ALESSANDRO OVI, LINKIESTA DELO 18 LUGLIO 2018 ::: DIFFERENZA TRA POLICY E POLITICS–ESEMPIO DELL’USO DELLE CELLULE STAMINALI — ROBERT OPPENHEIMER, DRAMMA DI HEINAR KIPPHARDT RAPPRESENTATO NEL 1964-65 AL PICCOLO TEATRO DI MILANO– E TUTTORA RAPPRESENTATO (FEBBRAIO 2018)

 

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Julius Robert Oppenheimer (New York1904 – Princeton,  1967) è stato un fisico statunitense. Diede importanti contributi nel campo della fisica moderna, in particolare alla meccanica quantistica, ma la sua fama è legata soprattutto alla costruzione della prima bomba atomica nell’ambito del progetto Manhattan e alla successiva crisi di coscienza che lo indusse a rifiutare di lavorare per quella all’idrogeno

Sul caso J. Robert Oppenheimer (1964) einaudi

Due tempi di Heinar Kipphardt

 

LA LOCANDINA DELLA RAPPRESENTAZIONE AL PICCOLO TEATRO DI MILANO–STAGIONE 1964-65

 

PRESENTAZIONE

Rientra nel novero delle coincidenze che coincidenze non sono il fatto che il Piccolo Teatro possa presentare a un anno e mezzo dalla prima di “Vita di Galileo” di Brecht, un dramma di Heinar Kipphardt che ripropone – cogliendolo dalla realtà della nostra cronaca più recente – il dramma della responsabilità della scienza nel quadro delle forze politiche e sociali che agitano il nostro mondo d’oggi. “Sul caso J. Robert Oppenheimer “è l’adattamento scenico di alcuni momenti dell’inchiesta cui la Commissione per l’Energia Atomica (il massimo ente atomico degli Stati Uniti) sottopose nel 1954 l’uomo noto come “il padre della bomba atomica”. Storicamente il “processo” si inquadra nel cosiddetto periodo del maccartismo, e risponde alla necessità politica di trovare un capro espiatorio alla grande occasione perduta dagli Stati Uniti con la perdita del monopolio atomico a vantaggio della antagonista Unione Sovietica. Sotto questo profilo il dramma è l’immagine agghiacciante di una stolta persecuzione, a testimonianza oggettiva di un clima politico che fortunatamente non è più del presente. Ma al di là di questo aspetto, poichè nel corso degli interrogatori ciò che emerge è la storia della scienza fisica negli anni cruciali tra il ’40 e il ’54, il testo presenta il dramma della scienza giunta a quel punto cruciale cui Galileo l’aveva preannunciata nell’ultimo quadro dell’opera di Brecht; e ripropone dunque – se non più coi toni della creazione poetica, con quelli scarni ed efficaci della cronaca – il dilemma della scienza combattuta tra il desiderio di sapere e lo scrupolo morale di acconsentire o di non opporsi all’uso indiscriminato delle sue scoperte. Un dilemma tanto più grave qui in quanto esso si propone ormai ad un bivio che non lascia altre alternative tra la distruzione dell’umanità e l’avvio ad una nuova possibile età dell’oro. “La scienza è grande” – ha scritto Fermi: “solo i suoi adepti sono piccoli”. E il testo di Kipphardt – accanto e al di là del dramma della scienza – ci propone i drammi, i dilemma, le soluzioni, le scelte di coloro che fanno la scienza o che con la scienza hanno a che fare: in tutta la gamma delle possibilità d’atteggiamento umano, tra le lusinghe e i pericoli di una scienza che dà all’uomo un potere sovrumano.

Heinar Kipphardt è nato 1’8 marzo 1922 a Heidersdorf, nella Slesia (Germania). Figlio di un medico arrestato dai nazisti quando egli aveva undici anni e rinchiuso per cinque anni nel campo di Buchenwald, Kipphardt si iscrisse alla facoltà di medicina e prese intanto ad interessarsi di filosofia e di teatro. Giovanissimo ancora fece i primi esperimenti letterari. Durante la guerra prese parte alla ritirata di Russia e tornata la pace esercitò per alcuni anni la professione di medico. Nel 1950 entrò a far parte del Deutsches Theater di Berlino, dove rimase fino al 1959 in veste di drammaturgo, trasferendosi poi a Dusseldorf e dal 1960 a Monaco. Tra le sue opere teatrali, la commedia “Shakespeare urgente cercasi” (1952), “L’ascesa di Alois Piontek” (1956), “Le sedie del signor Szmil” (1958) e il dramma “Il cane del generale” (1960). “Sul caso J. Robert Oppenheimer” è stata rappresentata in prima assoluta alla Munchner Kammerspiele di Monaco l’11 ottobre 1964. Attualmente Kipphardt sta ultimando un dramma sulla vicenda di Joel Brand, l’uomo che durante la guerra tentò invano di trovare diecimila camions da offrire ai nazisti in cambio della vita di centomila ebrei.

 

 

LINKIESTA.IT/ BLOG-POST DEL 18 LUGLIO 2011

https://www.linkiesta.it/it/blog-post/2011/07/18/policy-e-politics/1168/

 

 

Policy e Politics

18 Luglio 2011 – 09:05

Due parole, in inglese, Policy and Politics, anche se in apparenza simili, hanno significati molto diversi. Policy è la ricerca di una via razionale per risolvere problemi complessi che coinvolgono società, economia e tecnologia. Politics è la ricerca di consensi popolari, e la loro aggregazione verso soluzioni che siano accettate anche se non necessariamente ottimali.

In Italiano abbiamo una parola sola: la Politica che va direttamente alla Politics, dove ‘credo’ e filosofie diversi finiscono spesso per essere un dato a priori e che finisce per mettere in seconda linea la Policy. Si mescolano valori ed interessi e si piega la razionalità all’esercizio puro e semplice di un potere spesso solo ideologico.

Difficile uscire dal conflitto se non si riesce a disarticolare ogni singolo problema nelle tre componenti elementari: gli interessi individuali quelli collettivi ed i valori che possono essere diversi nell’ambito di una stessa comunità. Per provare a spiegare il problema nella sua complessità riprendiamo un esempio di grande attualità e complessità. Il rapporto tra etica e scienza esploso recentemente a proposito delle biotecnologie. Il rapporto tra etica e ricerca scientifica non è problema nuovo, né strettamente legato ai temi della ricerca in campo biologico. Basta ricordare Oppenheimer, la sua coraggiosa opposizione all’uso militare delle ricerche di fisica nucleare, il suo entusiasmo per la ricerca in se, ma contemporaneamente le sue profonde perplessità non solo nell’utilizzo dei suoi risultati, ma anche nelle conseguenze internazionali della concentrazione di una conoscenza tanto critica solo nelle mani di pochi. Oggi, nelle scienze della vita, ed in particolare nella applicazione delle biotecnologie allo studio ed alla manipolazione delle cellule umane, esiste un problema simile a quello sollevato da Oppenheimer, ma con aspetti di ulteriore complessità. Non si tratta solo di valutare l’eticità dell’utilizzo delle nuove conoscenze acquisite, ma anche quella dei processi seguiti per ottenerle.

Il settore di ricerca più delicato è quello che impiega le cellule staminali, ovvero cellule ancora ‘indifferenziate’, che non hanno ancora preso le caratteristiche finali del tessuto dell’organo di cui faranno parte.Le cellule staminali opportunamente trattate sono quindi in grado di evolvere in molteplici forme di tessuto ed hanno potenzialità di sviluppo straordinarie in una nascente branca della medicina che in modo generico si chiama medicina rigenerativa. Esse possono essere ricavate da organismi adulti e si parla allora di cellule staminali adulte o da embrioni ed allora si parla di cellule staminali embrionali. Secondo la maggior parte degli scienziati le seconde sono assai più promettenti delle prime ed è quindi naturale che su di loro si concentri con maggior e attenzione la ricerca.

Ma qui nasce il delicato problema dell’aspetto etico della ricerca. Fino ad ora disporre di cellule staminali embrionali richiede la distruzione di embrione. Se un embrione sia una forma di vita completa o no è un problema assai più di religione che di scienza. Cattolici, Ebrei, Musulmani, Buddisti, Induisti o Atei hanno posizioni diverse in materia. Nel dubbio tuttavia esiste un crescente numero di scienziati che preferisce considerarle tali e cerca modi di lavorare eticamente accettabili. E qui le vie possibili sono molteplici, per cui non appare equilibrato dire no su tutta la linea ad ogni forma di ricerca sulle staminali embrionali. Anche ammesso che la natura dell’embrione sia quella di vita umana la valutazione della eticità del loro utilizzo deve tener conto di un aspetto ulteriore quello del suo stato. Il corpo di un uomo tenuto in vita da una macchina, può ad un certo punto, in un quadro di condizioni sulle quali la comunità medica ha trovato un accordo, essere considerato non più ‘vita’ e essere oggetto di espianto di organi da donare.

Oramai non ci sono più obiezioni serie in materia. Così potrebbe essere per un embrione conservato in un frigorifero (ce ne sono migliaia e sono i cosiddetti embrioni sopra-numerari derivanti dalle pratiche di fecondazione in vitro) se la scienza concordasse sul fatto che dopo un certo numero di mesi o di anni non vi è più in lui la capacità di evolvere in un essere vivente. Ma il bisogno di essere attenti non finisce qui. Per questioni legate al rigetto di tessuti costruiti partendo da cellule staminali si stanno mettendo a punto tecnologie (definite politicamente corrette) che permettono di creare il DNA dei pazienti senza passare attraverso la blastocisti umana ovvero quell’insieme di cellule generato dalla divisione cellulare dell’uovo fecondato. Il NO a tutto ciò che tocca gli embrioni non ha un supporto etico ma solo ideologico. Il fatto che a porre il problema in questi termini siano anche scienziati cattolici fa pensare che alla scienza tocchi il compito di definire una policy che possa evolvere in una politics non di puro confronto ideologico ma di ricerca di soluzioni razionali condivise.

Alessandro Ovi

 

 

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