05.10.2010
Eric Kandel, in visita all’INN, racconta i traguardi recenti della ricerca scientifica nell’ambito
dei meccanismi che regolano la memoria. Le scoperte rilevanti sono almeno tre,
ma il futuro è nelle mani delle tecniche di “imaging”.
Per il futuro delle neuroscienze l’attenzione è puntata sul perfezionamento
delle tecniche di imaging
Eric Kandel, austriaco di nascita, è un neurologo, psichiatra e neuroscienziato. Dal 1974 è titolare
della cattedra di biofisica e biochimica presso la Columbia University e nell’anno 2000
ha vinto il Premio Nobel per la medicina, conseguito grazie alle ricerche sulle basi fisiologiche
della conservazione della memoria nei neuroni.
Tra il 4 e il 5 ottobre il professor Kandel è stato a Torino per incontrare il Presidente dell’Istituto
Nazionale di Neuroscienze (Inn) e visitare il Museo di Antropologia criminale “Cesare Lombroso”.
Riportiamo l’intervista che Premio Nobel ha gentilmente rilasciato in quella occasione.
Professor Kandel, a che punto è arrivata la nostra comprensione dei meccanismi
della memoria? E in che modo ritiene stia evolvendo?
Oggi disponiamo di dati scientifici che ci hanno permesso di comprendere quali sono i meccanismi
generali che regolano l’archiviazione dei ricordi. Sappiamo ancora poco, invece, dei circuiti neurali
coinvolti nell’archiviazione dei diversi tipi di memoria.
Riguardo ai meccanismi generali, possiamo riassumere che: la memorizzazione a breve termine
coinvolge proteine capaci di regolare l’efficienza della trasmissione sinaptica; la memoria a lungo termine,
invece, dipende dalla modificazione dell’espressione dei geni che regolano i processi di crescita
delle nuove connessioni sinaptiche.
A partire da queste conoscenze di base è stato possibile individuare altri elementi coinvolti
nei processi di memorizzazione. Uno di questi è il cromo, metallo che partecipa
alla formazione di ricordi a lungo termine.
Tra le recenti scoperte neuroscientifiche, quali sono le più rilevanti?
Direi che sono almeno tre.
Grazie ai lavori dello statunitense Tom Jessel, conosciamo meglio lo sviluppo del cervello e,
in particolare, del midollo spinale;
i coniugi norvegesi Edvard Moser e May-Britt Moser hanno scoperto le “cellule grid”,
situate nell’ippocampo e responsabili della costruzione delle mappe spaziali.
Infine, non possiamo tralasciare i neuroni specchio, scoperti nel sistema motorio dei primati
dall’italiano Giacomo Rizzolati. Nonostante i passi avanti in queste tre direzioni, ritengo che il vero
motore verso una conoscenza sempre più approfondita del cervello umano sia il progressivo
aumento del potere risolutivo delle tecniche di imaging.
Durante questi anni molti ricercatori italiani hanno avuto l’opportunità di lavorare
con lei negli Stati Uniti. Qual è la sua impressione riguardo alle menti italiane?
Finora sono stati davvero molti i postdoc italiani passati per il mio laboratorio, a partire da Marcello Brunelli
che ha lavorato con me negli anni Settanta. Si tratta di ricercatori estremamente bravi; alcuni di loro poi,
sono semplicemente straordinari. Personalmente credo sia più semplice per gli scienziati italiani
dimostrare il loro valore all’estero, e negli Stati Uniti in particolare.
Il motivo è che, una volta tornati in Italia, il loro impegno come docenti è così gravoso
da prosciugare molta della loro creatività.
Può dirci qualcosa sui nuovi farmaci per la cura delle malattie mentali?
Purtroppo conosciamo così poco delle basi neuro-anatomiche e dei meccanismi cellulari alla base
delle malattie neurologiche e psichiatriche che è molto difficile sviluppare nuovi farmaci.
L’unico a fare eccezione è il sistema dopaminergico di cui conosciamo bene i circuiti nervosi regolatori.
Per la schizofrenia, e lo stesso discorso vale in parte per la depressione, non siamo riusciti
ad andare oltre il blocco dei recettori della dopamina e l’inibizione selettiva del recupero
pre-sinaptico della serotonina.
Ogni mese lei partecipa in qualità di esperto al programma televisivo
The Charlie Rose Show. Crede sia uno strumento di comunicazione efficace?
Io mi diverto moltissimo a partecipare al The Charlie Rose Show. Propongo le tematiche e gli ospiti
con cui approfondirle in diretta. Credo che il programma stia avendo un buon impatto
sulla divulgazione scientifica negli Stati Uniti e sono sicuro che strumenti di comunicazione
di questo tipo sarebbero estremamente efficaci in Italia, forse addirittura più che negli Stati Uniti.
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