ALBERTO D’ARGENIO, REPUBBLICA DEL 28 SETTEMBRE 2018, pag. 2::: A OTTOBRE LA RESA DEI CONTI, BRUXELLES PREPARA LA BOCCIATURA DELLA MANOVRA +++ IMMAGINI DEL PALAZZO BERLAYMONT, SEDE DELLA COMMISSIONE EUROPEA

 

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PALAZZO BERLAYMONT A BRUXELLES, DOVE HA SEDE LA COMMISSIONE EUROPEA

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Berlaymont

 

 

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REPUBBLICA DEL 28 SETTEMBRE 2018–  pag. 2

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L’analisi

A ottobre la resa dei conti

E Bruxelles prepara la bocciatura della manovra

ALBERTO D’ARGENIO,

 

 

Dal nostro corrispondente

 

BRUXELLES

 

Il 16 ottobre di buon mattino il vicepresidente della Commissione europea, il lettone Valdis Dombrovskis, e il titolare dei conti pubblici, il francese Pierre Moscovici, firmeranno la lettera che mai si sarebbero aspettati a pochi mesi dalla fine del loro mandato a Bruxelles: intimeranno al governo Conte di modificare la manovra entro due settimane, o saranno costretti a rigettarla. Quindi, a fine ottobre, se nulla sarà cambiato nel bilancio italiano per il 2019, scriveranno la loro opinione negativa, il rigetto della finanziaria gialloverde prima ancora della sua approvazione in Parlamento per via di un peggioramento strutturale del deficit di 12,6 miliardi. A quel punto ci saranno altre tre settimane per cancellare quel 2,4% dalla casella del disavanzo. Se così non sarà, intorno al 21 novembre arriverà la bocciatura definitiva che aprirà la porta a una procedura di infrazione sui conti italiani al più tardi nei primi mesi del 2019. Il commissariamento europeo del governo grillo-leghista con una serie di parametri molto stringenti per rimettere deficit e debito su una traiettoria discendente. Sullo sfondo le sanzioni Ue, senza contare le reazioni dei mercati.

È questo lo scenario che ieri sera, mentre i parlamentari Cinquestelle festeggiavano il Def, si delineava al Berlaymont, dove le luci sono rimaste accese fino a tardi per studiare i numeri del Def che saranno il pilastro della manovra di ottobre. La Commissione nelle ultime settimane ha provato ad aiutare Roma. L’Italia avrebbe dovuto mettere a segno un risanamento strutturale del deficit pari allo 0,6% del Pil: 10,8 miliardi di tagli.

Ma ai primi di settembre all’Eurogruppo di Vienna Moscovici aveva concesso un maxi sconto da 9 miliardi a Tria: stirando al massimo le regole Ue si sarebbe accontentato di una correzione minima (ma obbligatoria) dello 0,1%, con deficit all’1,6%.

La scorsa settimana poi in un fugace faccia a faccia a margine del summit di Salisburgo, il presidente Juncker è andato oltre, facendo capire a Conte che avrebbe fatto il suo per evitare uno scontro con i vicepremier gialloverdi. Una velata apertura a perdonare un piccolo sforamento con qualche miliardo in più da spendere nella manovra. Ben inteso, non oltre il 2%, soglia invalicabile anche con tutta la buona volontà politica. Le regole Ue infatti non prevedono solo il rispetto del 3% di Maastricht, ma dal 2012 impongono di portare il deficit verso lo zero per ridurre il debito dei paesi capaci, con una crisi finanziaria, di affondare l’euro. E l’Italia con un debito oltre il 130% del Pil è il primo di questi.

Insomma, se di fronte a qualche zero virgola Juncker e i suoi avrebbero riflettuto a fondo prima di bocciare il bilancio italiano — la prima volta nella storia dell’euro di un ko preventivo di una manovra non ancora passata in Parlamento per di più sfidando il governo nazional-populista a pochi mesi dalle europee — a questo punto appare chiaro che sarà impossibile far passare la manovra se questa conterrà il 2,4% inserito ieri nel Def. E a Bruxelles spiegano come non regga il parallelo con la Francia di Macron usato da Lega e M5S come grimaldello verso Tria: il 2,8% annunciato da Parigi comunque centra una riduzione strutturale del deficit dello 0,3%, in linea con il Fiscal Compact.

Senza contare che il debito transalpino è ben sotto al 100% e sui mercati gode di una forza lontana anni luce da quella italiana. A questo punto appare inevitabile: se tireranno dritto, Di Maio e Salvini in campagna elettorale potranno fregiarsi del titolo di primo governo europeo dalla nascita della moneta unica la cui manovra viene preventivamente respinta dall’Unione e che finisce sotto procedura anche con un deficit sotto al 3%. Con tanti saluti ai mercati.

 

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