LILIANA SEGRE
Intervista
Liliana Segre
“ Attenti, non è solo una carnevalata. Se certi simboli ritornano è colpa dell’indifferenza”
La senatrice a vita Liliana Segre fu deportata ad Auschwitz a 13 anni con il padre Alberto, che non fece ritorno. Partì dal Binario 21 di Milano e all’arrivo le fu tatuato sull’avambraccio il numero 75190. Su 776 bambini italiani deportati soltanto 25 sono sopravvissuti. Alla notizia che a Milano in questi giorni sono in vendita uniformi dei prigionieri di Dachau, la sua prima reazione è il silenzio.
«Voglio avvertire l’Aned, l’Associazione Nazionale Ex Deportati, ma se è vero, significa che siamo di nuovo nell’indicibile».
Se anche l’uniforme fosse falsa, dimostrerebbe comunque che un mercato c’è…
«Sarebbe interessante vedere la faccia di chi vende e di chi compra. Forse quella squadra che ha stampato gli adesivi di Anna Frank. Come fa una che quella divisa l’ha indossata a pensare che settant’anni dopo possa essere venduta? Sarò fissata come tutte le persone vecchie, ma io ho sofferto l’indifferenza più della violenza, per questo mi sono battuta perché sulla targa del Binario 21 ci fosse scritto “indifferenza” in maiuscolo».
A Militalia, più che indifferenza, si respirava una certa simpatia per il nazismo.
«È a forza di indifferenza che queste cose ritornano. Fino a quindici anni fa non si aveva il coraggio di esprimere certe idee, che c’erano ma rimanevano sopite. Tornano fuori adesso che siamo tutti morti, e non possiamo testimoniare. La differenza è che i nazisti sono morti nel loro letto circondati dai loro cari nipotini, i prigionieri invece sono stati ammazzati».
Alla fiera molti erano vestiti da fascisti e nazisti.
«È una carnevalata schifosa. È troppo. Non ho più parole neanch’io che sono una che parla tanto. Uno dovrebbe stupirsi, ma sarebbe un altro modo per dare un nome all’indicibile. Primo Levi scrisse che raccontare è indicibile. Le parole vere non si sono mai trovate»
— g.p.
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