” PERSONA E COMUNITA’ ” –— è un blog di riflessione culturale, filosofica, religiosa, pedagogica, estetica. Tutti gli articoli sono scritti da: Gian Maria Zavattaro, Rossana Rolando, Rosario Grillo
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La moglie e la figura del testimone.
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Post di Rossana Rolando.
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Vilhelm Hammershøi, Doppio ritratto dell’artista con la moglie |
I rapporti intrafamiliari possono essere l’inferno. Le cronache sono piene di rancori covati tra le quattro mura domestiche che si risolvono in tragedia. Gli affetti, infatti, hanno a che fare con i mondi oscuri della psiche e con le malattie del nostro spirito, diventando talora “luoghi” di sofferenza, di smarrimento, di dolore, di stanca ritualità, di prigionia….
Ci sono però, per una qualche felice formula del destino, legami che sono divenuti nel tempo così intensi, speciali, duraturi, profondi da destare gioia e ammirazione. Penso a grandi coppie di intellettuali: Raissa e Jacques Maritain, Paulette ed Emmanuel Mounier, Giulia e Giuseppe Capograssi…, figure che hanno irradiato nel loro stare insieme amicizia, cultura, bellezza. Ma penso anche ad altre grandi coppie, ancorché meno note.
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Vilhelm Hammershøi, Riposo |
EDITORE ALIBERTI, 2011
Ultimamente mi hanno molto colpito alcune pagine tratte da Il viandante della filosofia, un libro in cui si riporta un’intervista a Umberto Galimberti. Tra gli altri argomenti, verso la fine del testo, il filosofo parla della moglie, biologa molecolare, appassionata scienziata, morta nel 2008, dopo 12 anni di malattia, causata da un tumore. Nel descrivere il suo rapporto con questa donna Galimberti usa parole commoventi che – in un pensatore come lui, per nulla incline ad esternare i propri sentimenti (ricordo le pagine sulla “spudoratezza” come nuovo vizio) – hanno il sapore di una verità capace di andare oltre i confini della storia privata per consegnarsi universalmente a ciascun lettore. Quel che emerge, infatti, al di là della personale esperienza, è il paradigma della moglie, ciò che la moglie dovrebbe essere (o più in generale ciò che l’altro dovrebbe essere all’interno della relazione a due).
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Vilhelm Hammershøi, Raggi di sole |
Molti ingredienti contribuiscono alla realizzazione di un buon rapporto di coppia: l’attrazione, l’affinità, la reciproca comprensione… Da parte sua Galimberti, facendo riferimento ai bisogni affettivi più profondi, sintetizza nella figura del “testimone” – nello sguardo di chi vede e assiste – quello che la moglie ha rappresentato nella sua vita.
Può sembrare strano. In fondo noi viviamo continuamente sotto gli sguardi degli altri. Tuttavia questi sguardi – che possono essere di tanti segni – sono soprattutto sguardi in-differenti. Il termine in-differenza rimanda etimologicamente a ciò che rimane indistinto o all’atto di chi non distingue. Esso può contenere tante sfumature, spesso negative, aventi a che fare con l’assenza di interesse e di cura verso qualcosa o qualcuno. Ma l’in-differenza non è solo questo. Ci sono sane indifferenze che ci permettono di lasciare spazio all’altro, non invadendone la sfera. Per esempio mi può essere indifferente il modo in cui il mio vicino di casa impiega il suo tempo libero. Quindi dire che gli sguardi degli altri sono indifferenti non significa necessariamente affermare distanza e assenza di interesse.
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Vilhelm Hammershøi, Interno con giovane donna |
Esistono però rapporti in cui non c’è nulla di indifferente nella vita dell’altro
e sono quelli nei quali si è scelto di condividere l’esistenza secondo una modalità affettiva che, per sua natura, non può essere estesa, perché dipende da una libera scelta e perché implica un’intensità e una reciprocità per molti versi esclusiva. Quando Galimberti identifica la moglie con la figura del “testimone” non intende quindi riferirsi ad uno sguardo qualsiasi – non necessariamente indifferente nel senso comune del termine – ma a “quell’unico sguardo” per il quale la propria vita ha un valore in ogni suo aspetto e momento, quell’alterità cui solo è possibile raccontare se stessi.
E la cosa è così vera e profonda da poter sostenere l’analogia con la presenza/assenza teologica: Dio, per il credente, è il grande spettatore ai cui occhi ogni momento dell’esistenza ha significato e valore. E, infatti, il parallelismo giunge fino a confrontare la “disperazione”, che accompagna la morte della moglie, con quella che l’uomo può provare nell’assenza di Dio (di pascaliana memoria).
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Vilhelm Hammershøi, Interno |
Ed ecco la pagina bellissima di Galimberti, un dono raro, da maneggiare con cura e delicatezza:
«Ero molto innamorato di mia moglie, che è venuta a mancare due anni fa […]. Era una figura eccezionale, slovena, della comunità slovena di Trieste. Ci eravamo conosciuti nel 1967, vivendo poi insieme per 42 anni. Quando se n’è andata ho capito di aver vissuto tutta la vita per lei[…]. La mia storia aveva un valore solo quando la potevo raccontare a qualcuno, mentre adesso, finito questo racconto, non so più perché devo fare le cose. Sono in una fase di totale disorientamento: non so perché si devono fare le cose, non so perché si devono scrivere libri, non so più nulla. Non so più perché sono al mondo. […]
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Vilhelm Hammershøi, Interno con Ida su una sedia bianca |
Severino, tempo fa, dopo che gli era morta la moglie, mi disse: “Adesso finisco l’ultimo libro e poi me ne vado anche io”. Lo capisco benissimo. Perché si ha proprio questa sensazione di aver perduto il testimone della propria vita, quasi che la vita potesse accadere soltanto sotto quello sguardo. In quella circostanza ho capito anche che cosa voglia dire Dio: non nel senso della speranza o dell’eternità, ma proprio per questo fatto di vivere sotto lo sguardo di qualcuno. In definitiva è la “disperazione” di Pascal, quel guardare il cielo e constatare che l’immenso universo e quegli astri lassù “non ti conoscono”. L’indifferenza della terra, che è il residuato di quando se ne va il tuo testimone».