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DALL’ARCHIVIO DEL CORRIERE // UN ARTICOLO DEL
SETTEMBRE 2007 //PRESENTA IL LIBRO DI FRANCESCO
GIAVAZZI E ALBERTO ALESINA:
IL LIBERISMO E’ DI SINISTRA
IL LIBRO-PROVOCAZIONE DI ALBERTO ALESINA E
FRANCESCO GIAVAZZI CHE ANIMERÀ LA NUOVA
STAGIONE POLITICA
Perché il liberismo è di sinistra
Un’ Italia più efficiente va a favore degli outsider
«Da qualche mese in alcuni supermercati e autogrill italiani
giovani farmacisti vendono medicinali a un prezzo inferiore
del 20-30 per cento rispetto alle vecchie farmacie di città.
Chi è più di sinistra? Chi liberalizza commercio e professioni
o chi permette che le farmacie si tramandino di padre in figlio
consentendo loro di far pagare a prezzi esorbitanti anche
medicinali comunissimi come l’ aspirina?». Comincia con
un esempio assai concreto quello che si candida ad essere
il libro-provocazione della rentrée politica: Il liberismo è
di sinistra. Lo hanno scritto due economisti, Alberto Alesina
e Francesco Giavazzi, che vivono un po’ al di qua e un po’ al
di là dell’ Atlantico e sono abituati ormai ad alternare gli studi
e le ricerche alla battaglia delle idee. Stavolta però hanno deciso
di farla grossa: sfidare l’ opinione corrente che accoppia
indissolubilmente le parole «liberismo» e «destra»,
mentre – a parer loro – concorrenza, riforme e merito
dovrebbero essere le nuove bandiere della sinistra,
perché chi ha a cuore i valori storici dell’ equità e
delle pari opportunità è bene che, oggi e in Italia,
faccia affidamento innanzitutto sul mercato.
Con queste premesse il libro ha tutti i requisiti per far
discutere ed è intanto una prova della vitalità della
scuola milanese di economisti. Il ragionamento
dei due professori – tutt’ altro che catalogabile nello schema
dell’ antipolitica – può essere riassunto in tre punti-chiave:
a) il proliferare delle caste e delle lobby dimostra
che la politica ha fallito in uno dei compiti primari
che si era data, garantire l’ allocazione «democratica»
delle risorse;
b) la sinistra più della destra ha ancora una chance,
fare quelle riforme liberiste che «renderebbero l’ Italia
più efficiente ma anche più equa»;
c) se il Belpaese diventasse più efficiente, ad
avvantaggiarsene non sarebbero i soliti happy few
o gli immancabili poteri forti, ma gli outsider.
Nel libro c’ è un passaggio rivelatore di come la pensino
i due a proposito di leadership della sinistra.
Ricordano come Walter Veltroni al momento
di candidarsi alla guida del Partito democratico
abbia citato Vittorio Foa («La destra è figlia legittima
degli interessi egoistici dell’ oggi, la sinistra degli interessi
di coloro che non sono ancora nati») e subito dopo
chiosano che se questa è la sinistra che sogna Veltroni,
non è certo quella rappresentata nel governo Prodi.
Per sostenere le loro tesi eterodosse i due professori
portano, tra gli altri, l’ esempio delcaso Lecce.
La locale università ha fatto una dissennata politica
di assunzioni tecnico-amministrative e, avendo sprecato
i soldi, lo scorso inverno il rettore è stato costretto
a sospendere persino il riscaldamento nelle aule.
In città pochi sembrano preoccuparsene: i figli della
buona borghesia salentina studiano a Bologna, Torino,
Milano. A Lecce sono rimasti solo quelli che non possono
permettersi un trasferimento al Nord. E che fatalmente
si troveranno ad avere in mano un titolo di studio palesemente
svalutato. Chi è più di sinistra, dunque: chi vuole un’ università
più snella o chi continua a stanziare fondi per perpetuare
lo status quo? Sui ritardi nel liberalizzare le professioni
Alesina e Giavazzi avanzano poi una tesi assai maliziosa.
La sinistra è riottosa, sostengono, perché sa che il passaggio successivo
è la liberalizzazione del mercato del lavoro, che toccherebbe
«gli interessi di quello zoccolo duro di lavoratori
anziani illicenziabili e di impiegati pubblici
superprotetti dall’ attuale legislazione».
Ma solo liberalizzando il mercato le assunzioni aumentano.
Lo insegna l’ America, storicamente liberista, ma anche
la Danimarca. che ha tolto ogni ostacolo ai licenziamenti, garantendo
però un efficace sistema di sussidi alla disoccupazione
e di incentivi a ritrovare lavoro. Se in Italia, invece
di coltivare «la retorica del salvataggio», si fosse
fatta fallire l’ Alitalia, si sarebbero creati spazi di mercato
per altre compagnie, vecchie e nuove, che nel frattempo
avrebbero assorbito gli ex dipendenti Alitalia e i prezzi inferiori,
dovuti all’ aumento della concorrenza, avrebbero attirato
nuovi viaggiatori. Invece il contribuente italiano continua
a pagare da anni per coprire le perdite della compagnia
di bandiera. Una sinistra che, seguendo i consigli di Alesina
e Giavazzi, volesse far suo il verbo liberista dovrebbe però
mandare in soffitta il mito dell’ alleanza dei produttori.
«Un mito – spiegano – che ha le radici in una
visione marxista del lavoro: il marxismo
si focalizza sulla produzione, sul conflitto
di classe all’ interno del sistema produttivo;
la domanda, cioè i consumatori, è pressoché
irrilevante». E come conseguenza la sinistra italiana
fa ancora tanta fatica a vedere i consumatori come
una categoria a cui dare rappresentanza. Eppure
la storia insegna che capitalisti e lavoratori possono
scontrarsi, come è accaduto e accade spesso in Italia,
ma possono anche trovare un accordo a carico dei
soggetti terzi, i contribuenti e i consumatori.Il caso
di scuola è il punto unico sulla scala mobile,
adottato di comune accordo tra Luciano Lama
e Giovanni Agnelli in nome dell’ alleanza dei produttori.
In quella circostanza gli industriali ottennero la benevolenza
del sindacato ma scaricarono sui consumatori gli oneri di un’
intesa che avrebbe acceso l’ inflazione. Con qualche
preoccupazione i due economisti segnalano una tendenza
di Romano Prodi a «progettare» un nuovo capitalismo misto,
guidato da banchieri e da manager pubblici sotto l’ ala protettiva
del suo governo. Ma il capitalismo di Stato – la nuova
forma dell’ alleanza dei produttori – è di sinistra?
La risposta è secca: «No, perché danneggia i consumatori».
Pensare che banchieri e manager pubblici nominati dai politici
siano più lungimiranti nelle scelte di investimento è giudicata
un’ illusione. Ed è difficile dar torto ad Alesina e Giavazzi.
«Basta ripercorrere la storia dell’ Iri negli anni 70
quando impiegò nel Sud risorse straordinarie
delle quali non si sono mai visti i risultati.
Ricerca e sviluppo non hanno bisogno della
proprietà pubblica, ma di buone università
e incentivi, non alle imprese ma ai nostri ricercatori
migliori per convincerli a non emigrare negli Stati Uniti».
Il capitalismo di Stato non è di sinistra perché protegge
corporazioni piccole ma potenti: alcuni politici, alcuni
manager pubblici, i dipendenti di qualche impresa
a partecipazione statale, annotano lapidariamente
gli autori. Rispetto a precedenti loro lavori Alesina e
Giavazzi dedicano grande spazio alle issues (ARGOMENTI)
della sinistra, come welfare, disoccupazione e povertà, ma
la riflessione sul liberismo possibile è inframmezzata da giudizi
fulminanti che rendono, oggi, più gradevole la lettura e, domani,
più pepati i commenti. I fruttivendoli del centro di Milano, per
i prezzi-monstre che assegnano a fragole e mele, «paiono dei gioiellieri»,
l’ Agenda di Lisbona («un’ inutile verbosità»), gli economisti keynesiani
(«per loro non è mai il momento buono per ridurre la spesa pubblica»),
Alleanza nazionale e i partiti comunisti («sulla politica economica
formerebbero un governo perfettamente omogeneo») e infine
Prodi e Tommaso Padoa-Schioppa. «Vogliono essere ricordati
come leader che, pur di non rischiare nulla, hanno finito
per essere superati dagli eventi e puniti dagli elettori?
Noi speriamo che vogliano passare alla storia come
Bill Clinton, non come Jimmy Carter». * * * * * *
Il saggio Il nuovo libro di Alberto Alesina e
Francesco Giavazzi, «Il liberismo è di sinistra»,
esce oggi nelle edizioni del Saggiatore (pagine 126, euro 12)
Francesco Giavazzi, editorialista del «Corriere della Sera»,
insegna Economia politica all’ Università Bocconi di Milano
e al Mit di Boston. Alberto Alesina, editorialista del
«Sole 24 Ore», è docente di Economia politica al Mit
e alla Bocconi
Di Vico Dario
Pagina 41
(6 settembre 2007) – Corriere della Sera