Forse bisognerebbe toccare ferro, come dicono quelli più superstiziosi. O forse, una volta tanto, si fa solo come nei Paesi moderni che ci si organizza. Sta di fatto che se il Vesuvio farà colare il suo terrore, da ieri c’è un piano vero per l’evacuazione e per smistare le popolazioni colpite sul resto del territorio, cioé nelle altre regioni d’Italia, con buona pace degli ultrà più imbecilli che negli stadi soprattutto del Nord invocano ogni tanto l’eruzione del Vulcano. Ora è tutto predisposto: a seconda delle città in pericolo, i 700mila abitanti dell’area a rischio sapranno già dove andare.
Quelli di Portici in Piemonte, fra Alessandria e Torino, dove – guarda caso – le curve dello Juventus Stadium erano state sospese proprio per gli insulti ai napoletani. Quelli di Torre del Greco e Somma Vesuviana in Lombardia, da Milano a Bergamo a Brescia, e quelli di San Giuseppe Vesuviano e Pomigliano d’Arco in Veneto, Verona compresa, altro posto dove i tifosi – sempre loro – non si distinguono per cori affettuosi verso Napoli e dintorni. Ma, a parte queste frange oltranziste, ci è più facile pensare a una comunità che si aiuta, sotto l’incubo di una emergenza che speriamo non debba accadere mai, nel nome di un Paese unito.
Lo fa nel linguaggio burocratese che contraddistingue questo Stato, anche per le procedure più semplici. Anche se non è questo il caso, ieri, il Presidente del Consiglio dei ministri ha firmato «le disposizioni per l’aggiornamenTo della pianificazione di emergenza per il rischio vulcanico del Vesuvio». Il documento stabilisce le aree da evacuare in caso di ripresa dell’attività eruttiva, e definisce i gemellaggi fra i 25 comuni a rischio e le Regioni e le Province che accoglierebbero le popolazioni napoletane. Le aree sottoposte a evacuazione cautelativa, fa sapere la Protezione Civile, sono sia quelle soggette «ad alta probabilità di invasione di flussi piroclastici (tradotto: colate laviche e di gas ad alte temperature)», cioé la zona rossa 1, sia «quelle soggette ad alte probabilità di crolli delle coperture degli edifici per importanti accumuli di materiale» derivante dalle colate, cioé la zona rossa 2.
L’elenco che ne viene fuori sembra appartenere a un Paese che avrebbe bisogno di una solidarietà senza utopie. Forse ce l’ha nella sua pancia più di quel che pensiamo. In ogni caso i gemellaggi coinvolgono l’Italia intera. Gli abitanti di Cercola andranno in Liguria, quelli di Pollena Trocchio a Bolzano e Trento, Ercolano in Emilia Romagna, San Giorgio a Cremano in Toscana, Ottaviano e una parte di Napoli nel Lazio, Terzigno in Abruzzo e via via, fino a quelli di Scafati e Trecase in Sicilia e Pompei in Sardegna. Nessuno escluso. La piccola Valle d’Aosta ha quelli di Nota, il Molise Massa di Somma. Scherzo del destino: per fare l’Italia più unita ci voleva proprio la paura del Vesuvio. Sperando che sia solo una paura.