MARCO BRANDO BLOG, IL FATTO QUOTIDIANO DEL 31 AGOSTO 2018 ::: ” PERCHE’ IL POPULISMO E’ DIVERSO DALLA DEMOCRAZIA “

 

IL FATTO QUOTIDIANO DEL 31 AGOSTO 2018

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Perché il populismo è diverso dalla democrazia

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Giornalista e scrittore

Pare che, secondo la tesi sostenuta da un’importante uomo di governo, il popolo italiano abbia “caratteri puramente europei” che lo distinguono “completamente da tutte le razze extra-europee”. Poi: “Questo vuol dire elevare l’Italiano ad un ideale di superiore coscienza di se stesso e di maggiore responsabilità”. Un’affermazione razzista, tra molte altre. È stata capace però di trovare vasti consensi tra il suddetto popolo; tanto da convincere l’uomo politico ad agire, appunto, su indiscutibile mandato popolare, a tal punto da adeguare le leggi a questa sintonia.Di sicuro, la parola “popolo” continua a essere un intercalare ossessionante nel linguaggio di certi partiti. Ma spesso non nel senso sancito dal primo articolo della Carta costituzionale: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, dove si intende che l’insieme dei cittadini, senza distinzione di sesso, di razza (usato allora nel senso di etnia), di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali; la sovranità non è esercitata dal popolo direttamente (salvo che per il referendum), ma attraverso gli organi di rappresentanza che la Costituzione prevede.

Negli ultimi tempi invece alcuni partiti (italiani e non solo) agiscono in nome di un’altra parola, “populismo”, che ha perso i sui connotati originari ottocenteschi; in Italia per esempio divenuta la bandiera sventolata con orgoglio dai due partiti al governo. Infatti il timido premier tempo fa ha ottenuto il permesso di dire che è orgoglioso di essere populista, perché per lui il termine significa “attitudine ad ascoltare i bisogni della gente“.

Apparentemente democrazia e populismo potrebbero sembrare sinonimi, soprattutto in questo fluido XXI secolo. Apparentemente, perché tra la sovranità esercitata dal popolo in un sistema democratico e quella praticata dai partiti populisti, c’è una bella differenza, quella che corre tra la vita reale e quella finta diretta da un regista più o meno bravo. Però – finché le promesse elettorali e propagandistiche non svelano eventuale inconsistenza – molti cittadini pensano di contare qualcosa davvero e vari politici ci marciano, così da attribuirsi una sorta di delega in bianco.

In realtà democrazia e populismo non coincidono: la prima è un sistema di funzionamento della rappresentanza; mentre il populismo è un’ideologia, che qualche decennio fa era basata su slogan e adunate oceaniche, oggi sempre di più sul potere pervasivo dei media e soprattutto del Web. Certamente la democrazia si è dimostrata un sistema efficace e giusto, nei limiti delle possibilità umane. Lo è perché consente che siano rappresentate e “pesino” le opinioni e le scelte di tutti, anche quelle delle più o meno momentanee minoranze sociali e politiche. Così come la democrazia parlamentare è stata una grande conquista: in altre epoche tutto derivava da Dio o dal re/imperatore, che lo rappresentava sulla Terra.

Però quella stessa democrazia si trasforma in un tranello se scelte e opinioni delle persone non nascono da informazioni corrette e dati sufficientemente completi, bensì sono basate su sloganbugiepaure e pregiudizi. Diventa un sistema efficace soltanto in teoria, ma fallimentare e controproducente proprio perché il popolo tende, come dire, a “non avere ragione”: una società democratica soltanto sulla carta, e in realtà disinformata e manipolata, può generare mostri.

Infatti è comune osservare leader populisti tanto infervorati nel dichiarare di agire in nome della volontà popolare quanto impegnati in deliberate campagne di disinformazione. Chi prova a informare meglio è accusato di appartenere a misteriose lobby o al “vecchio sistema” e di volere bloccare il presunto “cambiamento”. In altre parole, l’opinione pubblica viene (ri)plasmata sfruttando contraddizioni e disagi (per esempio incoraggiando la xenofobia) per renderla in sintonia col leader carismatico di turno. Lo dimostra il consenso popolare ricevuto negli ultimi cento anni da MussoliniHitler e Stalin, per citare le star delle dittature europee, fino agli attuali PutinTrumpErdogan o Maduro.

Sia chiaro: il popolo resta sempre sovrano, però la democrazia può ammalarsi. La ricostruzione di una democrazia sana passa attraverso la rinascita della coscienza civile, della solidarietà, della cultura liberale, dell’umanesimo sociale, della morale laica e della tolleranza. Serve ricostruirla per contrastare la rabbia, la prepotenza, il rancore, il linguaggio aggressivo, che condizionano ormai le nostre vite reali e virtuali.Tutto il resto – inclusa la spocchia di chi ha contribuito a far vincere i populismi e ora pontifica senza un barlume di capacità d’autocritica – è soltanto una zavorra o un alibi.

Ps
Chi è riuscito ad arrivare fino in fondo merita una precisazione. Il virgolettato iniziale sulla “superiore coscienza” degli italiani è tratto dal Manifesto della Razza, voluto nel 1938 da Mussolini per giustificare le persecuzioni contro gli italiani ebrei. E il Duce è stato uno che di propaganda populista se ne intendeva, infatti, anche quella scelta fu acclamata dalla maggioranza del popolo italiano.

 

 

 

 

Nel 1982 Brando ha iniziato a scrivere per il quotidiano l’Unità come corrispondente da Pavia, dove ha frequentato l’università. In seguito – e fino al 1998 – ha lavorato nelle redazioni di Roma e di Milano del giornale, prima come redattore e poi come inviato, dedicandosi in prevalenza alla cronaca giudiziaria e soprattutto all’inchiesta Mani pulite.

… Da luglio 2018 è uno dei collaboratori del sito di news e commenti Stisciarossa [2], cui si dedicano molti giornalisti che hanno lavorato all’Unità, altri che vengono da esperienze diverse, poi studiosi e intellettuali.

Palomar ha pubblicato due suoi libri: Sud Est. Vagabondaggi estivi di un settentrionale in Puglia (2006), con prefazione del sociologo Franco Cassano, giunto alla seconda edizione; e Lo strano caso di Federico II di Svevia. Un mito medievale nella cultura di massa (2008), con prefazione e postfazione di due storici medievisti: Raffaele Licinio e Franco Cardini. Quest’ultimo libro, pubblicato in tre edizioni, nel 2010 ha ottenuto a Martina Franca (Taranto) il Premio “Ignazio Ciaia”

WIKIPEDIA (sotto il nome)

Risultati immagini per Lo strano caso di Federico II di Svevia. Un mito medievale nella cultura di massa

 

 
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