MANUELA CAMPITELLI, PER IL ” FATTO” DI OGGI, INTERVIENE SU ” IL DIPARTIMENTO MAMME ” DI RECENTE ISTITUZIONE CON A CAPO LA SINDACALISTA CGIL TITTI DI SALVO, CON IL TITOLO::: ” COSA C’E’ DI SBAGLIATO NELLA RETORICA RENZIANA “

IL FATTO QUOTIDIANO DEL 24 LUGLIO 2017

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/07/24/dipartimento-mamme-cosa-ce-di-sbagliato-nella-retorica-renziana/3751619/

 

DONNE

Dipartimento Mamme, cosa c’è di sbagliato nella retorica renziana

Dipartimento Mamme, cosa c’è di sbagliato nella retorica renziana
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Giornalista e ideatrice di www.genitoriprecari.it

 

Donne solo mamme e figli solo alle donne. Sembra un po’ questa la dicotomia forzata che sta dietro alla dicitura “Dipartimento mamme”, affidato dal Pd a Titti Di Salvo (NOTA DEL BLOG AL FONDO). Una dicitura, è vero, ma non solo. Perché quella parola sostanzia gli stessi stereotipi che il Dipartimento vorrebbe superare. Prendendo per buono che dietro tale scelta ci siano stati i migliori intenti, ci sono diverse cose da aggiustare.

La prima è proprio il nomelo avevo già scritto in un post precedente, commentando le tre priorità renziane (lavoro, casa, mamme). A un orecchio attento, la retorica renziana finisce dal momento in cui si sceglie di parlare di mamme, laddove essere mamme è una condizione, mentre la maternità è un diritto. Quindi, se l’obiettivo del Dipartimento è quello di porre l’accento sulle ricadute socio economiche del diventare madri, ovvero sulla mancanza di diritti, allora il termine è sbagliato perché le donne, sul lavoro, sono discriminate in quanto donne e a prescindere dalla maternità.

Le pressioni che le madri ricevono in ambito socio lavorativo sono innegabili ma sono anche una conseguenza delle discriminazioni subite dalle donne in quanto tali e del ruolo in cui sono confinate a prescindere dall’avere o meno figli. La stessa fertilità è oggetto trasversale di molti colloqui di lavoro, indipendentemente dall’essere già madri o dal poterlo solo diventare.

La seconda è l’isolamento in cui questa parola ci confina: c’è un limite nel pensare che le discriminazioni legate alla maternità riguardino solo le mamme. E’ innegabile che le donne, una volta diventate madri, subiscano ancor più discriminazioni nella vita sociale, politica e lavorativa. Ce lo racconta bene Save the Chirdrennel suo ultimo rapporto “Le equilibriste” . Ma la questione non si risolve se manca una visione di insieme.

Il problema è collettivo, coinvolge gli uomini, la società e persino le donne che hanno scelto di non diventare madri, perché troppo spesso stigmatizzate per la loro scelta. E proprio perché collettivo, non si può affrontare se non inserito in un contesto più ampio, che parli di diritti di tutte e di tutti, che racconti la parità di genere a patire dal linguaggio, che produce effetti ghettizzanti se pensiamo al termine mamme nella sua eccezione più anacronistica.

La terza è la discriminazione: il dipartimento Mamme è discriminante verso i padri, da sempre estromessi nel ruolo genitoriale, che invece è centrale non solo per ovvie ragione affettive e di crescita dei figli, ma anche per tutto il tema della conciliazione lavoro famiglia. Quest’ultima, laddove manca, ha inevitabili ripercussioni in primis sulla donna. In sintesi, parlare dei diritti delle madri, estromettendo la figura dei padri dal contesto familiare, significa perdere in partenza perché gli uni si sostanziano con gli altri.

Significa avvalorare l’idea che il padre, quando c’è, è di supporto (“mio marito mi aiuta”) e invece il papà non è un aiuto ma l’altra metà del tutto. Il riconoscimento della parità dei ruoli genitoriali è quello che serve, e quindi perché non pensare a un dicastero delle famiglie? Dove lasciare spazio non solo alla figura del padre, ma anche delle coppie di padri o madri che formano le famiglie plurali?

Infine, la quarta obiezione è l’assolutezza di questa scelta: l’attenzione dello Stato nei confronti della famiglia e delle famiglie è necessaria e sacrosanta, ma per essere universale (come i diritti dovrebbero essere) non può rivolgersi solo a una componente del nucleo familiare, scegliendo per di più a priori e per conto nostro quale essa sia. A questo dipartimento è mancato dunque il coraggio, quello di estrapolare una volta per tutte la parola “mamma” dal suo isolamento e di inserirla laddove si parla di welfare, economia, salute, lavoro, ambiente.

 

 

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Titti Di Salvo

Vice presidente gruppo Pd Camera dei Deputati

Maturità classica, sono laureata in Scienze politiche indirizzo economico all’Università di Torino. Sono sposata e ho una figlia. Sono stata cofondatrice a Torino nel 1987 di “Sindacato Donna”, associazione di donne dentro e fuori il sindacato nata per rappresentare il nesso tra lavoro produttivo e riproduttivo delle donne. Sono stata la prima donna Segretaria Generale della Cgil del Piemonte nel 1999. Nel 2002 Segretaria Nazionale Cgil con delega alle politiche europee e internazionali. Nel 2006 sono stata eletta deputata alla Camera: componente Commissione Lavoro e segretaria Comitato Schengen. Un anno dopo sono stata eletta capogruppo alla Camera del gruppo di “Sinistra democratica per il socialismo europeo”. Sono stata relatrice alla Camera della legge 188/2007 contro le dimissioni in bianco. Dal febbraio 2009 Presidente Consiglio indirizzo e vigilanza dell’Enpals (Ente previdenza Spettacolo e Sport). Nell’autunno 2011 cofondatrice del Comitato “188 per la legge 188” per la riconquista della legge contro le dimissioni in bianco. Tra le firmatarie dell’appello del 13 febbraio “Se non ora Quando?” e Componente del Comitato Promotore nazionale SNOQ. Dall’aprile 2012 collaboro con l’ufficio Politiche di genere della Cgil nazionale e dall’ottobre 2012 sono una componente della Consulta del CNEL per le pari opportunità. Sono stata eletta in parlamento e sono Vicepresidente del gruppo Pd alla Camera

 

http://www.huffingtonpost.it/author/titti-di-salvo/

 

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3 risposte a MANUELA CAMPITELLI, PER IL ” FATTO” DI OGGI, INTERVIENE SU ” IL DIPARTIMENTO MAMME ” DI RECENTE ISTITUZIONE CON A CAPO LA SINDACALISTA CGIL TITTI DI SALVO, CON IL TITOLO::: ” COSA C’E’ DI SBAGLIATO NELLA RETORICA RENZIANA “

  1. Carine scrive:

    Penso che questo governo manchi di uno sguardo un po’ più lungo:la questione della maternità riguarda il futuro di tutto il Paese. Se ci fossero strutture adeguate, ad esempio nidi a prezzi veramente accessibili, la maternità non porterebbe le donne a dovere scegliere drammaticamente tra accudimento del figlio e possibilità di lavoro. E’ un problema che si trascina da anni e che ormai ci siamo abituati a risolvere a livello personale. Ricordo che nel ’78, quando nacque mio figlio a Milano, feci subito richiesta del nido comunale. La risposta positiva mi arrivò nel 1980, qundo mio figlio era già pronto per l’asilo.

  2. Carine scrive:

    La parola “mamma”, nobilissima e tenera di per se’, inserita in un programma politico-sociale, fa venire un po’ di allergia immediata a chi, come me, ricorda ancora la canzone “Mamma”, credo prodotta in epoca fascista e, più recente ma non meno colpevole ” Son tutte belle le mamme del mondo”. Mi sembra rinnovarsi la solita presa in giro, per cui le mamme sono tutte belle ma soprattutto non devono rompere le scatole con diritti, pretese di eguaglianza, richieste salariali,ecc. Davvero una scelta infelice, che rende molto chiaramente la mancanza di un piano sociale e politico più ampio e più intelligente per chi dice di essere di sinistra.

  3. Carine scrive:

    da “Il Fatto” di mercoledì 26 luglio, ” Un Rinascimento per l’Europa inaridita”, Salvatore Settis, pag.9
    “…Radici e identità sono parole logore. Sono le fratture a costituire i ponti: incontri e scontri hanno creato la nostra identità…Nel cuore della migliore tradizione europea non c’è nessuna millanteria delle origini, c’è la ricerca della verità, l’incessante indagine conoscitiva. C’è il dubbio, l’ideale socratico della “vita esaminata” ( al fine di intendere da quali motivazioni sia mosso il nostro agire) ed è da questo cuore che partono le istanze di dignità umana e di giustizia che percorrono la storia europea. Perciò dobbiamo concentrare lo sguardo sui termini di passaggio, sulle fratture interne alla storia d’Europa. Fratture che sono cerniere, ponti di comunicazione tra culture diverse…”

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