. Così, l’accordo a piena orchestra che apre con un improvviso sussulto l’ultimo Lied del ciclo segna, nel passaggio da Hesse a Eichendorff, un mutamento di prospettiva, un’ascesa verso l’ignoto riconosciuto e desiderato: nessuna paura del nulla nel tramonto, nessuna nostalgia o tristezza, ma solo una fede serenamente consapevole dell’immortalità dello spirito nella conciliante simbiosi con i suoni della natura. E quando alla fine il poeta chiede ansiosamente se sia forse questa la morte, il corno risponde citando il motivo della trasfigurazione che sessant’anni prima, nel poema sinfonico Tod und Verkldrung, il giovane musicista aveva opposto all’idea della morte. Ed è davvero la fine che si compie nel cerchio magico della notte.
Sergio Sablich
(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell’Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 27 Marzo 2004, direttore Pinchas Steinberg, soprano Christine Brewer
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, 18 settembre 1999
Ultimo aggiornamento 30 agosto 2012