L’undicesimo anno di Fanny di MGP
La parte orientale di Bendrose House, quella che chiamano End, era disabitata da più di un anno. Sul fianco opposto dello stesso edificio, a Bendrose Grange, viveva la famiglia Brodrich.
Campagna e boschi si alternavano intorno alla grande casa costruita lontano dalla strada principale che univa Little Chalfont e Amersham, a circa cinquanta chilometri dalla capitale.
Il sedici giugno di quell’anno giunse a Bendrose Grange la signorina Claude Delmont con i l compito di prendersi cura dei figli Henry e Marianne e di non perdere di vista la piccola Fanny.
La signorina Delmont era stata messa al corrente della situazione familiare direttamente dal signor Brodrich e dalla sorella. Alla moglie Edith, era stata presentata successivamente e quasi per caso. Non aveva detto una parola, solo un mezzo sorriso. Edith Broderich aveva gli occhi chiari, la carnagione liscia e molto bianca e due rughe profonde ai lati della bocca. Attraversava le stanze con passi leggerissimi e abiti morbidi intorno al corpo esile, quasi scheletrico. Sembrava volasse. Portava il lutto per la morte del figlio Christopher. Se n’era andato in pochi giorni a causa di una febbre acuta rivelatasi poi meningite.
Fanny non aveva versato una lacrima, si era chiusa in camera ed era rimasta immobile sul letto. Solamente dieci giorni dopo aveva ripreso il suo posto a tavola.
Sembrava cresciuta e cambiata, come fosse stata via per mesi e avesse sofferto troppo di nostalgia, di un dolore profondo capace di indurire non solo I’anima, ma anche le braccia e le gambe. Guardandola si poteva pensare a una pena crudele che oltrepassa i muscoli e le ossa e scaturisce a getto dalle pupille infuocate da una decisione dissennata e inamovibile. Si poteva anche credere che qualcosa di straordinario si stesse compiendo dentro di lei, qualcosa che nessuno sapeva, né poteva immaginare.
Fanny non parlava con nessuno, neppure con i fratelli. Quando Claude cercava di avvicinarsi a lei per dirle qualcosa di affettuoso o per prenderle la mano, si divincolava con una forza sorprendente. “ Vattene -ripeteva – lasciami stare “.
L’unico oggetto di scambio era stato il grande dipinto che occupava tutta una parete della sua camera da letto. Un ammasso inquietante di membra fasciate, di tronchi senza testa, di personaggi mutilati, di figure capovolte con una freccetta puntata in basso; al centro, un corpo sventrato con la bocca feroce di un predatore e le unghie insanguinate di un rapace.
Una bambina ferita, senza conforto, con il cervello al posto del cuore, aveva pensato CIaude.
” L’hai fatto tu? ” le aveva chiesto fingendosi indifferente. La ragazzina rannicchiata sul letto aveva assentito con il capo senza alzare gli occhi.
Era la rappresentazione di una catastrofe, di qualcosa di orrendo e di minaccioso. Non si poteva guardare solo con gli occhi, il richiamo a un’eco interiore di urli, silenzi e orrori, era inevitabile. I valori educativi di compostezza, di equilibrio e di armonia diventavano una pura menzogna. Fanny sapeva bene dove abita I’inferno. Sapeva che dentro di noi c’è una grande secchio colmo di oscure sensazioni e trasalimenti che si urtano, si scontrano e di tanto in tanto si coagulano e salgono in superficie. La percezione immediata coglieva qualcosa d’inevitabile e di assolutamente necessario come il crescere di un albero storpiato. Non si manifestava in direzione della luce, ma in senso opposto.
Claude avvertiva la distanza tra sé e la bambina, la sentiva come un ostacolo insuperabile. Immaginava un lungo cilindro di metallo lucido e freddo nel quale doveva introdursi per raggiungere Fanny, seduta all’estremità opposta. Il condotto nero all’interno aveva un diametro troppo stretto, nessun adulto poteva entrarci. Non l’avrebbe mai raggiunta. Avrebbe potuto stabilire un contatto con la voce, con lo sguardo, con il calore delle mani, oppure con i movimenti impercettibili del corpo. Forse mescolando tutto quello si sarebbe avvicinata un po’, sarebbe giunta a sfiorare, senza capire la verità di quel tormento. Il pensiero la trascinava vicino aI lago, all’acqua, al freddo del nord dov’era nata e cresciuta. Spesso aveva temuto di precipitare in quel risucchio ancestrale gelido e si era ritratta.
Fanny invece non si tirava mai indietro. Era pronta a spingersi oltre, ad avanzare sempre più e a sprofondare. Camminava con gli occhi chiusi lungo il viale di Bendrose, i lampioni diffondevano una luce debole, i cespugli intorno erano attraversati da macchie e da occhi luminosi. Davanti si allungava I’ombra di Fanny, netta e sottile. Doveva camminare adagio e aspettare che I’ombra si ripiegasse fino a entrare completamente dentro di lei. Quando fosse arrivata sotto la lampada I’avrebbe riempita tutta, nella pancia, nelle ossa, nel sangue e poi sarebbe uscita nera e grossa come I’ombra di un orso. Non doveva correre, non doveva cantare, non doveva girarsi, doveva ripetere lo stesso passaggio per quattro volte. Doveva essere forte, se fosse stata debole I’Ombra I’avrebbe uccisa come aveva fatto con suo fratello.
Christopher non voleva passare per il viale e non voleva entrare a Bendrose End perché c’erano i ragni alle finestre e i morti che camminavano al piano di sopra. Fanny c’era rimasta per una giornata intera. Pioveva quel giorno, e le scale ondeggiavano ad ogni colpo di tuono. Claude l’aveva presa tra le braccia per riportarla a casa.
“Stai bene qui nel tuo letto? ” le chiedeva dolcemente. “ Era freddo laggiù, vero? Ed era buio? ”
“ Io non ho paura! ” rispondeva sicura
“ Certo, ma non è meglio dormire al caldo? ” insisteva Claude.
L’ avevano trovata i cani al mattino, nella cava di gesso abbandonata. Per tutto il pomeriggio si era lanciata con la corda attaccata a un faggio contro il pendio che scendeva nel buco della cava e a sera era rimasta là sull’albero come un animale notturno.
Il bosco la inghiottiva per molte ore, camminava senza meta, amava perdersi, nascondersi in qualche anfratto e aspettare. Aspettava le ombre della sera, il loro entrare silenzioso nell’incavo, aspettava il buio nero della notte. Nessuno l’avrebbe trovata.
” Non mi fai paura, sono pronta. Non mi fai paura” ripeteva.
Era molte le prove alle quali si sottoponeva, erano continue e pericolose. Pareva eseguire dei mandati, degli ordini impartiti da una presenza misteriosa che viveva al suo fianco.
Il buio del corridoio era lungo come una trappola per topi, il pavimento della camera scricchiolava anche quando nessuno ci camminava sopra, il legno crepitava intorno al buco della porta. Era lì che si nascondeva il suo rivale. Era forte come un Titano e potente come un Dio. Fanny sapeva tutto di lui e sapeva ciò che doveva fare per riavere con sé Christopher.
Ogni sera prima di addormentarsi offriva all’Ombra la sua dedizione e jl suo coraggio. La somma di tutte le prove avrebbe riscattato il fratello dalla morte.
” So che sei lì ” parlava e sudava con il viso coperto dal lenzuolo. ” Sei nell’angolo tra I’armadio e il calorifero. Se aprissi gli occhi potrei vederti, ma io non li aprirò. Io non voglio vederti. So che mi segui senza farti vedere da nessuno. Io lo so. Anche oggi mi spiavi dal vetro, mentre mi lavavo. Non te li ho fatti vedere i miei peli, quelli non li vedrai mai “.
Le richieste dell’Ombra erano sempre più audaci.
Doveva sezionare tutti gli insetti che trovava, incendiare le tane delle formiche, salire sugli alberi e distruggere le uova degli uccelli, doveva dormire con le bisce nel letto, camminare sul muretto e buttarsi sotto, doveva attraversare il viale senza correre, portare i suoi compagni a Bendrose End, doveva dire ciò che non si può dire, doveva fare ciò che non si può fare.
La vita di Fanny oscillava tra esaltazioni e solitudini disperate. L’unico luogo nel quale sembrava trovare un po’ di pace era la stanza del fratello Christopher. Era rimasta uguale, intatta, come soggiogata da un incantesimo. Claude e Fanny si sedevano alla scrivania, coloravano i disegni rimasti incompleti, leggevano i libri e i quaderni, indossavano i vestiti e giocavano a mamma e figlio.
” Adesso io ero Christopher e tu la mamma. Io ero malato e tu mi curavi. Io non volevo dormire e tu cantavi per me. Io ero cattivo ma tu mi volevi bene “.
Il gioco continuava e ogni giorno voleva essere più lungo e più vero, facevano tardi a cena, il padre le guardava con rimprovero. A Claude pareva di avere aperto uno spiraglio di salvezza: la bambina parlava con lei anche se solo nel gioco e solo nella parte del fratello Christopher. La somiglianza era incredibile, specie quando si tagliò i capelli. Prese anche a camminare e a gesticolare come lui.
” Non ci voglio più andare nella stanza delle femmine ” diceva imitando la voce del fratello “ lo starò sempre qui. Devi dirmi ‘ ascolta figlio mio ‘ e devi mettermi la mano sulla testa “.
Una sera si presentò a tavola con gli abiti del fratello. Henry e Marianne non finivano più dl ridere, si davano i calci sotto il tavolo e si spingevano.
Il giorno dopo Claude ebbe un lungo colloquio col signor Brodrich. La camera di Christopher sarebbe rimasta chiusa perché il gioco doveva finire. Era giunto il tempo di riprendere la vita normale. Furono preparati gli indumenti, la biancheria, i libri, tutto fu sistemato in un baule e spedito alla Queen Mary School. La mattina della partenza Fanny aveva un po’ di febbre e il viaggio fu rinviato di qualche giorno.
Volle essere sistemata nel letto del fratello con la promessa che sarebbe stata l’ultima volta perché quel gioco era ormai finito. La febbre però non passava e ancora un mese dopo Fanny era distesa in quel letto febbricitante. I medici fecero nuovi esami e ordinarono nuove cure. La guarigione non sembrava una condizione da raggiungere, ma una decisione da prendere. Fanny non voleva guarire, voleva sputare Io sciroppo e rovesciare la minestra, voleva bagnare il letto, suonare il campanello di notte, ascoltare Ia canzone del gufo tante e tante volte, non voleva vedere suo padre.
L’Ombra era tornata e dormiva di fianco al cassettone, ogni volta che Fanny posava i piedi per terra sentiva un fiato caldo intorno alle caviglie. Durante il giorno non se ne andava, si spostava sulla poltrona in fondo al letto.
” Perché sei tornata? ” chiedeva la bambina con rabbia. ” Cosa vuoi da me? Non posso più andare nel bosco. Non ti servo più, ora “.
L’Ombra non rispondeva né faceva cenni con la testa. Teneva in mano il grande registro del Potente dove erano annotate le nascite e le morti di tutti gli abitanti, anno per anno, mese per mese, giorno per giorno. Indicava col dito una pagina e un nome.
” Devi guardare qui ” ringhiò all’improvviso l’Ombra. ” C’è scritto Christopher Brodrich “.
Pronunciava piano quel nome, con la voce rauca di un vecchio. Fanny cercava di ricordarla ripulita dai rantoli del fumo e del vino. L’aveva già sentita.
” La data è qui di fianco ” continuava con tono rancido e alterato. ” Devi guardare qui! “.
Fanny cercava qualcosa di conosciuto nel profilo che si intravedeva appena tra i capelli untuosi e lunghi fino al collo. Erano striati di giallo come quelli di Christopher. Guardava la guancia incavata, il naso magro e un po’ arcuato e le spalle alte e ossute. I pensieri si formulavano a fatica nella sua testa. Si agitava e scuoteva le gambe. Il sudore della febbre appiccicava il corpo al letto.
” Non si possono fare correzioni ” continuava l’Ombra con intenzione minacciosa, ” né aggiunte sul registro. Lo sapevi già. Si può fare solo uno scambio, una sostituzione. Uno al posto dell’altro “.
Fece una lunga pausa, poi urlò con voce gracchiante: “ Sono tornato per riavere il mio posto! “.
Fanny si sollevò dal letto per quanto poteva, appoggiando il peso del corpo sui gomiti. Non voleva crederci. L’uomo si girò verso di lei. Era rosso di fuoco e deformato da una maschera disegnata sopra il viso del fratello. In lui doveva essere entrato un grosso diavolo e al più presto sarebbe giunta una moltitudine di altri diavoli per servire quello grande. Così pensò Fanny guardandolo e sentì le tempie che pulsavano e la gola arsa e cosi secca da non poter deglutire.
Abbandonò la testa sul cuscino ripetendosi ” uno al posto dell’altro… non si possono fare correzioni, né aggiustature sul registro.. . uno scambio… una sostituzione…”. Non riusciva a pensare, ma c’era qualcosa d’importante da dire, qualcosa che non riusciva a ricordare.
“ La promessa! “. La voce le usci dalla gola impetuosa e acuta. “ Ti ricordi la nostra promessa. . . .? Era una catena indistruttibile…”.
L’Ombra non rispose, si alzò e con gesti lenti si mosse in direzione del letto. Fanny lo vide in piedi davanti a sé. Sapeva di non poterlo fermare. Chiuse gli occhi e irrigidì il corpo.
I passi strisciavano sul pavimento, il respiro si avvicinava spingendo l’aria contro il suo viso. Fanny strinse i pugni. Una vampa di calore le inondò il petto quando il corpo dell’ombra scivolò sotto le lenzuola.