CLAUDIO MAGRIS, ALBERTO ASOR ROSA—DIALOGO A PARTIRE DAL LIBRO ” AMORI SOSPESI ” (vedi sotto) di ASOR ROSA—IL CORRIERE ” CULTURA ” 2 APRILE

Copertina

ALBERTO ASOR ROSA

Einaudi, 2017 Supercoralli, pp.336 euro 20,00

 

 

http://www.corriere.it/cultura/17_aprile_02/alberto-asor-rosa-claudio-magris-amori-sospesi-letteratura-militanza-critica-dialoghi-romanzi-11f14e70-17c5-11e7-99e2-7e57c7b2999

 

E poi arriva l’età delle storie

Una militanza critica si apre al gusto del narrare. Il segreto dell’esistenza è riuscire a tollerarla. Asor Rosa: «Esistono sentimenti e idee che solo la letteratura sa cogliere»

Tracey Sylvester Harris (1966), «Looking Out to Sea» (2009, olio su tela)
Tracey Sylvester Harris (1966), «Looking Out to Sea» (2009, olio su tela)
shadow

Il successo, si dice, è una buona medicina, anche se — come avverte la pubblicità di quasi ogni prodotto farmaceutico — può avere effetti collaterali indesiderati. Inoltre il successo in un determinato campo può essere un ostacolo a farsi ascoltare e riconoscere quando ci si avventura in un altro settore della creatività. Abbiamo quasi tutti bisogno — crescente, dinanzi al proliferare delle cose e dei mutamenti che ci piovono addosso — di etichettare le opere, le personalità, la realtà una volta per tutte. Quando ci si confronta ad esempio con un maestro della critica e della storiografia letteraria come Alberto Asor Rosa, presente inoltre da decenni nella vita politica e culturale, è forse più difficile fare i conti con un’altra, inattesa espressione della sua scrittura, in questo caso narrativa. Anch’io, quando ho letto Storie di animali e altri viventi, non mi attendevo un libro così forte e notevole, a mio avviso uno dei più belli della nostra letteratura di questi anni, sino a quell’indimenticabile pagina finale, a quel precipitare del gatto nella morte, in un’oscurità totale, che è forse pure felicità di superare il dolore dell’esistenza individuale separata dalla totalità della vita. Anche questi Amori sospesi sono una rivelazione che, in molti dei racconti che compongono il volume, colpisce a fondo, entra nella vita del lettore, mescolandosi alla sua.
Come ti senti, gli chiedo, in questa tua nuova veste relativamente recente – penso pure ad altri libri quali ad esempio Racconti dell’errore?

Alberto Asor Rosa (1933)
Alberto Asor Rosa (1933)

ASOR ROSA — Io sono arrivato alla letteratura d’invenzione e alla narrativa passando per la strada più naturale: l’autobiografia. L’alba di un mondo nuovo (2002) e Assunta e Alessandro (2010) ne sono la testimonianza. Ma anche Storie di animali e altri viventi (2005) è un libro autobiografico. La differenza è che qui a parlare non è l’autore ma, in prima persona, i due protagonisti animali; sono loro a raccontare dal loro punto di vista la loro storia e quella di altri, persino quella dei personaggi umani del racconto, me compreso. La premessa dell’Alba di un mondo nuovo è uno scritto, autonomo e valido per sé, che s’intitola La luce del crepuscolo. È quella che conosciamo quando scende la sera. La scrittura autobiografica ha un rapporto intrinseco con questo momento. Quando scende la sera, emerge la memoria e questo vale, per quanto mi riguarda, anche per la scrittura d’invenzione e per i racconti. Io non mi guardo intorno per immaginarli e per scriverli: guardo indietro. E dal buio della sera vedo emergere, e cerco di cogliere, questi personaggi «altri», dotati di una relativa autonomia, ma in fondo, anche loro, parte del mio passato.
E a te, com’è capitato di transitare, in tanti momenti della tua storia personale e intellettuale, dalla scrittura saggistica e critico-storica a quella di invenzione, e anche, ovviamente, viceversa?

MAGRIS — Non mi sono mai posto questo problema. Ovviamente non penso che un genere — per esempio il romanzo o il teatro — sia di per sé più o meno creativo di un altro, per esempio del saggio. È il tema che impone la forma in cui esprimerlo e che coincide con esso; l’autore, come credo dicesse Gide, non fa ciò che vuole ma ciò che deve e che può. Lo scrittore di questi tuoi racconti sembra appartenere ad un tempo diverso dal presente, dalla stagione — anche letteraria — degli sms e dei selfie. Ma non è una voce del passato, bensì una voce che trasporta nell’oggi quell’ieri che fa parte dell’oggi, anche se talora sembra passato. La letteratura più autentica è sempre pluralità di tempi diversi, Ungleichzeitigkeit, come dicono i tedeschi: «non contemporaneità» ovvero difformità e pluralità di tempi, tempo mai a senso unico…

ASOR ROSA — Sì, è esattamente come tu dici. È difficile immaginare che uno scrittore ultraottuagenario, e che ha un passato prevalentemente di esperienze critiche e storico-letterarie, si metta a raccontare il presente, facendo finta di farne parte. Si può tentare invece — e io ho tentato — l’operazione esattamente contraria. C’è in tutti, anche nei meno anziani, o addirittura nei giovani, un’onda lunga di esperienze e di affetti, che scavalca anche le resistenze e le prepotenze della mera contemporaneità. Per questo l’amore è centrale: perché lì si colloca il nodo più vitale e significativo dell’esistenza, di qualsiasi esistenza, anche quando c’è qualcosa che lo trattiene al di qua dei confini ardentemente desiderati («amori sospesi», appunto). Nella rappresentazione privilegiata che io ne do, c’è indubbiamente l’impronta del passato, cioè di quanto io stesso ho visto e sperimentato, in me e in altri. Ma c’è anche l’irresistibile pulsione a vederne la continuità e la persistenza, al di là delle singole, individuali sconfitte e disillusioni, anche in quelli che ora mi circondano, noti e ignoti.
Del resto, non mi pare che neanche tu ti sia manifestato insensibile a questa problematica.

Claudio Magris (1939)Claudio Magris (1939)

MAGRIS — Si, sento fortemente questo problema. In alcuni miei libri quali Alla cieca o Non luogo a procedere il tempo, i tempi necessariamente si aggrovigliano. Dalla grande stagione della narrativa moderna-contemporanea il romanzo e il suo linguaggio difficilmente sono lineari; sono piuttosto un maelstrom che mescola oggi, ieri e irruzione di quel domani che è già qui… Tu stesso ti chiedi se i tuoi lettori possono avere poca familiarità col «metaforeggiare antico» che tu usi e se è giusto dir loro che il volto della vecchia Adele — personaggio di uno dei più forti racconti di questo libro — sembra una mela vizza, dato che forse non hanno mai visto una mela vizza. Ma è proprio il «metaforeggiare antico» che permette loro di vedere una mela vizza, di arricchire la loro esperienza…

ASOR ROSA — Per rispondere, vorrei ripartire da un altro dei tuoi libri d’invenzione, Un altro mare, che non a caso nel sottotitolo, quasi a evitare equivoci, porta: «romanzo». Il libro, se non erro, è dei primi anni Novanta. Io stavo allora lavorando intensamente a scrivere un saggio su Carlo Michelstaedter, importante pensatore del Novecento italiano. Esce il tuo libro: mi precipito a leggerlo. È la storia di uno degli amici più cari di Michelstaedter, nato appena un anno prima di lui, Enrico Mreule. Fu per me come una rivelazione. Dunque, si potevano raccontare le stesse cose in una maniera così diversa, per arrivare alle stesse conclusioni ma in un modo più profondo? Nell’uno come nell’altro caso il linguaggio dev’essere capace di adattarsi alle situazioni, ai personaggi, alle vibrazioni più profonde. Saper scrivere «bene» può essere un limite, di questi tempi, ma forse aiuta a tirarsi fuori dall’afasica, inintelligibile contemporaneità.

MAGRIS — All’inizio del tuo racconto L’alba si dice: «… non parlo, beninteso di quella fase del giorno…». Chi è che parla, che — raramente — usa la prima persona (singolare o plurale), senza mai dominare la vicenda, tutt’al più essendo malinconicamente e frammentariamente consapevole, ancorché perplesso, del suo destino? Un narratore onnisciente o forse invece all’oscuro pure di se stesso?

ASOR ROSA — Sì, c’è una voce che dice «io» in ogni punto dei miei racconti: ma generalmente è celata negli atteggiamenti, nelle scelte, nelle idiosincrasie dei personaggi, oppure nello sviluppo più o meno naturale degli eventi. Qualcosa di analogo accade anche nei tuoi libri, no?

MAGRIS — Sì, nei miei libri a narrare è quasi sempre un io, ma l’io è forse la più impersonale delle voci e delle persone, un’anarchia di atomi, come dicevano Nietzsche e Musil, e non erano i primi a dirlo… I tuoi racconti sono uno spaccato della vita e della vita fa parte, nel bene e nel male, la politica e pochi lo sanno come te. La politica è essenziale nella tua saggistica, nella tua attività, nella tua vita; direttamente o indirettamente pure nella tua letteratura, ad esempio nella storia dei tuoi genitori in Assunta e Alessandro o nella rievocazione dell’Italia fra caduta del fascismo e resistenza nell’Alba di un mondo nuovo. In questo tuo libro essa sembra invece assente…

ASOR ROSA — È vero. Forse questo accade perché la stagione della grande politica è tramontata, e noi abbiamo imparato, o siamo stati costretti, a farne a meno, forse proprio per tornare alla vita e conoscerla?

MAGRIS — In questo tuo libro si raccontano, talora con punte molto alte, tante storie — vita quotidiana squarciata da incanti, addii, oscuri relitti dimenticati, memorie cancellate o riaffioranti con violenza, scoperte improvvise dell’opacità della propria esistenza. Forse tu fai parlare soprattutto quel grumo di pensieri e sentimenti ignorati e inutilizzati che vivono nel profondo, che colano via in un vuoto o si aprono «un pertugio» per salire casualmente alla consapevolezza di un’esistenza compatta e serena e sconvolgerla. Un libro d’amore — ben più di quanto dica il vago titolo — in cui alla fine si scopre che il segreto dell’esistenza è forse riuscire a tollerarla…

ASOR ROSA — Sì, esistono sentimenti, passioni e idee, che solo la letteratura e l’invenzione, sono in grado di cogliere e di rappresentare: perché ci consentono di scendere più in profondità, scavandoli e ritrovandoli sotto e oltre le apparenze, anche quando sono personaggi apparentemente normali (e in questo libro lo sono quasi tutti). Faccio un solo esempio, quello del protagonista del mio racconto intitolato Il camionista solitario, il giovane e aitante autista di autotreni tedesco, Hans Dietrich Müller, un uomo assolutamente normale, anzi, un po’ elementare. Ma nella sua mente cela una riserva di pensiero inutilizzato che le interminabili e solitarie attraversate autostradali in tutti i Paesi d’Europa non fanno che allargare e potenzialmente concentrare e che un incontro sessuale, del tutto casuale ma molto intenso, fa esplodere e risalire in superficie. Forse per questo, e cioè per provare la fondatezza, e la possibilità di tale esperienza, che riguarda, penso, tutti, e dunque anche ognuno di noi, vale la pena di continuare a esplorare gli «oscuri relitti dimenticati» e costruire per loro «un pertugio» attraverso il quale gli sia consentito di risalire in superficie e di manifestarsi.

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1 risposta a CLAUDIO MAGRIS, ALBERTO ASOR ROSA—DIALOGO A PARTIRE DAL LIBRO ” AMORI SOSPESI ” (vedi sotto) di ASOR ROSA—IL CORRIERE ” CULTURA ” 2 APRILE

  1. .Donatella.. scrive:

    C’è come un mare immenso dentro ad ognuno di noi: quando qualche goccia si fa più vicina alla nostra mente proviamo come un senso di smarrimento, di smascheramento. Da questo dovremmo risalire fino al nostro essere attuale e trovare una sintesi, una certa pace interiore.
    Le parole di Asor Rosa e di Claudio Magris nell’intervista per il nuovo libro me ne richiamano altre, di Marco Revelli, nella prefazione del suo libro ” Non ti riconosco” (2016,Einaudi), in cui, attraverso la visitazione di luoghi dell’Italia che hanno subito enormi stravolgimenti negli ultimi decenni, l’Autore cerca il riconoscimento del proprio smarrimento di fronte all’attuale realtà, un tentativo di interpretarla e di renderla, in qualche modo, meno ostile, più umanamente comprensibile. Ne cito qui qualche frase, che mi ha influenzato nel descrivere il mio senso di smascheramento:
    “Per questo non esco prostrato dal mio ” non riconoscere”. Nel corso di questo lungo viaggio erratico tra le pieghe di un Paese sospeso, ho incontrato un’infinità di tracce di una metamorfosi istantanea. Di pieni divenuti d’improvviso vuoti. Di futuri fattisi, istantaneamente, anteriori…Ma non riesco a considerarli simboli di un paradiso perduto…Vedo piuttosto nell’irriconoscibilità del nostro presente- come nei racconti di magia della tradizione popolare, o nel retromondo del romanzo gotico- l’occasione di una sorta di “smascheramento”…la prova di una falsificazione svelata… C’è forse più verità in quelle travi rugginose, nelle finestre spente dei capannoni dismessi, nell’erba incolta dei vuoti industriali, nelle terre di nessuno e nei mille luoghi abbandonati di oggi, che nei tronfi piani di sviluppo dorgato di ieri…E può darsi che sotto lo strato di polvere di cemento e di amianto che copre il nostro parterre, piccole piantine verdi crescano…

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