MARCELLO MESSORI, PROF. ALLA LUISS DI ROMA, studioso delle nuove teorie keynesiane— REPUBBLICA DELL’ 08- 10- 2018, pag. 21— DEF, UNA SFIDA AL BUON SENSO

 

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L’analisi

DEF, UNA SFIDA AL BUON SENSO

Marcello Messori

Di Maio ha ragione nell’affermare che gli ultimi tre governi di centrosinistra, succedutisi dall’aprile del 2013 al giugno 2018, hanno “forzato” le regole europee per aggirare i costi politici di una ricomposizione della spesa e limitare gli aggiustamenti del bilancio pubblico italiano. Il vicepremier fornisce, tuttavia, una rappresentazione errata della realtà quando, riproponendo la trama di un film già visto nel 2001 con il ministro Tremonti, sostiene che le preannunciate scelte fiscali dell’attuale governo ereditano i “buchi” lasciati da queste “forzature”.

La tesi è insidiosa: se le novità sostanziali della prossima legge di Bilancio riguardassero la destinazione più che l’entità dei disavanzi, non si giustificherebbero né gli allarmismi di mercato né la preventiva censura da parte delle istituzioni europee. Il fatto è che tale tesi contrasta con la realtà: a differenza dei passati governi di centrosinistra, il governo gialloverde propone una politica di bilancio destinata a compromettere la sostenibilità del debito pubblico italiano e a impoverire, di conseguenza, le famiglie con reddito medio e medio-basso.

Le affermazioni di Di Maio omettono tre fondamentali dati del recente passato. Innanzitutto, il governo Letta e la prima parte del governo Renzi hanno agito in una fase in cui l’Italia non aveva agganciato la ripresa economica europea. Inoltre, al di là del merito delle singole scelte di spesa pubblica effettuate, la seconda parte del governo Renzi e il governo Gentiloni hanno attuato una politica fiscale che ha mantenuto sotto controllo la dinamica del nostro debito pubblico e che è stata — alla fine — approvata dalla Commissione europea. Infine, tale approvazione si è appoggiata su un dato cruciale: l’Italia ha perseguito, anche se con ritmi più lenti di quanto richiesto dalle regole di stabilità, un avvicinamento a quell’equilibrio del bilancio pubblico di medio periodo che tiene conto della fase ciclica. Oggi, invece, la sfida che il governo gialloverde rivolge non tanto alle istituzioni europee, ma, prima di tutto, alle regole basilari dell’economia e al buon senso, è di allontanarsi dall’equilibrio del bilancio pubblico di medio periodo allorché l’economia dell’area euro cresce e la politica monetaria rimane espansiva. Insomma: invece di sfruttare il momento ancora positivo per stabilizzare un bilancio pubblico gravato da un abnorme ammontare di debito e minacciato dal prossimo rialzo dei tassi di interesse, il governo italiano ne compromette la sostenibilità, programmando di allontanarsi per quasi 1,5 punti percentuali dall’equilibrio di medio periodo.

Una tale scelta potrebbe essere forse comprensibile, qualora servisse a irrobustire la precaria crescita economica italiana e a indicare un prossimo percorso di aggiustamento del debito pubblico. Al riguardo, la Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza si pone traguardi ambiziosi, che sono, però, velleitari. Anche quanti pensano che un’appropriata espansione della domanda avrebbe effetti taumaturgici per la crescita economica italiana troveranno difficile sostenere che redistribuzioni dei redditi a favore degli anziani, disincentivi all’occupazione regolare, vantaggi fiscali per le iniziative economiche di minori dimensioni a scapito di quelle piccolo- medie e medie, premi per i passati evasori fiscali, appesantimento dei costi bancari per la “pulizia” dei propri bilanci e limitati sostegni alla ripresa degli investimenti pubblici, senza adeguati interventi di semplificazione burocratica, siano i corretti ingredienti per quasi raddoppiare il tasso di crescita atteso nel 2019 (dallo 0,9 per cento all’1,5 per cento) e per sostenere lo sviluppo economico del Paese nei due anni successivi.

Eppure, insieme a poco credibili clausole di salvaguardia per gli anni 2020 e 2021, sono questi i capisaldi dell’aggiornamento del Def. Come stupirsi, allora, che: gli analisti prevedano squilibri ben peggiori nei bilanci pubblici italiani per il triennio 2019-2021; gli investitori internazionali e nazionali chiedano premi sempre crescenti per sottoscrivere i nuovi titoli necessari a finanziare il debito pubblico italiano; di conseguenza, il nostro settore bancario e assicurativo e i nostri fondi comuni di investimento debbano fronteggiare perdite sul loro vecchio stock di titoli pubblici?

Anche a prescindere dalle reazioni delle istituzioni europee, tali processi hanno esiti pressoché scontati. Aggravando la tendenza internazionale al rialzo dei tassi di interesse, in Italia vi saranno forti incrementi nei costi di finanziamento del settore produttivo, che si sommeranno a una caduta dell’offerta di credito bancario. Il conseguente inasprimento dei freni esterni all’attività produttiva indebolirà la crescita, disincentiverà gli investimenti privati e peggiorerà le dinamiche occupazionali nel mercato del lavoro. Le famiglie con redditi medi e medio- bassi, già colpite dall’inasprimento delle condizioni dei prestiti, dovranno sopportare perdite sulla loro ricchezza finanziaria e ridimensionamenti nel loro potere di acquisto.

In questa situazione, la scommessa di Salvini, secondo cui le elezioni europee del maggio 2019 permetteranno di superare ogni problema grazie alla vittoria dei “sovranisti” e al connesso allentamento delle regole europee, si rivela come una ” favola per bambini”: senza un forte cappello europeo, la zattera italiana sarebbe ancora più esposta alla tempesta dei mercati.

 

MARCELLO MESSORI  (Biella1950) è un economista italiano, insegna alla LUISS Guido Carli di Roma, dove è direttore della School of European Political Economy. Ha lavorato sulle teorie della nuova economia keynesiana::: ha un blog, Keynes blog  su facebook: https://keynesblog.com/–” il risparmio non è mai guadagno”, detto napoletano

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