27/12/2018
ECONOMIA
Le riforme
Pensioni, allo Stato 3,6 miliardi per effetto dei mancati aumenti
I sindacati: “Un taglio medio di mille euro nel triennio”. Per il governo “nessuno perderà un euro” La nuova norma della legge di Bilancio supera l’accordo che Cgil, Cisl e Uil firmarono con Renzi
VALENTINA CONTE,
Il semi blocco dell’adeguamento al costo della vita
ROMA
Si rompe la tregua tra sindacati e governo gialloverde. Cgil, Cisl e Uil sono pronti a mobilitarsi contro la prima manovra dell’esecutivo del cambiamento. E lo fanno non su quota 100 o reddito di cittadinanza, interventi che non possono contestare perché da sempre nelle loro corde oltre che nelle piattaforme programmatiche: sostegno ai poveri e anticipo pensionistico.
Lo scontro si apre ora sulla rivalutazione parziale delle pensioni all’inflazione. Una misura che costerà a tutti i pensionati italiani — con l’esclusione di quelli che percepiscono fino a 1.500 euro lordi al mese — 3,6 miliardi al lordo delle tasse nel triennio 2019-2021 e ben 17 miliardi nel decennio 2019-2028.
I numeri non appaiono confutabili, perché scritti nella relazione tecnica alla legge di Bilancio vidimata dalla Ragioneria. Ma il governo, Lega in testa, si ostina a raccontarli in modo diverso. Provando a convincere gli italiani che «nessuno prenderà un euro in meno», come ripete da alcuni giorni il vicepremier Salvini.
Secondo i rappresentanti dei pensionati le cose non stanno così. Spi-Cgil, Fnp-Cisl e Uilp-Uil sono pronti a mostrare le loro di tabelle. Numeri convergenti: il taglio non solo c’è, ma picchia su assegni da 1.800 euro netti in su, con sacrifici medi da mille euro in tre anni.
L’appuntamento dunque è in piazza. Si parte domani, davanti alle prefetture di Roma, Milano, Venezia, Bologna, Pescara, Lecce, Latina e Aosta. Presidi contro la «vessazione», così la chiamano. «I pensionati sono arrabbiatissimi e si stanno organizzando in tutte le province», spiega Patrizia Volponi, segretaria nazionale Fnp-Cisl. «Il governo non può pensare di fare cassa con i pensionati. Parliamo di 22 milioni di persone. La grande maggioranza non avrà nulla o quasi. Non si tratta di spiccioli. A una pensione da 3 mila euro lordi mancheranno 390 euro, cioè 260 netti, all’anno». Ma come si arriva a questo braccio di ferro sui numeri? Tutto parte dal verbale firmato a Palazzo Chigi dai sindacati il 26 settembre 2016. Il governo Renzi — dimissionario di lì a poco, dopo il referendum costituzionale del 4 dicembre — si impegnava a superare le “fasce di Letta” con 5 aliquote e tornare agli “scaglioni di Prodi” con 3 aliquote, dal primo gennaio 2019. Un vantaggio notevole. Prendiamo una pensione da 3 mila euro lordi. Rivalutarla all’inflazione ragionando per fasce significa applicare un taglio su tutti i 3 mila euro. Per scaglioni vuol dire invece avere una rivalutazione piena al 100% sui primi 1.500 euro e una percentuale ridotta al 90% sulla parte eccedente. Cosa fa ora il governo Conte? Ricopia il “metodo Letta” portando le fasce da 5 a 7. Con un piccolo vantaggio quasi per tutti (non per gli assegni sopra i 4 mila euro lordi). Dunque è vero che nessuno ci perderà. Ma solo sul 2018. Non rispetto a quello che doveva essere: gli “scaglioni Prodi”. Previsti da un verbale, ma soprattutto finiti in una legge: la Finanziaria 2017.
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