22 FEBBRAIO 2014 ORE 18:18 FRANCESCO GAVAZZI ALBERTO ALESINA IL LIBERISMO E’ DI SINISTRA–IL SAGGIATORE 2007 // negli art.sg la lettera che indirizzano a Renzi, di ieri, ci lascia capire un po’ meglio, comunque -a meno di dire subito qualcosa come: “brutti e schifosi puah” e sputate—a noi pare lecito domandarsi senza sapere la risposta: ci sarà qualcosa che serve al nostro paese? Puo’ anche darsi che fra cento anni, la gente che lavora starà meglio a seguito di queste riforme, ma…Non me capisco granché, ma a me pare che Ronald Reagan dicesse le stesse cose—ed è vero che facendo ripartire l’economia, alla fine, dopo qualche anno, anche ai lavoratori sono arrivate delle briciole! VOI NON ASCOLTATE, VERIFICATE DI PERSONA!

 

  • Corriere della Sera

DALL’ARCHIVIO DEL CORRIERE // UN ARTICOLO DEL

SETTEMBRE 2007 //PRESENTA IL LIBRO DI FRANCESCO

GIAVAZZI E ALBERTO ALESINA:

 

IL LIBERISMO E’ DI SINISTRA

IL LIBRO-PROVOCAZIONE DI ALBERTO ALESINA E

FRANCESCO GIAVAZZI CHE ANIMERÀ LA NUOVA

STAGIONE POLITICA

Perché il liberismo è di sinistra

Un’ Italia più efficiente va a favore degli outsider

 

«Da qualche mese in alcuni supermercati e autogrill italiani

giovani farmacisti vendono medicinali a un prezzo inferiore

del 20-30 per cento rispetto alle vecchie farmacie di città.

Chi è più di sinistra? Chi liberalizza commercio e professioni

o chi permette che le farmacie si tramandino di padre in figlio

consentendo loro di far pagare a prezzi esorbitanti anche

medicinali comunissimi come l’ aspirina?». Comincia con

un esempio assai concreto quello che si candida ad essere

il libro-provocazione della rentrée politica: Il liberismo è

di sinistra. Lo hanno scritto due economisti, Alberto Alesina

e Francesco Giavazzi, che vivono un po’ al di qua e un po’ al

di là dell’ Atlantico e sono abituati ormai ad alternare gli studi

e le ricerche alla battaglia delle idee. Stavolta però hanno deciso

di farla grossa: sfidare l’ opinione corrente che accoppia

indissolubilmente le parole «liberismo» e «destra»,

mentre – a parer loro – concorrenza, riforme e merito

dovrebbero essere le nuove bandiere della sinistra,

perché chi ha a cuore i valori storici dell’ equità e

delle pari opportunità è bene che, oggi e in Italia,

faccia affidamento innanzitutto sul mercato.

Con queste premesse il libro ha tutti i requisiti per far

discutere ed è intanto una prova della vitalità della

scuola milanese di economisti. Il ragionamento

dei due professori – tutt’ altro che catalogabile nello schema

dell’ antipolitica – può essere riassunto in tre punti-chiave:

a) il proliferare delle caste e delle lobby dimostra

che la politica ha fallito in uno dei compiti primari

che si era data, garantire l’ allocazione «democratica»

delle risorse;

b) la sinistra più della destra ha ancora una chance,

fare quelle riforme liberiste che «renderebbero l’ Italia

più efficiente ma anche più equa»;

c) se il Belpaese diventasse più efficiente, ad

avvantaggiarsene non sarebbero i soliti happy few

o gli immancabili poteri forti, ma gli outsider.

 

Nel libro c’ è un passaggio rivelatore di come la pensino

i due a proposito di leadership della sinistra.

Ricordano come Walter Veltroni al momento

di candidarsi alla guida del Partito democratico

abbia citato Vittorio Foa («La destra è figlia legittima

degli interessi egoistici dell’ oggi, la sinistra degli interessi

di coloro che non sono ancora nati») e subito dopo

chiosano che se questa è la sinistra che sogna Veltroni,

non è certo quella rappresentata nel governo Prodi.

 

Per sostenere le loro tesi eterodosse i due professori

portano, tra gli altri, l’ esempio delcaso Lecce.

La locale università ha fatto una dissennata politica

di assunzioni tecnico-amministrative e, avendo sprecato

i soldi, lo scorso inverno il rettore è stato costretto

a sospendere persino il riscaldamento nelle aule.

In città pochi sembrano preoccuparsene: i figli della

buona borghesia salentina studiano a Bologna, Torino,

Milano. A Lecce sono rimasti solo quelli che non possono

permettersi un trasferimento al Nord. E che fatalmente

si troveranno ad avere in mano un titolo di studio palesemente

svalutato. Chi è più di sinistra, dunque: chi vuole un’ università

più snella o chi continua a stanziare fondi per perpetuare

lo status quo? Sui ritardi nel liberalizzare le professioni

Alesina e Giavazzi avanzano poi una tesi assai maliziosa.

La sinistra è riottosa, sostengono, perché sa che il passaggio successivo

è la liberalizzazione del mercato del lavoro, che toccherebbe

«gli interessi di quello zoccolo duro di lavoratori

anziani illicenziabili e di impiegati pubblici

superprotetti dall’ attuale legislazione».

Ma solo liberalizzando il mercato le assunzioni aumentano.

Lo insegna l’ America, storicamente liberista, ma anche

la Danimarca. che ha tolto ogni ostacolo ai licenziamenti, garantendo

però un efficace sistema di sussidi alla disoccupazione

e di incentivi a ritrovare lavoro. Se in Italia, invece

di coltivare «la retorica del salvataggio», si fosse

fatta fallire l’ Alitalia, si sarebbero creati spazi di mercato

per altre compagnie, vecchie e nuove, che nel frattempo

avrebbero assorbito gli ex dipendenti Alitalia e i prezzi inferiori,

dovuti all’ aumento della concorrenza, avrebbero attirato

nuovi viaggiatori. Invece il contribuente italiano continua

a pagare da anni per coprire le perdite della compagnia

di bandiera. Una sinistra che, seguendo i consigli di Alesina

e Giavazzi, volesse far suo il verbo liberista dovrebbe però

mandare in soffitta il mito dell’ alleanza dei produttori.

«Un mito – spiegano – che ha le radici in una

visione marxista del lavoro: il marxismo

si focalizza sulla produzione, sul conflitto

di classe all’ interno del sistema produttivo;

la domanda, cioè i consumatori, è pressoché

irrilevante». E come conseguenza la sinistra italiana

fa ancora tanta fatica a vedere i consumatori come

una categoria a cui dare rappresentanza. Eppure

la storia insegna che capitalisti e lavoratori possono

scontrarsi, come è accaduto e accade spesso in Italia,

ma possono anche trovare un accordo a carico dei

soggetti terzi, i contribuenti e i consumatori.Il caso

di scuola è il punto unico sulla scala mobile,

adottato di comune accordo tra Luciano Lama

e Giovanni Agnelli in nome dell’ alleanza dei produttori.

In quella circostanza gli industriali ottennero la benevolenza

del sindacato ma scaricarono sui consumatori gli oneri di un’

intesa che avrebbe acceso l’ inflazione. Con qualche

preoccupazione i due economisti segnalano una tendenza

di Romano Prodi a «progettare» un nuovo capitalismo misto,

guidato da banchieri e da manager pubblici sotto l’ ala protettiva

del suo governo. Ma il capitalismo di Stato – la nuova

forma dell’ alleanza dei produttori – è di sinistra?

La risposta è secca: «No, perché danneggia i consumatori».

Pensare che banchieri e manager pubblici nominati dai politici

siano più lungimiranti nelle scelte di investimento è giudicata

un’ illusione. Ed è difficile dar torto ad Alesina e Giavazzi.

«Basta ripercorrere la storia dell’ Iri negli anni 70

quando impiegò nel Sud risorse straordinarie

delle quali non si sono mai visti i risultati.

Ricerca e sviluppo non hanno bisogno della

proprietà pubblica, ma di buone università

e incentivi, non alle imprese ma ai nostri ricercatori

migliori per convincerli a non emigrare negli Stati Uniti».

 

Il capitalismo di Stato non è di sinistra perché protegge

corporazioni piccole ma potenti: alcuni politici, alcuni

manager pubblici, i dipendenti di qualche impresa

a partecipazione statale, annotano lapidariamente

gli autori. Rispetto a precedenti loro lavori Alesina e

Giavazzi dedicano grande spazio alle issues (ARGOMENTI)

della sinistra, come welfare, disoccupazione e povertà, ma

la riflessione sul liberismo possibile è inframmezzata da giudizi

fulminanti che rendono, oggi, più gradevole la lettura e, domani,

più pepati i commenti. I fruttivendoli del centro di Milano, per

i prezzi-monstre che assegnano a fragole e mele, «paiono dei gioiellieri»,

l’ Agenda di Lisbona («un’ inutile verbosità»), gli economisti keynesiani

(«per loro non è mai il momento buono per ridurre la spesa pubblica»),

Alleanza nazionale e i partiti comunisti («sulla politica economica

formerebbero un governo perfettamente omogeneo») e infine

Prodi e Tommaso Padoa-Schioppa. «Vogliono essere ricordati

come leader che, pur di non rischiare nulla, hanno finito

per essere superati dagli eventi e puniti dagli elettori?

Noi speriamo che vogliano passare alla storia come

Bill Clinton, non come Jimmy Carter». * * * * * *

Il saggio Il nuovo libro di Alberto Alesina e

Francesco Giavazzi, «Il liberismo è di sinistra»,

esce oggi nelle edizioni del Saggiatore (pagine 126, euro 12)

Francesco Giavazzi, editorialista del «Corriere della Sera»,

insegna Economia politica all’ Università Bocconi di Milano

e al Mit di Boston. Alberto Alesina, editorialista del

«Sole 24 Ore», è docente di Economia politica al Mit

e alla Bocconi

Di Vico Dario

Pagina 41
(6 settembre 2007) – Corriere della Sera

 

 

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