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Una giovane poetessa keniana Warsan,
nata da genitori somali in fuga dalla guerra civile, scrive:
WARSAN SHIRE
Nessuno lascia la casa a meno che la casa non sia la bocca di uno squalo /
Scappi al confine solo quando vedi tutti gli altri scappare / I tuoi vicini corrono più veloci di te / il fiato insanguinato in gola /
Devi capire che nessuno mette i figli su una barca / A meno che l’acqua non sia più sicura della terra /
Nessuno si brucia i palmi sotto i treni / Sotto le carrozze /
Nessuno passa giorni e notti nel ventre di un camion nutrendosi di carta di giornale / A meno che le miglia percorse non siano più di un semplice viaggio /
Nessuno striscia sotto i reticolati / Nessuno vuole essere picchiato / compatito / Nessuno sceglie campi di rifugiati o perquisizioni a nudo che ti lasciano il corpo dolorante / Né la prigione. […]
Nessuno ce la può fare / Nessuno può sopportarlo / Nessuna pelle può essere tanto resistente […]
Voglio tornare a casa, ma casa mia è la bocca di uno squalo /
Casa mia è la canna di un fucile / E nessuno lascerebbe la casa /
A meno che non sia la casa a spingerti verso il mare /
A meno che non sia la casa a dirti / Di affrettare il passo / Lasciarti dietro i vestiti / Strisciare nel deserto / Attraversare gli oceani.
Annega / Salvati / Fai la fame/
Chiedi l’elemosina, Dimentica l’orgoglio.
È più importante che tu sopravviva […]
dalla bacheca di Gianni Minà