GRAZIA CASAGRANDE, PER WEB.ARCHIVE.ORG ::: INTERVISTA A TZVETAN TODOROV — 25 GENNAIO 2002 + copertina di alcune opere…

 

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25 gennaio 2002

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Tzvetan Todorov

Un grande intellettuale che ha saputo nelle “sue opere, tutte di assoluto impegno morale e intellettuale”, far emergere “con chiarezza l’ostilità verso le tentazioni utopiche sotto qualunque forme prospettate”. Così è stato detto dalla giuria del Premio Nonino nella motivazione del Premio Internazionale a un Maestro del nostro tempo, così emerge anche da questa intervista che Todorov ci ha rilasciato. 

Lei ha accostato lo stalinismo al nazismo e ha detto che queste sono state due dittature del male, ma anche “la tentazione del bene” può portare violenza, sangue.

Io non ho assimilato queste due realtà: mettere a confronto non è assolutamente sinonimo di assimilare le cose. L’atto di confrontare i due regimi permette di mettere in evidenza i fatti e, proprio nel momento in cui scopriamo le somiglianze, vediamo anche le diversità e le divergenze. Avrei potuto, ad esempio, mettermi a confronto con Stalin, ma non sarebbe stato un raffronto interessante perché io non ho fra le mani il destino di milioni di persone. Invece l’interesse nasce comparando due dittature, provenienti da totalitarismi diversi perché si parla di sistemi storicamente contemporanei e in concorrenza tra loro, che si sono imitati a vicenda, che hanno anche stretto alleanze, fatto patti. Possiamo inoltre contare elementi strutturali simili fra i due sistemi: il concetto di partito unico, il monismo, l’inclusione di ogni ambito della vita, la subordinazione di tutto al partito-stato. Il confronto è quindi interessante, ma al contempo mette in evidenza le differenze.

Ad esempio, quali?

Possiamo vedere che il modo di indirizzare, di proiettare la rotta è stato diverso: le due ideologie non giocavano ruoli simili e non avevano la stessa funzione all’interno dei due sistemi. Con “nazismo” intendiamo una forma estrema di nazionalismo che ha prodotto la distinzione tra buoni e cattivi partendo dall’etnia, ha portato a giudicare gli slavi come esseri subumani e all’eliminazione degli ebrei: insomma una suddivisione fra classi di tipo razziale all’interno di ogni società. C’è invece una dissimulazione molto più grande nel sistema comunista, c’è una maggiore diversità fra la realtà effettivamente vissuta e quella rappresentata o proiettata. Sono differenze interessanti da studiare, così come è utile osservare le somiglianze.

Mentre la ricerca del bene?

In un certo senso la chiesa cristiana si è sbagliata nel dare la priorità alla lotta contro il male perché pochi individui nella storia sono stati tentati dal male producendo dei veri disastri: abbiamo sì degli esempi di culti satanici, di patti con il diavolo ma si tratta di fatti del tutto secondari. Invece la sfortuna maggiore di interi popoli è consistita proprio nella “tentazione del bene”, è nata da chi aveva l’intenzione di creare una specie di paradiso terrestre, conducendo poi a risultati opposti: Hitler, concepito da tutti come simbolo del male assoluto, a modo suo voleva fare del bene, pensava di estirpare il male (identificato con gli ebrei), era l’artefice del tentativo folle di creare una società perfetta. Anche il comunismo rappresenta, in modo diverso, un esempio di “tentazione del bene”, e questo vale anche per le democrazie… Il problema è quando il desiderio di creare del bene rende l’uomo superbo, gli toglie il senso critico e quello dei propri limiti.

Dire che Hitler e Stalin cercassero il bene è una provocazione?

No, è l’evidenza.

Oggi vede altre pericolose “tentazioni”?

Penso che il totalitarismo non sia una minaccia attuale, penso che in Europa le esperienze totalitarie, nelle loro diverse forme, siano state così traumatizzanti che per due o tre generazioni non ne saremo minacciati. Ma penso che la tentazione del bene, possa pervertire la vita pubblica internazionale anche nelle democrazie. Sul piano internazionale consiste nel dichiarare alcune cause giuste e in nome di queste giustificare tutti i mezzi di cui siamo in possesso per imporle. Portiamo un esempio piuttosto lontano e quindi meno polemico: si è lanciata la bomba atomica sul Giappone, alla fine della seconda guerra mondiale, con la motivazione di porre fine alla guerra, arrestare il sangue, i sacrifici dei popoli; ma quando si studia seriamente la storia si capisce che queste ragioni non sono minimamente legittime, non permettono di capire quello che è successo e si comprende che è stata un’aggressione del “bene” che non si è occupato degli interessi concreti degli individui che vivevano in quelle terre. Direi che è successo qualcosa che aveva come modello la giustizia divina scagliatasi contro Sodoma e Gomorra, piuttosto che la giustizia umana che dovrebbe sempre avere interiorizzato un dubbio sul proprio agire e non praticare mai soluzioni così radicali da far sparire dalla terra popolazioni intere. Così la caccia alle streghe di cinquant’anni fa non era stata fatta in un paese totalitario ma praticata nella più grande democrazia del mondo, gli Stati Uniti, e consisteva nel dichiarare certe posizioni politiche, religiose o semplicemente ideologiche, come negative e quindi nel perseguitare gli individui per le loro opinioni. Evidentemente questo fenomeno non può essere paragonato ai campi di sterminio, non c’è stata un’Auschwitz americana, ma ha causato innumerevoli sofferenze. Queste stigmatizzazioni e questi ostracismi che si praticano nei confronti delle opinioni minoritarie esistono ancora nei nostri paesi e noi stessi conosciamo delle derive moralizzatrici, tendenze “politicamente corrette” o “moralmente corrette” per cui chi ha un’opinione minoritaria o dissidente va ostracizzato, rifiutato dall’insieme dei media. E i media fanno l’opinione, creano o distruggono il prestigio di un individuo.

E le guerre umanitarie?

Penso che la guerra umanitaria sia una contraddizione in termini , che la guerra non sia mai umanitaria; certe guerre sono giustificate: non sono un pacifista radicale. Credo che quando l’armata rossa ha liberato Auschwitz il mondo sia stato felice che questo fosse avvenuto, ma non si trattava certo di una guerra umanitaria: c’erano dei nemici politici e lo scopo era vincerli. Direi che il diritto d’ingerenza umanitaria è un concetto che si annulla da solo poiché l’umanitario si rivolge a tutti gli individui nello stesso modo, se decidiamo che su alcuni gruppi sia necessario agire in modo da distruggerli, da ucciderli per migliorarli allora non siamo certo “umanitari”. C’è una frase di Bartolomé de Las Casas a proposito della Chiesa che dice “non bisogna cercare di battezzare un pagano se per farlo bisogna ucciderlo”.

Il saggio, il romanzo, un testo di memorie: quale genere sa meglio scuotere le coscienze dei lettori?

Non penso che si possa scegliere tra le forme, ognuna fa appello a formazioni culturali, a educazioni, a temperamenti diversi, non c’è una gerarchia: è chiaro che la letteratura in generale si indirizza a un pubblico più ampio non richiede nessuna preparazione preliminare; questo può avvenire anche coi saggi, è sufficiente che gli autori (Montaigne è universale quanto Balzac) sappiano comunicare con tutti.

Per riprendere un suo vecchio testo anche “la letteratura fantastica” ha una funzione educativa?

Tutta la letteratura educa le coscienze, così come la poesia: non ha bisogno di contenere delle lezioni teoriche, separa le modalità e, creando un mondo immaginario che agisce sul mondo reale, ci permette di trovare più scienza, più bellezza nell’esistenza umana e rende tutta la nostra vita migliore.

Di Grazia Casagrande

 

 

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